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I Racconti della Parola al giorno

nel Vangelo di Luca

 

 

 

 

 

 

"Il Signore è con te".   (Lc. 1,28)

Come l’Angelo ha promesso a Maria così anche noi abbiamo la certezza che Dio è partecipe fino in fondo alle nostre vicende tribolate. Ecco una parabola di un autore anonimo brasiliano:

"Questa notte ho fatto un sogno, ho sognato che ho camminato sulla sabbia accompagnato dal Signore, e sullo schermo della notte erano proiettati tutti i giorni della mia vita. Ho guardato indietro e ho visto che ad ogni giorno della mia vita, proiettati nel film, apparivano orme sulla sabbia: una mia e una del Signore. Cosi sono andato avanti, finché tutti i miei giorni si esaurirono Allora mi fermai guardando indietro, notando che in certi posti c'era solo Un'orma... Questi posti coincidevano con i giorni più difficili della mia vita; i giorni di maggior angustia, di maggiore paura e di maggior dolore... Ho domandato allora: "Signore, tu avevi detto che saresti stato con me in tutti i giorni della mia vita, ed io ho accettato di vivere con te; ma perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti peggiori della mia vita?". Ed il Signore rispose: "Figlio mio, io ti amo e ti dissi che sarei stato con te durante tutta la camminata e che non ti avrei lasciato solo neppure per un attimo, e non ti ho lasciato. I giorni in cui tu hai visto solo un orma sulla sabbia sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio".

 

 

“Non temere, Maria, perchè hai trovato grazia presso Dio”. (Lc. 1,30)

Noi usiamo questa frase o altre simili della Scrittura per ricordarci che Maria, la piena di grazia, è anche l’Immacolata. Ma se Maria è la tutta pura, la tutta bella davanti a Dio, noi scopriamo che siamo “graziati” perché non essendo immacolati, siamo peccatori salvati ed amati.

Un uomo cercava una buona chiesa da frequentare ed entrò per caso in una chiesa in cui i fedeli e il prete stavano leggendo il loro libro di preghiere e dicevano: “Non abbiamo fatto queste cose che avremmo dovuto fare, e abbiamo fatto queste altre cose che non avremmo dovuto fare”. L’uomo si lasciò cadere in un banco e sospirò sollevato dicendosi: “Grazie a Dio ho finalmente trovato la mia gente”. Tutti abbiamo bisogno del perdono di Dio e degli altri. Racconta A. De Mello che un predicatore una volta fece questa domanda a una classe di bambini: “Se tutte le persone buone fossero bianche e tutte quelle cattive fossero nere, voi di che colore sareste?”. La piccola Mary Liane rispose: “Reverendo, io sarei a strisce!".

 

 

“Ecco concepirai un Figlio, lo darai alla luce, lo chiamerai Gesù”. (Lc. 1,31)

Una parabola per meditare:

“Un bel giorno Dio prese forma umana e venne sulla terra, perché si rese conto che molta gente non era felice ed egli voleva comunicare a tutti la felicità che lui stesso possedeva da sempre. Disceso sulla terra, vide che effettivamente poca gente era felice, ma si sorprese quando si accorse che ben pochi cercavano realmente la felicità. La maggioranza delle persone si divideva in due gruppi: quelli che erano “contenti” e quelli che non lo erano. Coloro che erano contenti erano riusciti a soddisfare i loro desideri principali. Guadagnavano molto denaro, vivevano tra gli agi, si prendevano quanti piaceri e vizi volevano. Alcuni avevano successo, influenza o potere... Ma non sembrava che interessasse loro essere felici, né che si domandassero seriamente se lo erano e in che cosa consistesse la felicità. Gli scontenti non erano riusciti a soddisfare tutti i loro desideri e aspiravano continuamente a vivere come la gente che era felice. Ma nemmeno loro cercavano la felicità, a loro bastava essere contenti. Gli uni e gli altri erano sordi al messaggio della felicità. Dio si rese conto, allora, che finché i suoi figli uomini cercavano soltanto la loro “contentezza” non avrebbero potuto trovare la vera felicità. Allora si dedicò a predicare ai contenti e agli scontenti intorno alla felicità e alla vera beatitudine, cercando di interessarli per toglierli dalla cecità della loro “contentezza”. Molta gente lo ascoltò, raggiunse la felicità e dette meno importanza al fatto di essere o no contenta”.

 

 

Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. (Lc. 1,38)

Maria si fida e gioiosamente si affida. E quel si, gioiosamente e totalmente lo ripeterà per tutta la vita sia alla grotta di Betlemme, che alla fuga di Egitto, sia al Calvario che alla risurrezione. Non basta dire “sì”, bisogna ripeterlo e testimoniano serenamente ogni giorno. Un episodio significativo raccontato dal card. Ballestrero:

“Visitavo una scuola di infermiere diretta dalle suore in un grande ospedale e c’erano là un cinquecento alunne. E io, a un certo momento, dissi a tutta questa turba di figliole: Ma, benedette ragazze, siete qui un esercito, sprizzate vita, sprizzate gioia, avete l’avvenire davanti: è tutto vostro; siete già infermiere, vi appassionate al vostro lavoro, alla vostra missione.., ma perché nessuna si fa suora? Non l’avessi mai detto! Anche perché erano presenti le suore che dirigevano la scuola. Uscì una ragazzina che era alta come un soldo di cacio e mi disse: Padre, noi viviamo con le suore e, per essere infelici come loro, noi in convento non ci andiamo. Infelici come loro? Cosa hai detto? Ma le guardi se ne trova una che sia serena! Impertinente che non sei altro le dissi. Però poi fui costretto a riflettere e dissi alle suore: Io vi domando scusa se sono stato occasione di una battuta del genere; però fatevi l’esame di coscienza, perché è vero: quelle figliole lì vedono giusto.”

 

 

"Ha rovesciato dal treno i potenti ed ha innalzato gli umili". (Lc. 1,52)

Racconta Arturo Paoli:

"Non dimenticherò mai una sera, in Argentina, in un "obraje" nella macchia dove lavorano in clima estremo, spesso tormentati da nuvole di zanzare, con i piedi in acquitrini putridi, con un salario di stretta sopravvivenza, i boscaioli. Mi aggiravo all'ora del tramonto fra i "ranchos" miserabili di fango dove si riparano ammassate dieci o più persone. Passo davanti alla casa di Domingo che sta riposando a dorso nudo, scalzo, giocando con l'ascia che ha maneggIato duramente tutta la giornata. Domingo, normalmente poco espansivo, mi vede passare davanti alla sua casa, mi saluta e m'invita a sedergli accanto. Quando il sole è scomparso del tutto dopo aver assolto il suo impegno di dare ore di splendore a uno dei paesaggi più desolati che io abbia visto, Domingo manda una voce dentro il "rancho": "Negra, il fratello resta a cena con noi". La "negra" si affaccia alla porta sorridente e dice: "Domingo, abbiamo tanto poco da cena, non sarebbe meglio invitarlo un'altra volta?". Ma Domingo insiste, e io sento che devo restare, proprio perché non hanno niente da darmi. Dopo poco arriva sulla tavola un piatto di pasta bollita senza condimento: è tutto. Siamo noi tre nel silenzio calmo della notte. Ad un tratto io ho visto il volto di Domingo illuminarsi: "Negra, noi siamo veramente felici, ci vogliamo bene, abbiamo buona salute, Dio stasera è con noi per la presenza del fratello, abbiamo tutto". E la "negra" faceva il commento musicale con il suo sorriso. Come avrei voluto fissare quel momento... No, non era "fatalismo": Domingo era buon operaio perché solido di muscoli e abile nel taglio, scomodo, scontroso, contestatore, 'mai contento" diceva di lui il "capataz". In quel momento Domingo aveva la sua estasi contemplativa: scopriva nel suo "nulla" uno sguardo che si posava su di lui con amore.".

 

 

"Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce, e Io depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo". (Lc. 2,7)

Questo racconto vero è più che una meditazione:

"Il giorno di Natale del 1961, in una di quelle grotte della Galilea, ho visto un bambino di pochi mesi, che sua madre metteva a dormire in una mangiatoia. Ricordo benissimo: il piccolo si chiamava lssa, che in arabo vuol dire "Gesù". E' di pelle nera, ha gli occhi febbrili, respira con fatica, geme. lo faccio ogni sforzo per spiegare alla madre, nel mio pessimo arabo, che bisogna portarlo in ospedale. Lei non vuole. E così, in un giorno di Natale, un bambino di nome Gesù sta per morire in una grotta, mentre i pastori infedeli si contendono la terra. Non so più cosa fare, perché la madre non vuoi lasciare il bambino. il giorno dopo, con padre Gauthier, chiamiamo un medico che viene a visitarlo, e vedendo il piccolo ventre penosamente rigonfio, decide di portarlo all'ospedale. Ma all'ufficio accettazione c'è una suora che vuol fare le cose in regola. Vuoi sapere come si chiamano i genitori, richiede un documento che attesti la loro qualità di profughi come esige il regolamento. E' lì, con penna in mano, che aspetta le risposte. Ma la madre ha paura, non si fida di tutto questo ambiente estraneo, e tiene una mano sulla bocca del bambino, quasi per impedirgli di parlare, come se fosse in grado di farlo. E' chiaro che questa donna fuggirebbe lontano, se potesse. E allora padre Gauthier perde la pazienza: "Sorella, scriva semplicemente che il nome del bambino è Gesù, che sua madre si chiama Maria, che è venuto al mondo nel giorno di Natale. Basterà. Poi lo porti a letto”. La suora lo guarda stupefatta, poi replica: "In questo caso, ne abbiamo molti di piccoli Gesù in queste condizioni!" Poi sì riprende: si addolcisce e soggiunge: "Grazie, padre: ha ragione lei. Spesso ce ne dimentichiamo...".

