PENSIERI
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ARTHUR RIMBAUD |
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OPERE |
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BIOGRAFIA |
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Jean Nicolas Arthur Rimbaud (Charleville-Mézières, 20 ottobre 1854 – Marsiglia, 10 novembre 1891) è stato un poeta francese. Nasce nella cittadina di Charleville nel palazzo al numero civico 12 di rue Napoléon, poi ribattezzata rue Thiers, prima d’essere oggi rinominata rue Bérégovoy. Il padre del poeta è Jean Frédéric Arthur Rimbaud, un capitano d’armata di stanza a Mézières, che ha partecipato alla guerra d’Algeria dove è stato decorato con la Legion d'Onore. Ha poi incontrato Vitalie Cuif, una giovane contadina di Roche, piccola borgata nei pressi di Attigny, che si è trasferita a Charleville. Ha con lei cinque figli (Frédéric, Arthur, Victorine, Vitalie e Isabelle), prima di abbandonare la famiglia. Dopo la partenza del marito, Vitalie sopravvive con i figli in una modesta casa, in rue de Bourbon, a Charleville. Arthur ha sette anni. La madre, molto rigida e severa, ha come principali preoccupazioni l’educazione dei figli e la rispettabilità sociale: proibisce per esempio ai propri bambini di giocare in strada con i figli di operai; la domenica, si vede passare la famiglia diretta verso la chiesa in fila indiana, con la madre che chiude la marcia. E tuttavia, in questo focolare ricostruito alla meno peggio in mancanza di un marito e padre di famiglia, Vitalie veglia sui suoi figli, e, seppur violenta ma naturale che sia stata la rivolta d'Arthur più tardi, è verso lei che sempre tenderà. Arthur segue gli studi all'istituto Rossat, poi al collegio, dove ha un curriculum eccezionale e una prodigiosa precocità: colleziona tutti i premi di merito, in letteratura, versione, componimento e redige con virtuosità in latino dei poemi, delle elegie, dei dialoghi, ma la sua anima comincia a spuntare. Nel luglio 1869, partecipa alle prove del concorso generale di composizione latina sul tema "Jugurtha" (Giugurta), che egli vince a man bassa. Il preside del collegio M. Desdouets dice di lui "Nulla di banale germina in questa testa, diverrà il genio del Male o il genio del Bene". Arraffando tutti i premi, si affranca dalle umiliazioni dell’infanzia. Nel 1870 fa la conoscenza di Georges Izambard, un giovane supplente di retorica, che diverrà per lui un padre sostituto, una sorta di bastione contro la "mother" (la madre castratrice) da lui soprannominata "mamma flagello", ma soprattutto una guida sui sentieri della poesia, dal momento che il giovane Arthur si riconosce poeta. In questo periodo, abbiamo i primi versi; le Étrennes des Orphelins, Soleil et Chair e Ophélie. L'orientamento poetico è quindi chiaramente quello del Parnaso, la rivista collettiva. In una lettera del 24 maggio 1870, inviata a Théodore de Banville, rappresentante di quel movimento, Arthur, dell'età di appena sedici anni, afferma di voler divenire parnassiano o null'altro. Aggiunge alla lettera numerosi suoi lavori (Ophélie, Sensation, Soleil et chair), al fine di ottenere il suo appoggio presso l'editore Lemerre. La sua poesia intitolata À la musique, scritta nell'autunno 1870, ben ci mostra il suo malessere di vivere vicino a Charleville. Le Figaro del 22 maggio 2008 ha reso pubblica la notizia del ritrovamento di un testo inedito di Rimbaud che risale al 1870, quando il poeta aveva solo sedici anni. S’intitola Il sogno di Bismarck e consiste in un'irriverente descrizione delle ambizioni del cancelliere tedesco; in particolare Rimbaud deride il suo "sogno" di conquistare la Francia. Avendo risentito molto profondamente dell'esperienza