The Standard Model of Fundamental Particles and Interactions Chart. |
MAPPA della PAGINA: I Neutrini. Cosa sono ? Hanno massa ? Perchè è importante studiarli in Astrofisica ?... Agg. 30.07.2004
Il neutrino è una particella particolarmente elusiva. Lo dimostra la sua storia e il fatto che ancora molte delle sue proprietà restano da determinare. Possiamo però affermare che almeno uno dei dubbi che lo riguardavano ha avuto un decisivo impulso verso una soluzione. I risultati pubblicati nel 1998 dalla collaborazione dell'esperimento SuperKamiokande (SK nel seguito) in Giappone indicano chiaramente che il neutrino oscilla ed è quindi dotato di massa. I risultati di altri esperimenti, pur non rivelando in maniera così eclatante questa oscillazione, pongono limiti che risultano compatibili con il risultato di SK. Cerchiamo ora di capire come viene studiato il neutrino, cosa si intende per oscillazione e come, nonostante questa scoperta, molto resta ancora da fare. Il neutrino esiste in tre forme, associate ai leptoni, elettrone, muone e tau (il neutrino-tau è stato identificato per la prima volta in maniera diretta meno di un anno fa, dall'esperimento DONUT al Fermilab). Le sorgenti che producono neutrini sono principalmente:
(*)-le reazioni termonucleari di fusione dell'idrogeno che avvengono nel nucleo del Sole (neutrini solari);
(*)-l'interazione dei raggi cosmici (particelle energetiche, principalmente protoni e nuclei di elio, che permeano lo spazio esterno) con l'atmosfera terrestre (neutrini atmosferici);
(*)-gli urti o il decadimento di particelle agli acceleratori e nelle centrali nucleari (neutrini da acceleratore).
Inoltre essi sono anche prodotti da varie sorgenti astrofisiche e sono previsti dalle teorie cosmologiche come residui fossili del Big-Bang. Gli esperimenti che intendono rivelarli devono progettare il loro apparato in relazione all'energia e al tipo di neutrino prodotti da queste sorgenti. Superkamiokande era stato progettato per rivelare il decadimento del protone. E' costituito da una vasca contenente 50.000 tonnellate di acqua e circondata da rivelatori di luce (fotomoltiplicatori) che servono ad identificare le particelle prodotte dal decadimento del protone. Naturalmente esistono molte altre reazioni spurie che inquinano il possibile segnale del decadimento e che devono essere riconosciute e rigettate. Tra queste, sebbene in minoranza, vi sono anche le reazioni indotte dai neutrini atmosferici e solari. Un neutrino, sia esso elettronico, muonico o tau, è in grado di attraversare lo spessore terrestre senza subire alcuna interazione. Dei numerosi neutrini che attraversano la vasca di acqua (circa 1017 ogni secondo provenienti dal Sole e un milione dalle reazioni dei raggi cosmici con l'atmosfera), SK ne rivela circa uno ogni ora e mezzo. Questi interagiscono con i nuclei dell'acqua, andando ad urtare i quark che costituiscono i protoni e neutroni dei nuclei. Nella reazione si creano elettroni o muoni che fuggono dal nucleo e percorrono alcuni metri in acqua dove emettono luce Cherenkov, che viene vista dai fotomoltiplicatori. Da qui è possibile conoscere la direzione di provenienza del neutrino. Studiando queste direzioni è possibile capire se il neutrino nel suo viaggio dal punto di produzione al rivelatore ha oscillato. (Nota: Una descrizione semplice e completa dell'esperimento SK e dei risultati sullo studio dei neutrini si può trovare sul fascicolo di ottobre 1999 del "Le Scienze", nell'articolo "Alla scoperta della massa del neutrino").
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Verso la comprensione dei neutrini solari: i risultati di SNO.
L'origine dell'energia emessa dal Sole è stata, per molti secoli, un grande mistero; solo l'avvento della fisica nucleare e della meccanica quantistica ha fornito una soluzione plausibile a questo problema. Una catena di reazioni termonucleari (il termine è stato coniato proprio per questi processi che avvengono nelle stelle e non, come si potrebbe credere, per definire le reazioni che avvengono nelle bombe all'idrogeno) porta alla fusione di quattro protoni in un nucleo di elio con una perdita di massa del 7 per mille circa e il rilascio della quantità equivalente di energia sotto forma di radiazione elettromagnetica e, in piccola parte, di neutrini. Sono proprio i neutrini che consentono di identificare quali reazioni partecipano effettivamente alla produzione di energia. L'osservazione diretta di questi neutrini suggerisce l'esistenza di nuovi fenomeni e apre la strada per una "nuova fisica". Il modello solare più accreditato imputa al cosiddetto ciclo dell'idrogeno la gran parte dell'energia prodotta dalla nostra stella. In questo ciclo di reazioni termonucleari si hanno le seguenti sorgenti di neutrini:
• la reazione di fusione di due protoni, che avvia tutto il ciclo, con emissione di neutrini di energia modesta (da 0 a 420 keV) e la fusione a tre corpi protone-protone-elettrone (assai poco intensa);
• la cattura elettronica su nuclei di berillio, con emissione di neutrini monocromatici di circa 865 keV, il decadimento del boro-8, con emissione di neutrini nell'intervallo di energie da 0 a circa 15 MeV;
• il modestissimo contributo, in termini di intensità, dalla cattura di protoni su elio-3;
• il contributo da alcune reazioni del ciclo detto del CNO, che contribuisce in modo molto modesto alla produzione globale di energia.
Si noti che tutti questi neutrini sono del tipo elettronico. Benché il flusso sia assai rilevante (6,6 1010 neutrini per cm2 al secondo) questi neutrini sono assai difficili da rivelare in quanto la loro sezione d'urto su nuclei o su elettrone è, a queste energie, assai piccola, da 10-42 a 10-45 cm2 a seconda del tipo specifico di reazione. Per far breve una lunga ed entusiasmante storia di ricerca sperimentale, ricordo:
•Ray Davis jr. e collaboratori che, utilizzando un bersaglio di oltre 600 tonnellate di percloroetilene installato nella miniera di Homestake (South Dakota), hanno per primi rivelato un segnale, attribuibile principalmente ai neutrini del boro-8;
•gli esperimenti giapponesi detti Kamiokande e SuperKamiokande (quest'ultimo è un gigantesco rivelatore che utilizza come bersaglio 50 kton di acqua e la luce Cerenkov per identificare le interazioni) hanno fornito la prova che le interazioni osservate erano dovute realmente a neutrini provenienti dal sole;
•gli esperimenti GALLEX (ora GNO) al Gran Sasso e SAGE al laboratorio russo Baksan, basati su tecniche radiochimiche con l'uso di gallio, hanno dimostrato che il ciclo dell'idrogeno è effettivamente responsabile della produzione di energia, essendo sensibili anche ai neutrini emessi nella fusione di due protoni.
Tutti questi esperimenti, mentre da un lato confermano la giustezza dell'ipotesi dell'origine nucleare dell'energia solare, sono in significativo disaccordo con le previsioni dei modelli solari più accreditati che, negli anni recenti hanno ricevuto conferme indirette anche da misure di elio-sismologia, cioè sui modi di vibrazione del sole. Infatti, i tassi di interazione misurati sono sensibilmente inferiori (per un fattore tra 0,3 e 0,6 circa) a quelli predetti.Questa discordanza è particolarmente grave nel caso degli esperimenti al gallio, impossibile da riconciliare con i modelli solari, anche introducendovi ipotesi estreme. Una possibile spiegazione, non trovandosi ragionevoli modifiche ai modelli solari che consentano la riproduzione dei flussi misurati di neutrini, risiede nel fenomeno delle trasformazioni dei neutrini di un tipo (elettronico, muonico e tauonico) in un altro, fenomeno detto "oscillazioni dei neutrini", proposto già nel 1958 da Bruno Pontecorvo tra neutrini ed antineutrini e successivamente, in modo specifico, per i neutrini solari. Infatti, se si verifica una oscillazione da neutrini elettronici in neutrini di altro tipo, il segnale ne risulta corrispondentemente diminuito negli esperimenti con cloro e gallio, che sono sensibili solo ai neutrini elettronici; anche gli esperimenti, quali Kamiokande e SuperKamiokande, basati sulla osservazione di eventi di diffusione elastica di neutrini-elettrone su elettroni osserveranno una diminuzione del tasso di interazioni in quanto la corrispondente sezione d'urto è circa 6 volte superiore a quella di neutrini-muone e neutrini-tau. Un modo assai elegante per chiarire il problema fu proposto anni addietro da H.Chen, che indicò nell’acqua pesante, in cui l’idrogeno è sostituito dal deuterio, un bersaglio ideale per queste ricerche. Infatti, nell’acqua pesante si possono osservare tre tipi di reazioni:
a)-la diffusione elastica su elettrone che, come si è detto, può essere generata dai vari tipi di neutrini, ma con predominanza dei neutrini elettronici;
b)-il decadimento beta inverso del neutrone (del nucleo di deuterio) che si trasforma, per interazione con un neutrino elettronico, in protone ed elettrone;
c)-la disintegrazione del deuterio da neutrini, che può essere indotta. con uguale probabilità da qualunque tipo di neutrino o antineutrino.
La misura dei tassi di interazione per questi tre processi fornisce sia il flusso di neutrini elettronici (tramite la b) che il flusso totale di neutrini (tramite la c e/o la a). L'idea, sicuramente brillante, è stata finalmente realizzata. Una vasta collaborazione, principalmente tra gruppi canadesi ed americani, ha installato un rivelatore che sfrutta l'effetto Cerenkov in acqua (al pari di Kamiokande e SuperKamiokande), il cui cuore è costituito da 1000 t di acqua pesante, circondate da un opportuno schermo di acqua naturale. Il tutto è installato a grande profondità (circa 7000 metri di acqua equivalente) in una miniera di nichel, in prossimità di Sudbury nell'Ontario Canadese. Da osservare che un tale esperimento poteva realizzarsi solo in Canada, data la ricchezza di acqua pesante in questo paese, conseguenza delle tecnologie lì utilizzate per gli impianti di energia nucleare. L'esperimento è in funzione e nel giugno 2001 ha fornito i primi dati. Questi possono essere così riassunti:
• la misura del tasso di interazione per diffusione elastica, basata sulla osservazione di circa un centinaio di eventi, è in ottimo accordo con quella, statisticamente più accurata, ottenuta da SuperKamiokande;
• è stato misurato, per la prima volta, il tasso di interazione per il processo beta inverso su neutrone;
• i flussi che si deducono da queste due misure sono differenti: il flusso dedotto dalla reazione b è inferiore a quello dedotto dagli eventi di diffusione elastica; la differenza è statisticamente più significativa se per le reazioni su elettrone si considera il dato di SuperKamiokande.
L'interpretazione più semplice e lineare di questi risultati è la seguente:
• i neutrini oscillano tra loro;
• non vi è necessità di invocare nuovi tipi di neutrini (ad es. neutrini “sterili”) per spiegare questo risultato ed il complesso dei dati da neutrino solare;
• nell’ipotesi di oscillazione tra neutrini elettronici, muonici e tauonoci, è possibile valutare il flusso totale di neutrini: esso risulta molto vicino al flusso predetto dal modello standard del Sole e questo, va sottolineato, è un grande successo di questo modello;
• sempre nell’ipotesi di oscillazioni, l'insieme dei dati di neutrino solare consente di limitare le regioni possibili per i parametri che definiscono l'oscillazione; il valore "preferito" (ma, si noti bene, non l'unico) per questi parametri è, nell’ipotesi delle oscillazioni a due neutrini, circa 0,85 per il miscelamento e 4x10-5 eV2 per la differenza tra i quadrati delle masse dei neutrini; questa è nota come soluzione con "large mixing angle (LMA)". La definizione dei parametri di oscillazione sarà più accurata con il miglioramento dei dati di neutrino solare, di neutrini atmosferici e dei dati da reattori nucleari e da acceleratori.
