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Conclusione
In conclusione, possiamo affermare che il processo edipico della migrazione e quindi dell’assorbimento di una nuova concezione di vita portata diventa fonte di trasformazione sociale là dove la tradizione chiede l’apporto di novità. Una società con tradizione ben radicata e forte, probabilmente non sarà facile da scalfire e quindi avrà una maggiore resistenza di fronte a qualsiasi attacco esterno, anche uno condotto con mezzi potentissimi come la televisione, internet... Una società debole e vacillante, risulterà terreno appropriato per seminare nuove idee. Il sovvertimento dei valori e il mutamento della tradizione, stando alla sequenza movimento, mutamento e trasformazione, è un fenomeno naturale nel processo evolutivo del genere umano. Tutto si evolve e l’evoluzione è sinonimo di vita. Se questo processo di mutamento non avvenisse, vorrebbe dire che l’umanità è morta. Essendoci però vita, è inoppugnabile che si debba accettare l’idea del cambiamento. Edipo, l’uomo nuovo che torna alla sua terra d’origine, non ha idea di quanto stia per compiersi. Egli è prigioniero del suo destino e il suo destino, attraverso la grande tragedia che dovrà compiersi, lo vede come artefice di questo cambiamento. Stefan e Michal, che assieme impersonano i due aspetti di Edipo, con la loro partenza non fanno altro che dare seguito al volere del loro destino, un destino che è impossibile combattere (Edipo ce lo insegna) e con il loro ritorno, prendono parte alle loro tragedie personali che, senza volontà conscia da parte loro, portano a un sovvertimento di valori dentro di loro e al di fuori, nel loro villaggio. Caterina, a sua volta, rappresenta il villaggio stesso, la tradizione, così come Giocasta rappresenta i valori di Tebe. L’impiccagione di Giocasta e il tentato suicidio di Caterina indicano la debolezza dei vecchi valori, l’incapacità di accettare il cambiamento, la volontà del destino. In questo caso, la morte, vuole segnare la fine di un’epoca che non ha più le armi per lottare: un’epoca che lascia ai posteri il compito di reagire di risorgere. Il finale del racconto di Jilemnický, a differenza del dramma di Sofocle, promette una speranza: Caterina porta in sé il frutto del cambiamento, il risultato dell’abnegazione dei valori di un tempo di fronte al cambiamento. Caterina non muore e Štefan non si acceca (tutt’al più è la seconda personalità di Edipo, rappresentata da Michal, che, fuggendo, dimostra ancora una volta l’immaturità dei propri valori. Allontanandosi da Caterina e dal figlio che ha seminato in lei, prende le sembianze di Edipo che se ne va da Tebe sconfitto lasciando il trono al cognato Creonte. Michal, accecato dalla propria vanità e dal luccichio del denaro, non fugge di fronte alla realtà: le sue debolezze sono ancora presenti e fino ad allora non ha fatto nulla per rafforzarsi dal di dentro). Eppure qualcosa in Caterina è morto con il tentato suicidio e, grazie a questa morte, dentro di lei si crea lo spazio necessario per accettare la novità: la novità, in questo caso, è il marito storpio, monco, sfigurato, che torna e che dimostra di aver imparato cos’è l’amore. Caterina, che rappresenta la povertà del popolo di Kysuce, si lascia irretire dalle belle parole di Michal e dalle sue capacità amatorie. La crisi è iniziata. Nulla potrà più essere come prima. Ma a differenza di Giocasta che muore portando con sé la colpa e l’orrore derivato dalla verità, Caterina sopravvive portando in grembo il frutto del suo peccato, il frutto della nuova società, il frutto del cambiamento e in Stefan che la perdona scopre un mondo nuovo. La sua vita inizia nuovamente e con essa la vita di Stefan. I personaggi di prima sono morti e dalle loro spoglie mortali sono spuntati due magnifici fiori, i fiori del cambiamento, i fiori del sovvertimento, i fiori della novità
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