 

 

“Non c’era posto per loro nell’albergo”. (Lc. 2,7)

E’ umiliante per Giuseppe non aver qualche soldo per far nascere “decentemente” Gesù, ma la povertà è anche libertà, è saper riconoscere il dono dalla carta che lo avvolge.

Un uomo ricchissimo e vanitoso fece visitare la sua casa a un umile monaco. Lo condusse da una sala all’altra, attirando la sua attenzione ora sulle statue, ora sui tappeti, ora sui grandi vasi preziosi, ora sui pesanti mobili. “Che cosa ti ha impressionato di più?”chiese alla fine. “Il fatto che la terra sia così robusta da sopportare un simile peso” rispose il monaco.

 

 

“Non c’era posto per loro nell’albergo”. (Lc. 2,7)

Un fatto realmente successo.

Guido Purlini aveva 12 anni e frequentava la prima media. Era già stato bocciato due volte. Era un ragazzo grande e goffo, lento di riflessi e di comprendonio, ma benvoluto dai compagni. L’avvenimento più importante della scuola, ogni anno, era la recita natalizia. A Guido sarebbe piaciuto fare il pastore con il flauto, ma la signorina Lombardi gli diede una parte più impegnativa, quella del locandiere, perché comportava poche battute e il fisico di Guido avrebbe dato più forza al suo rifiuto di accogliere Giuseppe e Maria. La sera della rappresentazione c’era un folto pubblico di genitori e parenti. Nessuno viveva la magia della santa notte più intensamente di Guido Purlini. E venne il momento dell’entrata in scena di Giuseppe, che avanzò piano verso la porta della locanda sorreggendo teneramente Maria. Giuseppe bussò forte alla porta di legno inserita nello scenario dipinto. Guido, il locandiere era là, in attesa. “Che cosa volete?” chiese Guido, aprendo bruscamente la porta. “Cerchiamo un alloggio”. “Cercatelo altrove. La locanda è al completo”. La recitazione di Guido era forse un po’ statica, ma il suo tono era molto deciso. “Signore, abbiamo chiesto ovunque invano. Viaggiamo da molto tempo e siamo stanchi morti”. “Non c'é posto per voi in questa locanda”, replicò Guido con faccia burbera. “La prego, buon locandiere, mia moglie Maria, qui, aspetta un bambino e ha bisogno di un luogo per riposare. Sono certo che riuscirete a trovare un angolino. Non ne può più”. A questo punto, per la prima volta, il locandiere parve addolcirsi e guardò verso Maria. Seguì una lunga pausa, lunga abbastanza da far serpeggiare un filo d’imbarazzo tra il pubblico. “No! Andate via!” sussurrò il suggeritore da dietro le quinte. “No!” ripeté Guido automaticamente. “Andate via!”. Rattristato, Giuseppe strinse a sé Maria, che gli appoggiò sconsolatamente la testa sulla spalla, e cominciò ad allontanarsi con lei. Invece di richiudere la porta, però, Guido, il locandiere, rimase sulla soglia con lo sguardo fisso sulla miseranda coppia. Aveva la bocca aperta, la fronte solcata da rughe di preoccupazione, e i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime. Tutto un tratto, quella recita divenne differente da tutte le altre. “Non andar via, Giuseppe” gridò Guido. “Riporta qui Maria”. E, con il volto illuminato da un grande sorriso, aggiunse: “Potete prendere la mia stanza”. Secondo alcuni, quel rimbambito di Guido Purlini aveva mandato a pallino la rappresentazione. Ma per gli altri, per la maggior parte fu la più natalizia di tutte le rappresentazioni natalizie che avessero mai visto.

 

  

“Sua Madre serbava tutte queste cose nel suo cuore”. (Lc. 2,51)

Maria è la donna della meditazione: sa far silenzio e il silenzio le svela la volontà di Dio. Leggiamo oggi una parabola buddista.

PAROLA CHIAVE

Qualcuno chiese a Rinzai, un mistico Zen: “Dimmi ciò che è veramente essenziale, perché ho fretta. Sono un uomo d’affari e per me il tempo è prezioso. Dimmi in parole semplici: cos’è il fondamento, l’essenziale della religione?” Rinzai rimase in silenzio. Il commerciante si senti a disagio. “Mi hai sentito?” disse, “ti ho chiesto di darmi la parola chiave della religione”. “Ed io te l’ho data” disse Rinzai  “Ora te ne puoi tornare ai tuoi affari  “Sei pazzo? lo non ho sentito nulla “Ciò che può essere udito non è l’essenziale. Io ti ho dato la parola chiave. La chiave è il silenzio. Ora vai. Hai fretta".

 

 

“All’udire queste parole furono pieni di sdegno contro Gesù, e lo cacciarono fuori dalla città”. (Lc. 4,28)

La parola di Gesù non viene accettata dai suoi concittadini. Spesso anche la nostra parola non viene accettata, ma è giusto angosciarci?

Un uomo, che aveva una parola da dire ai fratelli, trovava scarsissima udienza. Gli uomini, in quel tempo, erano distratti quasi come oggi, e l’uomo soffriva, s’affannava, si preoccupava. Come riuscire a trasmettere il suo messaggio? Una sera, mentre tornava a casa dopo aver cercato invano di comunicare agli altri la parola che aveva in cuore, una grande angoscia lo invase, al punto che dovette sostare accanto a un pilone sacro. Gli parve allora di udire una voce chiedergli: Amico, perché la tua angoscia? Rispose: Perché tante sono le cose che vorrei dire e ho una terribile sensazione d’impotenza. Rispose la voce: Ti domando: perché la sensazione d’impotenza è terribile? Ovviamente perché nutri l’illusione o l’esigenza della potenza, se non dell’onnipotenza. Ma è giusto questo? L’uomo tacque di colpo. Era sicuro d’aver udito la voce di Dio.

 

 

“Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi”. (Lc. 5,37)

Non basta cambiar la facciata e rimanere “nel vecchio”.

Nel centro della Foresta viveva molto tempo fa una stravagante famiglia di piante carnivore che, con il passar del tempo, arrivarono a prendere coscienza della stranezza delle loro abitudini, soprattutto per le costanti mormorazioni che il buon Zefiro recava loro da tutte le direzioni della città. Sensibili alle critiche, a poco a poco cominciarono a sentire ripugnanza per la carne, finché giunse il momento in cui la ripudiarono e si rifiutarono anche di mangiarla, schifate a tal punto che avevano nausea solo a vederla. Decisero allora di diventare vegetariane. A partire da quel giorno si mangiano unicamente le une con le altre e vivono tranquille. Perché tutti in giro parlano solo della loro esemplarità.

 

  

“Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio... Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione”.

(Lc. 6,20.24)

Si racconta che un re aveva a suo servizio, come era usanza molti anni fa, un buffone, il quale aveva il compito di riempire le giornate del re e della sua corte con i suoi scherzi e le sue battute. Un giorno, il re compì un gesto insolito e curioso. Disse al buffone: “Ti affido il mio scettro. Tu tienilo finché non troverai uno più stupido di te. In tal caso lo darai a lui”. Qualche anno dopo il re si ammalò gravemente. E poiché a quel buffone, in fondo, era anche molto affezionato, lo mandò a chiamare. Gli disse: “Ti saluto, perché sto per partire per un lungo viaggio”. “Quando tornerai disse il buffone fra un mese o fra un anno?” “No rispose il re non tornerà più indietro”. “E quali preparativi hai fatto per questo viaggio così importante?” chiese il buffone. “Nessuno” fu la risposta. “Tu parti per sempre disse il buffone e non ti sei preparato per niente? Ecco, prendi lo scettro: ho trovato finalmente uno più stupido di me!”.

 

 

Guai a voi ricchi, perchè avete già la vostra consolazione”.(Lc. 6,24).

“Rabbi, che cosa pensi del denaro?”, chiese un giovane al maestro. “Guarda dalla finestra”, disse il maestro. “Che cosa vedi?”.

“Vedo una donna con un bambino, una carrozza trainata da due cavalli e un contadino che va al mercato”. “Bene. E adesso guarda nello specchio. Che cosa vedi?”. “Che cosa vuoi che veda Rabbi? Me stesso, naturalmente”. “Ora pensa: la finestra è fatta di vetro e anche lo specchio è fatto di vetro. Basta un sottilissimo strato d’argento sul vetro e l’uomo vede solo più se stesso. Siamo circondati da persone che hanno trasformato in specchi le loro finestre. Credono di guardare “fuori” e continuano a contemplare se stessi. Non permettere che la finestra del tuo cuore diventi uno specchio.