DIGRESSIONE...
11.12.2002 More evidence for neutrino oscillation
Researchers in Japan and the US have provided independent confirmation that neutrinos have mass and can oscillate -- or change from one type of neutrino to another. Their results show that anti-neutrinos behave like their neutrino counterparts and have put to rest certain doubts concerning previous results obtained from solar neutrino experiments (Physical Review Letters to appear). Neutrinos are one of the fundamental particles of matter. They are similar to electrons but are electrically neutral and are not therefore affected by electromagnetic forces. They can pass through large distances in matter without hindrance and are thus very difficult to detect. Three types -- or "flavours" -- of neutrino are known, the electron, muon and tau neutrinos. Anti-neutrinos are the anti-particle equivalents of neutrinos and can be created in fission reactions in nuclear power plants. The current research was performed at the Kamioka Liquid scintillator Neutrino Detector (KamLAND), which is located in an old mine near Toyamu in Japan. The detector comprises a balloon 13 metres in diameter that contains about a 1000 tonnes of liquid scintillator. It identifies anti-neutrinos by counting the number of telltale flashes of light that are produced when anti-neutrinos collide with protons in the liquid. The researchers recorded anti-neutrino events produced by electron anti-neutrinos from Japanese and South Korean nuclear reactors. The team, which consists of 92 scientists, detected 54 electron anti-neutrino events over a period of 145 days as opposed to the approximately 86 predicted by the Standard Model of particle physics- which assumes that neutrinos and anti-neutrinos have no mass and therefore do not oscillate. These results confirm earlier work -- at the Sudbury Neutrino Observatory and Super-Kamiokande - that also provided strong evidence for neutrino oscillation. The KamLAND researchers are now certain that the "solar neutrino problem" - the fact that fewer neutrinos are observed from the Sun than predicted - is indeed due to neutrino oscillation and not because of some interaction the neutrinos may have had with the Sun's magnetic field, as some researchers suggested. The main result is that we now have the mechanism for oscillations firmly in hand. The researchers have now turned their attention to the "mixing angle" - a quantity that is related to physics beyond the Standard Model and determines just how the neutrinos oscillate. The mixing angle is important as neutrinos with a large mixing angle are much less affected by matter than those with a small mixing angle. KamLAND has ruled out small mixing angles - in the context of two-flavour neutrino oscillations. Theoretical physicists hope that this new information will help refine the Standard Model. It needs to be updated to include neutrinos masses and mixing.
FINE DIGRESSIONE
Il futuro
SNO proseguirà nella raccolta dati; da alcuni mesi è stata disciolta una quantità adeguata di sale nell'acqua pesante per rendere più riconoscibili le interazioni di neutrino-disintegrazione del deuterio (la cattura del neutrone emesso porta ad una quantità di energia più facilmente identificabile); sarà così possibile una misura più accurata del flusso totale (elettronici+muonici+tauonici) di neutrini dal sole e, di conseguenza, della frazione di essi che mantengono l'identità di neutrini elettronici. In tempi relativamente brevi si avrà così una informazione completa su tutto lo spettro energetico relativa al livello di riduzione del flusso di neutrini elettronici, cioé dell’entità del fenomeno delle oscillazioni. Associando queste informazioni a quelle dedotte dalla misura dei cosiddetti neutrini atmosferici, il panorama complessivo sarà sempre meglio definito e, forse, si potrà porre fine a questa lunga e difficile ricerca iniziata oltre trent'anni fa con il pioneristico esperimento di Davis e si confermerà la geniale idea di Bruno Pontecorvo che propose l'esistenza del fenomeno delle oscillazioni di neutrini.
Con oscillazione si intende la trasformazione di un determinato tipo di neutrino in un altro tipo; ad esempio un decadimento beta produce un neutrino muonico (nm) che si trasforma nel suo tragitto in un neutrino tau (nt) (vedi figura).
Questo effetto è di carattere tipicamente quantistico.
Volendo trovare un'analogia possiamo paragonarlo allo stato di polarizzazione
della luce che, attraversando determinate sostanze, può cambiare in
relazione alla lunghezza percorsa. La trasformazione dipende dalla distanza
percorsa e da altri due parametri: la differenza di massa tra i due tipi di
neutrini (Dm) e il cosiddetto
angolo di mixing (q),
che ci dice di quanto i due neutrini sono in grado di sovrapporsi. Il tutto
si esprime matematicamente dicendo che la probabilità che un neutrino di tipo
i e di energia E si possa trasformare in
un neutrino di tipo j dopo aver percorso lo spazio L
è:
P(ni ->
nj)
= sin2(2q) * sin2(1.27*Dm2 * L/E)
Quello che importa vedere è che se la massa del neutrino è zero allora Dm è necessariamente nullo e la probabilità è zero: non è possibile osservare alcuna oscillazione. Al contrario se si osserva un'oscillazione (una trasformazione del neutrino da un tipo ad un altro) allora Dm deve essere diverso da zero. Non descrivo come SK sia giunto all'evidenza dell'oscillazione del neutrino; l'articolo citato de "Le Scienze" è sicuramente più adeguato allo scopo. Voglio però indicare come il risultato di SK sia concorde a quello di altri esperimenti che, con metodi anche diversi, studiano i neutrini atmosferici.
La figura mostra un grafico in cui sono riportati i valori
dei due parametri chiave dell'oscillazione: Dm e il seno
dell'angolo di mixing sin2(2q) che compaiono
nella formula scritta in precedenza.
Il futuro...
I risultati di SuperKamiokande sono convincenti, perchè il segnale che indica l'oscillazione è statisticamente molto significativo e perchè le sistematiche dell'esperimento sono ben sotto controllo; in effetti il segnale dei neutrini sul fondo di raggi cosmici è così piccolo che bastano piccole inefficienze per avere un segnale spurio identificabile come oscillazione. Ma un principio cardine della ricerca scientifica e' la ripetibilità dei risultati; è necessario che anche altri esperimenti diano dei risultati simili, magari utilizzando tecniche diverse. Nello studio dei neutrini solari saranno determinanti i due esperimenti SNO (Sudbury Neutrino Observatory) in Canada, che già prende dati, e l'esperimento, in gran parte i taliano, Borexino [WWF, Verdi, permettendo...], in STATUS ON (OFF per WWF, Verdi, e baracche varie...[chiedendo scusa alle baracche !]) laboratori Nazionali del Gran Sasso. Questi osserveranno i neutrini provenienti dalle varie reazioni termonucleari della catena p-p di fusione. Interessanti sono i tre esperimenti che utilizzeranno fasci di neutrini generati appositamente da accelleratori e indirizzati, a distanza di molti chilometri, verso il rivelatore. In Giappone lo stesso SK viene utilizzato nell'esperimento K2K (KEK to Kamioka) per osservare i neutrini prodotti da KEK, a 250km di distanza. I primi neutrini sono già stati osservati a partire dal giugno 1999 e le prime analisi indicano un deficit di eventi, come atteso dall'oscillazione (27 eventi contro i 40 attesi in assenza di oscillazione); ma la significatività statistica è ancora bassa. In America un fascio partirà dal Fermilab nel 2003 e raggiungerà l'esperimento MINOS distante 730km. Anche l'Italia verrà attraversata da un fascio di neutrini prodotti al CERN di Ginevra e arriverà fino ai laboratori del Gran Sasso, dove l'esperimento OPERA avrà (Moratti permettendo...) il compito di rivelarli (vedi figura).
Altri esperimenti dovrebbero essere citati, come quelli che usano il ghiaccio dell'Antartide (AMANDA, ICECUBE) o l'acqua dell'oceano (NESTOR, ANTARES) come rivelatore, ed altri ancora. Rimando il lettore ai rispettivi siti web, riportati più sotto.
25.01.2003. Una conferma per l'oscillazione dei neutrini. I rivelatori dell'esperimento KamLAND hanno rivelato una quantità di neutrini elettronici inferiore del 60 per cento rispetto al previsto. Un esperimento condotto in Giappone da ricercatori di varie nazionalità ha permesso di dimostrare che alcune delle particelle più esotiche prodotte dai reattori nucleari, gli antineutrini, svaniscono dopo aver percorso solo qualche centinaio di chilometri. Questo è proprio il risultato che i fisici della collaborazione KamLAND avevano sperato di ottenere, perché conferma una delle più eccitanti scoperte dello scorso anno: l'oscillazione dei neutrini tra tre diverse forme mentre viaggiano nello spazio. I risultati delle misure sono stati pubblicati sulle "Physical Review Letters". I neutrini e le loro antiparticelle, gli antineutrini, oscillano continuamente tra una forma che i rivelatori possono vedere e un'altra invisibile. Queste oscillazioni furono previste nel 1998, ma dimostrate solo lo scorso anno studiando i neutrini prodotti nei processi nucleari che avvengono nel Sole. KamLAND ha invece studiato gli antineutrini prodotti dai reattori nucleari, principalmente in Giappone. I neutrini sono difficili da osservare, perché interagiscono molto debolmente con le altre forme di materia. La maggior parte dei neutrini solari che raggiunge la Terra la attraversa come se non esistesse. Occasionalmente, un neutrino colpisce un nucleo atomico, disintegrandolo e producendo particelle osservabili. Poiché queste collisioni sono rare, i rivelatori di neutrini devono essere giganteschi. Tipicamente, sono enormi serbatoi di liquido in cui la collisione di un neutrino genera un lampo di luce. KamLAND è un rivelatore sotterraneo nello stesso sito di Super-Kamiokande, che studia invece i neutrini solari. I suoi serbatoi di liquido sono tenuti sotto controllo da 1879 fotomoltiplicatori. L'esperimento è stato progettato con cura per evitare segnali di fondo, come gli antineutrini che vengono prodotti dal decadimento naturale degli elementi radioattivi terrestri. Gli antineutrini che vengono osservati da KamLAND sono quasi interamente provenienti dai reattori nucleari. In principio, l'apparato può osservare antineutrini da qualsiasi reattore nel mondo, ma circa l'80 per cento proviene da reattori nucleari giapponesi. Poiché l'attività di tutti questi reattori è ben documentata, i fisici hanno potuto calcolare esattamente quanti antineutrini essi dovrebbero produrre. Si è visto così che l'esperimento registra circa 60 per cento meno neutrini del previsto, implicando che gli altri si trasformino in neutrini muonici e tauonici non osservabili.
18.07.2004 La massa del neutrino
Super-Kamiokande conferma i risultati precedenti. Un team di quasi 100 fisici di tutto il mondo ha confermato l'ipotesi secondo la quale la particella elementare nota come neutrino esibisce uno comportamento oscillatorio caratteristico. La scoperta dimostra che il Modello Standard, la teoria proposta negli anni settanta per descrivere le forze fondamentali e le particelle che costituiscono la materia, è incompleto. I risultati sono in accordo con le precedenti osservazioni dell'oscillazione del neutrino e forniscono la misura più precisa fino a oggi della sua massa. Queste scoperte indicano che il Modello Standard dovrà essere modificato e liberano il campo da tutte le altre possibili spiegazioni dei risultati precedenti. Questa misura è stata fatta da James Stone dell'Università di Boston e colleghi che collaborano al Super-Kamiokande, un progetto con base in Giappone che coinvolge ricercatori provenienti da più di 30 istituzioni in tutto il mondo. I risultati della collaborazione saranno pubblicati il mese prossimo sulla rivista "Physical Review Letters". L'esperimento Super-K, al quale ha partecipato Stone, era incentrato sull'analisi dei neutrini atmosferici, quelli prodotti dalle collisioni ad alta energia dei raggi cosmici con gli strati superiori dell'atmosfera terrestre. I neutrini oscillano fra tre tipi, o "sapori": neutrini elettronici, neutrini muonici e neutrini tau. Questa oscillazione è possibile teoricamente soltanto se i neutrini hanno una massa, mentre il Modello Standard presumeva che i neutrini fossero privi di massa, come i fotoni.
