Norvat: il ritorno
La sentenza del tribunale fa crollare le speranze di Padych che si
sente come un naufrago disperso tra le onde. Lacqua sincrespa, si agita, si
formano cerchi che si propagano verso le rive e poi più nulla: lacqua torna ad
essere calma e sulla sua superficie si riflette il disco mutilato di una luna che ride
dogni disgrazia umana.
La coscienza di Padych si ribella, ma i cerchi si diffondono sempre
più e lodio è così grande che li spinge al di là dogni possibile ostacolo.
Esce dal tribunale dirige direttamente allosteria.
Alcuni conoscenti siedono dietro tavoli umidi e lerci: masticano
tabacco e sputacchiano ventagli bruni sul pavimento fradicio. Vecchi contadini stritolati
e consumati dalla fame e dal lavoro pesante, dei quali non restano altro che rughe ritorte
sulla fronte secca e ossa pietrose nelle mani.
- Lodato sia
- bofonchia Padych sedendo accanto a loro - Ehi,
oste! - grida - Porta un decilitro a tutti quanti! - e solo dopo chiede: - Che cosa
bevete?
- Come mai tanta generosità?
- Hai guadagnato così tanto?
- Che cosa prendete? - replica Padych con impazienza.
- Se proprio ci tieni
grappa di prugne!
Bevono assieme. Poi, stringendo in mano il bicchiere vuoto e battendolo
sul tavolo, Padych mormora: - Eh, sì
ho guadagnato!
ho guadagnato
abbastanza!
veramente!
Torno ora dal tribunale: mi hanno condannato!
Le sopraciglia fitte degli uomini attorno a lui si drizzano,
sinarcano: sui loro volti compare una smorfia di meraviglia.
- Cosa?
- Non mi dire!
- E chi?
Padych, visibilmente colmo dira, fa riempire nuovamente i
bicchieri e poi, a gran fatica, vomita parole assordanti: - Chi?
Chiedete chi?
E chi se non quel gretto di un ulgan
ulgan loste: che vada al
diavolo! - piccola pausa - Veramente cè di mezzo qualche debito, però
come
se non volessi pagare!
Per chi mi ha preso?
Certo che lo avrei pagato, ma non
ora
- prende la grappa di prugne e la trangugia in una sorsata.
- Eh sì, ulgan è un vero rapace! - annuisce uno di loro.
- Vuole arricchirsi presto.
- E si arricchisca pure
- schiamazza Padych -
solo i ladri
si arricchiscono presto! Ecco, se fosse per lalcol
quel nostro debito
non direi nulla: mi denunci pure, mi porti in giudizio!
Ma per la farina, lo
zucchero, qualche tela
linverno era così lungo e bisognava beh mangiare, dico
io!
Lira lo assale e non riesce più a formulare discorsi coerenti.
Davanti agli occhi gli passano immagini terribili grondanti di miseria nera.
Lanno precedente, verso la fine dellinverno, gli era caduto
addosso un albero del bosco che lo aveva condannato a restare a letto per lintera
estate e la moglie, da sola, aveva coltivato un pezzo del loro piccolo campo per avere
almeno un po di patate.
Era giunto linverno.
Si era ripreso un po e aveva pensato: - Resterò a casa e potrò
intagliare molte assicelle per lebreo Cadce.
Macché!
Il lavoro non gli era andato bene come aveva previsto e
quellunico carretto di assicelle pur se ben intagliate non gli era
bastato per coprire le necessità della famiglia.
Non gli restava altro da fare che andare da ulgan, proprietario
dellosteria e dellemporio, di una casa di mattoni e di una catena doro
che gli arrivava alla pancia.
Ma ulgan non è stupido!
ulgan sa bene come vanno gli affari: sa di chi fidarsi e di chi
no! Non per niente fa credito ai poliziotti e al notaio e conosce tutti i signori della
città.
Lui sa cosa può permettersi e cosa no.
Sì, lui sa perfettamente cosa e a chi può prestare la merce del suo
emporio così che gli ritorni moltiplicata a tempo debito. Ecco perché ha nutrito Padych
con farina rancida e zucchero costoso in un periodo in cui il povero malcapitato non aveva
soldi neppure per comprare il sale e la povertà digrignava i denti in ogni angolo della
sua misera capanna. Lo ha nutrito attendendo il momento ideale per denunciarlo come
debitore.
A causa di un piccolo debito necessario alla sopravvivenza, ulgan
teneva in pugno il povero Padych e sapeva di poterlo distruggere in qualsiasi momento.
- I soldi non li ho, ma devo pagare lo stesso!, dicono
- la voce
di Padych è velata dallalcol - Così pensano i nostri signori! - il sangue brucia
sotto la sua pelle e lo irrita fin nel suo più remoto antro - Arriveranno gli uomini
dellesecuzione e mi porteranno via tutto
non mi resterà più nulla!
- Non esagerare! - cercano di tranquillizzarlo gli amici.
Padych non riesce a calmarsi: - So bene quello che pensa ulgan! -
continua colmo di tristezza - Perché non mi ha denunciato allinizio
dellinverno?
Pensate forse che abbia avuto pietà?
- la sua voce diventa
un lamento - Povero Padych, resterà senza latte, senza nulla da mangiare!
- piccola
pausa e ruggito - No! Lui non è così caritatevole! Lui è furbo! - occhi iniettati di
sangue - Lasciagliela la mucca! Lascia che la nutra lui e quando arriverà il
momento
- sfrega le mani -
quando finirà linverno
gliela
prenderò grassa e ben custodita
- è un monologo di piombo, gonfio di disperazione,
madido del sudore rancido in cui nasce e muore il povero popolo di Kysuce.
Padych e compagni escono dallosteria e dirigono verso casa.
Il cielo è azzurro e il sole pallido brilla ancora.
È febbraio: la neve copre tutto il paese e il gelo, terribile durante
la notte - notte nera come i velluti destinati ai morti - fa ghiacciare i fiumi nelle cui
acque si riversano la povertà e la tristezza del paese.
Scorrono le acque: scendono dai pendii impervi e sgorgano da capanne
povere irrompendo nel Vah e nella Dolna. Sono convogliate dai grandi fiumi attraverso
lande desolate, campi arati di fresco, rigogliosi prati dove pascolano buoi grossi e
villaggi in cui si mangia pane bianco. Raggiungono la parte meridionale del paese dove la
gente sa che esiste un angolo di mondo chiamato Kysuce.
Kysuce? Da qualche parte lassù!
Kysuce: terra martoriata, dove ogni anno tempeste e diluvi strappano
zolle di terra e le portano via, dove non crescono né graminacee né segale.
Kysuce: terra sfortunata, dove ci sono per lo più donne, perché gli
uomini devono emigrare in Francia, a Cuba, in Canada o in Argentina e dove la miseria
affoga nellalcol denaturato.