 

 

"Date e vi sarà dato, una misura piena, scossa, abbondante". (Lc. 6,38)

Dio vuole aver bisogno di noi. Non risolve mai i problemi dall'alto, ma sempre con la nostra partecipazione. Se noi mettiamo la nostra parte, Lui non si lascia battere in generosità. Non lesiniamo sul dono. Ero andato mendicando di uscio in uscio lungo il sentiero del villaggio, quando in lontananza mi apparve il Tuo aureo cocchio, simile a un sogno meraviglioso. Mi domandai: chi sarà mai questo Re di tutti i re? Crebbero le mie speranze, e pensai che i giorni tristi sarebbero ormai finiti; stetti ad attendere che l'elemosina mi fosse data senza doverla chiedere, e che le ricchezze venissero sparse ovunque nella polvere. Il cocchio mi si fermò accanto; il Tuo sguardo cadde su di me, e Tu scendesti con un sorriso. Sentivo che era giunto alfine il momento supremo della mia vita. Ma Tu, ad un tratto, mi stendesti la mano destra dicendomi: "Che cos'hai da darmi?". Ah, quale gesto veramente regale fu quello di stendere la Tua palma per chiedere l'elemosina, ad un povero! Esitante e confuso, trassi lentamente dalla mia bisaccia un acino di grano e Te lo porsi. Ma quale non fu la mia sorpresa quando, sul finire del giorno, vuotai a terra la mia bisaccia e trovai nell'esiguo mucchietto di acini, un granellino d'oro! Piansi amaramente per non aver avuto cuore di darti tutto quello che possedevo. (Rabindranath Tagore,Gitanjali, Carabba)

 

 

"Date e vi sarà dato" (Lc. 6,38)

Ho ritrovato in questi giorni un racconto di Turgenjev che avevo letto nel sussidiario delle elementari e che aveva colpito la fantasia di ragazzo.

Nei pressi di una grande città, lungo una strada di transito, se ne andava un vecchietto  cadente. Il suo passo era vacillante: le gambe magre lo reggevano a stento e si muovevano debolmente e a fatica, quasi non fossero le sue; il vestito che indossava era tutto a brandelli; il capo, scoperto, gli cadeva sul petto... Era stanco, sfinito. Sedette sopra una pietra miliare, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, e si nascose il volto tra le mani; tra le dita discoste colavano giù lacrime sull'arida polvere grigia. Egli ricordava...

Ricordava di essere stato un tempo sano e ricco; poi aveva perso la salute; aveva prodigato le proprie ricchezze a chiunque, amici e nemici... Ora non aveva un tozzo di pane, e tutti lo avevano abbandonato, gli amici ancor prima dei nemici... Doveva forse abbassarsi ancora fino a chiedere l'elemosina? Il suo cuore traboccava di amarezza e di sconforto. E le lacrime gli colavano giù senza posa, macchiando la sabbia grigia.

Ad un tratto si sentì chiamare per nome; sollevò la testa stanca e vide davanti a sé uno sconosciuto. Aveva un viso tranquillo e grave, ma non rigido; occhi non sfolgoranti, ma chiari; sguardo penetrante, ma non cattivo. Tu hai prodigato tutte le tue ricchezze disse con voce uniforme. Ma dimmi, non ti penti ora di aver fatto del bene? Non mi pento rispose il vecchio sospirando; soltanto, adesso, io muoio. Se non ci fossero stati al mondo mendicanti che ti avessero steso la mano proseguì lo sconosciuto come avresti potuto dimostrare coi fatti la tua anima benefica? Il vecchio non rispose  nulla, e rimase pensieroso. Così non essere neppure adesso superbo, pover'uomo! riprese lo sconosciuto. Cerca, porgi la mano, e darai così ad altri buoni la possibilità di mostrare coi fatti che sono realmente buoni. Il vecchio trasalì, alzò gli occhi... ma lo sconosciuto era già scomparso. Lontano, nella via, vide un passante. Il vecchio gli mosse incontro e gli tese la mano. Il passante si voltò con viso arcigno e non diede nulla. Ma dopo di lui venne un altro, e questo fece al vecchio una piccola elemosina. E il vecchio, con la monetina ricevuta, si comprò del pane, e quel pezzo di pane, frutto di elemosina, gli parve dolce. Né egli provò vergogna di se stesso; al contrario, sentì una gioia serena.

 

 

“Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata in grembo”. (Lc. 6,38)

Un uomo d’affari, accecato dall’egoismo e oberato dagli impegni di lavoro, ebbe  un esaurimento nervoso. Il medico gli consigliò di prendersi una vacanza in montagna. Quando arrivò alla stazione,  l’uomo vide una vecchietta che piangeva, seduta sola in un angolo della sala d’aspetto. Le si avvicinò e le domandò la causa del suo dolore. La donna rispose che era venuta a trovare suo figlio, ma aveva perso l’indirizzo. L’uomo d’affari si interessò al suo caso, trovò il nome del figlio nell’elenco telefonico, chiamò un taxi e accompagnò la vecchietta a casa. Quella sera era felice, calmo, sereno. Alcuni giorni dopo scrisse al suo medico. Dottore, finalmente mi sento un uomo. Mi sono interessato agli altri e quando ho potuto li ho aiutati: ho trovato la mia cura. Il servizio al prossimo è la terapia più efficace per i mali causati dall’amore di sé. E la cura ha effetti spirituali, psicologici e fisici.

 

 

“Può forse un cieco guidare un altro cieco?”. (Lc. 6,39)

Un giorno, in un bosco molto frequentato scoppiò un incendio. Tutti fuggirono, presi dal panico. Rimasero soltanto un cieco e uno zoppo. In preda alla paura, il cieco si stava dirigendo proprio verso il fronte dell’incendio. “Non di là!” gli gridò lo zoppo. “Finirai nel fuoco!”. “Da che parte, allora?” chiese il cieco. “Io posso indicarti la strada” rispose lo zoppo “ma non posso correre. Se tu mi prendi sulle tue spalle, potremmo scappare tutti e due molto più in fretta e metterci al sicuro”. Il cieco seguì il consiglio dello zoppo. E i due si salvarono insieme. Se sapessimo mettere insieme le nostre esperienze, le nostre speranze e le nostre delusioni, le nostre ferite e le nostre conquiste, ci potremmo molto facilmente salvare tutti.

 

 

“Togli la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene”. (Lc. 6,42)

Un giorno Satana scoprì un modo per divertirsi. Inventò uno specchio diabolico che aveva una magica proprietà: faceva vedere meschino e raggrinzito tutto ciò che era bello e buono, mentre faceva vedere grande e dettagliato tutto ciò che era brutto e cattivo. Un giorno, lo spettacolo che lo specchio gli offriva era così piacevole ai suoi occhi che scoppiò a ridere in modo scomposto: lo specchio gli sfuggì dalle mani e si frantumò in milioni di pezzi. Un uragano potente e maligno fece volare i frammenti dello specchio in tutto il mondo. Alcuni frammenti erano più piccoli di granelli di sabbia ed entrarono negli occhi di molte persone. Queste persone cominciarono a vedere tutto alla rovescia: si accorgevano solo più di ciò che era cattivo e vedevano cattiveria dappertutto. Altre schegge diventarono lenti per occhiali. La gente che si metteva questi occhiali non riusciva più a vedere ciò che era giusto e a giudicare rettamente. Non avete, per caso, già incontrato degli uomini così? Qualche pezzo di specchio era così grosso, che venne usato come vetro da finestra, I poveretti che guardavano attraverso quelle finestre vedevano solo vicini antipatici, che passavano il tempo a combinare cattiverie. Quando Dio si accorse di quello che era successo si rattristò. Decise di aiutarli. Disse: “Manderò nel mondo mio Figlio. E’ Lui la mia immagine, il mio specchio. Rispecchia la mia bontà, la mia giustizia, il mio amore. Riflette l’uomo come io l’ho pensato e voluto”. Gesù venne come uno specchio per gli uomini. Chi si specchiava in Lui, riscopriva la bontà e la bellezza e imparava a distinguerle dall’egoismo e dalla menzogna, dall’ingiustizia e dal disprezzo. I malati ritrovavano il coraggio di vivere, i disperati riscoprivano la speranza. Consolava gli afflitti e aiutava gli uomini a vincere la paura della morte. Molti uomini amavano lo specchio di Dio e seguirono Gesù. Si sentivano infiammati da Lui. Altri invece ribollivano di rabbia: decisero di rompere lo specchio di Dio. Gesù fu ucciso. Ma ben presto si levò un nuovo possente uragano: lo Spirito Santo. Sollevò i milioni di frammenti dello specchio di Dio e li soffiò in tutto il mondo. Chi riceve anche una piccolissima scintilla di questo specchio nei suoi occhi comincia a vedere il mondo e le persone come li vedeva Gesù: si riflettono negli occhi prima di tutto le cose belle e buone, la giustizia e la generosità, la gioia e la speranza; le cattiverie e le ingiustizie invece appaiono modificabili e vincibili.