L'articolo de "Le Scienze" sull'esperimento SuperKamiokande e la scoperta dell'oscillazione del neutrino. "Alla scoperta della massa del neutrino" Le Scienze ottobre (1999). Un documento divulgativo ma completo sull'oscillazione del neutrino, contenente anche un profilo storico della fisica del neutrino, si trova (in formato postscript) su:
I siti web degli esperimenti citati (in inglese):
Il padre di tutti i siti sull'industria del neutrino....:
La prima indicazione dell'esistenza di una particella neutra, debolmente intereagente con la materia e di massa molto piccola è venuta nel 1933 con l'osservazione del decadimento beta, ovvero della trasformazione di un neutrone in protone con emissione di un elettrone e, appunto, di un neutrino. (Vedi figura)
Questa reazione avviene abitualmente in molte sostanze radioattive e all'epoca era stata osservata nel decadimento del 60Co (vedi figura) [UTILITY: Periodic Table of Elements].
Tabella Periodica degli Elementi
n + p -> n + e+ (decadimento beta-inverso)
Nel quadro teorico che si veniva delineando in quegli anni si supponeva l'esistenza di tre tipi di sapori del neutrino associati ai tre leptoni elettrone, muone e tau. Inoltre nel modello standard, che avrebbe assunto la sua forma compiuta negli anni settanta, veniva posta una massa nulla per i neutrini. Contemporaneamente i primi esperimenti per la rivelazione dei neutrini dal Sole, pioniere Homestakes nelle miniere del Sud Dakota, mostravano un imbarazzante deficit di eventi rispetto alle previsioni del modello solare standard. Cominciò a delinearsi un "problema del neutrino solare" e quindi l'esigenza di costruire nuovi esperimenti che studiassero a più ampio raggio questa nuova fisica e fornissero dei dati solidi su cui basare le teorie. Dare massa al neutrino sembrava la soluzione ideale, grazie al fenomeno delle oscillazioni tra i sapori. Inoltre un neutrino massivo, che similmente alla radiazione di fondo a 2,7 °K permea l'universo seguendo le leggi gravitazionali, era il candidato favorito al ruolo di massa oscura. Ma i limiti sulla sua massa, e in particolar modo quelli ottenuti da SK, avrebbero giustificato solo in parte questa ipotesi. Il capitolo più recente della storia del neutrino è stato scritto nel 2000 con l'identificazione diretta del neutrino tau da parte di DONUT (direct Observation of the NU Tau) al Fermilab. Insieme alla scoperta del quark top nel 1995 da parte dell'esperimento CDF, sempre al Fermilab, la scoperta di DONUT ha completato il quadro sperimentale delle tre famiglie leptoniche (e-ne, m-nm, t-nt) e adroniche dei quark (up-down, strange-charm, top-bottom).
(19-03-2003)-Da Ginevra lancio di neutrini contro un bersaglio (divulgativo).
Fra tre anni potremo avere idee molto più chiare sul futuro lontano del nostro universo e sulle modalità di una sua eventuale fine. Questa comprensione dell'infinitamente grande verrà dallo studio di una delle più piccole e misteriose particelle dell'universo, il neutrino. Sarà infatti alla metà del 2006 che un fascio di neutrini, "sparato" dal CERN di Ginevra, in 2,6 millesimi di secondo (dopo aver attraversato il sottosuolo del Monte Bianco, Aosta, gli Appennini, Firenze e Assisi), andrà a colpire un bersaglio posto a 732 km di distanza, nei laboratori sotterranei del Gran Sasso dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN). I neutrini, anche quelli che arrivano dal Sole, hanno infatti la caratteristica del tutto particolare di poter attraversare il globo terrestre da parte a parte (roccia, acqua e persone comprese) alla velocità della luce così come un sottile fascio di luce attraversa l'acqua di una piscina. Il punto sull'esperimento CNGS (CERN Neutrino to Gran Sasso), per conoscere meglio sia i misteriosi neutrini che il futuro dell'universo, è stato fatto il 19.03.2003 nei laboratori del Gran Sasso in occasione di un seminario per l'Unione giornalisti scientifici italiani. Dal Big Bang in poi, l'universo è in piena espansione, ma sul suo futuro esistono due ipotesi.
(*)-La prima (detta "big chill", il grande freddo) prevede che la dilatazione dell'universo proseguirà fino ad un raffreddamento totale delle stelle;
(*)-la seconda (il "big crunch", grande contrazione) ipotizza una contrazione ed un apocalittico scontro delle galassie una contro l'altra.
Grazie allo studio dei neutrini - particelle prodotte in gran numero nei primi attimi dopo il Big Bang - sarà forse più facile predire il destino dell'universo e sapere quale sarà la sua evoluzione futura. Il miglior modo di conoscere i neutrini è di farli viaggiare. La stazione di partenza sarà il CERN di Ginevra, da dove con l'acceleratore LHC sarà lanciato un fascio di particelle incanalato in un "cannone" lungo un chilometro che fornirà la giusta traiettoria alle particelle. Ogni dieci secondi circa sarà emesso un fascio di particelle con un andamento perfettamente rettilineo. Il viaggio sarà sotterraneo a causa della curvatura terrestre e la profondità massima (11,3 km) sarà raggiunta a metà strada, tra l'Emilia e la Toscana. Al termine della galleria a Ginevra, un rivelatore scatterà una "foto" ai neutrini e dopo un viaggio di 732 chilometri il fascio colpirà il rivelatore-bersaglio del Gran Sasso. Poi, saranno paragonate la foto alla partenza e quella dell'arrivo. Se sarà stata osservata una differenza, ossia un cambiamento di natura, questo significherebbe che i neutrini hanno una massa "sufficiente" per ipotizzare un big crunch. Ma, si sa, i fisici delle particelle sono incontentabili e già pensano di moltiplicare per dieci l'esperimento, inviando due fasci di neutrini a distanze di settemila chilometri, da Ginevra verso gli Usa e verso il Giappone :-). I due fasci di neutrini sparati da Ginevra sarebbero indirizzati uno verso un laboratorio sotterraneo nella miniera statunitense di Soudan e l'altro in un analogo laboratorio nella miniera giapponese di Kamioka. Si tratta degli altri due maggiori centri di ricerca mondiali sui neutrini. In entrambi i casi, i fasci dovrebbero percorrere circa settemila chilometri transitando quasi al centro della Terra. Un altro esperimento è stato proposto dal fisico Fritz DeJongh, del Fermilab di Chicago, il quale spera di persuadere i fisici delle particelle giapponesi a costruire, nella miniera di Kamioka, un nuovo rivelatore in grado di catturare i neutrini prodotti dal potente generatore in costruzione al Fermilab. Nel giugno 2001 è intanto entrato in funzione il primo modulo del rivelatore di particelle Icarus, destinato ai laboratori del Gran Sasso, dove catturerà i neutrini sparati dal CERN di Ginevra. Nella sezione dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN) dell'università di Pavia, il modulo ha già fornito immagini senza precedenti di particelle della radiazione cosmica in una ricerca coordinata dal Nobel Carlo Rubbia e condotta da numerosi gruppi dell'INFN in tutta Italia in collaborazione con il CERN e con gruppi tedeschi e statunitensi. Il modulo, lungo 12 metri, è molto sofisticato ma basato su una tecnologia "povera" e relativamente semplice da realizzare. E' costituito da 600 tonnellate di argon liquido alla temperatura di meno 187 gradi, in cui sono immersi barre e fili metallici. Quando il liquido viene attraversato da particelle cariche, queste "strappano" elettroni agli atomi di argon, lasciando così una scia. Questa viene quindi trasportata ai fili metallici, che ne segnalano l'arrivo a un sistema elettronico di lettura. A questo punto l'immagine della traccia lasciata dalla particella viene ricostruita in tempo reale con un computer, con un altissimo dettaglio. Riferendomi alle ricerche di astrofisica delle particelle fatta all'interno del Gran Sasso, cito ironicamente Plinio quando dice che: "alcuni sono matti che vanno sottoterra per vedere le stelle: sembrerebbe il caso nostro".
13.11.2003 In cerca di neutrini sotto il mare
Un telescopio sottomarino per le particelle più elusive, i neutrini cosmici di altissima energia. Battezzato Antares (Astronomy with a Neutrino Telescope and Abyss Environmental Research), è frutto della collaborazione di diversi gruppi di ricerca europei tra i quali uno dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e verrà inaugurato il 18 novembre prossimo a La Seyne-sur-Mer, vicino Tolone. Si tratta di un apparato allestito a cinquanta chilometri dalla costa, a una profondità di 2.400 metri. Costituito da una rete di mille sensori, una volta a regime consentirà di monitorare un volume d'acqua di 35 milioni di metri cubi. Perché un sito così estremo ? Pur essendo, dopo i fotoni, le particelle più abbondanti nell'Universo, i neutrini sono estremamente difficili da rivelare poiché interagiscono debolmente con la materia che attraversano. Per ridurre il più possibile il "rumore di fondo", bisogna utilizzare ambienti schermati rispetto alle altre particelle provenienti dallo Spazio: le viscere delle montagne e il fondo del mare. Infatti, una piccolissima percentuale dei neutrini che attraversano la Terra, interagisce con l'acqua, producendo particelle secondarie, i muoni, i quali generano un debole bagliore che può venire registrato dai sensori. Approfondire le conoscenze sui neutrini ci consentirà di ricavare informazioni sulle stelle di neutroni, sui buchi neri e su altri corpi celesti.
IL SOLE (Esposizione divulgativa...)
Il Sole è la stella intorno a cui orbita la Terra. Dal nostro punto di vista appare come un disco, di circa mezzo grado di diametro, che emette luce e calore. Anche guardandolo con vari strumenti si capisce poco della sua vera struttura fisica, che è in realtà molto complessa. Capire il Sole è (ed è stato) importante da molti punti di vista. Prima di tutto la sua luce e la sua energia sono fondamentali per la vita sulla Terra. Le piante, la fotosintesi, e quindi tutta la catena alimentare sono legate alla sua luce. Indirettamente, quasi tutta l'energia che si trova immagazzinata in varie forme (combustibili fossili, biomasse, energia eolica) è energia solare. Il Sole invia sulla Terra una potenza di 14 Kilowatt su metro quadrato, l'equivalente della potenza di un ciclomotore, tanto è vero che l'energia solare viene a volte sfruttata per produrre elettricità in modeste quantità. Adesso si ha una chiara percezione dei fenomeni che mantengono acceso il Sole, e quindi si sa che non si corrono rischi che si spenga. Fino alla fine del secolo secolo scorso (ovvio che parlo del secondo millennio) questo concetto non era chiaro, e sembrava inevitabile che prima o poi la luce solare venisse mancare decretando la "morte termica" dell'umanità. Il Sole non emette solo luce, ma anche un flusso di particelle cariche che viaggiano a circa 500 m/s, che interagiscono con il campo magnetico terrestre dando le aurore boreali, creando a volte problemi di comunicazione, e diminuendo spesso la vita di progetto dei satelliti che, orbitando intorno alla Terra non sono protetti dall'atmosfera terrestre. Il Sole, oltretutto, è un esempio perfetto di stella media, e di fatto dà accesso a tante informazioni sulla fisica delle stelle che ci sarebbero altrimenti precluse. Il Sole ha un diametro che sottende mezzo grado, visto da terra. Delle altre stelle non si riesce nemmeno a distinguere il disco, se non facendo ricorso al telescopio spaziale e solo per stelle molto grandi e vicine, come Betelgeuse, in Orione. Molte delle informazioni che abbiamo del sole vengono dall'analisi dello spettro della luce che emette. In generale qualsiasi corpo che si trovi a una certa temperatura emette delle onde elettromagnetiche. Lo spettro di queste onde è variabile con la temperatura. (Vedi: radiazione di CORPO NERO). Tanto più un corpo è caldo tanto più il picco di emissione è spostato verso le alte frequenze. Lo spettro elettromagnetico, in realtà, è diviso per convenzione in vari domini. In realtà le proprietà della radiazione variano in modo continuo con la frequenza. Partendo dalle frequenze più alte si hanno i raggi gamma, i raggi x, gli ultravioletti, la luce visibile, gli infrarossi, le microonde e le onde radio. Nello spettro di una stella come il Sole sono riconoscibili delle righe scure, dette righe di assorbimento, dovute al fatto che intorno al Sole si trovano degli strati di gas che assorbono la luce in corrispondenza di alcune lunghezze d'onda. Dalla lunghezza d'onda in cui compaiono le righe d'assorbimento si riconoscono gli elementi che hanno assorbito la luce. Nello stesso modo, ci sono alcune zone che emettono luce in corrispondenza di determinate lunghezze d'onda. Questi spettri, detti spettri d'emissione, permettono di riconoscere nello stesso modo gli elementi che emettono luce. In generale, quando una sorgente di onde acustiche (es. un'ambulanza) si avvicina a noi, sentiamo il suono più acuto. Viceversa, quando questa si allontana, sentiamo un suono più grave. Un esempio tipico è il rumore di una formula uno quando passa davanti a una telecamera: il suono cambia completamente. Questo effetto è noto come effetto doppler. Con le onde elettromagnetiche l'effetto è lo stesso, solo che si vede solo per velocità significative rispetto a quella della luce (almeno qualche Km/s). Quando la sorgente si avvicina la vediamo più blu (blueshift), quando si allontana la vediamo più rossa (redshift). Questi spostamenti si riconoscono perché si vedono delle righe caratteristiche spostate verso il blu o verso il rosso.
