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Normative 
L’espressione educazione interculturale

L’espressione educazione interculturale è venuta precisando  il suo significato nel corso degli ultimi anni ed indica l'impegno per il presente e per gli anni a venire e la consapevolezza propositiva delle scienze dell'educazione in riferimento alle nuove situazioni verificatesi in Italia  in seguito ai fenomeni migratori.

Fino a poco tempo fa (circa sei/sette anni) la scuola ha risposto ai bisogni educativi dei suoi utenti venuti da lontano principalmente grazie agli atteggiamenti personali dei suoi operatori (insegnanti, direttori, presidi, bidelli, segretari caratterizzati da un forte senso del dovere e della responsabilità, nonché da una buona dose di creatività e d’improvvisazione.

Gli organismi centrali della scuola fino alla fine degli anni '80 non hanno tracciato i criteri nomativi di una educazione in grado di rispondere ai bisogni nuovi dei nuovi utenti, che pure erano presenti da tempo nei vari gradi dell'istruzione e di dare loro garanzie formative uguali a quelle degli altri.  Di fatto l'educazione interculturale è divenuta un fatto "ufficiale" della scuola da quando l'emanazione di normative apposite da parte del Ministero della Pubblica Istruzione ha reso prescrittiva l'azione del personale educativo.


La scuola italiana

La scuola italiana, prima che venissero emanate indicazioni specifiche, era già in parte orientata verso una educazione che possiamo definire in­terculturale.  Oltre al principio del diritto allo studio tutelato dalla Costituzione Italiana, si pensi ai Nuovi Orientamenti per la scuola Materna, ai Programmi della scuola elementare e media, alle leggi 515177 e 148/90, alla circolare n. 207/86 sulla scolarizzazione degli alunni zingari e no­madi.  Da questi documenti emerge una impostazione basata sulla programmazione, sulla individualizzazìone degli interventi, sulla necessità di tenere sempre conto della realtà di partenza sociofamiliare e culturale di ciascun bambino, per fornire risposte adeguate ai suoi bisogni.

Nonostante ciò, la prima Circolare specificamente rivolta alle presenze di allievi immigrati nelle scuole italiane è la n. 301 del 1989, che apre la strada ad altre che verranno emanate negli anni successivi.  In essa si fanno riferimenti al R.D. 415/25 e ad altre normative della CEE per ri­badire la necessità di garantire le opportunità formative a tutti e la volontà della scuola italiana di farlo.  L'uguaglianza delle opportunità formative è vista come "la condizione primaria per realiz­zare le giuste condizioni di tutela giuridica e di dignità per il lavoratore immigrato e per la sua famiglia".  In questa circolare sono suggeriti agli insegnanti alcuni accorgimenti: fare rileva­zioni sulle competenze linguistiche degli alunni stranieri; non effettuare inserimenti che superino i 4/5 per classe, se della stessa etnia; utilizzare insegnanti ai sensi della L.517n7 per operare con alunni con particolari difficoltà d’apprendimento; dare importanza al clima relazionale della classe.

La C.M. n. 205 emanata l'anno seguente (1990) riporta i dati di una indagine sulla situa­zione delle presenze straniere in tutte le scuole italiane; fornisce consigli su come coordinare gli interventi interculturali a livello provinciale, sulle modalità per l'accesso a scuola e sull'organiz­zazione scolastica. à in questa circolare che si parla per la prima volta in maniera ufficiale di educazione interculturale, mostrandola come una risorsa positiva per i processi di crescita di tutti gli allievi e come valorizzazione delle diverse culture.

 

Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione

Successivamente la pronuncia del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione del 23/4/92 ha richiamato l'attenzione del personale educativo e dirigente sul concetto di cultura, sulla necessità del dialogo, del rispetto, dell'impegno e della promozione di ciascuno e sulla con­danna ferma da parte della scuola di ogni forma di razzismo.

La C.M. n. 73 del 213194 ("Dialogo interculturale, convivenza democratica: l'impegno pro­gettuale della scuola"), ultima in ordine di tempo, sottolinea che l'educazione interculturale non si esaurisce nella presenza di alunni stranieri a scuola ma si estende alla complessità del con­fronto fra culture, in una dimensione europea e mondiale dell'insegnamento.  Ribadisce che l'educazione interculturale promuove il dialogo e la convivenza costruttiva fra soggetti apparte­nenti a culture diverse.

