Pavigliana


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Le Origini


San Cipriano


Sulle origini della piccola frazione non si sa molto.

Quello che colpisce ancora oggi è la presenza nelle zone periferiche dell'abitato di alcune grotte scavate nella roccia friabile che gli abitanti ricordano come destinate a stalle per gli animali, soprattutto stazzi per greggi.

La presenza delle grotte, in anni più recenti utilizzate come rifugio, testimonia una presenza attiva di eremiti che qui conducevano vita ascetica in penitenza ed in preghiera.

Intorno all'anno 1000, infatti, si era diffuso in molte zone del nostro meridione un grande desiderio di solitudine e di vicinanza a Dio. Ciò spinse alcuni eremiti a rifugiarsi, appunto, in fredde cavità scavate nel tufo, a nutrirsi di vegetali e dissetarsi di acqua di sorgente.
Tutto il loro tempo trascorreva tra preghiere, contemplazione e lavoro.

Nella contrada San Vincenzo esistono diverse grotte, alcune di ampie dimensioni, che si affacciano sulla fertile vallata ai lati del torrente Calopinace. Probabilmente in qualcuna di queste viveva intorno agli anni 1140-50 San Cipriano, uno dei primi abitanti del posto.


Cipriano nacque verso il 1110-1120 da una nobile e ricca famiglia del tempo. Il padre, medico, gli insegnò come curare gli ammalati ma egli, all'età di 25 anni, dopo aver rinunciato alle ricchezze e all'eredità a favore dei fratelli, entrò a far parte dei monaci del monastero del SS.mo Salvatore di Calanna.

L'austera vita monacale caratterizzata da veglie, lavoro e penitenze, non gli bastava; pertanto chiese ed ottenne dal Superiore del convento di praticare vita eremitica. Da lì si trasferì in una proprietà della sua famiglia a Pavigliana, appunto, dove c'era una chiesa dedicata a Santa Veneranda martire Parascevi.


A Pavigliana, in una delle tante grotte, Cipriano visse per oltre venti anni nella più totale solitudine, pregando, meditando e facendo penitenza.

La notizia della sua presenza si diffuse ben presto nella vallata, conseguentemente tutti gli abitanti dei centri vicini vi si recavano per ottenere aiuti di ogni tipo, particolarmente gli ammalati. Molti di quanti lo conobbero decisero di vivere con lui, facendosi tagliare i capelli dalle sue mani e condividendo lo stile di vita. Fu così che quella località, prima del tutto desolata e priva di gente, cominciò a popolarsi di gente.

Quando morì l'allora abate del monastero di San Nicola di Calamizzi, i monaci si recarono da Cipriano per chiedergli di essere il loro nuovo abate. L’eremita, pensando che questa fosse volontà di Dio, accettò.
Continuò l'incarico con vita austera: di giorno lavorava e curava gli ammalati, di notte pregava. Mangiava e dormiva quanto era appena sufficiente per sopravvivere. Non mancarono per lui le sofferenze: cadde dal carro che utilizzava per spostarsi, procurandosi la frattura di una gamba che lo rese claudicante per tutta la vita.
Cipriano morì forse nel 1190 e venne seppellito nella Chiesa del monastero, poi distrutta dal terremoto del 1783 (sembra che dall'evento uscirono miracolosamente illesi tutti i frati).

Solo nel 1917 si scoprì che Cipriano era un santo calabrese. Prima si riteneva che si trattasse di qualche monaco vissuto presso la baia di Kalamitza nell'isola graca di Skiros o a Kalamitzi nella penisola calcidica. Infatti un manoscritto pergamenaceo lo ricorda insieme a Stefano di Nicea, primo vescovo di Reggio Calabria, Tommaso di Terreti (altra frazione di Reggio) e Giovanni il Theristì di Bivongi (in provincia di Reggio) e qui si capisce che si tratta di Calamizzi di Reggio al tempo del vescovo Tommaso.

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