Il Sole, oltretutto, permette di verificare tante conoscenze di fisica del plasma. Il plasma è uno stato particolare della materia. La materia, di solito, si presenta in tre stati: solido, liquido o gassoso. In realtà c'è un altro stato, che si presenta solo ad alta temperatura. In prima approssimazione un atomo può essere visto come un nucleo, costituito da neutroni e protoni, carico positivamente, e con un numero di elettroni carichi negativamente che gli orbitano intorno. In un atomo ci sono tanti protoni quanti elettroni, e quindi l'atomo risulta globalmente neutro. Un'onda elettromagnetica con energia sufficiente può strappare un elettrone a un atomo. In questo caso si ha uno ione positivo e un elettrone libero. In un ambiente molto caldo si ha emissione di onde elettromagnetiche tanto più energetiche tanto può alta è la temperatura. Il plasma è formato da gas ionizzato, cioè da gas a cui sono stati strappati uno o più elettroni. Visto che ioni ed elettroni sono slegati tra loro, la materia in questo stato ha delle proprietà particolari. La gran parte dei fenomeni che si osservano sul Sole viene spiegata in termini dell'interazione tra plasma e campo magnetico solare. Il Sole è una stella media, ha un diametro di 1500000 Km circa, e una massa di 2*1027 tonnellate. E' fatto principalmente di idrogeno, con lo 0,7 % di elio, lo 0,4 % di carbonio e tracce di elementi più pesanti. Ha una struttura molto complessa. Il suo interno è diviso principalmente in 4 zone, per i diversi processi che vi avvengono. L'energia viene generata nel nucleo, e passa per irraggiamento, sotto forma di raggi X e gamma attraverso la zona radiativa e per convezione (movimento di fluidi) attraverso la zona convettiva. Nella zona di transizione si pensa sia generato il campo magnetico solare. Nel nucleo viene generata energia per fusione nucleare. La temperatura è di circa 15 milioni di gradi, e la materia è molto compressa e molto densa, (circa 160 grammi per centimetro cubo). Visto che la temperatura è altissima, gli atomi di idrogeno sono ionizzati. Si ha nella pratica un mare di protoni e di elettroni che viaggiano liberi e in preda a una forte agitazione termica. Hanno luogo una serie di reazioni nucleari per cui , alla fine quattro nuclei di idrogeno (protoni) ne formano uno di elio. L'energia viene emessa sotto forma di radiazioni elettromagnetiche e di energia cinetica dei nuclei di elio e dei neutrini. I neutrini, prodotti in queste reazioni, sono particelle di massa quasi nulla, senza carica elettrica, che interagiscono pochissimo con la materia. Possono quindi passare attraverso tutta la materia che li separa dalla superficie, e noi , rivelandoli, possiamo capire quello che succede nel nucleo. Nella zona radiativa (che va da circa 550000 Km di profondità a circa 200000) i raggi X e Gamma rimbalzano da particella a particella cedendo la propria energia. Un fotone impiega un milione di anni (in media) a raggiungere la zona convettiva, anche se in condizioni normali, visto che viaggi alla velocità della luce, impiegherebbe meno di 2 secondi. La densità crolla da 20 grammi per centimetro cubo a 0,2 grammi per centimetro cubo, la temperatura da 7000000° K a 2000000°K. Nella zone di transizione tra zona radiativa e convettiva sembra venga generato il campo magnetico solare, che è alla base di molti dei fenomeni che si osservano sulla superficie solare. Alla base della zona convettiva la materia è abbastanza fredda da non permettere il passaggio di calore per irraggiamento. Il fluido si riscalda e "ribolle" verso l'esterno, come acqua in una pentola che viene scaldata sul fondo. La temperatura diminuisce da 2000000°K a 8000° K, la densità da 0,2 grammi per centimetro cubo a 0,2 milionesimi di grammo per centimetro cubo. Quella che noi vediamo come superficie solare è la Fotosfera, che in realtà non è una superficie solida, ma uno strato di gas spesso tra i 100 e i 200 Km. L'opacità totale di tutto lo strato dà l'impressione di una superficie. Guardando verso il centro del Sole si vede attraverso 100 km di gas, guardando verso il bordo si vedono solo gli strati superficiali. La temperatura alla base della fotosfera è di circa 8000° K, alla sommità circa 4000° K. La grande maggioranza della luce emessa dalla fotosfera è comunque nel visibile. Oltretutto la nostra atmosfera fa passare soprattutto la radiazione visibile, tagliando l'infrarosso lontano e gli ultravioletti. La fotosfera presenta visualmente una struttura a nido d'ape. I granuli, in realtà, sono la sommità delle celle convettive, e si presentano con forma poligonale e diametro di circa 1000 Km. La prima impressione che dà la fotosfera osservata in questo modo è quella di una superficie in ebollizione. Un granulo ha una vita di circa 20 minuti. Poi se ne forma uno nuovo che inizia incuneandosi tra due granuli esistenti. A questa struttura granulare se ne sovrappone una a "supergranuli". Alle celle convettive più piccole, cioè, si sovrappongono celle più grosse, il cui materiale si muove più lentamente, on dimensioni medie di circa 30000 Km (circa 3 volte il diametro terrestre). Il Sole pulsa, cioè si ingrandisce e si restringe con periodi regolari. Si sa che pulsa di qualche centinaio di chilometri in 2 ore e 40 minuti. A questo periodo di sovrappone una pulsazione con periodo di 11 anni, forse una con periodo di qualche centinaio di migliaia di anni. Tutto ciò e dovuto alle meccaniche del trasporto di energia.
NOTA: Non è molto corretto parlare di reazioni "chimiche" all'interno delle stelle, poiché le energie e le tipologie di reazione in gioco appartengono al campo delle reazioni "nucleari". La superficie del sole si trova infatti ad una temperatura di circa 6000-6500°C tale per cui la materia ordinaria non si trova più nei tre stati fondamentali (solido, liquido, gassoso) am in un ulteriore quarto stato: lo stato di "plasma", caratterizzato dalla scissione degli elettroni esterni dai nuclei e quindi il plasma è un gas formato da nuclei in vari stati di ossidazione ed elettroni liberi. All'interno del sole (e delle stelle come il Sole di massa non troppo grande, circa 0,6-2,5 masse solari) la materia si trova in un ulteriore stato in cui gli lettroni sono totalmente scissi dai nuclei e le temperature che si raggiungono sono dellordine del milione di gradi (all'interno del nucleo solare circa 15.000 di gradi centrigradi). In tali condizioni di temperatura e pressione avvengono le reazioni di fusione nucleari caratterizzate da grande energia e non conservazione della massa. Le reazion principali all'interno deli nuclei delle stelle sono il processo di fusione dell'idrogeno (la catena pp) ed il ciclo CNO:
Fusione di idrogeno
La più semplice reazione nucleare possibile nelle stelle è la fusione dell'idrogeno secondo l'equazione complessiva:
41H ® 4He + g
dove "g" indica 1 fotone di radiazione gamma, gli apici la massa approssimata ed i numeri le proprorzioni di reazione. Quindi complessivamente quattro nuclei di idrogeno si fondono per darne uno di elio ed un fotone gamma ad alta energia (pari alla differenza di massa di 4H ed 1He). Nel dettaglio la reazione di fusione, detta catena p-p (protone-protone) è data da:
1H + 1H ® 2D + e+ + n (neutrino)
2D + 1H ® 3He + g
3He + 3He ® 4He + 21H (che riprendono il ciclo)
l'energia liberata è pari a 26,71 MeV. Questa catena può procedere per altre vie che prevedono la formazione e distruzione di nuclei a vita breve come litio, berillio, boro, 7Li, 7Be, 8B. Una stella giovane procede principalmente per questa via pp alla generazione di energia.
Ciclo CNO
Quando una stella comincia ad avere amsse maggiori di quella del sole (da tre a superiori masse solari) c'è un altro ciclo possible di reazioni che alimentano la fusione nucleare, il ciclo carbonio-azoto-ossigeno, CNO. In queste stelle la sequenza delle reazioni è:
12C + 1H ® 13N + g
13N ® 13C + e+ + n
13C + 1H ® 14N + g
14N + 1H ® 15O + g
15O ® 15N + e+ + n
15N + 1H ® 12C + 4He
Nonostante le differenti situazioni la catena CNO è identica a quella pp poiché da quattro 1H si ottiene una di 4He, tuttavia richiede temperature superiori a quella del pp.
Processi superiori
Esistono cicli superiori che si manifestano con l'avanzare dell'età stellare, il principale dei quali è il ciclo a dove nuclei di elio si trasformano in elementi superiori:
34He ® 12C + g
12C +4He ® 16O + g
..
in cui si formano nuclei più pesanti di 4He per combianzione di nuclei misti ottenendo 12C, 16O, 20Ne, 24Mg, 28Si, 32S, ecc, per successive addizioni di nuclei di elio. L'aggiunta di elio non continua indefinitamente ma si arriva ad un limite dovuto al fatto che la forza di repulsione nucleare rende assai instabili i nuclei maggiori (che non sono contobilanciati localmente dagli elettroni come accade alle temperature più basse) per cui si arriva ad una massimo con i nuclei di zolfo. Oltre lo zolfo entra in gioco un meccanismo leggermente differente. Un 28Si si può disintegrare in 7 particelle a che si ricombinano con un 28Si per dare un nucleo di Nichel, 56Ni. Il 56Ni decade in cobalto, 56Co e ferro, 56Fe. Il processo di fusione per accrescimento nucleare termina propiro con questi tre elementi, ferro cobalto e nichel. Oltre questi elementi la fusione non è più spontanea ma richiede energia per avvenire.