Gli amici hanno raggiunto le loro casupole sparse e Padych resta solo.
Attraversa il villaggio, passa acanto alla chiesa e oltre la chiesa
scorge losteria di ulgan.
Siede su un muretto e ride con amarezza, mentre un pensiero malvagio
attraversa la sua mente: - Che gli venga un accidente!
Si alza, attraversa la via e percorre un tratto di marciapiede, svolta
a sinistra e intravede la sua baracca. I raggi di un sole serale, obliqui, leccano
assetati la neve.
Gli stivali scivolano sul marciapiede ghiacciato, cade, impreca dentro
di sé. La miseria è rovinata su di lui come unenorme montagna e lui non ha potuto
evitarla: lo schiaccia come un verme impotente, col suo peso lo tiene fermo e lo obbliga a
osservare la realtà del suo mondo.
Quando entra nel locale, laria pesante lo schiaffeggia in volto e
lo fa vacillare sulla soglia. Per terra siede una bambina: gioca con una bambola di
stracci lerci. Caterina, la sua donna, siede accanto alla finestra ombrosa e tesse un telo
di lino.
- Allora? - chiede timidamente mentre lui chiude la porta. Non corre ad
abbracciarlo, ma lo stringe a sé con occhi tremanti di paura. Nel suo cuore una scintilla
di speranza e una fiammella viva trucidata dalla risposta del marito.
- Mi hanno condannato!
Gli occhi affettuosi della donna si socchiudono. Una torbida nebbia li
vela e due lacrime, solo due lacrime, scendono lungo le sue belle e giovani gote.
A Kysuce non si piange e due lacrime non sono poche.
A Kysuce piangono solo le vecchie con occhi ciechi.
A Kysuce piangono solo i bambini colpiti da congiuntivite.
A Kysuce la gente non piange e due lacrime non sono poche.
I venti di primavera non hanno ancora iniziato a soffiare lungo le
pendici dei monti, sui campi e sulle pianure ancora coperte di neve in febbraio, quando
arriva nella valle un agente.
- Cerchiamo uomini da mandare in Francia! - annuncia e la notizia, come
un piuma leggera, vola di bocca in bocca e si divulga per il paese.
Alcuni uomini del villaggio vanno dal sindaco per accertarsi della
veridicità della notizia e per vedere in volto lagente che la propaga.
È la verità!
Lagente agita fogli colmi di timbri dei vari uffici di stato e
mette al corrente la popolazione delle novità. Le sue parole assumono i connotati di
franchi doro e creano unimmagine della Francia come di una montagna di pane
bianco in attesa di essere tagliato e mangiato.
Ci sono pochi uomini. In parte sono già sparsi per il mondo e quelli
rimasti non si fanno avanti.
Frattanto, la popolazione della Francia del nord, appena uscita dalla
Grande Guerra, si riprende con difficoltà. Gente vestita di stracci, affamata e piena di
idee rivoluzionarie comincia ad alzare la testa dopo essere stata sottomessa per tanto
tempo allingiustizia.
- Vogliamo vivere come uomini! - gridano.
- Vogliamo avere unesistenza dignitosa! - proclamano.
Cè chi scava nelle miniere, chi ripara fabbriche distrutte dai
bombardamenti e chi spiana la terra sconquassata dalle bombe, cosi che dal mare della
povertà possa nascere una nuova generazione toccata dal benessere.
A Kysuce nessuno sa cosa voglia dire vivere dignitosamente.
Alla gente di Kysuce basta avere un tetto, anche se non bellissimo,
sotto il quale ripararsi e, oltre alle patate, anche un po di farina. Le stalle di
pietra restano sorde nei confronti delle speranze ridicole e dei pugni dei padroni, che
attraversano questa terra contando di arraffare e ne escono con le mani vuote.
Padych guarda le sue mani larghe e forti: - È un peccato che mani
così debbano essere pigre! - pensa.
Decide di partire per la Francia.
- Mi sono iscritto. - annuncia a sua moglie quando torna a casa.
- Come potrò farcela da sola? - chiede Caterina tra i singhiozzi -
Proprio adesso che ulgan ci ha ingannati
ci prenderanno la mucca e poi, cosa
faremo?
- Forse è meglio così
- la incoraggia Padych -
sei
riuscita a vivere sola fino ad ora
tutto lanno
riuscirai anche dopo la
mia partenza.
Sono parole definitive, decisive.
Padych inizia a prepararsi per il viaggio perché il termine di
partenza si avvicina.
Quando incontra gli amici della campagna, gli chiedono: - Come ti
troverai nella città straniera, tefan? Non hai paura?- lui risponde con sicurezza:
- Non cè motivo di aver paura
meglio vivere allestero che restare a
casa a morire di fame.
Si sente benissimo.
Si prepara a partire e si rallegra: è diventato il centro
dinteresse del villaggio e alla gente che lo ferma e che gli chiede della Francia,
lui risponde come se fosse già lì, usando le parole rosa e dolci come caramelle
dellagente.
Al contrario, a casa, parla poco della sua partenza.
Caterina piange di nascosto: aspetta che se ne vada.
A volte, quando lui ritorna, gli chiede: - Dimmi, tefan, i soldi
me li manderai? Ti prego, non dimenticarti di noi, perché qui, senza di te, non staremo
per niente bene.
Frasi sdolcinate e parole damore non hanno mai trovato terreno
fertile tra le mura povere del loro rifugio.
Padych ha una moglie stupenda dalla pelle rosata come il sole
allalba.
Ascolta le sue parole, ma non labbraccia.
Ascolta la sua richiesta, ma non la bacia.
Percepisce il suo timore, ma non si avvicina e non la accarezza.
Con unombra di preoccupazione, sentimento tipico per la gente di
Kysuce dichiara: - Te li manderò
dicono che lì si guadagna bene e i prezzi sono
bassi
È lultima notte.
Padych si sdraia accanto alla moglie.
Il dolore delladdio accende lamore nel cuore di Caterina.
Le sue braccia nivee e le sue cosce fresche lo stringono in una passione esplosiva che
segrega nellanima il pianto.
Molti granelli di sabbia sono passati attraverso il restringimento
della clessidra e tefan è già assente da parecchio tempo.
I pensieri di Caterina vagano e penetrano mondi lontani, realtà
sconosciute, situazioni misteriose.
Immagina il marito a riposo: è sabato e lui, pulito e profumato, con
lo stipendio nella borsa, si reca alla taverna per bere una birra. Ha un cappello nuovo
e
sogni.
Così, tefan Padych, che non aveva mai avuto la fortuna di
conoscere il vero significato della parola vivere, si è recato in Francia a lavorare.