 

 

“Un grande Profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo”. (Lc. 7,16)

Si legge in un racconto che un giorno Gesù tornò visibilmente sulla terra: era Natale e c’erano molti bambini riuniti per una festa. Gesù si presentò in mezzo a loro che lo riconobbero e lo acclamarono. Poi uno di loro cominciò a chiedere che dono Gesù avesse portato e a poco a poco tutti i bambini gli chiesero dove fossero i doni. Gesù non rispondeva e allargava le braccia. Finalmente un bambino disse: “Vedete che non ci ha portato niente? Allora è vero ciò che dice mio papà: che la religione non serve a niente, non ci dà niente, non ha nessun regalo per noi!”. Ma un altro bambino replicò: “Gesù, allargando le braccia, vuoi dire che ci porta se stesso, che è lui il dono, è Lui che si dona a noi come fratello, come Figlio di Dio per farci tutti figli di Dio come lo è lui”. (Card. Carlo Maria Martini)

 

 

“Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Un uomo avvolto in morbide vesti?”. (Lc. 7,25)

Gesù fa l’elogio di Giovanni Battista e ne mette in evidenza il carattere forte e deciso. Come esempio ecco un racconto di un’esperienza di una scrittrice L. Silak:

Da ragazza, in Russia, mia madre dovette fuggire da casa perché i cosacchi avevano distrutto il paese appiccando fuoco a tutte le case. Fuggì, si nascose in carri di fieno e nei fossati. Infine attraversò l’oceano nella stiva d’una nave e arrivò in America. Aveva circa 13 anni quando sbarcò a New York nel 1901 e subito trovò lavoro in uno squallido laboratorio dove faticava 16 lunghe ore al giorno per una misera paga. Cercò di frequentare la scuola serale, ma stanca com’era si addormentava sui libri. Anche dopo il matrimonio e la nascita di tre figli ci furono tempi duri. Ma mia madre ci raccomandava di pensare a ciò che avevamo e non a quello che non avevamo. Ci insegnò che nelle difficoltà si acquista la capacità di apprezzare la bellezza che esiste negli aspetti più semplici della vita, Il concetto che m’inculcò era questo: “E’ quando fa buio che vedi le stelle”.

 

 

"Vedendo le folle ne senti compassione perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Lc. 9,36)

Può il Figlio di Dio che ama immensamente e che venendo sulla terra ha provato che cosa vuol dire dolore, fatica, solitudine non aver compassione delle nostre piaghe? Ecco come Madre Teresa racconta ed interpreta uno dei tanti episodi della sua meravigliosa esperienza umana.

Un giorno, a Calcutta, venne un uomo con una ricetta e disse: "Il mio unico figlio sta morendo e questa medicina la si può trovare soltanto fuori dall'India". Proprio in quel momento, mentre stavamo ancora parlando, venne un uomo con un cesto pieno di medicine e, proprio sopra a tutte, c’era il farmaco che ci occorreva. Se fosse stato sotto le altre non l'avrei scorto. Se fosse venuto prima o subito dopo, non l'avrei potuto vedere. Ma in quel preciso momento, tra milioni e milioni di bambini nel mondo, Dio nella sua tenerezza si era preoccupato di quel piccino che stava negli slums di Calcutta fino a mandare, nel momento esatto, quel cesto di medicine per salvarlo. Sia lode alla tenerezza dell'amore di Dio, poiché ogni piccolo, sia che appartenga a una famiglia ricca o a una povera, e figlio di Dio, creato dal Creatore ai tutte le cose.

 

 

“Chi accoglie un fanciullo nel mio nome, accoglie me”. (Lc. 9,48)

La ragazza era di pessimo umore. Aveva tutte le sue spine fuori, proprio come un porcospino tormentato da un cane. Troppi compiti a casa, troppe interrogazioni, troppo tutto... ecco! La madre le ripeteva la solita predica, con ragionamenti, spiegazioni e raccomandazioni. La ragazza si fece ancora più scura. Poi guardò la madre dritta negli occhi e scandendo: “Mamma, sono stanca e stufa delle tue prediche. Perché invece non mi prendi tra le tue braccia e mi tieni stretta? Nessun consiglio potrà mai farmi altrettanto bene!”. La madre rimase a bocca aperta. Gli occhi della figlia imploravano un abbraccio. Con la voce rotta dalla voglia di piangere, disse: “Vuoi... vuoi che ti abbracci? Ma lo sai che anch’io... anch’io voglio che tu mi abbracci?”. Accolse la figlia nelle braccia aperte e la strinse a sé, come fosse ancora una bimba. Chiunque, non importa l’età (anche a settant’anni), ha bisogno del conforto di un abbraccio, di essere tenuto stretto, di un’espressione concreta d’amore. Spesso diventiamo troppo riservati, troppo timidi per mostrare i nostri veri sentimenti. E allora li nascondiamo dietro una maschera fredda e severa, per la paura di lasciar intravedere la nostra vulnerabilità a coloro che amiamo. Ma è solo il calore umano che ci può salvare dal grande freddo di questa epoca.

 

 

“Ti rendo lode, o Padre, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli”. (Lc. 10,21)

Il curato d’Ars era solito raccontare questo fatto che gli era capitato nei primi anni che era in parrocchia.

C’era un uomo che non passava mai davanti alla chiesa senza entrarvi un momento. La mattina, quando andava al lavoro, la sera, quando ritornava, lasciava alla porta il badile e la zappa e rimaneva a lungo in adorazione davanti al Santissimo Sacramento. Gli chiesi una volta che cosa dicesse al Signore nella lunga visita che gli faceva. Sapete che cosa mi rispose? “Signor curato, io non gli dico niente. lo lo guardo e lui mi guarda”.

 

 

“Maria, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola”. (Lc. 10,39)

Quante discussioni si sono fatte e si fanno ancora su Dio. Tu che ne pensi, Sri Ramakrishna? chiese un giorno un discepolo al grande maestro. Vedi quell’ape? rispose il maestro. Senti il suo ronzio? Esso cessa quando l’ape ha trovato il fiore e ne sugge il nettare. Vedi quest’anfora? Ora vi verso dell’acqua. Ne senti il glu—glu? Cesserà quando l’anfora sarà colma. Ed ora osserva questo biscotto che pongo crudo nell’olio. Senti come frigge e che rumore fa? Quando sarà ben cotto tacerà. Così è degli uomini. Sinché discutono e fan del gran rumore su Dio, è perché non l’hanno trovato. Chi l’ha trovato tace adorando.

 

 

“Signore, insegnaci a pregare”. (Lc. 11,1)

Come gli apostoli, anche noi siamo sempre alla ricerca della migliore formula di preghiera. Ma Gesù, insegnando il Padre Nostro non ci consegna una formula ma i modi e gli atteggiamenti della preghiera. A proposito di preghiere vere o false, ecco un gustoso aneddoto dei Padri del deserto.

Ad Antiochia viveva un uomo ricchissimo che pregava Dio tutti i giorni perché sollevasse i poveri dall’indigenza. Saputo ciò, abbà Macario gli fece pervenire questa missiva: “Vorrei molto possedere tutto il tuo denaro”. Stupito, il ricco gli inviò un messo per chiedergli che cosa ne avrebbe fatto. Abbè Macario disse: “Dì al tuo padrone che esaudirei subito le sue preghiere.”

 

 

“Signore, insegnaci a pregare”. (Lc. 11,1)

Un racconto hasidico:

Un contadino povero, nel rincasare la sera tardi del mercato, si accorse di non avere con se il suo libro di preghiere. Al suo carro si era staccata una ruota in mezzo al bosco ed egli era angustiato al pensiero che la giornata finisse senza aver recitato le preghiere. Allora pregò in questo modo: “Ho commesso una grave sciocchezza, Signore. Sono partito di casa questa mattina senza il mio libro di preghiere e ho così poca memoria che senza di esso non riesco a formulare neppure un’orazione. Ma ecco che cosa farò: reciterò molto lentamente tutto l’alfabeto cinque volte e tu, che conosci ogni preghiera, potrai mettere insieme le lettere in modo da formare le preghiere che non riesco a ricordare”. Disse allora il Signore ai suoi angeli: “Di tutte le preghiere che oggi ho sentito, questa e senz’altro la più bella, perché è nata da un cuore semplice e sincero”.

 

 

“Uno dei discepoli disse a Gesù: Signore, insegnaci a pregare”. (Lc. 11,1)

Un giovane chiese al suo maestro spirtuale quanto e come dovesse pregare per riuscire gradito a Dio. L’anziano saggio sorrise, e iniziò col raccontare una storia.

Un contadino ricchissimo, al momento della morte, si sentì chiedere dai figli quali mezzi avesse impiegato per racimolare una così grande fortuna. Desideroso che i figli fossero zelanti nel lavoro, l’uomo rispose: “C’è un giorno dell’anno nel quale, se ci si è impegnati a fondo nel proprio lavoro, si diventa ricchi. E’ inutile tuttavia cercare di scoprire quale sia quello specifico giorno. Non siate dunque pigri, e lavorate sodo tutti i giorni dell’anno nel timore che quel giorno benedetto giunga senza che voi siate al lavoro. Le prove e la fatica di tutto l’anno andrebbero perdute...” Così è della preghiera, ragazzo mio proseguì il maestro Dio ci visita quando vuole e il momento della sua visita è assolutamente imprevedibile. Egli non ha soste nel suo amore per noi, Il nostro grazie deve essere continuo, la nostra adorazione ininterrotte, il nostro “sì” costante. Vivere nella preghiera tutta la vita è come immergerci nel cuore di Dio senza uscirne mai.

 

 

“Chi non raccoglie con me, disperde”. (Lc. 11,23)

C’era una volta una parrocchia dove tutti avevano il loro ruolo: gli anziani erano riconosciuti per la loro esperienza, dicevano il Rosario e c’era anche qualche giovane che pregava con loro; senza arie di sufficienza i poveri venivano accolti ogni ora del giorno e, a parte qualche sbuffo per quelli un po’ troppo insistenti, si dava loro qualcosa e soprattutto, qualcuno li ascoltava; gli sposi trovavano cordialità in mezzo alle carte da preparare e riuscivano persino a capire, anche quelli che in chiesa non ci mettevano piede da anni, che il matrimonio era un segno serio, gioioso, bello, in cui Dio c’entrava. I malati sapevano di non essere abbandonati e qualcuno andava a trovarli. La domenica si celebrava volentieri l’Eucaristia, e anche se non si conoscevano, tutti i partecipanti trovavano una parola che veniva da lontano e un Pane misterioso che dava forza nel presente. Ma successe che alcuni cominciarono a dire che la fede va organizzata, si riunivano per parlare degli altri, dimenticando gli altri, per parlare di fede, dimenticando Gesù; organizzarono la carità e i poveri trovavano ad orario i burocrati della carità. Gli sposi subivano il corso prematrimoniale, alla domenica si trovava la più bella teologia ma non più l’accoglienza. Vennero personaggi illustri, ma la gente comune se ne andò a vivere la sua povera fede, altrove.