Processi r,s,p
A questo punto della storia stellare (Temperatura circa 1 milardo di gradi, densità circa 1 milione di kg/litro) entra in gioco il processo di cattura neutronica poiché i neutroni non sono carichi e quibdi non sono soggetti a repulsione coulombiana. Il processo lento "s" implica catture a velocità inferiore alle emissioni beta dei nuclei, con formazione di un ulteriore protone, un elettrone ed un'antineutrino, formando nuclei a carica maggiore della iniziale. Il processo rapido "r" la cattura di neutroni è più veloce del decadimento beta per cui si formano nuclei richhi di neutroni (isotopi), Il processo p è caratterizzato dall'irraggiamento di fotoni veloci e porta a nuclei ricchi di protoni (come il processo s), ma è più raro dei precedenti.Quando una stella esplode in una supernova si innescano i processi r,p (quello s avviene già nelle giganti rosse) e si formano i nuclei transferrici più grandi e vengono distribuiti nello spazio. Il fatto che sulla Terra esistano elementi transferrici indicaca che il materiale con cui si è formata la terra è di origine stellare per esplosione di supernova. Quindi il Sole è una stella di seconda generazione originatasi dal materiale residuo della stella esplosa!
FINE NOTA
DIGRESSIONE...
29.05.2003 Il calore della corona solare
Elaborato un modello per spiegare le elevate temperature oltre la regione di transizione del sole. Tutto considerato, la superficie visibile del Sole è relativamente fredda (6000 gradi Kelvin), mentre il vero calore si trova nell’atmosfera esterna della stella, la corona solare, dove la temperatura può superare il milione di gradi. Sul numero del 16 maggio della rivista "Physical Review Letters", alcuni astrofisici propongono una teoria per spiegare l'intenso calore della corona solare. La loro ipotesi, basata su osservazioni effettuate con i satelliti SOHO (Solar and Heliospheric Observatory) e TRACE (Transition Region and Coronal Explorer), spiega il misterioso e improvviso aumento di temperatura che si verifica nel sottile strato al di sotto della corona. Secondo noi astrofisici, campi magnetici che si piegano e si tendono come fionde catapultano verso l'alto cascate di onde d’urto attraverso il gas che circonda il Sole. Negli anni novanta, grazie a SOHO erano state identificate molte linee di campi magnetici sulla superficie visibile del Sole, la fotosfera, che formavano un sistema denso di circoli chiusi. Questi circoli appaiono in continuazione, si fondono in modo esplosivo e poi svaniscono. I fisici solari sospettavano che il fenomeno fosse in qualche modo responsabile del riscaldamento della base della corona, ma non era chiaro come potesse trasferire così tanta energia attraverso la regione di transizione, uno strato sottile sotto la corona, nel quale le temperature crescono di un fattore 100. Ora il mistero sembrerebbe chiarito: gli strumenti a bordo dei satelliti hanno osservato lo stesso punto del Sole per 2,2 ore, registrando i campi magnetici in superficie e gli impulsi di luce in tre diversi strati sovrapposti, che indicano dove la regione di transizione viene riscaldata. I dati hanno permesso ai colleghi Margarita Ryutova del Lawrence Livermore National Laboratory e Theodore Tarbell del Lockheed Martin Solar and Astrophysics Laboratory di Palo Alto, in California, di determinare come il calore viene spinto in alto verso la corona. Quando due circoli chiusi magnetici di polarità opposta si avvicinano e si fondono, la tensione fionda il plasma verso l’alto a velocità supersonica. Le onde d'urto risultanti viaggiano fino alla regione di transizione, dove continuano a propagarsi come in una valanga. Il riscaldamento sarebbe dovuto alle collisioni che si susseguono, che concentrano l’energia alla base della corona.
Margarita Ryutova, Theodore Tarbell, MHD Shocks and the Origin of the Solar Transition Region. Phys. Rev. Lett. 90, 191101 (2003).
30.09.2003 Fabbricare plasma stellare
Un nuovo metodo consente di misurare le
proprietà di un particolare stato della materia.Un
plasma è composto da un gas di elettroni e di ioni
carichi positivamente, ma di solito è molto rarefatto. Il
plasma caldo e denso, invece, quello che ribolle in alcuni
strati delle stelle e si annida all'interno dei grandi pianeti come Giove,
è molto difficile da fabbricare sulla
superficie terrestre, pur essendo comune nell'Universo. In
uno studio pubblicato sul numero del 19 settembre della rivista
"Physical
Review Letters", un team di
ricercatori descrive un metodo che consiste nel bombardare un foglio di alluminio
con un fascio di protoni per creare una massa di plasma
caldo e denso. La tecnica potrebbe consentire di effettuare
misurazioni impossibili in precedenza, che potrebbero condurre verso modelli
più precisi dell'interno di stelle e pianeti. Il
plasma stellare è più denso dell'acqua e di altri tipi di plasma
conosciuti, come quello nella fiamma di una candela, in una nube di gas interstellare
o all'interno di un reattore a fusione. Secondo Pravesh
Patel del Lawrence Livermore
National Laboratory negli Stati Uniti, il
plasma può anche manifestare comportamenti complessi, ma nessuno può
studiarlo con accuratezza senza misurarne una quantità apprezzabile
e i pochi modelli teorici differiscono fra loro. In passato
alcuni ricercatori hanno fabbricato plasma caldo e denso usando brevissimi
impulsi laser per scaldare direttamente una superficie solida. Con questa
tecnica, però, la temperatura varia notevolmente in tutta la regione
del plasma, e i laser di sonda non possono penetrare più di qualche
decina di nanometri. I fasci di particelle possono
riscaldare un oggetto in modo più rapido e uniforme dei laser, ma anche
i più grandi acceleratori di ioni non riescono a portare i materiali
a temperature di plasma abbastanza velocemente: il campione esplode prima
di raggiungere lo stato desiderato. Patel
e colleghi hanno invece riscaldato un campione con molti più protoni
di quelli che può fornire un acceleratore, usando una tecnica sviluppata
negli ultimi anni per altri scopi. Un breve ed intenso impulso laser colpisce
un sottile foglio di alluminio, che libera un gran numero di protoni di alta
energia dal retro della sua superficie. I protoni colpiscono poi un altro
foglio di alluminio e scaricano un'enorme quantità di energia in pochi
picosecondi. Il secondo bersaglio si scalda a decine di migliaia di gradi,
rimanendo temporaneamente denso. Per pochi nanosecondi,
prima che esploda, l'alluminio si trova nello stato desiderato e gli scienziati
possono misurare l'assorbimento di luce e le emissioni ottiche del plasma.
P.K.Patel, A.J.Mackinnon, M.H.Key, T.E. Cowan, M.E. Foord, M.Allen, D.F. Price, H.Ruhl, P.T. Springer, R. Stephens, Isochoric Heating of Solid-density Matter With an Ultrafast Proton Beam. Phys. Rev. Lett. 91, 125004.
(versione in Inglese) Proton Pulse Gives Plasma Possibilities
SOHO/NASA/ESA. The dense Sun. Some layers of the sun may contain warm dense plasma, a form of matter that has now been produced in a new way.
It lurks in the dense interior of Jupiter and boils deep within the sun. Warm dense plasma, so common in the universe, is very difficult to manufacture on Earth's surface. In the 19 September PRL, a team describes their method of zapping aluminum foil with a proton beam to create a blob of warm dense plasma-a form of matter very different from other types of plasma. The technique may allow for previously impossible measurements that could lead to more accurate models of star and planetary interiors. A plasma is a gas of electrons and positively-charged ions, but it's usually tenuous stuff, as in a candle flame, an interstellar gas cloud, or inside a fusion reactor. Warm, dense plasma--which may predominate in some layers of the sun, the cores of large planets, and perhaps the earth-is denser than water and far denser than other types of plasma. Despite the name "warm", it can be as hot as the more common types. According to Pravesh Patel of the Lawrence Livermore National Laboratory in California, warm dense plasma is a mysterious phase of matter. It may have complex behaviors, but without an appreciable quantity to measure, no one knows what these behaviors may be. The few theoretical models differ wildly. Researchers have made warm dense plasma in the past by using ultra-short laser pulses to directly heat a solid surface. But with this technique, the temperature varies dramatically over the plasma region, and probe lasers can't penetrate more than a few tens of nanometers. Particle beams can heat an object more quickly and uniformly than lasers, but even the biggest ion accelerators can't get material to plasma temperatures quickly enough-the sample explodes before the warm, dense state can be probed. Patel and his colleagues heated a sample with far more protons than an accelerator could provide, using a technique developed at Livermore in recent years for other purposes. A short, intense laser pulse blasts a thin aluminum foil target, which releases a mob of high-energy protons from its back surface. The protons hit the next target -another thin piece of aluminum- and dump massive amounts of energy within picoseconds. The second target heats to tens of thousands of degrees but remains temporarily dense. Then, for a few nanoseconds before it explodes, when the aluminum is in a warm dense state, the team can measure the plasma's light absorption and optical emissions, which reveal the temperature and other properties. The researchers also plan to measure the speed of the explosion's shock wave to get further data. According to Roger Falcone of the University of California at Berkeley, the technique has good potential for heating solid matter for plasma studies, but whether it's truly better than other techniques depends on the uniformity of the plasma produced. Steven Rose of the Atomic Weapons Establishment in Aldermaston, UK, says the technique can create conditions ideal for performing material properties experiments. He adds that with a better laser, the technique could heat material to much higher temperatures than is currently possible, suggesting that even hotter dense plasma could be produced in the future.
FINE DIGRESIONE
La fotosfera, le macchie e le facole
Sulla fotosfera compaiono oggetti di interesse quali le macchie solari e le facole. La cromosfera e la corona presentano altri fenomeni osservabili, quali i brillamenti, le protuberanze e i getti coronali. La loro interpretazione può avvenire solo considerando l'interazione tra il campo magnetico e il plasma. All'interno del Sole, il moto di materia elettricamente carica genera un campo magnetico di intensità simile a quello terrestre. Il moto del plasma all'interno del Sole è in realtà molto complesso, e, molte volte, il campo magnetico prende configurazioni particolari. In qualsiasi campo magnetico viene immagazzinata un'energia proporzionale al quadrato della sua intensità. In certi punti, ove il campo magnetico solare è molto intenso, si crea un accumulo di energia, che è responsabile di diversi fenomeni solari (ad esempio i brillamenti), come sulla Terra avvengono fenomeni quali eruzioni vulcaniche, e terremoti dovuti all'accumulo di energia meccanica e termica che si ha nell'attività geologica. Le macchie solari sono macchie più scure rispetto allo sfondo che compaiono sulla fotosfera. In realtà sono zone che si trovano a un a temperatura di circa 4500° K, e cioè a circa 1000° K sotto la temperatura del resto della fotosfera. Emettono quindi meno luce della media della superficie solare, e ci appaiono quindi più scure. Hanno dimensioni variabili da circa 7000 Km a oltre 50000 Km. Sono di solito divise in due parti: le zone di ombra, più scure e fredde, e le zone di penombra, più chiare e più calde. Il raffreddamento del gas all'interno delle macchie è dovuto al campo magnetico. All'interno delle macchie il campo magnetico è qualche migliaio di volte più intenso della media e inibisce il trasporto di calore dalla sottostante zona convettiva. Nelle zone di penombra il campo è molto meno intenso. In genere le macchie sono divise in due gruppi: uno con polarità nord e uno con polarità sud. La cosa si spiega con il fatto che il campo, in corrispondenza delle macchie, forma dei cappi che attraversando la fotosfera, formano gruppi di macchie accoppiati. Speculari rispetto alle macchie sono le facole, che appaiono come macchie brillanti sul disco del Sole. Hanno una temperatura più alta del resto della fotosfera, circa 6500-7000° K, e una superficie mediamente maggiore di quella delle macchie, tanto che, nei periodi di intensa attività solare, quando di osservano molte macchie, la presenza delle facole aumenta la luminosità media del Sole. Anche in corrispondenza delle facole il campo magnetico è più intenso della media, ma meno che nelle macchie. Le macchie sono un indicatore dell'attività solare. Poiché si presentano da sole o in gruppi, fare una stima del loro numero è difficile. In media, per avere un indicatore dell'attività, si usa un indicatore:
S=I + 10*G, dove I sono le macchie individuali e G i gruppi.