Assieme a migliaia di altri stranieri, polacchi, africani, italiani, ha lasciato la sua
famiglia, la sua realtà, la sua tradizione e forse ora rimpiange questa sua decisione. In
quella terra, dove i campi sono pieni dei cadaveri di soldati
dove inizia a crescere
un grano nutrito dai resti dei caduti in battaglia
dove qualcuno ha guadagnato
grazie alla guerra
sogni.
Quando sui campi nudi comincia a crescere lerba e i bambini
escono dalle loro case dopo il lungo inverno e i pastori portano fuori le greggi: Caterina
saluta per lultima volta la sua mucca Rosalina.
- Cosa farò, ora? - si chiede tra le lacrime - Cosa succederà?
La mucca Rosalina, trascinata via da ulgan e dagli esecutori del
tribunale, cerca lo sguardo di Caterina. I suoi grandi occhi scuri sono confusi.
Caterina cerca di persuaderli a lasciargliela: - È tutto ciò che mi
è rimasto!
- piange la donna pensando alla piccola Veronica - Rosalina, tu sei la
nostra vita! Come faremo senza di te. - copiose colano le lacrime sul suo viso.
- Nahyeee! - ulgan tira la corda e, senza tradire il minimo
ripensamento, trascina via lanimale. Nessuna pietà.
- Non una volta sola ho detto al tuo tefan di saldare i suoi
debiti, ma lui non si è fatto mai vedere
- la voce di ulgan sembra cercare
una scusa alla sua crudeltà -
come puoi dire che è colpa mia?
Prenditela con
tuo marito
avrebbe dovuto pagare quando era il momento!
Caterina cade a terra come svenuta con gli occhi pieni di lacrime e le
donne che la guardano compatendola le dicono: - Non piangere, Caterina, non serve a
niente
non aiuta
- a Kysuce, infatti, non si piange mai.
- Dio lo punirà! - pensa la giovane moglie di Padych ascoltando
lassurdità di quelle parole di consolazione.
Poi, allimprovviso, diventa indifferente: a cosa servirebbe? Se
anche Dio avesse punito allistante ulgan attraverso la forca, una brutta
malattia, una morte atroce o chissà cosaltro, la stalla di Caterina sarebbe rimasta
vuota. Lei ha speso la sua vita qui, in questo luogo e la vede come un albero flagellato
dalla pioggia, mozzato dal fulmine, rotto dal fardello della neve. Guardando Rosalina che
si allontana, immagina lultimo ramo rimasto che si spezza sotto il peso
dellingiustizia.
Da quel momento, per Caterina diventa difficile trascorrere ogni minuto
nella sua casa vuota e dalla partenza di tefan non aveva più avuto sue notizie.
I giorni passano inesorabili e pieni di silenzio: il lavoro si accumula
in strati regolari col trascorrere delle settimane e quando queste sono già sei, Caterina
inizia a pensare che tefan è via da parecchio tempo ed è molto strano che ancora
non scrive: - Anche se la Francia è lontana da Kysuce, - pensa - le lettere dovrebbero
arrivare velocemente.
Caterina non aspetta una lettera in cui tefan le dichiara il suo
amore. La gente di là non usa la posta per questi scopi: - "Sono qui, sto bene,
lavoro, guadagno, vomito.. manderò dei soldi" - gli uomini, dallestero,
scrivono lettere di questo genere alle loro donne. E loro sono pazienti, perché sanno che
la vita è dura.
Anche Caterina aspetta una lettera simile.
Esce da casa coprendosi gli occhi per il sole e aspetta il postino.
- Non mi ha scritto tefan dalla Francia? chiede sempre
più spesso vedendo crescere il suo stato di povertà.
- Non scrive, Caterina, mettiti il cuore in pace, non scriverà! Forse
ha già trovato unaltra
- risponde il postino sorridendo con un sorriso che
non vuole offendere nessuno, perché, a Kysuce, la gente, non desidera mai offendere
nessuno.
A Kysuce tutti soffrono la povertà e nuotano nel mare della miseria e
della sofferenza. Ognuno aspira unicamente ad occupare il posto che gli è assegnato
lottando fino alla fine per poterlo mantenere.
A Kysuce ognuno bada solo alla propria miseria.
Caterina, dopo aver ascoltato le risposte del postino, corre in casa e
cade sul suo letto: unisce le mani sospirando e resta distesa come morta, in silenzio.
Intanto, la piccola Veronica si avvicina, la prende per mano, le fa il solletico sotto le
ascelle - i bambini vivono ingenuamente la sofferenza e riescono a restare sospesi tra il
sogno e la realtà - ma quando vede che la madre non le presta attenzione, torna dalla sua
bambola.
tefan continua a non scrivere.
È sera.
La nebbia copre le stelle e il vento trasporta il dolce profumo della
terra per tutta la campagna.
Caterina sta tornando a casa dal villaggio. A ogni passo ricorda il suo
tefan e ogni sospiro le rammenta che non le ha ancora scritto: - Forse mi ha già
dimenticata
- pensa con rammarico -
o forse è malato
- si sente toccata
dalla sfortuna e ogni boccata daria che respira si trasforma in una pietra pesante
nel suo intimo deluso.
Passa accanto alla taverna di ulgan. Una luce opaca filtra dai
vetri polverosi e sulla strada sente un passo leggero poco distante da lei.
Unombra si avvicina.
Aguzza lo sguardo e intuisce trattarsi dellombra di un uomo.
- Buonasera
- ossequia velocemente, perché a Kysuce saluta
sempre prima la donna.
Un sussurro dellombra: - Buonasera.
Si ferma in mezzo alla strada e sente
come un continuo rumore di
scarpe in movimento. Sente
come una moltitudine di sguardi su di sé. Sente
come uno strano disagio crescerle dentro. Sente lansia che le offusca il cuore.
Sente che deve correre e inizia a muoversi velocemente verso casa.
Fino a quel momento pensava di non conoscere la timidezza, ma
improvvisamente, sentendosi vicina lombra di quelluomo sconosciuto, è come se
la tela invisibile del timore e della preoccupazione lavvolgesse. Nel suo animo
sinsinua qualcosa che non sa riconoscere: una scintilla piccola piccola che potrebbe
dar vita alla fiamma del cambiamento.
Raggiunge la sua capanna ansimante. Il turbamento iniziale si è
trasformato ed ora sente come se un vento gioioso scendesse dalle colline abbracciando gli
alberi e si fermasse davanti alla sua finestra: nelloscurità ode il diffondersi
dellurlo di un ubriaco.
La mattina seguente, mentre Caterina è intenta a spaccare un pezzo di
legno contorto sotto la tettoia della stalla, riceve la visita della signora
Kaubova, conosciuta in paese per essere una gran chiacchierona: - Deve essere
difficile spaccare un ceppo simile per una donna! - esclama così, tanto per iniziare il
discorso.
- Difficile. - confessa Caterina assestando un colpo deciso con
lascia.
La lama si incastra nel legno, ma il ceppo non si spacca.