 

 

“Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde”. (Lc. 11,23)

Con Gesù non possono esserci mezze misure, non si può essere con Lui e con il mondo, non ci si può nascondere dietro ruoli e compiti. Racconta una leggenda indiana che una donna, sul punto di morire, ebbe la sensazione di arrivare in cielo davanti al trono della divinità. Una voce le chiese: “Chi sei?” “Sono la moglie del capo del villaggio”. Rispose: “Non ti ho chiesto di chi sei moglie, ma chi sei”. “Sono la mamma di cinque figli” “Non ti ho chiesto se hai figli, ma chi sei”. E andò avanti così, senza mai dare la risposta giusta. “Chi sei?. “Sono cristiana”. “Non ti ho chiesto di dirmi a che religione appartieni, ma chi sei tu”. “Andavo sempre in chiesa e aiutavo i poveri”. “Non dirmi quello che facevi, ma chi sei”. La donna fu rimandata sulla terra; era sconsolata di non aver superato l’esame. Quando guarì, decise di scoprire chi era e allora tutto cambiò in lei e attorno a lei.

 

 

“Voi, farisei purificate l’ester­no della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e iniquità”. (Lc. 11,39)

Gesù ancora una volta ci ricorda che è il cuore che conta. Non bastano neppure “bei gesti” se non vengono dal cuore e quindi sono pieni di attenzione per gli altri. La discepola stava organizzando il suo banchetto nuziale e dichiarò che per amore dei poveri avrebbe indotto la famiglia ad andare contro le convenzioni facendo sedere gli ospiti poveri a capotavola e quelli ricchi presso la porta. Guardò negli occhi il maestro aspettando la sua approvazione. Il maestro si fermò  a riflettere; poi disse: “Sarebbe quanto mai inopportuno, mia cara. Nessuno si godrebbe le nozze. La tua famiglia sarebbe imbarazzata, i tuoi ospiti ricchi offesi e i tuoi ospiti poveri affamati perché sarebbero troppo impacciati a capotavola per mangiare a sazietà”.

 

 

“Date in elemosina quel che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà mondo”. (Lc. 11,41)

Un lebbroso, vestito di miseri stracci, se ne stava seduto per terra a chiedere l’elemosina, I passanti impietositi lasciavano cadere qualche soldo nel suo berretto rovesciato, posato ai suoi piedi. Ma il povero derelitto non faceva mai un cenno di ringraziamento, né con il capo né con le labbra. Allora un tale, Stupito di questo comportamento, gliene chiese la ragione. Ma come! sbottò l’altro Iddio si serve di me per darti la possibilità di fare una buona azione, un atto caritatevole, e dovrei essere io a dire grazie a te? Tocca piuttosto a te ringraziare me perché così ti puoi guadagnare il Paradiso! Rise quel tale e allontanandosi pensò che, dopo tutto, quell’infelice aveva ragione: il bene che facciamo agli altri, in verità, lo facciamo ancora più a noi stessi. Da allora, tutte le volte che incontrava il povero lebbroso, gli dava due monete: una per elemosina, in segno di carità; l’altra per riconoscenza, in segno di ringraziamento.

 

 

“Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati e a quelli che volevano entrare lo avete impedito.”. (Lc. 11,52)

Parlavamo con alcuni catechisti sul modo di parlar di Dio ai nostri ragazzi così spesso distratti. Mi hanno proposto questo simpatico brano da un libro di  Loewej Faizant:

“Come far bere un asino che non ha sete? Con le bastonate? Ma l’asino è più testardo delle bastonate! Come dunque farlo bere rispettando la sua libertà? C’è una sola risposta: trovare un altro asino che abbia sete e che berrà a lungo con voluttà, a fianco del suo simile. E non per “dare buon esempio” ma proprio perché ha veramente sete. Un giorno, forse, il suo compagno, tentato, si chiederà se non farebbe bene anche lui a tuffare il. suo muso nel secchio d’acqua fresca. Gli uomini assetati di Dio, sono più efficaci di tante asinate raccontate su di Lui”.

 

 

“Guardatevi dal lievito dei farisei che è l’ipocrisia”. (Lc. 12,1)

Sono tante le forme di ipocrisia che investono l’uomo, una di queste è l’ipocrisia dell’orgoglio anche nelle cose buone.

Un giovane studente che aveva una gran voglia di impegnarsi per il bene dell’umanità, si presentò un giorno da San Francesco di Sales e gli chiese: “Che cosa devo fare per la pace del mondo?”. San Francesco di Sales gli rispose sorridendo: “Non sbattere la porta così forte. Sono sempre i piccoli inconvenienti che fanno i grandi litigi. Molti divorzi cominciano per dei calzini dimenticati sotto il letto. Ma anche i grandi amori sono fatti di tante piccole cose.

 

 

“Anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni”. (Lc. 12,15)

Oggi vi offro tre aneddoti, ciascuno li applichi alla sua vita.

 

 

 

 

“Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai Suoi beni”. (Lc. 12,15)

Gesù ha scelto la povertà per farci ricchi e continuamente ci invita, nel Vangelo, a non raggelare il cuore abbandonandolo alle cose.

Una grande nuvola, candida e morbida, non voleva assolutamente cedere l’acqua che portava nel suo grembo. Se faccio piovere pensava che cosa ne sarà di me? Avara ed egoista, sorvolava impietosa la terra in bramosa attesa della sua pioggia. Gli alberi innalzavano i rami verso di lei, e l’erba implorava: Scendi sopra di noi! Dissetaci! Ma la nuvola non ascoltava, tirava dritto, altezzosa, risospinta dal vento. Un giorno, però, il suo cuore divenne così freddo e duro che tutta la nuvola pian piano si raggelò. La soffice coltre leggera e vaporosa divenne un duro e pesante vestito di schegge gelate che si spezzò in mille frantumi di ghiaccio. Anziché dolce pioggia, portò dura grandine che cadde come sferzate di sassi sulla povera terra.

 

 

“Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato”. (Lc. 12,2)

Un giorno, dalle mura della città, verso il tramonto, si videro alla linea dell’orizzonte due persone che si abbracciavano.

Sono un papà e una mamma, pensò una bambina innocente.

Sono due amici che si incontrano dopo molti anni, pensò un uomo solo.

Sono due amanti, pensò un uomo dal cuore torbido.

Sono due mercanti che hanno concluso un buon affare, pensò un uomo avido di denaro.

E’ un padre felice che abbraccia un figlio di ritorno dalla guerra, pensò una donna dall’anima tenera.

E’ una figlia che abbraccia il padre di ritorno da un viaggio, pensò un uomo addolorato per la morte della sua bambina.

Sono due innamorati, pensò una ragazza che sognava l’amore.

Sono due uomini che lottano all’ultimo sangue, pensò un assassino.

Sono due...

Gli occhi dipendono dal “cuore”.

 

 

“Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”. (Lc. 12,34)

Gesù ci mette in guardia contro i falsi valori di questo mondo che invece di darci la tanto agognata felicità, ci rendono schiavi.

In una raccolta di parabole, padre Loew riferisce l’episodio del frigorifero. Una famiglia di gente modesta ne sognava uno da tempo. A prezzo di grossi sacrifici, riuscì ad ottenerlo. L’arrivo in casa del frigorifero costituì un grosso avvenimento. Fu salutato come la nascita di un bambino. “Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” E ogni componente della famiglia mise il proprio cuore nel frigorifero. Il cuore di quei poveracci divenne gelido, indifferente agli altri, assente da ogni impegno e quindi privo di gioia profonda.