(Vedi figura qui sopra)-Dayly SUNSPOT area avaraged over individual Solar ROTATION
(Vedi figura qui sopra)-SUNSPOT number. I valori di S negli anni sono riportati in grafico. Quella che si nota, nettamente, è una periodicità undecennale, che sembra sempre confermata dal 1715, cioè da quando si hanno osservazioni costanti dell'attività solare. Alla fine del diciassettesimo secolo sembra ci siano stati 70 anni di attività eccezionalmente bassa, che portò anche a piccoli cambiamenti climatici.
12.07.2004 Macchie solari da record
C'è un legame fra il numero di macchie e il riscaldamento del clima. Una nuova analisi mostra che il Sole è attualmente più attivo di quanto non sia stato negli ultimi mille anni. Gli scienziati dell'Istituto di astronomia dell’Istituto Federale di Tecnologia svizzero di Zurigo hanno usato carote di ghiaccio prelevate in Groenlandia per costruire un quadro dell'attività della nostra stella nel passato. I risultati indicano che nell'ultimo secolo il numero di macchie solari è cresciuto di pari passo con il costante riscaldamento del clima terrestre. Questo trend potrebbe essere stato amplificato dai gas prodotti dal consumo di combustibili fossili. Le macchie solari vengono tenute sotto osservazione sin dal 1610, poco dopo l'invenzione del telescopio, e rappresentano una misurazione diretta dell'attività del Sole. La variazione del loro numero ha rivelato l'esistenza di un ciclo di 11 anni nell'attività solare, oltre ad altri cambiamenti più a lungo termine. In particolare, fra il 1645 e il 1715, le macchie osservate furono insolitamente poche: quel periodo, denominato "minimo di Maunder", coincise con un clima particolarmente freddo noto come "piccola era glaciale". Gli scienziati solari sospettano che ci sia un legame fra i due eventi, ma il meccanismo preciso non è ancora stato individuato. Nel tentativo di determinare cosa accadde alle macchie solari durante altri periodi freddi dell'ultimo millennio (identificati dalle misure degli anelli degli alberi), Sami Solanski e colleghi hanno studiato le concentrazioni isotopiche del berillio in campioni di ghiaccio prelevati in Groenlandia. L'isotopo viene infatti creato dai raggi cosmici, il cui flusso è modulato dalla forza del vento solare che varia con il ciclo delle macchie solari. I risultati dello studio, presentati in una conferenza ad Amburgo, in Germania, ricostruiscono l'attività solare nel passato e mostrano i diversi minimi di Maunder succedutisi negli ultimi mille anni. Ma rivelano anche che il Sole non è mai stato così attivo nell'ultimo millennio come negli ultimi 60 anni. I dati suggeriscono pertanto che le variazioni di attività solare influenzino in qualche modo il clima globale provocandone il riscaldamento.
30.10.2003 La storia recente del Sole
Gli isotopi presenti nei ghiacci polari rivelano l'attività solare nel passato. A partire dagli anni quaranta del ventesimo secolo, il Sole ha presentato un'attività insolitamente elevata. Lo suggerisce una nuova stima delle macchie solari che risale indietro fino al nono secolo. Molti fenomeni naturali, come le macchie solari, variano seguendo determinati cicli. La variazione è soggetta anche a fluttuazioni addizionali (dovute a effetti ancora non spiegati), rendendo vani gli studi che prendono in esame solo brevi intervalli di tempo. Più lunga è la base temporale, più precise sono le conclusioni storiche a cui si giunge. Nel caso delle macchie solari, il conteggio diretto risale fino ai tempi di Galileo, attorno al 1610. Ma l'attività precedente può essere dedotta dalle tracce di berillio-10 nel ghiaccio della Groenlandia e dell'Antartide. Il ragionamento è il seguente: un maggior numero di macchie solari implica un sole magneticamente più attivo, che quindi respinge in modo più efficace i raggi cosmici galattici, riducendo la produzione di atomi di Be-10 nell'atmosfera terrestre. Gli atomi di Be-10 precipitano sulla Terra e possono essere rintracciati nel ghiaccio polare anche dopo secoli. Usando quest'approccio, un team di scienziati dell'Università di Oulu, in Finlandia, e del Max Planck Institut di aeronomia di Katlenburg-Landau, in Germania, ha ricostruito il conteggio delle macchie solari a partire dall'anno 850, triplicando il periodo temporale coperto da studi precedenti. I ricercatori, guidati da Ilya Usoskin, hanno concluso che negli ultimi 1150 anni, il Sole è stato maggiormente attivo dal punto di vista magnetico (ovvero ha presentato il maggior numero di macchie solari) proprio negli ultimi 60 anni. Lo studio sarà pubblicato sulla rivista "Physical Review Letters".
Le osservazioni dei raggi gamma sollevano nuovi interrogativi. La maggior parte degli scienziati ritiene che le eruzioni solari, gigantesche esplosioni sul Sole, si verifichino quando le linee del campo magnetico del Sole si strappano e poi si riconnettono. I campi magnetici accelerano le particelle cariche - elettroni e ioni - nell'atmosfera solare e le scaraventano con forza sulla superficie del Sole. Il processo invia nello spazio grandi quantità di raggi gamma e raggi X. Il satellite Reuven Ramaty High Energy Solar Spectroscopic Imager (RHESSI) è stato progettato per rivelare questi raggi, che mostrano come si comportano le particelle cariche durante un'eruzione. Nel 2002 RHESSI intravide di sfuggita un'eruzione sulla parte orientale del Sole e ottenne la prima immagine a raggi gamma di un'eruzione solare in azione. Quello che mostrò, però, fu del tutto inaspettato. Si pensava che sia gli ioni sia gli elettroni fossero accelerati contemporaneamente e si trovassero nello stesso luogo. Invece i raggi gamma degli elettroni e quelli degli ioni provenivano da punti del Sole distanti migliaia di chilometri. Le enormi eruzioni solari dell'ottobre e del novembre 2003 sembrano mostrare lo stesso fenomeno. Sembra proprio che ioni ed elettroni non siano coincidenti - come ha annunciato Lin [Robert Lin, principale investigatore della missione RHESSI] al convegno dell'American Physical Society a Denver - ma la ragione è del tutto oscura.
La CROMOSFERA, le protuberanze, i brillamenti
La parte superiore della fotosfera è a circa 4000° K. A una certa quota, però, la temperatura inizia a salire. Per convenzione, si prende la superficie su cui la temperatura inizia ad aumentare come inizio della cromosfera. La cromosfera è spessa circa 1000 Km, ed ha una temperatura compresa tra i 10000 e i 20000 gradi. E' trasparente nel visibile, in quanto molto poco densa e ad alta temperatura. La luce emessa ha uno spettro del tipo ad emissione, cioè la luce è emessa su certe lunghezze d'onda. Per questo la cromosfera è visibile con filtri che selezionino certe lunghezze d'onda, o durante le eclissi di Sole, quando la Luna ha coperto la fotosfera ma non la cromosfera, e si vedono dei riflessi viola dovuti proprio alla cromosfera. La cromosfera ha una struttura reticolare, che corrisponde ai bordi delle celle di supergranulazione. Sono presenti oggetti come le facole, i filamenti, le spicole e le protuberanze. Le facole sono il prolungamento nella cromosfera delle facole fotosferiche, e sono circondate da "fibrille" che collegano facole di polarità opposta. I filamenti sono nubi di materia densa e più fredda, che viene tenuta sospesa sopra la cromosfera da anelli magnetici. Di fatto la cromosfera è formata da oggetti chiamati "spicole". Una spicola è un getto che parte dalla parte dalla bassa cromosfera verso l'alto, con una velocità compresa tra i 20 e i 30 Km/s. Le spicole si concentrano ai bordi delle celle di supergranulazione, per motivi legati alla struttura dei moti convettivi. Le protuberanze sono strutture di plasma cromosferico che si formano nella corona. In realtà si tratta di oggetti con temperature nell'ordine dei 20000-30000° K dense, che si formano nella corona, molto più calda (oltre un milione di gradi) e molto meno densa. Alcuni tipi di protuberanze, dette quiescenti, possono durare qualche settimana, a volte mesi, e hanno tipicamente una lunghezza di 200000 Km, un diametro di 8000-10000 Km, e si possono trovare fino a 50000 Km di quota. Le protuberanze quiescenti sono legate a particolari configurazioni del campo magnetico. Si formano nella corona, calda e poco densa, come condensazioni con proprietà simili al plasma cromosferico. Il plasma non si riscalda e non si disperde perché il campo magnetico inibisce lo scambio di calore e di massa. Di conseguenza in questo tipo di protuberanza non si ha flusso di materia dalla cromosfera alla corona, ma il plasma coronale si condensa nella zona più alta e ricade verso il basso attraverso i lati dalla protuberanza alla cromosfera. L'analisi doppler dei lati di una protuberanza dà come risultato un flusso di materia dall'alto al basso con una velocità media di 1 Km/s. Le protuberanze, a volte, essendo legate alle configurazioni del campo magnetico, cambiano repentinamente forma, e possono formare anelli o esplodere repentinamente verso l'esterno a causa della variazione del campo. Quindi ci possono anche essere piccole protuberanze che si formano in poche ore, e che possono essere legate a brillamenti. Surges sono getti che partono dalla cromosfera con velocità molto elevate, 100-200 Km/s, e che arrivano fino ad oltre 50000 Km di quota. I brillamenti (flares) sono eruzioni. Come sulla terra si ha accumulo di energia meccanica e termica sul sole si ha accumulo di energia magnetica. In un brillamento si ha un improvviso sprigionamento di energia, che si traduce in un aumento di temperatura della zona della cromosfera interessata. Durante queste eruzioni vengono emesse radiazioni elettromagnetiche di tutte le frequenze, (radio, visibile, raggi X e gamma) e particelle cariche, che viaggiano con velocità variabili tra i 300 e i 1000 Km/s. Queste particelle interagiscono con il campo magnetico terrestre, creando a volte problemi alle comunicazioni e fenomeni spettacolari come le aurore boreali. Ai brillamenti si accompagnano spesso emissioni violente di materia (surges). I brillamenti partono generalmente da facole cromosferiche che si intensificano, e si concentrano nelle zone attive, cioè spesso intorno a gruppi di macchie. Nel visibile appaiono come macchie luminose molto intense, ai bordi delle quali l'emissione di materia prende spesso la forma di cappio.
(Vedi figura qui sopra)- In un brillamento si ha un improvviso sprigionamento di energia, che si traduce in un aumento di temperatura della zona della cromosfera interessata.
La corona, il vento solare e l'eliosfera
L'immagine più nota che si ha del Sole durante un eclisse totale è di questo tipo: un disco oscurato dalla luna e una corona chiara che si espande tutto intorno. La corona, in realtà, è una zona molto rarefatto ad altissima temperatura, nell'ordine dei milioni di gradi. Poiché gli atomi, a queste temperature, sono fortemente ionizzati, la corona ha uno spettro che sembrava irriconoscibile, tanto è vero che, alla fine dell'800, si pensava che fosse costituita di un elemento particolare, il coronio. La luce che ci manda è di due tipi. Raggi X dovuti all'emissione di corpo nero, vista l'altissima temperatura, e luce visibile per emissione. Nel visibile la corona non è osservabile fuori eclisse, perché è coperta dalla luce del Sole che viene diffusa dall'atmosfera. Solo da cieli eccezionalmente limpidi è possibile vederne la parte più interna coprendo il disco del Sole.Vista la temperatura molto alta, il grosso dell'emissione è nei raggi X, ma l'atmosfera terrestre non è trasparente ai raggi X, quindi per vederla in X nei primi anni '70 è stato inviato in orbita lo Skylab, con un telescopio X. E' stato così possibile tenere sotto controllo la forma della corona e vederne le variazioni con l'attività. Si sono così osservati i buchi, i cappi e i pennacchi polari. Il plasma della corona è elettricamente carico. I cappi si formano sopra gruppi di macchie seguendo le linee del campo magnetico, che sono le stesse che formano le macchie che sorreggono le protuberanze quiescenti. I pennacchi polari sono legati alla struttura del campo magnetico solare i prossimità dei poli magnetici. La configurazione della corona che osserviamo durante le eclissi è quindi figlia sia dell'attività solare che del campo magnetico solare. La parte esterna della corona si espande per molti milioni di chilometri, al punto che è difficile definirne un confine preciso. Il vento solare è un flusso di particelle cariche che parte dal sole a velocità variabile tra i 300 e gli 800 Km/s. Alla fine, dopo molti miliardi di chilometri, va a confluire con il gas interstellare. Il Sole si crea una "bolla" in cui tutto il materiale viene dal sole stesso. Questa bolla viene chiamata Eliosfera, e si espande per svariati miliardi di Km.