La "rete a maglie larghe" che queste circolari ministeriali forniscono de linea i contorni di un’educazione che non si sottrae più (come ha fatto a lungo) alla sua parte di responsabilità nei confronti delle culture "altre" ma che, piuttosto, intende stare in mezzo a loro, ricercare stru­menti in grado di collegarle senza svilirle, essere coinvolta in prima persona nel tentativo di rin­tracciare un senso che sappia accomunare gli individui, piuttosto che dividerli. E’ sintomatico che lo stesso "disinteresse" che si rileva fino alla fine degli anni '80 sul fronte della normativa sco­lastica, nei confronti dei mutamenti tipologici che la popolazione scolastica andava maturando al suo interno, lo si ritrova anche sul fronte della riflessione pedagogica.

 

Anticipatrici dell'educazione interculturale

Le riviste specializzate, per esempio, non si sono occupate di educazione interculturale fino quasi alla metà degli anni '80.  Si può, semmai, riconoscere che in alcuni articoli e interventi venivano affrontate tematiche che, alla luce di avvenimenti, studi e teorie successive, si possono intendere come anticipatrici dell'educazione interculturale.  Per esempio su “scuola e Città” dai primi anni '80 si registra una certa attenzione all'educazione alla pace vista come educazione alla non violenza (si vedano gli interventi di Martinoli e Visalberghi nel n. 8, del 31.8.83, o quello di Salvio, n. 9 dello stesso anno).

Aldo Visalberghi interviene più volte sul tema dell'educazione alla complessità, che collega al rapido cambiamento di scenari e di condizioni di vita, ponendo l'accento su un aspetto che successivamente è stato visto come portante della didattica interculturale: la necessità di un approccio interdisciplinare trasversale ai curricoli che si focalizzi su certe tematiche-guida (n.ri 3, 516 dell'85 e nel n. 1 del gennaio 1987).

In quest'ultimo articolo Visalberghi propone un riferimento metodologico interessante riguardo all'intercultura quando afferma che " ... per operare transazioni a punti di vista diversi sono essenziali attività di ricerca individuali e di gruppo e discussioni ben guidate".  Prendendo atto della nascita di nuove educazioni (allo sviluppo, all'ambiente, alla pace, ai diritti umani) e teorizzando la consapevolezza del loro intrecciarsi, Visalberghi anticipa una caratteristica propri . a anche dell'educazione interculturale.  Sono importanti, certo, i contenuti e le informazioni che la scuola sa trasmettere, ma ancora più importante è, nella sua prospettiva, l'approccio metodolo­gico basato sulla discussione, sul saper fare, sulla necessità che gli insegnanti sappiano gestire situazioni che cambiano sotto gli occhi.

Sempre Visalberghi affronta in un articolo il terna dell"'educazione allo sviluppo e diritti umani' (n. 516 del 30/6/88) e parla per la prima volta di "educazione inter- o multiculturale" intrecciandola con "educazione allo sviluppo, educazione alla pace. educazione ecologica, edu­cazione al civismo internazionale", accomunate sotto l'etichetta di "iniziative affini e contermini e spesso sovrapposte, largamente diffuse nelle scuole grazie a sollecitazioni esterne ed anche e soprattutto all'impegno spontaneo degli insegnanti e di molti genitori ed alunni".  Secondo Visal­berghi queste vane educazioni non sono nuove materie ma rappresentano "un nuovo complesso di stimolazioni, temi pluridisciplinari, occasioni di attività e progetti, che si inseriscono costrut­tivamente nei normali programmi, anche se richiedono qualche innovazione e qualche diversa accentuazione nei contenuti, oltre che nel taglio complessivo della loro trattazione".  Vale la pena sottolineare l'impegno etico e la concretezza che Visalberghi propone alla riflessione degli insegnanti, prendendo lo spunto dalla complessità del sociale: secondo lui, infatti, spetta anche alla scuola la "responsabilità della formazione intellettuale e morale in ordine ai più pressanti problemi che il genere umano si trova a dover affrontare informe molto più impegnative e dram­matiche di quanto non accadesse in passato".

Sempre su Scuola e Città Franco Cambi nel settembre dell'88 affronta il tema "Educazione e razzismo" individuando nell'esercizio democratico della convivenza e in un opportuno inter­vento nelle istituzioni formative" due possibili strade da percorrere da parte delle scuole.

E opportuno tenere presente che quando questi autori, quasi come voci isolate, scrivono questi articoli (1988) le migrazioni straniere verso l'Italia erano in atto in misura crescente da circa una ventina di anni, gli allievi stranieri erano una realtà inequivocabile in molte classi e il Ministero non aveva ancora emanato le circolari di cui si parlava.  Dall'89, anno in cui c'è la "presa in carico" da parte dell'organismo centrale della scuola, su Scuola e città, cosi come su altre riviste di pedagogia e di didattica, gli interventi sull'educazione interculturale si fanno più numerosi, circostanziati, propositivi.

 

 
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