 

 

“Siate pronti, con le lucerne accese”. (Lc. 12,35)

Il prete annunciò che la domenica seguente sarebbe venuto in chiesa Gesù in persona. La gente arrivò in massa per vederlo. Tutti si aspettavano che predicasse, ma egli si limitò a sorridere al momento delle presentazioni e disse: “Salve”. Erano tutti disposti a ospitarlo per la notte, soprattutto il. prete, ma egli rifiutò gentilmente l’invito e disse che avrebbe trascorso la notte in chiesa. Cosa che tutti approvarono. Egli se ne andò senza far rumore l’indomani mattina presto, prima che venissero aperte le porte della chiesa. E, con orrore di tutti, il prete e gli altri scoprirono che la chiesa era stata oggetto di atti di vandalismo. Dovunque sulle pareti era scarabocchiata la parola: ATTENZIONE. Non un solo angolo era stato risparmiato: le porte, le finestre, le colonne, il pulpito, l’altare, persino la Bibbia che stava sul leggio. ATTENZIONE. Incisa a grandi e piccole lettere, a matita e a penna e dipinta in tutti i colori possibili. Dovunque l’occhio si posasse, si potevano scorgere le parole: “ATTENZIONE, attenzione, Attenzione, ATTENZIONE, attenzione, attenzione... Scandaloso. Irritante. Sconcertante. Affascinante. Terrificante. A che cosa dovevano fare attenzione? Non c’era scritto nulla. Soltanto ATTENZIONE. Il primo impulso della gente fu quello di cancellare ogni traccia di quella sozzura, di quel sacrilegio, e si trattennero soltanto perché pensavano che era stato Gesù stesso a compiere un simile gesto. Quella misteriosa parola ATTENZIONE incominciò a infiltrarsi nella mente delle persone ogni volta che si recavano in chiesa. Essi presero a fare attenzione alle scritture e così riuscirono a trarne vantaggio senza diventare bigotti. Fecero attenzione ai sacramenti, così furono santificati senza diventare superstiziosi. Il sacerdote cominciò a stare attento al potere che esercitava sui fedeli, così poté essere loro di aiuto senza doversi imporre. E tutti fecero attenzione alla religione, che può trasformare gli incauti in ipocriti. Diventarono cauti nell’accettare i decreti della chiesa e così, pur essendo ligi alla legge, dimostrarono compassione per i più deboli. Cominciarono a stare attenti a come pregavano, così non persero più la fiducia in se stessi e si comportarono nello stesso modo persino nei confronti del concetto che avevano dì Dio, in modo da riuscire e riconoscerlo anche fuori dei confini ristretti della loro chiesa. Ora la gente ha collocato la parola tanto scandalosa sopra l’ingresso della chiesa e la sera la si può vedere sfavillare lassù in alto illuminata da multicolori luci al neon.

 

 

“Il Regno di Dio è simile al lievito che una donna ha preso e nascosto in tre staia di farina, finché tutta sia fermentata”. (Lc. 13,21)

C’era una volta un giardino chiuso da altissime mura, che suscitava la curiosità di molti. Finalmente una notte quattro uomini si munirono di un’altissima scala per vedere che mai ci fosse di là. Quando il primo raggiunse la sommità del muro, si mise a ridere forte e saltò nel giardino. Salì a sua volta il secondo, si mise a ridere e saltò anch’egli. Così il terzo. Quando toccò al quarto, questi vide dall’alto del muro uno splendido giardino con alberi da frutta, fontane, statue, fiori di ogni genere e mille altre delizie. Forte fu il desiderio di gettarsi in quell’oasi di verde e di quiete, ma un altro desiderio ebbe il sopravvento: quello di andare per il mondo a parlare a tutti dell‘esistenza del giardino e della sua bellezza. E’ questo il tipo di uomo che salva l’umanità. Colui che avendo visto Dio desidera condividerne con gli altri la visione, costui avrà un giorno nel giardino un posto speciale, accanto al cuore di Dio.

 

 

“Sforzatevi di entrare per la porta stretta”. (Lc. 13,24)

Una donna sognò di entrare in una nuova bottega del mercato e, con sua grande sorpresa, trovò che dietro il banco c’era Dio. “Che cosa si vende qui?” ella chiese. “Tutto ciò che il tuo cuore desidera”, rispose Dio. Non osando quasi credere alle proprie orecchie, la donna decise di chiedere le cose più belle che un essere umano potesse desiderare. “Voglio la pace dell’anima e la saggezza e l’assenza di paura”, disse. Poi, ripensandoci, aggiunse: “Non per me soltanto, ma per tutte le persone della terra”.

Dio sorrise: “Credo che tu abbia capito male, mia cara”, disse. “Qui non si vendono i frutti, ma solo i semi”.

 

 

“Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.(Lc. 14,11)

Si narrava che un rabbino ogni mattina, prima della preghiera, salisse al cielo.

Un non credente diceva che era tutto una burla e una mattina, prima dell’alba, si mise a spiare. Ed ecco il rabbino uscire dalla propria abitazione travestito da taglialegna e recarsi nel bosco. Il non credente lo seguì e vide il rabbino raccogliere della legna ,caricarsela sulle spalle e portarla a Deborah, una povera vecchia malata che viveva solitaria. Il non credente guardò dalla finestra: il rabbino era inginocchiato per terra e accendeva il fuoco nel camino. Quando la gente chiese al non credente che cosa avesse scoperto a proposito della quotidiana ascensione in cielo del rabbino, egli rispose: “Sale molto più in alto che in cielo”.

 

 

“Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”. (Lc. 14,11)

L’umiltà aiuta a vedere, più di ogni altra cosa.

Due uomini abitavano su due colline prospicienti, l’uno in una ricca dimora, l’altro in una semplice casupola. Il primo era superbo e sprezzante, mentre il secondo coltivava l’umiltà. Tutt’intorno il paesaggio era splendido: dolci vallate, morbidi colli, boschi e laghi e cascate e bianchi paesi. Il primo uomo, pensando d’essere lui il centro dell’universo, non poté vedere mai se non in superficie tutta la bellezza che lo circondava. Il secondo, pensando d’essere l’ultimo degli uomini, non poteva che meravigliarsi ogni giorno del paesaggio stupendo e d’ogni suo singolo particolare. Entrambi gli uomini ebbero figli e nipoti. Ma mentre il primo non seppe mai raccontare una fiaba, perché le fiabe nascono da un continuo spalancare gli occhi, il secondo fu un narratore di fiabe eccezionale, tanto che la domenica venivano ad udirlo i bimbi di tutti i paesi. Quando morirono, il primo non vide neanche la porta del paradiso, e se ne andò vagando per le galassie perdendosi miseramente; il secondo vide subito la porta e vi s’infilò immediatamente. L’umiltà aiuta a vedere le cose, a vederne il loro interno, a coglierne le voci. Essa soltanto sa spalancare gli occhi del cuore.

 

 

Sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”.

(Lc. 14,13—14)

Un Dottore della Legge osservava lo spettacolo della piazza del mercato formicolante di gente. Improvvisamente gli apparve il profeta Elia. Il Dottore della Legge approfittò dell’occasione e chiese al profeta: “Illumina la mia ignoranza: c’è qualcuno di questi mercanti che entrerà nel futuro Regno di Dio?”. “Nessuno, proprio nessuno!”, rispose il Profeta, scrollando il capo. In quel momento arrivarono sulla piazza del mercato due uomini. Si misero a fare giochi di abilità, scherzi e buffonate per attirare la gente. Intorno a loro si formò un cerchio di grandi e piccoli che si divertivano e battevano le mani ridendo. Il profeta Elia esclamò: “Questi certamente entreranno nel futuro Regno di Dio!”. Il Dottore della Legge andò a parlare ai due pagliacci. “Che cosa vendete?” chiese. Risposero:“Anche se spesso il nostro cuore è triste, vogliamo vendere a tutti la gioia di vivere

 

 

I farisei e gli scribi mormoravano: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro”. (Lc. 15,2)

Gesù è venuto nel mondo per salvarci. Sapeva il nostro peccato, la nostra povertà ma si è fatto tutto a tutti.

Molti anni or sono, viveva nell’impero orientale un re che amava il suo popolo. Per conoscerlo meglio, aveva l’abitudine di mescolarsi ad esso nei più disparati travestimenti. Un giorno si recò come un mendicante in piazza, prese posto in un angolo e fece la conoscenza con lo spazzino. Ogni giorno tornava a sederglisi accanto, ne condivideva i pasti e parlava a lungo con lui, tanto che il poveraccio si affezionò allo sconosciuto. Finché un giorno l’imperatore gli rivelò la sua vera identità e gli chiese di scegliere un dono per suo ricordo. L’uomo lo guardò sbalordito, poi disse: “Voi avete lasciato il vostro sontuoso palazzo per venire qui ogni giorno a condividere la mia dura vita e la mia miseria. Ad altri avreste potuto fare ricchi doni, ma a me avete dato tutto voi stesso. Vi chiedo perciò soltanto una cosa: di non privarmi della vostra amicizia”.

 

 

“Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno  bisogno di conversione”. (Lc. 15,7)

Racconta Van der Meersch:

“Un soldato chiedeva ad un santo eremita se Dio  poteva perdonare anche ad un peccatore indurito come lui. “Quando il tuo vestito è sudicio chiese di rimando il  solitario lo butti via?”. “No rispose lo lavo perché mi possa servire ancora”. “E allora come vuoi che Dio butti via la tua anima, per quanto sfigurata dal peccato, ma redenta con il suo sangue?”. Non dobbiamo proprio mai disperare della misericordia di Dio. Ricordiamoci che “se anche i tuoi peccati fossero rossi come lo scarlatto diventeremo bianchi come la neve”

 

 

“Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza”.(Lc. 16,8)

AGIRE DA LEONE

Un uomo s’imbatté un giorno in una volpe con sole tre zampe. Curioso di sapere come potesse mantenersi in vita, decise di spiarla. Ad un tratto vide arrivare un leone che teneva nelle fauci un pezzo di carne. Il leone ne mangiò un po’ e, sazio, lasciò il resto. La volpe ne approfittò per fare il suo pasto. L’uomo, osservata la scena, concluse: Mi comporterò come la volpe; la Provvidenza di certo aiuterà anche me! Si accinse ad aspettare, ma nell’attesa diventava sempre più debole. All’improvviso gli sembrò di sentire una voce che gli diceva: Non comportarti come una volpe storpia! Sii invece un leone che è in grado di procurarsi qualcosa per sé e di lasciarne anche per gli altri.

 

 

“Gesù disse: Non sono stati guariti dieci lebbrosi? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio se non uno straniero”.(Lc.17,17—18)

Riconoscenza è saper dire grazie dei doni ricevuti e qui ci troviamo già abbastanza carenti: quante volte chiediamo e quante diciamo grazie? Ma riconoscenza è anche manifestare con i fatti il nostro grazie.