(Vedi figura qui sopra)-I cappi si formano sopra gruppi di macchie seguendo le linee del campo magnetico, che sono le stesse che formano le macchie che sorreggono le protuberanze quiescenti.
(Vedi figura qui sopra)-E' stato così possibile tenere sotto controllo la forma della corona e vederne le variazioni con l'attività. Si sono così osservati i buchi, i cappi e i pennacchi polari.
(Vedi figura qui sopra)-Il Sole si crea una bolla in cui tutto il materiale viene dal Sole stesso. Questa bolla viene chiamata Eliosfera, e si espande per svariati miliardi di Km.
INCISO: Il Vento Solare. Nonostante la corona solare propriamente detta arrivi a "soli" 17 milioni di km di distanza dal Sole la longa manus del nostro astro spinge più in là, fino ai limiti del Sistema Solare, grazie ad un vento continuo di particelle che spira espandendosi nello spazio inter planetario e trascinando con sé i campi magnetici che hanno origine sulla superficie della stella: è il "vento solare", come è stato definito da Eugene N.Parker, grane studioso dei fenomeni magnetici in astrofisica. La rilevazione diretta del vento solare si ebbe solamente con l'avvento dell'era spaziale, che consentì precise misure tramite satelliti: il Lunik II ed il Lunik III lo rivelarono per la prima volta nel 1959 durante il loro viaggio verso la Luna. Già nel 1934 peròi geofisici avevano constatato che le perturbazioni del campo magnetico terrestre, le tempeste geomagnetiche, si susseguivano secondo il periodo di rotazione del Sole (mediamente 27 giorni) e nel 1940 S.Chapman e J.Bartels suggerirono l'esistenza di flussi di particelle di origine solare per spiegarne la causa. Successivamente molte sonde interplanetarie hanno fornito preziose informazioni circa le condizioni fisiche e la struttura del vento solare, in particolare i Pioneer 10 e 11 ed i VOYAGER 1 e 2, che continuano a raccogliere e trasmettere dati sulla temperatura e la densità da distanze che ormai travalicano i confini del sistema dei pianeti.
(Vedi figura qui sopra)-Il vento solare è un flusso di particelle cariche che parte dal Sole a velocità variabile tra i 300 e gli 800 Km/s. Alla fine, dopo molti miliardi di chilometri, va a confluire con il gas interstellare.
Oggi sappiamo quindi che il vento solare è composto essenzialmente da elettroni e ioni, per la maggior parte protoni, con un contributo minore di particelle alfa (circa il 4%) ed altri elementi. Si tratta perciò di un plasma caldo, poiché ha una temperatura di 100.000 K in prossimità della Terra, che scende a 10.000 K ad una distanza di 10 Unità Astronomiche (1 U.A. = 1,496 x 108 km), equivalenti circa all'orbita di Saturno. La velocità media è di 1,62x106 km/h, quella minima 720.000 km/h e la massima può toccare i 3,24x106 km/h (poco più di 3/1000 della velocità della luce). Le rilevazioni indicano inoltre che essa si mantiene pressoché costante tra 0,3 e 10 U.A. di distanza dal Sole. La densità di elettroni e ioni in condizioni di quiete è dell'ordine di 5 particelle/cm3 vicino alla Terra e diminuisce come l'inverso del quadrato della distanza dal Sole ma a seconda dell'attività solare può assumere valori anche 20 volte maggiori. Le regioni d'origine del vento solare sono i buchi coronali, visibili nella corona nella banda dei raggi X e in cromosfera nella riga dell'elio neutro (He1) a 1082 nm di lunghezza d'onda. Le immagini mostrano zone in cui campi magnetici che si elevano dalla fotosfera non si chiudono formare dei cappi che tengono confinato il plasma come accade ad altezze inferiori ai 400.00 km, ma le linee di forza si estendono verso lo spazio interplanetario a causa della diminuzione dell'intensità del campo con l'altezza e della pressione del plasma caldo, che può così espandersi verso l'esterno, dando origine al mezzo interplanetario. Probabilmente lo stesso meccanismo che riscalda la corona fornisce anche l'energia necessaria per accelerare il gas tramite l'azione del campo magnetico. In queste zone il plasma è meno denso e ha una temperatura inferiore rispetto a quella delle zone circostanti e quindi emette meno radiazione, risultando scuro: da ciò il nome buchi coronali, che appaiono evidenti nella caldissima e luminosa corona emittente raggi X.
Le missioni spaziali
Già nel 1957 M.Waldmaier aveva notato persistenti e ricorrenti "buchi" nell'emissione monocromatica della corona, ma determinante fu la missione Skylab (1973-74) perché consentì di studiarne l'evoluzione con continuità per 9 mesi. Di solito si osserva comparire un piccolo "buco" in prossimità dell'equatore solare, che poi si ingrandisce fino a collegarsi con la regione polare della stessa polarità magnetica alla sua massima estensione, per poi restringersi a conclusione di un'evoluzione che dura in tutto 8 mesi. Circa 5 giorni dopo il passaggio di un buco coronale al meridiano centrale, la Terra viene investita da un flusso di vento solare ad alta velocità che le sonde rilevano a conferma della teoria che i buchi coronali sono proprio le regioni di accelerazione del vento. Per approfondire i meccanismi di accelerazione grandi aspettative sono riposte nella missione spaziale SOHO, che effettuerà osservazioni della corona con l'esperimento UVCS, un sofisticato coronografo per l'ultravioletto alla cui realizzazione contribuiscono anche ricercatori italiani, e nella missione Ulysses, che effettuerà per la prima volta osservazioni delle regioni polari del Sole. A causa della rotazione del Sole intorno al proprio asse, il campo magnetico interplanetario trasportato dalle particelle del vento solare si dispone a formare una spirale archimedea, come accade per lo spruzzo d'acqua di una pompa rotante per innaffiare i giardini. Inoltre esso è suddiviso in 4 settori, dove assume alternativamente orientazioni diverse (verso il Sole oppure dal Sole). L'intensità è di 10 nT (1 nT = nano-Tesla) vicino alla Terra (3/10.000 di quello terrestre) e circa la metà a 10 U.A. Il campo magnetico trasferisce anche momento angolare dal Sole al vento solare, determinando così un'azione di frenamento della sua rotazione fino all'arresto totale che avverrebbe in 10 miliardi di anni, praticamente l'età stimata della nostra stella, mentre il continuo flusso di particelle condurrebbe ad una perdita totale della massa solare in un tempo molto superiore, dell'ordine di 10 alla 14 anni. Attualmente si ritiene che il vento solare perda la sua identità sfumando nel mezzo interstellare ad una distanza di 100 U.A., limite chiamato elio pausa che racchiude la sua regione di influenza, definita eliosfera. FINE INCISO.
DIGRESSIONE...
SOLAR MYSTERY NEARS SOLUTION WITH DATA FROM SOHO SPACECRAFT
A likely solution to one of the major mysteries of the Sun has emerged from recent observations with the European Space Agency/NASA Solar and Heliospheric Observatory (SOHO) mission.
The new findings seem to account for a substantial part of the energy needed to cause the very high temperature of the corona, the outermost layer of the Sun's atmosphere. Since the corona's temperature was first measured 55 years ago, scientists have lacked a satisfactory explanation for why that temperature is three million degrees while the visible surface of the Sun is only 11,000 degrees Fahrenheit or about 6,000 degrees Celsius. It is physically impossible to transfer thermal energy from the cooler surface to the much hotter corona, so the energy transfer had to be in the form of waves or magnetic energy, but no measurement to date had found adequate energy to account for the coronal temperature. We now have direct evidence for the upward transfer of magnetic energy from the Sun's surface toward the corona above. There is more than enough energy coming up from the loops of the 'magnetic carpet' to heat the corona to its known temperature. Each one of these loops carries as much energy as a large hydroelectric plant, such as the Hoover dam, generates in about a million years! We now appear to be closing in on an explanation as to why the solar corona is over 100 times hotter than the solar surface - the solution to a 55-year old puzzle. These results underline the importance of long term study of the changing conditions on the Sun from the superior vantage point of space. Energy flows from the loops when they interact, producing electrical and magnetic "short circuits." The very strong electric currents in these short circuits are what heats the corona to a temperature of several million degrees. Images from the Extreme ultraviolet Imaging Telescope (EIT) and the Coronal Diagnostics Spectrometer (CDS) on SOHO show the hot gases of the ever-changing corona reacting to the evolving magnetic fields rooted in the solar surface. The observations with SOHO's Michelson Doppler Imager (MDI) provided long-duration, highly detailed, and well calibrated time-lapse movies of the magnetic fields on the visible surface or "photosphere" of the Sun. These revealed the rapidly changing properties of what Title calls "the Sun's Magnetic Carpet," a sprinkling of tens-of-thousands of magnetic concentrations. These concentrations have both north and south magnetic poles, which are the "foot points" of magnetic loops extending into the solar corona. Like field biologists who study the populations and life cycles of animal herds, the SOHO researchers analyzed the appearances and disappearances of large numbers of the small magnetic concentrations on the solar surface. We find that after a typical small magnetic loop emerges, it fragments and drifts around and then disappears in only 40 hours, Title said. "It's very hard to understand how such a short-lived effect could be driven by the magnetic dynamo layer that is over 100,000 miles beneath the surface of the Sun. This may be evidence that unknown processes are at work in or near the solar surface that continuously form these loops all over the Sun". The new observations were made with several instruments on SOHO, which is stationed about 900,000 miles (1.5 million kilometers) sunward of the Earth in interplanetary space, where it has an uninterrupted view of the Sun and of the solar wind particles blown from the Sun. SOHO is operated from a control center at NASA's Goddard Space Flight Center, Greenbelt, MD. SOHO was launched on Dec. 2, 1995 aboard an Atlas-IIAS expendable launch vehicle from Kennedy Space Center, FL.
FINE DIGRESSIONE
Sun
spews spectacular solar storm
NOAA NEWS RELEASE
Posted: November 4, 2003
Credit: NASA/ESA/SOHO
The NOAA Space Environment Center in Boulder, Colo., reports
that an intense explosion occurred on the Sun
Tuesday at 2:29 p.m. EST. The
violent eruption saturated X-ray detectors on
NOAA's GOES
satellite, which monitors the Sun
and produces a new image every minute.
NOAA space weather forecasters are still analyzing the event
to see if this Solar explosion
will trigger another bout of radiation and geomagnetic storms. The explosion
occurred in NOAA Region 486, an area that was about to rotate
out of view of the Earth. This storm may only deal a glancing blow at the
Earth given the position of the Solar eruption.
This region of the sun will be squarely aimed at Earth once again during Thanksgiving
week.
Credit: NASA/ESA/SOHO
NOAA scientists are amazed at the amount of Solar activity during the last two weeks. During this cycle of the Sun, almost four years past Solar maximum, explosions of this magnitude are a rarity. NOAA forecaster Bill Murtagh said that a radio blackout is in progress. This is an R-5 extreme event. They don't get much bigger than this. An R-5 event is at the top of the NOAA space weather scales, which run 1 to 5. NOAA is dedicated to enhancing economic security and national safety through the prediction and research of weather and climate-related events and providing environmental stewardship of the nation's coastal and marine resources. NOAA is part of the U.S. Department of Commerce.