- Ha sentito lurlo durante la notte? sicuramente la
Kaubova vuole sapere qualcosa ma non osa chiederlo apertamente.
Caterina non risponde. Non sa se fosse un sogno: effettivamente ha
sentito un urlo la notte prima, ma ora non riesce a distinguere cosa fosse sogno e cosa
realtà.
La Kaubova continua: - Tutti gli uomini sono tornati a casa
ubriachi. Il mio vecchio
che crepasse!
è tornato a casa e si è gettato nel
letto vestito
Caterina la guarda indifferente.
Non si interessa degli uomini.
Non le importa cosa fanno.
Fosse per lei potrebbero uccidersi tutti.
Lunica cosa che le importa, al momento, è che il pezzo di legno
ceda sotto i colpi della sua scure.
- E sai chi gli ha pagato da bere? - la Kaubova non vuole
interrompere il discorso.
Voce distaccata: - Chi?
- Michal Valancák.
Caterina resta ferma con la mano sulla lama dellascia ancora
incastrata nel ceppo. Il suo stupore assume i connotati di un urlo soffocato.
- Michal! ripete la Kaubova.
- Ma è andato in America!
- È già tornato
e ha tanti di quei soldi che qui in paese
nessuno li ha mai neppure sognati!
Questo è quanto mi ha raccontato il mio
vecchio
crepasse!
e adesso sta poltrendo a letto con la testa che gli
scoppia
ubriacone!
Caterina è confusa.
Tre anni prima Michal è partito per lAmerica, ma prima di
andarsene - ricorda la giovane - veniva sotto la sua finestra e le cantava il suo amore.
Le stelle ardevano appassionatamente nel suo oscuro cielo interiore e Michal insisteva: -
Caterina, ti sposerò
staremo bene noi due assieme
vedrai
devi dire
soltanto una parola
- Caterina, però, taceva. Lo ascoltava per un istante e
chiudeva la finestra.
- In realtà non ha guadagnato molto nei tre anni di lavoro in
America
- il momento presente le cade addosso sospinto dalle parole della
Kaubova: si volta verso di lei - Per lo meno non da solo! - confessa ridacchiando la
donna - Dicono
che abbia ereditato una fortuna dallo zio
certo Privarcák
Dio se lè portato via, pace allanima
sua
tu non lhai conosciuto
lui era da anni in America
è stato lui
che ha mandato a chiamare Michal
- Lui
- ripete meccanicamente Caterina visibilmente sconvolta.
Benché fossero passati degli anni, non ha dimenticato quel giorno in cui, poco prima
della sua partenza, Michal le tagliò la strada e le disse con una certa aggressività: -
Sappi, Caterina
se dovessi star male in America, sarà solo per colpa tua!
Non
dimenticarlo: per colpa tua!
Allora, però, Michal era solo un ragazzo senza esperienza, un bulletto
alla ricerca di un suo posto nel mondo.
Mentre la Kaubova racconta la storia del ritorno di Michal, passa
il postino.
Caterina lo ferma e gli chiede: - Niente? - e quella parola,
quellunica parola si smorza in bocca come se già nascondesse la risposta: - Niente.
Prende il fazzoletto e lo preme sugli occhi. Avrebbe una gran voglia di
piangere: la tristezza lassale allimprovviso. È come se tutto ciò in cui
crede, la sua speranza, la sua attesa
è come se tutto le scivolasse di mano
ponendola nuda di fronte alla sua miseria infinita.
Niente: il niente prende forma in lei e la sua mente non considera
minimamente la moltitudine di altre disgrazie che si consumano nello stesso istante nel
mondo: navi a vapore che affondano, fabbriche che bruciano, miniere che esplodono.
- Come mai tefan non ti scrive? - chiede la Kaubova.
Caterina guarda la sua vicina con gli occhi bagnati: un lampo
improvviso la attraversa, un lampo dira. Contro di chi?
La Kaubova se ne va: Caterina raccoglie la legna e torna nella
sua stanza dove, sul pavimento di sasso, siede la piccola Veronica. Tra le mani ha la sua
bambola di stracci: la culla e calma il suo posticcio pianto inavvertibile: - Sssst,
sssst!
piccola mia
lo so, hai fame
ora ti cucino il tuo brodino!
Caterina sorride: scuote la cenere nella stufa e accende il fuoco. La
sua mente nuota tra le acque amare dei sogni: dalla mattina si sente prigioniera di
sentimenti sconosciuti che producono espressioni strane sul suo viso chiaro. La sofferenza
di tante settimane solitarie e la miseria di un presente che sembra non voler migliorare
la imprigionano sempre più in un cerchio di ferro
e da un cerchio simile non si
esce.
tefan.
tefan diceva: - Andrò in Francia e ci sentiremo meglio
con
me se ne andrà una bocca affamata
guadagnerò e ti manderò molti soldi! - e
Caterina ripose tutta la sua speranza in tefan. Si sentiva orgogliosa: suo marito
sarebbe partito per un paese lontano, avrebbe visto il mondo. E nella sua anima conservava
una scintilla di speranza: grazie ai soldi che tefan le avrebbe mandato, avrebbe
potuto procurarsi delle patate e pagare i debiti al signor ulgan e
e
riprendersi Rosalina, la sua mucca tanto preziosa.
Ora la scintilla si spegne: dentro di lei alberga il buio.
Inoltre, a peggiorare la situazione cè anche questultima
novità: Michal Valancák è tornato. Proprio quel Michal che rivolse parole tanto dure
prima della partenza è tornato e
sta bene!
Come per incanto le immagini della sera precedente tornano alla memoria
di Caterina: è come se due occhi sconosciuti abusassero di lei
due fiamme ardenti
che la trapassano provocandole dolore.
Adesso è sicura: era lui!
Un presentimento la porta a girare la testa verso la porta:
unombra lunga e scura la osserva.
Sussulto.
È la mensola di legno di quercia: i raggi obliqui del sole indicano
che la sera si sta avvicinando.
La notte cala e, solo quando la stanza è completamente al buio, con il
corpicino di Veronica che stringe la sua bambola addormentato sul letto, Caterina sente
che qualcosa sta per succedere.
Esce dalla stanza e si ferma davanti alla propria abitazione.
Il buio è denso, profondo.
Le finestre fiocamente illuminate delle casette ai piedi del colle
sbirciano audaci.
Accanto a una casa un cane abbaia e, come una catena gestita dal caso,
lentamente, altri cani lanciano il loro bestiale latrato che balza di campo in campo, di
colle in colle fino a calmarsi nella attesa di un nuovo motivo per ricominciare.
Caterina torna nella sua stanza.
Accende la lanterna dal vetro annerito di fuliggine.
Il buio si allontana emarginandosi oltre le finestre opache.
Nella stufa, una debole fiamma sta terminando di bruciare.