PIANTARE ALBERI PER I POSTERI

Era vicino l’inizio della stagione dei monsoni e un uomo assai vecchio scavava buchi nel suo giardino. “Che cosa stai facendo?”, gli chiese il vicino. “Pianto alberi di mango”, egli rispose. “Pensi di riuscire a mangiarne i frutti?” “No, io non vivrò abbastanza a lungo, ma gli altri sì. L’altro giorno ho pensato che per tutta la vita ho gustato manghi piantati da altri. Questo è il mio modo di dimostrare loro la mia riconoscenza”.

 

 

“Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a ringraziare, all’infuori di questo straniero?”.(Lc. 17,18)

C’era una volta un bambino cui la mamma aveva insegnato a chiedere “Per piacere” e a dire “Grazie” ogni volta che riceveva qualcosa, ed era gioioso e bello non solo constatare la sua buona educazione ma anche vedere la sua gioia e riconoscenza nel ricevere e nell’apprezzare al di là delle cose, le persone da cui riceveva. Ma poi andò a scuola e trovò maestri che gli insegnarono i suoi diritti, che gli dissero che nel mondo bisognava avere grinta, che era da timidi il chiedere e il dire grazie. Quando, cresciuto, questo bambino divenne padre insegnò a suo figlio che non doveva mai chiedere ma pretendere, che non doveva mai dire grazie, ma arraffare tutto quello che poteva, e suo figlio, divenuto grande, a sua volta gli portò via ogni cosa e lo sbatté in un ricovero per anziani.

 

 

“Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà”. (Lc. 17,33)

In una miniera d’argento di Santa Maria alle Miniere, ai piedi dei Vosgi, fanno vedere al visitatore un cunicolo lungo una cinquantina di metri, largo cinquanta centimetri e alto meno di un metro e mezzo che tre minatori hanno impiegato sette anni a scavare. Quando il filone argentifero fu esaurito, forarono un pozzo verticale con lo scopo di raggiungere un’altra vena metallifera, situata a una decina di metri al di sotto della loro, sfruttata da altri minatori. La loro intenzione era di rubare il filone a coloro che l’avevano scoperto. Dopo più di un anno di accanito lavoro, proprio quando credevano di arrivare alla meta, la roccia sprofondò sotto di loro; caddero in un’antica galleria inondata e perirono annegati. A causa della strettezza del pozzo e dell’arsenico di cui erano impregnate la roccia e l’acqua, nessuno poté mai ricuperare i loro corpi: la miniera del tesoro diventò così la loro tomba. Questo tragico racconto illustra bene l’errore fatale di chi impiega la sua vita per acquistare ricchezze: solitamente non miete altro che la morte come frutto del suo lavoro! Si può dire che egli sarà il solo responsabile della sua infelicità eterna, come i tre infelici minatori che avevano scavato con le proprie mani la loro tomba. Non è questo che vuole l’Iddio di amore, che offre ad ognuno il mezzo di salvezza: il suo Figliuolo Gesù che diede la sua vita sulla croce per salvare gli uomini perduti.

 

 

“Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: sii sradicato e trapiantato in mare, ed esso vi ascolterebbe”.(Lc. 17,6)

Con questo esempio paradosso Gesù vuole indicarci quanto sia importante la fede vera, l’abbandono totale, la fiducia più piena in Dio. Non voleva di certo invitarci ad un facile quanto inutile e superbo miracolismo.

Dopo quindici anni trascorsi in dure penitenze in una foresta solitaria, un uomo era infine riuscito a camminare sulle acque. Pieno d’orgoglio e soddisfazione, andò a dare la notizia al suo guru dicendogli: “Maestro, dopo quindici anni ho finalmente acquisito il potere di camminare sulle acque!” Il guru lo sogguardò, poi disse: “E non ti vergogni? Ciò che hai ottenuto non vale che due soldi. Chiunque può attraversare il fiume dando due soldi al battelliere. E tu hai impiegato quindici anni per ottenere tale risultato!”

 

 

“Gesù disse ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre".  (Lc. 18,1)

“Ho pregato, ho pregato tanto, ma Dio non mi ha ascoltato”, è la frase che sentiamo spesso dire e che in certe occasioni abbiamo detto anche noi. Gesù, con la parabola della vedova importuna suggerisce il rapporto che collega la preghiera alla fede. E. Wiesel nel suo libro: “Celebrazioni hassidiche” racconta questo episodio:

Sai chi ha revocato il. decreto celeste che doveva scatenare una catastrofe sul nostro popolo? domandò il Baal—Shem a Rabbi Nahman di Horodenko. Te lo dirò io. Né tu né io, né i sapienti né i grandi capi spirituali. Le nostre litanie, i nostri digiuni non hanno avuto nessun effetto. E’ una donna, una donna del popolo che ci ha salvati. Ed ecco come. E’ venuta alla sinagoga e si è messa a piangere cantilenando: “Signore dell’universo, non sei forse nostro Padre? Perché non ascolti i tuoi figli che ti implorano? Vedi, io sono madre. Ho cinque bambini. E quando li vedo versare una lacrima, mi si spezza il cuore. Ma tu, Padre, hai molti figli. Tutti gli uomini sono figli tuoi. E tutti piangono. Anche se il tuo cuore è di pietra, come puoi restare indifferente?”. E Dio le ha dato ragione.

 

 

“Il cieco cominciò a gridare: Figlio di Davide, abbi pietà di me!”.(Lc. 18,39)

Questo cieco sente Gesù che passa: non sta a chiedersi tante cose su di lui; ha bisogno di vedere; si butta con fiducia a gridargli dietro.

Due amici, mentre sedevano sulla soglia di casa, udirono dire che in un certo stagno c’era abbondanza di grossi pesci. Il primo si mise in agitazione: cercò di informarsi se la notizia era vera, poi di parlare con i singoli pescatori e infine di conoscere i diversi tipi di esca usati. Il secondo afferrò subito una canna, prese qualche insetto cammin facendo e corse allo stagno dove buttò la lenza. Quando il primo arrivò, il secondo aveva già il secchio colmo di grossi pesci. A lui non restarono che i pochi pesciolini rimasti.

 

 

“Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra”(Lc. 18,8)

Sul tema della fede ecco un’antica leggenda domenicana:

“Quanto vorrei avere una conoscenza di Dio piena, totale, perfetta” disse un giorno un discepolo di Domenico al grande santo. “E perché mai? rispose san Domenico Pensa a un ammalato divorato dalla febbre; non s’immaginerebbe di poter bere un’intera tinozza d’acqua? Eppure quando la febbre se ne va, gli basta un bicchiere per la sua sete, e forse persino metà. Così, quando si è presi dal turbine del desiderio di Dio, ci s’immagina di poter portare nel proprio cuore l’infinito di Dio. Quando questa illusione sparisce, basta un unico raggio della sua luce per inondarci di felicità e di speranza.”

 

 

“La mia casa sarà casa di preghiera ma voi ne fatto una spelonca di ladri”. (Lc. 19,46)

Ancora oggi, come ai tempi di Gesù, presso chiese e santuari si vedono spettacoli tutt’altro che edificanti e anche noi spesso invochiamo un intervento deciso di Gesù o di chi per lui per rovesciare tavoli di ricordini, di venditori e di trafficanti. Ricordiamoci, però, che la casa del Signore siamo anche noi e che non si può mischiare vera preghiera con falsa religiosità o superbia spirituale.

Un giovane nobile si recò un giorno da un virtuoso abate chiedendo di entrare a far parte del suo Ordine. L’abate volle conoscere le sue abitudini e le sue inclinazioni; il candidato alzò il capo con orgoglio: “Io vesto sempre di bianco, non bevo che acqua, d’inverno mi rotolo nudo nella neve. Per meglio mortificarmi, ho messo dei chiodi aguzzi nelle mie scarpe, e ordino al mio scudiero di frustarmi più volte al giorno. In quel preciso istante, apparve nei pressi un cavallo; l’animale s’abbeverò ad una pozza, e si rotolò per celia nella neve. Vedi disse l’Abate questa creatura è bianca, non beve che acqua, si rotola nuda nella neve, i chiodi tormentano i suoi piedi e riceve ben più di quaranta frustate in un solo giorno. Eppure non è altro che un cavallo...

 

 

“Alcuni parlavano del tempio, delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano.” (Lc. 21,5)

UN GRANDE SACERDOTE

Al tempo degli emiri Kabil, viveva nei Tempio di Galad un Grande Sacerdote in fama di santità. Egli teneva cerimonie sontuose e ogni giorno cambiava sontuosi paramenti e splendide vesti. Si diceva che fosse uomo di grandissima fede, ma poiché non pronunziava mai parola nessuno riusciva a capire dove mai questa sua fede fosse nascosta e come si potesse capirne l’essenza. In una freddissima giornata d’inverno, mentre il Tempio era gremito di pellegrini, una voce si alzò dalla folla: “Grande Sacerdote, mostraci dov’è la vera fede”. Il Grande Sacerdote si tolse la corona d’oro dal capo. Poi depose il mantello di broccato e d’argento, poi la tunica di lino orlata d’oro e poi tutte le sottotuniche e le sottovesti frangiate, fino ai calzari tempestati di lapislazzuli. “La fede non è lì”, disse indicando il mucchio di vesti preziose gettato in un angolo. “La fede è qui”, e facendo un passo in avanti, nudo come era, fra lo stupore silenzioso dei presenti, rabbrividì.