Credit: NASA/ESA/SOHO
Sharp images of solar
storms
NATIONAL SOLAR OBSERVATORY NEWS RELEASE
Posted: December
23, 2003
As last October's solar flares blossomed into a coronal mass ejections, scientists at the National Solar Observatory used a new set of instruments to record the sharpest-ever images of the heart of the storms. A stunning H-alpha flare movie was made and shows, to our knowledge for the first time, flare structure at scales of 0.2 arc-seconds. In addition, the new Diffraction Limited Spectropolarimeter (DLSP) captured high-resolution polarization maps that are essential to studying the fine structure of magnetic activity on the Sun. The DSLP and the AO projects are funded by the National Science Foundation (AO is funded through NSF's Major Research Instrumentation division).
DIGRESSIONE...
Final death throes
of nearby star witnessed first-hand
NASA/JPL NEWS RELEASE
Posted: November 22, 2003
It takes only a few hundred to a thousand years for a dying Sun-like star, many billions of years old, to transform into a dazzling, glowing cloud called a planetary nebula. This relative blink in a long lifetime means that a Sun-like star's final moments - the crucial phase when its planetary nebula takes shape - have, until now, gone undetected. In research reported in the Nov. 20 issue of Nature, astronomers led by Dr. Raghvendra Sahai of NASA's Jet Propulsion Laboratory, Pasadena, Calif., have caught one such dying star in the act. This nearby star, called V Hydrae, has been captured by the Space Telescope Imaging Spectrograph onboard NASA's Hubble Space Telescope in the last stages of its demise, just as material has begun to shoot away from it in a high-speed jet outflow. While previous studies have indicated the role of jet outflows in shaping planetary nebulae, the new findings represent the first time these jets have been directly detected. The discovery of a newly launched jet outflow is likely to have a significant impact on our understanding of this short-lived stage of stellar evolution and will open a window onto the ultimate fate of our Sun. Other institutions contributing to this paper include: University of California, Los Angeles; Princeton University, Princeton, New Jersey; Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, Cambridge, Massachusetts; and Valdosta State University, Valdosta, Georgia. Low-mass stars like the Sun typically survive around ten billion years before their hydrogen fuel begins to run out and they start to die. Over the next ten to hundred thousand years, the stars slowly eject nearly half of their mass in expanding, spherical winds. Then - in a poorly understood phase lasting just 100 to 1,000 years - the stars evolve into a stunning array of geometrically shaped glowing clouds called planetary nebulae. Just how these extraordinary "star-clouds" are shaped has remained unclear, though Sahai, in several previous papers, put forth a new hypothesis. Based on results from a recent Hubble Space Telescope imaging survey of young planetary nebulae, he proposed that two-sided, or bipolar, high-speed jet-like outflows are the primary means of shaping these objects. The latest study will allow Sahai and his colleagues to test this hypothesis with direct data for the first time. Now, in the case of V Hydrae, we can observe the evolution of the jet outflow in real-time. The new findings also suggest what may be driving the jet outflows. Past models of dying stars predict that accretion discs - swirling rings of matter encircling stars - may trigger jet outflows. The V Hydrae data support the presence of an accretion disc surrounding, not V Hydrae itself, but a companion object around the star. This companion is likely to be another star or even a giant planet too dim to be detected. The authors have also found evidence for an outlying large dense disc in V Hydrae, which could enable the formation of the accretion disc around the companion. Further support in favor of a companion-driven jet outflow comes from the scientists' observation that the jet fires in bursts: because the companion orbits the star in a periodic fashion, the accretion disc around it is expected to produce regular spurts of material rather than a steady stream. The Space Telescope Imaging Spectrograph is managed by NASA's Goddard Space Flight Center in Greenbelt, Maryland. The Hubble Space Telescope is a project of international cooperation between NASA and the European Space Agency. The California Institute of Technology, Pasadena manages JPL for NASA.
FINE DIGRESSIONE
10.12.2003 La magnetosfera è un colabrodo
Il nostro "scudo solare" lascia passare molte particelle cariche. Due missioni satellitari hanno rivelato che la barriera magnetica che circonda la Terra nello spazio funziona più come un setaccio che come uno scudo. I frequenti varchi nel campo magnetico del pianeta possono rimanere aperti per ore, lasciando il passaggio libero alle particelle cariche provenienti dal Sole che colpiscono la parte superiore dell'atmosfera. La scoperta dimostra che il vento solare può influire sul nostro pianeta in maniera più diretta di quanto noi potessimo sospettare. Normalmente la magnetosfera, la "bolla" magnetica attorno alla Terra, deflette la maggior parte del vento solare, un bombardamento costante di elettroni e protoni provenienti dal Sole. Tuttavia, quando i campi magnetici provocati dal vento solare si scontrano con quelli della magnetosfera, possono produrre delle brecce, proprio come due magneti allineati in modo opposto si respingono a vicenda. Se il vento solare è abbastanza forte, i campi aggrovigliati si riallineranno in maniera stabile, dando origine un breve varco. Alcuni fisici ritenevano che questo riallineamento potesse continuare per ore, mentre altri pensavano che i varchi si aprissero e chiudessero molto rapidamente. Ora i nuovi dati del satellite IMAGE della NASA e della missione Cluster dell'ESA confermano la prima ipotesi. IMAGE, che studia la magnetosfera e le luci dell'aurora nei pressi dei poli, ha catturato numerose immagini di "aurore protoniche" molto energetiche nella luce ultravioletta, alcune delle quali sono durate più a lungo del previsto, fino ad anche 9 ore. Già sospettavamo che le aurore fossero dovute ai protoni solari che viaggiano senza impedimenti verso il pianeta. Prove ulteriori sono state fornite dalla missione Cluster, che ha rivelato una cascata di particelle del vento solare all'interno della magnetosfera. Secondo quanto scrive il fisico dello spazio Tai Phan dell'Università della California di Los Angeles sul numero del 4 dicembre della rivista "Nature", le particelle non avrebbero potuto raggiungere i satelliti se non fossero passate da un ampio varco nel campo magnetico.
29.07.2004 Una stella di tipo FU-Orionis
Si trova nella nebulosa di McNeil ed è simile al nostro Sole. Un team di astronomi guidato da Joel Kastner del Rochester Institute of Technology ha annunciato la scoperta di una stella appena nata, simile al Sole. Le osservazioni ai raggi X del suo brillamento, le prime nel loro genere, hanno fornito nuove importanti informazioni sulle prime fasi dell'evoluzione del Sole e sul processo di formazione dei pianeti. Lo studio è stato descritto sul numero del 22 luglio della rivista "Nature". Lo scorso gennaio Jay McNeil, un astronomo dilettante del Kentucky, aveva scoperto una nuova nube di polvere e gas nella regione di Orione. In precedenza, la nube (ora chiamata nebulosa di McNeil) non era visibile dalla Terra: ma una nuova stella al suo interno era divampata e aveva raggiunto un livello di luminosità tale da illuminare la nebulosa circostante. Osservando le immagini di quella parte del cielo, si scoprì che a novembre era apparsa una giovane stella, quasi delle dimensioni del nostro Sole. Nonostante ogni notte centinaia di telescopi scrutino il cielo, la scoperta di una nuova stella è un evento estremamente raro che si è verificato soltanto due volte nello scorso secolo. Questa stella, inoltre, è ancora più speciale perché oltre ad avere una massa simile al Sole sembra estremamente giovane, con meno di un milione di anni. Gli astronomi li chiamano oggetti di tipo FU-Orionis, ne conosciamo meno di una dozzina, ed è la prima volta in tempi moderni che uno di essi viene individuato durante un brillamento. Nelle stelle FU-Orionis, queste esplosioni luminose sono molto brevi. Per questo motivo, i ricercatori hanno inoltrato una richiesta di emergenza per usare l'osservatorio a raggi X orbitante Chandra allo scopo di osservare la stella. Grazie a Chandra, si è scoperto che la stella (battezzata ufficialmente V1647 Ori) era diventata una potente sorgente di raggi X all'inizio di marzo, ma questa luminosità era calata in modo sostanziale alla fine del mese, prima che l'oggetto sparisse dalla vista dietro il Sole. [VEDI anche file .PDF: An X-ray Outburst from the Rapidly Accreting Young Star That Illuminates McNeil's Nebula. e anche astro-ph/0406618]
03.10.2003 La luce solare influenza il clima artico (Una curiosità)
Cicli più deboli determinano variazioni
ambientali, geochimiche e biologiche. Lo studio delle
caratteristiche geochimiche e biologiche dei sedimenti dei laghi in Alaska
indica che lievi variazioni nell'intensità
del Sole possono aver influito in modo prevedibile sul clima e sugli ecosistemi
sub-polari negli ultimi 12.000 anni.
In un articolo pubblicato sul numero del 26
settembre della rivista "Science",
i ricercatori di sei istituzioni affermano che i dati spiegano i mutamenti
avvenuti in passato negli ecosistemi di terra e d'acqua dolce alle latitudini
settentrionali, fornendo informazioni che consentirebbero anche proiezioni
future. Studiando la composizione biochimica dei campioni, gli scienziati
hanno identificato cicli con durate di 200, 435,
590 e 950 anni nel corso dell'epoca dell'Olocene
(il periodo che va dalla fine delle epoche glaciali
ai giorni nostri). Secondo il principale
ricercatore, Feng Shung Hu dell'Università
dell’Illinois di Urbana-Champaign, gli
schemi delle variazioni ambientali corrispondono perfettamente ai cambiamenti
ciclici nell'irradiazione solare e all'estensione della copertura di ghiaccio
nel Nord Atlantico. Sono stati
scoperti cicli naturali riguardanti il clima e gli ecosistemi
che sembrano essere collegati a deboli cicli
solari. Se verificati,
potrebbero rappresentare un fattore importante per comprendere i potenziali
cambiamenti futuri del clima terrestre. I dati provengono dai sedimenti del
lago Arolik nella regione presso le montagne di Ahklun,
lungo la costa sud-occidentale dell'Alaska. Hu
e il collega Darrell Kaufman della Northern
Arizona University di Flagstaff hanno condotto ricerche in quella
regione per più di un decennio.
31.10.2003 I danni dei raggi cosmici agli aerei
Ora è possibile quantificare e minimizzare i rischi. Da tempo gli scienziati conoscono i potenziali rischi, per i sistemi elettronici, i passeggeri e gli equipaggi degli aerei di linea, dovuti ai raggi cosmici e ad altri aspetti della meteorologia spaziale, come i flussi di protoni provenienti dal Sole. Quantificare questi rischi, però, non è mai stato possibile, poiché nei dati sistematici si ignora la reale quantità di raggi e il numero di particelle cariche e di neutroni che essi creano nell'atmosfera terrestre e che vengono incontrati durante il volo. Ora alcuni ricercatori hanno cominciato a raccogliere queste informazioni grazie a uno strumento sviluppato di recente, lo spettrometro di radiazione a basso trasferimento lineare di energia (LoLRS), che è stato portato a bordo di alcuni Boeing 747 nel corso delle sorvolate dell'Oceano Atlantico, del Pacifico, degli Stati Uniti, dell'Africa e dell'Artico. La necessità di conoscere il livello preciso di radiazione cosmica e solare lungo le rotte aeree è sempre maggiore, anche perché le ultime generazioni di velivoli commerciali utilizzano sistemi di controllo teleguidati, gestiti da computer a bordo, che sono soggetti a danni in seguito a elevati livelli di radiazione. Nel futuro gli aerei useranno tecnologie ancora più sensibili e saranno ancora più suscettibili a eventuali rischi. Dobbiamo definire meglio il campo di radiazioni nell'atmosfera in funzione dello spazio e del tempo, e ridurre le incertezze significative associate alle previsioni odierne. Lo studio è uno dei primi a essere pubblicati su "Space Weather", la nuova rivista dell'American Geophysical Union (AGU).
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