della Comune, il poeta-bambino vuole raggiungere Parigi. Lo stesso giorno in cui Napoleone III e l'esercito imperiale entrano a Rethel, Arthur fugge da Charleville, in direzione di Parigi, dove vuole diventare giornalista. L'avventura è sventata dal bigliettaio controllore del treno su cui viaggia ed ha il suo compimento nella prigione di Mazas e il susseguente ritorno a Charleville, dove la madre gli rifila una sberla memorabile al centro del quai de la Madeleine, a fianco dell'attuale Museo Rimbaud. Ma non è che l'inizio di una lunga serie di fughe, dato che Arthur è ossessionato dal bisogno morboso di camminare, ancora e sempre, per accostarsi a un altro mondo oltre gli oceani e le montagne, sempre più lontano. Paul Verlaine dirà di lui che è un "viaggiatore cencioso". Durante il suo soggiorno a Parigi, Arthur abita, nel febbraio-marzo 1871 presso Théodore de Banville. Ma già dal mese di maggio, Arthur, nella sua cosiddetta "lettera del veggente", esprime la sua differenza e, nell'agosto 1871, nel suo poema parodistico, Ciò che dicono al poeta a proposito dei fiori, esprime una critica aperta alla poetica di Banville. In un poema violento, L'orgie parisienne ou Paris se repeuple, egli denuncia lassismo e vigliaccheria dei vincitori. Dopo la disfatta contro la Prussia nel 1871 (contraria al suo Sogno di Bismarck), la sua poesia si radicalizza sempre più, diviene sempre più sarcastica: Vénus Anadyomène ne è un esempio. La stessa scrittura si trasforma progressivamente, e Rimbaud comincia a odiare la poesia dei parnassiani, e nella celebre Lettera a Paul Demeny o Lettera del veggente, egli afferma il suo rigetto della "poesia soggettiva". È ugualmente in questa lettera che egli espone la sua propria ricerca della poesia: vuole farsi "veggente", tramite una "lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi". È così che Rimbaud, l'allievo iperdotato, rifiuta di tornare al liceo, fugge e beve dell'assenzio. Chiamato da Paul Verlaine a cui ha inviato qualche lirica, comincia con lui una relazione intima e una vita di vagabondaggio. Non ha che 17 anni. Questa relazione tumultuosa termina con un insuccesso: nel 1873, i due amici sono a Londra. Verlaine abbandona tutto d'un tratto Rimbaud affermando di voler tornare dalla moglie, deciso a spararsi se ella non lo riaccetterà. Trasloca in un albergo a Bruxelles. Rimbaud lo raggiunge, persuaso che non avrà il coraggio di mettere fine ai suoi giorni. Nel momento in cui Arthur lo vuole lasciare, Verlaine, ubriaco, spara due colpi all'amico, ferendolo leggermente. Verlaine viene incarcerato a Mons. Rimbaud, invece, raggiunge la fattoria di famiglia a Roche, nelle Ardenne, dove scrive Una stagione all'inferno. Una stagione all'inferno è una biografia allucinata del percorso di Rimbaud. La scrittura caotica è attraversata senza posa da una molteplicità di voci interiori. Rimbaud vi grida la sua sofferenza, il suo dolore, la sua esperienza intima: ha compreso che non può "rubare il fuoco" solo per sé. Una "pazienza ardente" è indispensabile perché la disfatta non diventi definitiva. Ma voler dimenticare "l'Inferno", è tradire l'umanità. Tuttavia, nella solitudine atroce della città, la stanchezza soffoca il giovane poeta. Ciclicamente afasico o attraversato da crisi di odio verso la Chiesa e la società del XIX secolo che rinchiude l'individuo, Rimbaud rende il lettore partecipe dei suoi smacchi amorosi, e si pensi alla sua relazione con Verlaine, ma anche del fatto che per lui "l'amore è da reinventare". Smacco anche nel suo processo di Spia: è un individuo che, solo, ha voluto dannarsi per ritrovare il vero senso della poesia. I lavori scritti in seguito, praticamente tutte le sue Illuminazioni, terminano