Come ogni sera siede al tavolo a ricamare: le ore passano, gli occhi si
stancano.
Si ferma.
Ripone il lavoro in una cesta e prende la testa tra mani rovinate dal
duro lavoro. Dentro di sé non vede altro che ombre pesanti e spaventose che si muovono
nelle tenebre.
Silenziosa silenziosa, più silenziosa del silenzio stesso, la porta
della stanza si apre.
Prima che qualcuno possa rendersi conto del movimento, la porta si
chiude.
Occhi insicuri e capelli sciolti sulla fronte, fierezza e gioia: -
Caterina
- sussurra quel nome come se avesse paura di disturbare il mutismo
incantato di ciò che lo attornia.
Lei si spaventa.
Si volta di scatto verso di lui e, con occhi sofferenti, ma ancora
bellissimi seppur confusi, chiede: - Perché sei venuto?
- Sono passato a vedere
a vedere come stai
- risponde
timidamente, atteggiamento strano per lui.
Si muove.
Si avvicina al tavolo. I suoi occhi non si staccano dalla giovane
donna.
Siede accanto a lei: la osserva. È ancora bella.
La contempla: le guance infossate
è dimagrita. Venticinque
primavere hanno segnato quel viso contornato da una corolla doro simile alle corone
che i bambini attorcigliano attorno alle madonne sofferenti del campo.
- Stai bene, Caterina
adesso
con tefan?
- È andato in Francia.
- Lho sentito.
Lei china la testa. Sul bordo dei suoi occhi si vedono luccicare le
lacrime.
- Ho sentito tutto
- continua Michal -
so anche perché se
ne è dovuto andare
ulgan, quel vampiro!
so che si è preso la
mucca
- Hai chiesto in giro?
- Beh,
non ne ho avuto bisogno
la gente parla da sola, sai?
- Non raccontarmi bugie
dimmi: perché sei venuto?
Mette una mano in tasca: - Hai sentito? La notte scorsa ho fatto bere
tutti gli uomini
lho fatto perché volevo far loro capire come ero quando sono
partito e come sono ora che sono tornato. - si vanta: toglie di tasca un sacco di soldi e
li butta sulla tavola - Scegli, Caterina!
- Cosa stai facendo?
Dimmi solo perché sei venuto
- Voglio che tu scelga. Quanto hai bisogno?
Caterina si alza e imprime il suo sguardo infuocato su di lui. Si sente
imprigionare da forze malefiche che la incatenano bloccando ogni parte del suo corpo.
- Sei un fanfarone! - pensa
con calma si rimette a sedere accanto
a lui.
Fuori, nel buio intenso, si sentono le note malinconiche di
unarmonica che intonano una canzone:
Horelica, Cadca,
chiesa di Zákopec,
vengo da te ragazza,
però devi preparare il letto
Michal resta un istante in ascolto: - Li senti? I giovanotti del
villaggio sono in cerca di morose
- ridacchia.
Lei non risponde: si sente come se qualcosa lavesse colpita sulla
testa con un peso invisibile.
- Un tempo andavo anchio
- il suo sguardo perso
allinfinito e la sua voce soave.
Caterina non riusciva a capire il perché di quel tono.
- Ricordi quando venivo da te?
Stavo sotto la tua finestra, ma
non mi hai mai lasciato entrare
per te sono stato
- non finisce la frase, fa
un gesto con la mano e ride amaramente.
Caterina sente il pianto salirle fino in gola: è dispiaciuta.
Il suo cuore si spreme come un frutto maturo.
Michal si alza. Mette il cappello abbassandolo sulla fronte.
Allestremità della sua bocca si indovina un sorriso infausto. Sventola le banconote
e dice: - Bene: quanto hai bisogno? - divide il mucchio di soldi: una parte la dà a
Caterina e il resto lo ficca in tasca come fosse carta straccia. In quellatto
cè qualcosa di strano: - Paga il debito con ulgan, riporta la mucca a casa e,
se ti chiedono qualcosa, di che hai avuto un prestito dalla tua famiglia.
Caterina non lo ascolta: non lo guarda. Si sente debole e deve
combattere una battaglia difficile: - E tu, Michal
non lo dirai a nessuno?
Lui non risponde.
Si avvicina alla giovane donna: la abbraccia, la bacia
appassionatamente e se ne va chiudendosi la porta alle spalle.
Correndo nella notte, inciampa in radici nascoste dal buio sotto lo
sguardo del monte Polana che tace come un uomo che inghiotte
la propria ingiustizia: scende al villaggio con anima allegra e serena.
Anni prima, quando si recava da Caterina, restava sempre con una nuvola
opprimente attorno alla fronte: - Vai via, Michal, vattene, io non ti voglio! - diceva la
giovane a quei tempi e i ragazzi del luogo si beffavano di lui: - Nessuna donna ti vuole!
- lo schernivano. Oggi, però
oggi tutto è cambiato. Al villaggio, tutti lo seguono
come se fosse un eroe e vogliono diventare suoi amici.
Caterina pensa a lungo cosa fare con tutti quei soldi. Li tiene in
mano, li contempla e, quando finalmente sembra decisa di andare da ulgan, li infila
tra le pagine di un vecchio libro che nasconde nel cassetto del tavolo. Dentro di lei
sente crescere il dubbio e la paura: cosa avrebbe detto ulgan vedendola arrivare con
quel mucchio di soldi?
E la gente?
Si sa come le malelingue sappiano mettere in giro falsità e inventare
storie assurde pur di far del male al prossimo.
Mentre pensa a tutto ciò, però, le ritorna in mente lultimo
affronto subito e lamarezza invade la sua bocca. La inghiotte e decide.
Alcuni giorni prima, non potendo fare altrimenti, si recò da
ulgan per un po di farina e una bottiglia di petrolio.
- I soldi li hai?- gli chiese con cattiveria loste.
Lei non aveva soldi.
- Ma mi prendi per scemo? - iniziò ad urlare lusuraio - Senza
soldi non ti darò neppure un seme di papavero!
Caterina, stordita dalle parole dellusuraio, restò immobile come
un muro.
- Puoi anche andartene! - gridò ulgan - Aspetti invano
da
me non riceverai nulla!
Così, ricordandosi questa situazione e il sentimento di vergogna e
sottomissione che la invase, decide di pagare quel debito.
Va da ulgan, estingue il debito, paga gli interessi e lascia
loste a bocca aperta tra le pareti della sua taverna, portandosi via Rosalina.
Inspira felice aria nuova.
Anche se è già la fine di aprile, nota che sui rami di un pero
fischia il primo stornello e solo in quel momento si rende conto di una macchia fiorita
sotto una collinetta: le prime primule gialle si aprono al mondo.
In quei giorni, durante le serate scure, quando nubi nere si muovono
basse e infinite e le capanne vicino ai ruscelli sono nascoste dalla nebbia e i sentieri
madidi sembrano senza né inizio né fine, Michal, protetto dal buio, si reca segretamente
da Caterina.