Dal libro delle Leggende di Al-bat--Kur

 

“Con la vostra perseveranza salverete le vostra anime”.(Lc. 21,19)

Quando si parla di perseveranza, di sacrificio, di persecuzione siamo portati a vedere la religione e la fede come una forma di volontarismo quasi masochista. Perseveranza non vuol dire non alzare il capo; sacrificio non vuol dire negatività della vita. Un giorno, il santo abate Antonio conversava con alcuni dei giovani che avevano scelto di vivere come lui nel deserto. Un cacciatore che stava inseguendo una preda si avvicinò con deferenza. Ma vide che il santo abate e i giovani che lo attorniavano ridevano allegri e scuotendo la testa li disapprovò con parole aspre. L’abate Antonio gli parlò con calma. “Metti una freccia nel tuo arco e scoccala”. Il cacciatore lo fece. “Adesso lanciane un’altra, poi un’altra, poi ancora un’altra, continuò il sant’uomo. Il cacciatore protestò: “Se piego il mio arco tante volte così, si romperà!” L’abate Antonio lo guardò sorridendo: “Succede così anche nella vita spirituale. La via di Dio costa sforzo. Ma se ci sforziamo oltre misura, presto verremmo meno. E’ giusto perciò, di tanto in tanto, ricordarci che anche Dio si riposò, il settimo giorno”. Oggi ricordati dell’arco. E soprattutto ricordati del settimo giorno.

 

 

“Con la vostra  perseveranza salverete le vostre anime”.(Lc. 21,19)

Ritornano pressanti gli inviti di Gesù alla perseveranza. Meditiamolo attraverso un significativo racconto della tradizione berbera.

Un nomade che attraversava il deserto fu costretto a fermarsi, stremato dalla sete. Si sedette sulla sabbia e, ricordandosi di aver udito che quando si sta per morire di sete si inizia a piangere, attese le lacrime. Fu allora che avverti uno strano fruscio: un serpente stava scivolando verso di lui. La paura fu tale che l’uomo si alzò di scatto, e dimentico del tormento della sete, riprese il cammino. E arrivò in un luogo dove c’era l’acqua, e con l’acqua la salvezza. Quel passo in più che non vuoi fare, fratello, può costarti la vita. Rammentalo quando ti rassegni alle lacrime.

 

 

“State ben attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”.

(Lc. 21,34)

Abbiamo oggi uno strano concetto di libertà: pensiamo che voglia dire, fare tutto ciò che uno vuole e spesso vediamo i comandamenti e la morale come una specie di costrizione, di schiavitù.

Un aquilone volava molto alto nel cielo. Un uccello in volo, incuriosito, lo raggiunse e quando vide che era legato con un filo, s’impietosì. Poverino! pensò restare così legato alla terra! E, rapido, col becco spezzò il filo che lo teneva legato. Ma subito l’aquilone parve impazzire. Sbattuto dal vento sbandava in tutte le direzioni e la carta leggera di cui era fatto si strappava in più punti. Una sferzata di vento, infine, lo scaraventò a terra. L’uccello sgomento e tremante atterrò vicino a lui. E’ terribile! Cosa è successo? esclamò io pensavo di liberarti! Rispose l’aquilone ormai a pezzi: Succederebbe la stessa cosa anche a te se qualcuno tagliasse il filo sottile che ti tiene legato al cielo, come io ero legato alla terra. Non era un legame di schiavitù o di morte, ma di libertà e di vita! (Elena Bono)

 

 

“State ben attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in affanni della vita e che quel giorno vi piombi addosso improvviso”. (Lc. 21,34)

Una antica leggenda celtica racconta che nelle Tundre del nord vivevano piccole comunità di druidi che si erano convertiti al cristianesimo e che compivano lunghi pellegrinaggi di studio frequentando astrologi e maghi e uomini di scienza per affinare il loro sapere. Quattro di questi pellegrini avevano raccolto un grande bagaglio di conoscenze. Ma mentre tre di essi erano molto abili nelle arti e nelle scienze, tanto in teoria quanto nella pratica, il quarto era meno sapiente e meno do­tato, eppure eccelleva nella capacità di discernimento, i primi tre, vedendo che il loro compagno era meno dotato di loro lo invitarono ad abbandonare il gruppo per aggregarsi ad altri pellegrini del suo livello. Poiché egli si rifiutava gli permisero di continuare il viaggio con loro, ma da quel momento lo esclusero dai loro dotti conciliaboli. Un giorno, mentre camminavano tutti e quattro lungo un sentiero, si imbatterono nella carcassa di un grosso animale al quale erano rimasti attaccati alcuni lembi di carne e di pelliccia, i tre decisero di applicare le loro conoscenze per risuscitare l’animale. il quarto li tirò per una manica e obiettò: “Miei cari amici, questi resti sono di un orso. Se lo riporterete in vita ci annienterà tutti in un colpo.’ Ma i tre non badarono alle sue parole. Con le loro alchimie in un batter d’attimo fecero sì che il mucchio di ossa si rivestisse di carne e di pelliccia ed essi videro ricostituirsi sotto i loro occhi le fattezze di un enorme orso che si avvicinava minaccioso e famelico. Mentre i pellegrini sapienti erano completamente assorti nelle loro operazioni, il quarto sapiente ebbe a mala pena il tempo di arrampicarsi in cima ad un albero da cui poté assistere alla conclusione dell’esperimento: vide l’orso avventarsi sui suoi compagni, divorarli e scomparire nel bosco. L’unico sopravvissuto del gruppo discese dall’albero e proseguì il suo peregrinare riflettendo sull’insidia della superbia sempre in agguato nel cammino che porta alla Verità.

 

 

“Vegliate e pregate in ogni momento”. (Lc. 21,36)

Un dio o un demonio si diceva l’aveva collocato apposta lassù, sopra il villaggio, per mettere gli uomini alla prova. E gli uomini la prova l’avevano accettata. Ogni sera, a turno, uno di loro s’inerpicava sulla montagna con una lanterna per sorvegliare che il masso non si muovesse; piovesse o tirasse vento, ci fosse la luna o la neve, un uomo vigilava sul sonno di tutti pronto a destarli con una tromba dal suono potente. Per ognuno di quegli uomini la veglia al masso era una fatica; ma anche una fierezza. Il giorno dopo, ridiscesi a valle, pareva loro che l’intero villaggio gli sorridesse. Ma il tempo passò e portò altre soddisfazioni e altre fierezze. Così che poco per volta parve stupido quel che prima era parso importante. Se per secoli e secoli quel masso era rimasto appiccicato alla montagna, perché avrebbe dovuto staccarsi proprio ora? Si pagasse un guardiano, caso mai; anzi, ci pensasse il governatore della provincia! Così dopo molte discussioni, si decise di sospendere la veglia al masso: non c’era più gusto a farla. Raramente c’è gusto a fare le cose che si devono. A meno che uno il gusto lo trovi in se stesso. E quegli uomini erano attratti da troppi piaceri esterni per trovarne di interiori. Quel masso è ancora lassù. Nessuno più gli si è inerpicato accanto. E nessuno ha notato che si è mosso di dieci buone spanne verso valle.

 

 

“Erode da molto tempo sperava di vedere qualche miracolo fatto da Gesù”.(Lc. 23,8)

“Se vedessi qualche miracolo, crederei!” mi diceva una persona. Ma sono i miracoli, le apparizioni, le cose straordinarie che conducono alla fede?

Una volta qualcuno si avvicinò a un discepolo del mistico musulmano Bahau din e gli domandò: “Dimmi perché il tuo maestro nasconde i suoi miracoli. Ho raccolto personalmente dei dati che dimostrano in modo incontestabile che egli è stato presente in più luoghi diversi nello stesso momento; che ha guarito la gente con la forza della preghiera, ma dice loro che è stata opera della natura; che ha aiutato persone in difficoltà e poi lo ha attribuito alla loro buona sorte. Perché si comporta così?” “So perfettamente di che cosa stai parlando”, disse il discepolo, “perché anch’io ho notato queste cose, e credo di poter rispondere alla tua domanda. Prima di tutto, il maestro detesta essere al centro dell’attenzione. In secondo luogo, egli è convinto che quando la gente comincia ad avere interesse per i miracoli, non ha più alcun desiderio di imparare nulla che sia veramente valido dal punto di vista spirituale”.

 

 

“Stupiti e spaventati, credevano di vedere un fantasma”.(Lc. 24,37)

Gli Apostoli avevano già fatto l’esperienza del sepolcro vuoto, avevano avuto la testimonianza dei discepoli di Emmaus, ma quando Gesù appare loro credono di avere un’allucinazione collettiva e pensano di vedere un fantasma: non avevano ancora fatto tutta la strada della fede! Una “parabola” di Elena Bono esprime bene questo pensiero: “Stavo andando da solo per la via quando scorsi, dall’altra parte di un ponte, il mio amico. Ci guardammo da lontano e ci salutammo; poi, tutti e due, ci incamminammo su per il ponte, per andare l’uno incontro all’altro. Eppure a metà strada non trovai nessuno e, deluso, me ne tornai sui miei passi. Ritornando, incontrai un vecchio pescatore che mi disse cosi: Questo ponte è speciale. Per trovare il tuo amico, non devi percorrerlo solo a metà. Anche se lui ti viene incontro, tu devi percorrerlo tutto, fino in fondo.”

     
     
 

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