con l'irruzione della "realtà ruvida a spegnersi". Quindi si zittirà, a 21 anni, avendo compiuto tutto ciò che era in suo potere, nel "deserto e nella notte" che lo attorniano. Sa ormai che, da sola, la poesia non può cambiare la vita. A ventiquattro anni il giovane poeta abbandona il mondo della letteratura e dei salotti per vivere l’avventura come rimedio alla noia, vagando verso paesi dai nomi che fanno sognare (Yemen, Gibuti, Etiopia, Eritrea), ma che non furono altro che il teatro di una lunga deriva personale, e nei quali finirà per perdersi. Arrivando a Aden, recupera sé stesso, come lavoratore manuale, semplice operaio. Il 7 agosto 1880 si sistema come caporeparto dei raccoglitori di caffè della società Bardey. In quel periodo, il porto di Mokha conosceva un fiorente commercio grazie al caffè. Nel dicembre 1880, arriva a Harar in Abissinia, la città dei 99 minareti. La leggenda racconta che fu uno dei primi occidentali a penetrare in questa città santa dell’Islam. Diviene gerente di un banco commerciale e pratica il commercio dell'avorio, del caffè, delle pelli e dell'oro, che scambia con tessuti di Lione, casseruole, della chincaglieria. Si lancia anche nel commercio di armi, dato che all'epoca la regione è agitata da numerosi conflitti. Di contrapposto, la leggenda che lo fa un negriero è infondata: è vero solo che chiederà, nel 1889, una coppia di schiavi ad un amico "per suo servizio personale" (ma non li otterrà mai)[senza fonte]. Tuttavia, ad Harar come altrove, Rimbaud s’annoia sempre, e, in una delle sue lettere alla famiglia, dice: «M'annoio molto, sempre; non ho mai conosciuto nessuno che si annoiasse così tanto come me». Nel 1891 ritorna in patria. Una sinovite mal curata al ginocchio peggiora e gli deve essere amputata la gamba. Il 24 luglio 1891 sbarca alla stazione di Voncq, a tre chilometri da Roche, con una stampella ed una nuova gamba, di legno. L’impossibilità di fermare la cancrena lo porterà ripartire un mese più tardi, in treno, per andare a Marsiglia, dove morirà il 10 novembre, all'età di trentasette anni, tra sofferenze atroci, vegliato dalla sorella Isabelle. Viene sepolto nel cimitero cittadino di Charleville. L'amico Paul Verlaine riassumerà con una sola frase gli anni erranti di Rimbaud, «non ha fatto altro che viaggiare terribilmente e morire giovanissimo». Per quale motivo questa scrittura personale, questa ricerca assoluta dell'essenza della poesia hanno avuto così tanta risonanza? Innanzitutto perché la scrittura di Rimbaud dà l'esempio universale di un'esperienza dei limiti, avendo ciascuno nel corso della vita risentito questa rivolta che il poeta maledetto, sciogliendo tutti gli ormeggi, spinge al suo culmine, mentre l'uomo comune si accontenta di nasconderla freddamente sotto la maschera che la società ci richiede. Rimbaud ha anche inventato una nuova lingua, come egli stesso la desiderava: «'l'anima per l'anima, riassumendo tutto, profumi, suoni, colori, il pensiero che si aggrappa al pensiero e tira» (Lettera del Veggente). Nessuna descrizione minuziosa: solo una forma, una violenza carnale nel colore squillante. Nelle sue visioni, gli esseri, gli oggetti si animano e si uniscono sul sentiero dell'immagine. Questo nuovo verbo poetico ha fatto saltare le norme della civiltà e della determinazione sociale. Con lui, la poesia ha il colore della musica e della pittura, il movimento della danza e del sogno. Sperava che dei lavoratori orribili gli succedessero. Fra questi successori, che egli auspicava, sicuramente possiamo annoverare Jarry, Artaud, Vitrac e i surrealisti in generale. Come Il battello ebbro, essi sono andati a fondo nell'ignoto, aprendo la strada alla poesia contemporanea. (Fonte Wikipedia) |