Solito rituale: siede al tavolo, si leva il cappello, lo lancia su una
sedia in un angolo della stanza e la guarda.
Con il passare del tempo gli occhi del giovane si inumidiscono. La sua
voce diventa un urlo folle che fa tremare tutte le bettole del villaggio e sulla sua
fronte si formano dei profondi solchi nei quali sassestano nubi di inquietudine.
Una sera, arrivando da Caterina, ancora stravolto dalla baldoria della
notte precedente, lei gli si avvicina, gli appoggia una mano sul braccio e lo mira con
dolcezza negli occhi turbati: - Dimmi, Michal, perché fai tutto questo?
Lui toglie quella mano dal suo braccio, la stringe nei palmi e
risponde: - Chiedi perché?
Ma
perché ti
ti amo!
Caterina sussulta e abbassa lo sguardo lasciando la sua mano tra i
palmi infuocati di Michal: - Non dire stupidate, Michal
sai che sono
una donna
sposata.
- Certo, ma tefan?
Chissà se tornerà mai? - replica
Michal sentendo un gran dolore che lo percuote dal di dentro - Se ne è andato, si è
sbarazzato della sua povertà e ha dimenticato chi lo aspetta
Nella parte più nascosta dellanima di Caterina nasce il pianto.
Michal tira Caterina a sé, la fa avvicinare, la fa sedere al suo
fianco: - Un tempo, quando ero un giovane di questo paese, nessuno mi notava
oggi,
invece, potrei comprare tutto il paese nella bettola
i ragazzi si burlavano di me,
le ragazze non mi lasciavano entrare nella loro vita
mentre oggi
oggi potrei
ad un tratto sposarle tutte!
- E allora? - chiese Caterina senza titubanza.
- Non voglio!
- fa una pausa - È vero, tu sei sposata,
Caterina
- la stringe forte e lei si scioglie nellabbraccio. La sua anima si
appassiona alla nuova affinità e scavalca ogni possibile pregiudizio o abitudine
dissolvendosi come una nuvola bianca nel cielo rosa del mattino.
La pioggia inizia a tamburellare sul tetto della capanna:
improvvisamente il vento sbatte ventagli dacqua sui vetri della finestra.
- Piove. - sussurra Caterina.
Michal si alza e fa per andarsene.
Apre la porta e sente il suono che fa lacqua quando cade.
Rientra.
Chiude la porta e si strofina le mani: - Non piove, diluvia!
e si
sta alzando anche la bufera. - tace.
Lei lo guarda profondamente e nota il dispiacere sul suo volto.
Michal si avvicina. Labbraccia con mani forti: la voce trema di
un sentimento sconosciuto: - Caterina, è vero che con questo tempo
non si
manderebbe via neppure un cane
Lei non risponde, appoggia la testa sulla sua spalla e, mentre lui la
conduce dolcemente verso il letto, con una mano gli accarezza il collo.
Da quella sera in poi, Michal si reca sempre più spesso da Caterina,
approfittando delloscurità della notte.
È diverso dagli altri. È diverso da tefan. Lo sente dentro, una
sensazione non cosciente che giunge direttamente dal suo umile cuore. Quando la prende per
mano, quando le accarezza i capelli e le guance, quando la stringe al suo petto.
tefan non lo faceva mai. tefan non parlava mai damore: per lui esisteva
soltanto lascia pesante con la quale, per anni, si era guadagnato il pane.
Così, una notte, con il vento che corre tra i monti, Caterina dice a
Michal: - Michal,
caro,
cè qualcosa di brutto
Lui si gira dal fianco sulla schiena, mette le mani sulla testa e
chiede con una certa indifferenza: - Cosa cè che non va?
- Sono incinta
Abbozza una risata e tace.
- Non dici nulla?
Ride di nuovo, ma questa volta il riso è unesplosione e le sue
parole non nascondono un qualcosa simile alla felicità: - Quindi
avrò un bambino?
Giunge la mattina e Michal si alza e se ne va.
Lalba lo incontra sulla strada che percorre lentamente: davanti a
lui la città.
Dai campi vicini si alzano in volo stormi di corvi che disegnano in
cielo una croce nera.
In poco tempo, la notizia che Caterina ha pagato il debito con
ulgan e si è riportata la mucca a casa è sulla bocca di tutti. I pettegolezzi non
smettono di esaltare lavvenimento. Ma tra tutte le dicerie, cè una domanda
alla quale nessuno ha ancora saputo dare risposta: "dove ha presto tutti quei
soldi?"
Questo è il grande segreto che ognuno vorrebbe svelare. Ma nessuno ha
il coraggio di chiederlo a Caterina e lei, di sua iniziativa, non parla con nessuno.
Dal giorno in cui Michal lha aiutata con i soldi - creandole
altri problemi - si è recata raramente al villaggio e la gente non esita a chiacchierare
a proposito di questo suo comportamento etichettandolo come pura e semplice vanità.
Versioni distorte della realtà si espandono a macchia dolio
passando di bocca in bocca e fantasie travisate iniziano a prendere forma crescendo come
un albero i cui rami si propagano di stagione in stagione.
Caterina è disperata, permeata di vergogna. Trascorre le sue giornate
decorando il giardino, nascondendosi dalla gente, rispondendo con mezze parole a chi si
avvicinava e a chi si trovava a passare sulla via del lavoro.
Giunge maggio e la gente intona canti allegri.
Caterina è molto triste, prigioniera di un rimorso che le pare ben
più terribile della povertà che si è lasciata alle spalle. Un rimorso alimentato dalla
prolungata assenza di Michal, che da qualche tempo non la viene più a trovare. Non riesce
a capire cosa abbia fatto di male per provocarne lallontanamento. Lunica cosa
certa è che sa con precisione di aver fatto qualcosa di molto brutto, qualcosa di molto
contrastante con quanto le è stato insegnato in chiesa.
Sta sistemando unaiuola quando nota il postino che si avvicina.
Lo guarda, così, senza nessun imbarazzo: ormai è abituata a vederlo
passare senza alcuna lettera di tefan e lei ci ha fatto il callo. Non si aspetta
più alcuna notizia dal marito partito molto tempo prima per un paese lontano.
Lo guarda e sorride: un sorriso che racchiude in sé la domanda e
chiede il solito gesto del capo che, senza proferir parola, risponde: - No.
Ma quella mattina: - Sì, ecco!
Una lettera per te!
Lha impostata con un francobollo azzurro.
La prende tra le sue mani tremanti.
Scrittura estranea: corsivo pesante sulla busta. Sul davanti
lindirizzo di tefan.
Entra in casa, lontana da occhi indiscreti.
Prende un coltello e taglia il bordo superiore della busta: "Dunque
è così
" - le parole del marito sono scritte da una mano sconosciuta -
"
la nostra vita è segnata dalla sfortuna. Subito dopo il mio arrivo alla
miniera, sono stato vittima di unesplosione. Ho perso una mano e il viso è
irriconoscibile. Avrei voluto scriverti prima, ma senza la mano
e qui
allospedale, fino ad oggi, non cera nessuno che sapesse scrivere in slovacco.
È arrivato un tipo con la gamba rotta. Non ci starò a lungo
spero che per
lestate mi mandino a casa
"
La notizia abbatte Caterina. Bianca in viso saccascia al suolo
esanime.
Il fatto che sia sfigurato, derubato di un arto, sofferente, passa in
secondo piano: ciò che ritiene e che la fa star male sono le parole finali, lultima
affermazione: "
spero che per lestate mi mandino a casa
"
Una eco lontana le rimbalza in testa: "tefan ritornerà a
casa e troverà la moglie che si è data a un altro uomo!"
- Hai governato bene la casa! - dirà e la bastonerà perché non
potrà fare altro.
Caterina resta sospesa su un abisso: si sente male. Le idee si tingono
di nero e si confondono nella sua testa: si invischiano come le ali delle mosche nel miele
e la portano a perdersi in fetide paludi senza uscita.
Stordita come un salice gelato sulla riva di un fiume, prepara il
pranzo e dà da mangiare alla piccola Veronica prima di mandarla a giocare in giardino.
Prega: una preghiera vuota che si perde nel tempo come i colpi di un
martello che batte laria.
Chiude la porta di casa e accelera i corso degli eventi.
La notizia della lettera di tefan si sparge presto in tutto il
villaggio e la signora Kaubova non perde occasione per passare da Caterina e
scoprire cosa le scrive il marito.
- Mamma è in casa? - chiede alla piccola Veronica seduta accanto alle
aiuole.
- Sì, sì
in casa
- risponde la fanciulla con le poche
parole che sa e con due occhi grandi e azzurri.
La Kaubova afferra la maniglia, la abbassa e tira verso di sé la
porta.
- Come mai è così dura? - si chiede - È come se
- tira più
forte e la scosta quel tanto che basta per sbirciare allinterno -
per Dio! -
esclama piena di terrore.
Utilizza tutta la sua forza e spalanca luscio.
Caterina penzola dalla trave: la corda, fatta passare al di sopra di
essa, è stata fissata alla maniglia e lentamente la soffoca estirpando dal suo intimo
lessenza vitale e la malerba della vergogna.
Visibilmente perturbata, con le gambe pervase da tremore, la
Kaubova, corre sulla strada e grida in direzione del villaggio: - Aiuto! Aiuto!
La gente accorre e libera la giovane dalla tensione del cappio.
- Non è stata appesa per molto tempo
- dice un uomo che tasta il
suo collo.
- Veloci, ragazze! Portate dellacqua! - ordina un altro signore
inginocchiato accanto al corpo immobile di Caterina.
Qualcuno porta lacqua e iniziano a rianimarla.
Mentre la distendono sul telo, la Kaubova, che le sistema la
gonna, posa una mano sulla pancia rigonfia e, dopo aver preso un profondo respiro, mugola
tra i denti: - Ma questa ragazza è
incinta!
Caterina è riportata alla vita contro voglia.
Nei giorni e nelle settimane che seguono, cerca di evitare la gente
più che può. Va in panico alla sola idea di incontrare chicchessia e ha timore di
restare sola con se stessa.
Di giorno in giorno, nei suoi occhi, si accentua la paura: gira per
casa con occhi sbarrati, cieca, rapita da un malessere crescente. A peggiorare la
situazione ci si mette pure la gente del villaggio che, nel corso delle settimane e dei
mesi, fa volare la notizia di casa in casa alzando il dito accusatore e giudicando il
peccato della poveretta.
Le malelingue iniziano a confabulare, ad elucubrare, a congetturare e a
intessere trame dal sapore amaro.
Il nome di ulgan balza al primo posto nella lista dei presunti
padri del nascituro: una supposizione abbastanza plausibile se si considera il quesito
ancora irrisolto dellestinzione del debito e del ritorno della mucca Rosalina a casa
di Caterina. Quando Caterina viene a conoscenza di questo nuovo pettegolezzo ne resta
disgustata: lei e ulgan? Neppure dopo morta!
ulgan, dal canto suo, non esita a denunciare alcune pettegole
storcendo il polso ad altrettanti debitori.
Il postino torna da Caterina con una nuova lettera di tefan.
"So tutto, Caterina: so di come hai gestito leconomia
della casa. La gente del villaggio mi ha scritto tutto, ma io non credo ai loro
pettegolezzi. Potrò rendermi conto della verità quando tornerò. Arriverò domenica
prossima. Aspettami vicino alla stazione."
Le parole di tefan suonano lontane alle orecchie di Caterina.
Ora non le importa più nulla.
Sa che verrà.
Sa cosa gli dirà: poi decida quel che vuole.
Il pianto le sale dalla gola agli occhi e lei lo lascia uscire senza
opporvi alcuna resistenza. Grandi lacrime scivolano sulle guance chiare: lacrime
liberatorie.
Piange su se stessa.
Piange per tefan, che ora vede come un uomo buono.
Piange per Michal, che per ben due volte è entrato nella sua vita
pronto a ferirla, facendo del male a se stesso.
Ancora una volta larrivo della lettera si propaga per la
campagna: - tefan ha scritto a Caterina che le manda i soldi per il battesimo
- e ridono tutti dando sfogo alla loro ignoranza.
Nessuno parla più di Michal Valancák se
non che per dire che si trova a Zilina dove annega i suoi pensieri - e i suoi misfatti -
nellalcol ubriacandosi nelle varie taverne della città.
Da quel mattino di maggio, non si è più visto al villaggio e di lui,
nel ricordo di Caterina, resta solo una risata e una frase gettata lì, con un non so che
di felicità: - Quindi
avrò un bambino?
Domenica pomeriggio Caterina si reca alla stazione.
Sotto il suo cappello bianco luccicano due grandi occhi grigi e sul
viso compare un leggero sorriso: è come se il sole, alto nel cielo, si riflettesse in
lei.
La ferrovia corre proprio accanto alla strada: le rotaie sono due
serpenti che riposano e godono quieti del tepore solare.
Ecco la stazione: nel giardino fioriscono garofani color sangue e
vicino ad ogni casa cè una balaustra verde con una palla di vetro sulla sommità di
un paletto.
Il martello colpisce tre volte la campana.
- Il treno arriverà presto? - chiede Veronica.
- Presto, presto. - sussurra Caterina.
La gente che passa sulla strada guarda Caterina, pulita e luccicante, e
gli occhi di ognuno si posano sul ventre ancora non molto appariscente, ma già
percettibilmente rigonfio sotto il grembiule.
Sbuffi bianchi appaiono allorizzonte: allegri riccioli frizzanti.
Il respiro della caldaia e il fremito ritmato del convoglio si
avvicina.
Dalla curva sbuca la locomotiva e dietro di lei tutti i vagoni.
Avanza.
Stride.
Si ferma.
Caterina guarda tutti i vagoni. Sono verdi, puliti e brillano nella
luce del giorno.
La gente scende dalle carrozze.
Aspetta finché il treno non si muove sbuffando e liberando nuove
nuvolette di vapore bianco.
Lo osserva passare lento e brontolone lungo i binari, accanto alla
strada.
In piedi nel suo angolo con la piccola Veronica al suo fianco, lo
guarda sparire al di là della collina.
Non lo ha visto scendere.
Non è sceso.
Non è arrivato.
La gente si dirada.
La stazione si spopola.
Solo sul fondo del marciapiede, dove si è fermato lultimo vagone
del convoglio, la sagoma scura di un uomo che dà di spalle. Non può essere lui.
- Papà non è arrivato?
Caterina ha un nodo in gola: - Andiamo.
Prende la figlioletta per mano e sincammina verso casa.
Attraversano i binari.
Un leggero pulviscolo si solleva ad ogni loro passo e nelle orecchie,
nella testa, in tutto il corpo, fischia, mormora, si espande un suono incerto: un attimo
è come una bufera e subito dopo è come lacqua
come dei passi
passi
silenziosi, felpati, lontani dietro di loro.
Caterina ha fretta.
Veronica accelera il passo accanto a lei e nella sua piccola testa
risuona il fi-fi-fi-fischio penetrante del treno.
Una voce dimenticata: - Caterina. - sente chiamare.
Non può essere
è una fissazione che le è rimasta in
testa
no, forse viene dal cuore o
certo, è solo il vento che strofina le
foglie dellacero
Di nuovo quella voce, più forte, più decisa: - Caterina!
Si ferma: la piccola Veronica al suo fianco.
Si volta.
Sta davanti a lei: una manica vuota, il volto pieno di cicatrici, il
naso con ampie aperture, mutilato. Le labbra ricucite non possono più in alcun modo
nascondere i denti gialli. Vorrebbe sorridere, ma sa che a questo sorriso inizierebbero a
piangere entrambi lì, sulla strada: nei suoi occhi si manifesta evidente il forte senso
di angoscia che lo pervade dal di dentro.
Cerca Caterina con lo sguardo. Lei, in piedi sulla strada annaffiata
dal sole con una lacrima che luccica in un angolo dellocchio. È bellissima
così
Veronica inizia a piangere.
Caterina trattiene lo stupore: inghiotte una lacrima e resta muta. Suo
marito è un mostro, un mostro orribile.
Iniziano a camminare, tutti e tre assieme, come una famiglia.
Caterina si muove come fosse cieca. Nella sua testa sente il fragore
della tempesta e un pensiero malvagio: eccolo
tefan! Partito al mondo per
salvare la sua famiglia dalla miseria e dalla fame che torna - non per colpa sua, per
carità! - menomato, monco, sfigurato al punto da non poter essere più riconosciuto. Sì,
luomo, il marito che torna dalla moglie
una moglie che porta dentro di sé la
vita concepita da un amore estraneo, come fosse una sgualdrina
e chissà
forse
generò questa nuova vita proprio nel momento in cui estraevano dalla miniera il corpo
insanguinato di tefan! Pur sapendo quale miseria, quale dolore, quali patimenti
avesse sopportato fino a quel momento, Caterina sente forte dentro di sé limpulso
di buttarsi ai suoi piedi, abbracciare le sue ginocchia e gridare con voce dolente: -
Perdonami!
Perdonami, tefan!
tefan percepisce con la coda dellocchio lo sguardo
implorante e fedele di Caterina. La sua vista - unica cosa viva tra la deturpazione del
volto - segue la sua mano che accarezza il viso della moglie e la percorre fino a dove si
riconosce la vita originata dallinfedeltà.
Pensa: - Allora è vero
- ma questo pensiero non dura e, come un
cavallo selvaggio, fugge via perdendosi nei meandri del tempo.
Però è vero
è vero che Caterina ha tradito la sua
fedeltà
proprio come dicevano i maldicenti del villaggio nella lettera:
"
tua moglie è diventata una puttana, vedrai
si è riportata a casa la
mucca
" scriveva la gente per mano della cattiveria.
Pensa: - Come possono giudicare?
cosa sanno loro?
ed
io?
posso giudicare, io?
quante lacrime hanno solcato questo viso giovane e
già segnato della durezza della vita?
Sì, quante lacrime hanno liberato questi
occhi dolci che ora guardano con tanta fedeltà il mio volto sfregiato?
Contempla Caterina: la osserva camminare al suo fianco, muta, su una
strada inondata di sole. Un piccolo riflesso accanto ai suoi occhi. Unennesima
lacrima scappa dal giogo che ne trattiene molte. È splendida
bellissima
padrona della bellezza che bacia le ragazze di Kysuce e sana.
Il cuore di tefan, reso sensibile dalla sua menomazione fisica,
capta il sentimento di dolore della giovane.
Voleva bene a Caterina e in questo istante avrebbe voluto volerle
ancora cento volte più bene
però lanima piange come un uccello ferito.
Caterina ha una visione: - Ora mi osserva, resta muto, ma tra non molto
inizierà a picchiarmi e mi batterà finché non avrà più forza! - come desidera che lui
la picchi
il giusto castigo per togliersi un peso dal cuore. E lei cadrebbe sulle
ginocchia davanti a lui e lo inciterebbe: - Perdonami e colpiscimi
picchiami
battimi e perdonami!
Inizia a piangere.
Vorrebbe parlargli, raccontargli di tutti i mesi trascorsi senza di
lui, della povertà nera, della disperazione e della tristezza. Ma non ha parole: un
groppo insormontabile le bloccava prima che possano raggiungere la bocca. Tra le lacrime
balbetta suoni incomprensibili.
Lui le accarezza il viso.
Non le chiede il perché di quel pianto.
Non le chiede se la disgusti lidea di essere ancora sua moglie
(la risposta potrebbe ucciderlo).
No!
Le accarezza il viso e, con il cuore impazzito nel petto, un fiume di
lacrime che gli offuscano la vista e la voce spezzata le chiede: - Caterina,
tra
noi
sarà ancora come prima?
Si ferma sulla strada e spalanca due occhi carichi di dolore: sulla
bocca, come un fiore quiescente da lungo tempo, compare labbozzo di un sorriso: - A
casa
a casa ti racconterò tutto.
Lo bacia sulla faccia cicatrizzata, lo prende per mano e riprendono il
cammino.
Tra i rami di un albero, sul bordo della strada, sode il canto di
un uccello.
|