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I Racconti della Parola al giorno

nei Vangeli di

Giovanni  e   Marco

 

 

 

“IN MEZZO A VOI STA UNO CHE NON CONOSCETE”.(Gv. 1,26)

Nell’antichità cristiana circolava questa leggenda: Una rete stesa a pochi metri dal suolo. Sotto ci sono centinaia di uccelli. Tentano di alzarsi, ma vanno a sbattere inesorabilmente contro la rete. E crollano a terra, ammaccati. Ormai si sono rassegnati tutti. Rimarranno in quella prigione. Non c’è scampo. A un tratto uno di loro, pesto, sanguinante, si stacca dal mucchio e si slancia contro la rete, caparbiamente. Una, due, tre volte. Finalmente riesce a strapparla in un punto. Quindi si dirige, ferito, verso l’azzurro del cielo. D’incanto, c’è un gran sbattere d’ali. Tutti gli altri passano attraverso la breccia insperata... La parabola veniva applicata a Cristo, che ha rotto la rete che teneva imprigionati gli uomini nel male. Tuttavia penso possa indicare un compito che ciascuno di noi può svolgere.

 

 

“DIO HA TANTO AMATO IL MONDO DA DARE IL SUO FIGLIO UNIGENITO”. (Gv. 3,16)

Tutto era pronto per il giudizio universale. Miliardi di persone erano radunate in una grande pianura davanti al trono di Dio. Ma in molti serpeggiava il malumore. “Può giudicarci Dio? Ma che cosa ne sa Lui della sofferenza?”, sbottò una giovane donna ebrea facendo vedere sul suo braccio il numero tatuato di un campo di concentramento nazista. Un giovane nero mostrava le sue ferite: “E che ne dite di queste: linciato! E solo perché ero nero”. E molti facevano a Dio dei rimproveri. Poteva il Dio del paradiso beato giudicare uomini che tanto avevano sofferto? Scelsero allora dei rappresentanti per fare le loro rimostranze: un ebreo, un nero, una vittima di Hiroshima, un artritico orribilmente deformato, un bimbo cerebroleso e decisero che Dio, prima di giudicarli doveva essere condannato a vivere sulla terra. “Fatelo nascere ebreo. Fate che la legittimità della sua nascita venga posta in dubbio. Fate che venga tradito perfino dagli amici più intimi. Fate che debba affrontare accuse, che venga giudicato da una giuria fasulla e che venga condannato da un giudice codardo. Fate che sia torturato. Infine, fategli capire che cosa significa sentirsi terribilmente soli. Poi fatelo morire. Quando ebbero finito di preparare questo discorso, ci fu un lungo silenzio.  Nessuno osò dire una sola parola. Perché improvvisamente tutti si resero conto che Dio aveva già rispettato tutte le condizioni.

 

 

“DIO HA TANTO AMATO IL MONDO DA DARE IL SUO FIGLIO UNIGENITO, PERCHE' CHIUNQUE CREDE IN LUI NON MUOIA, MA ABBIA LA VITA ETERNA(Gv. 3,16)

Un racconto strano, quello di Teofane il Monaco, ma può suggerirci alcune riflessioni se lo paragoniamo alla frase di Vangelo che meditiamo. Lassù, ognuno, può ottenere ciò che desidera. Quando vi giunsi ero un uomo duramente provato, ferito dai suoi stessi fratelli. Feci come mi avevano detto: mi appoggiai al pozzo e vi urlai dentro il mio desiderio: Solitudine! La mia richiesta fu esaudita. Che sollievo! Non potete farvi un’idea di quanto avessi bisogno di quiete. Dopo alcuni anni però incominciai a desiderare un po’ di compagnia. Pensavo agli esempi e agli insegnamenti di Gesù. Era giusto stare soli così a lungo? Tornai dunque al pozzo. Compagnia! urlai. Ed ebbi compagnia. Fu bellissima, per un po’. Insomma, avevo degli alti e bassi. A un certo punto ero così angosciato che andai al pozzo e gridai: Morte! Morii. Pace, finalmente. Avevo finito di soffrire. Come stavo bene. Ma non passò molto tempo che mi venne da pensare: Dopotutto, la vita non è poi così male. Almeno, si vive. Dipende da te, da ciò che ne fai, non è poi tanto brutta. Qui, non posso fare niente... Incominciai a desiderare di poter tornare al pozzo per chiedere di riavere la vita. Ma non potevo alzarmi, e se anche avessi potuto, non avevo fiato per urlare. Ero morto. Forse qualcuno avrebbe potuto andare a chiederla per me, ma sembrava che a nessuno venisse in mente. Mi vedevano lì, morto, e nessuno pensava di riportarmi in vita. Come potevano essere così indifferenti, così egoisti? Poi ci fu qualcuno che ci pensò. Venne al pozzo e gridò dentro: Vita per mio fratello! Ritornai in vita. Oh, essere ancora vivo, respirare, vedere, camminare, sentire, parlare con gli altri! Ma dov’era l’uomo che mi aveva riportato in vita? A tutti quelli che incontravo chiedevo: Avete visto l’uomo che è venuto al pozzo e mi ha riportato in vita? Pensavano fossi pazzo. Nessuno è mai tornato dall’aldilà... Al pozzo per te? Ma ci si va per se stessi, non per un altro! Cercai dappertutto. E chissà quante volte passai davanti a una tomba, prima che mi venisse in mente che forse c’era qualcun altro che desiderava tornare a vivere. Corsi al pozzo. Vita per i miei fratelli! Ed ecco che sull’acqua, giù in fondo, scorsi il volto di colui che mi aveva risuscitato da morte.

 

 

“DIO NON HA MANDATO IL FIGLIO NEL MONDO PER GIUDICARE IL MONDO, MA PERCHE' IL MONDO SI SALVI PER I MEZZO DI LUI”. (Gv. 3,17)

Un sacerdote aveva avuto il permesso di  scendere in una miniera per parlare ai minatori durante la loro pausa di lavoro, della grazia di Dio in Gesù Cristo. Prima di risalire in superficie, mentre gli uomini si disperdevano per ritornare al loro lavoro, si rivolse all’ingegnere che l’accompagnava e gli chiese che cosa pensasse dell’Evangelo. “Oh! gli rispose questi è qualcosa a troppo buon prezzo; non posso credere ad una religione come questa”. Il visitatore non rispose nulla. Entrambi si avviarono verso la gabbia dell’ascensore. Quando vi giunsero, l’evangelista domandò: “Come faremo ad uscire dalla miniera?”. “Riprenderemo l’ascensore, rispose l’ingegnere, non vi è altro mezzo”. “Sì, ed è veramente facile, non è vero? Non vi è nessuno sforzo da fare; tuttavia suppongo che per scavare il pozzo ed installare l’attrezzatura si sia resa necessaria una spesa notevole.” “Senza dubbio, sono stati necessari denari e fatica; il pozzo ha una profondità di 600 metri!” “Ebbene, ingegnere, sa a che cosa penso? Quando la Parola di Dio le dice che chiunque crede nel Figliuol di Dio ha vita eterna, lei risponde che la cosa è troppo a buon mercato. Dimentica ciò che è costata al nostro Salva­tore la grande salvezza che ora a noi basta afferrare per essere salvati. Non vi è, d’altra parte, nessun altro mezzo per trarci dalle nostre tenebre morali e trasportarci nella luce di Dio.”

 

 

“CHI CREDE NEL FIGLIO HA LA VITA ETERNA”. (Gv. 3,35)

In certi momenti, davanti alla debolezza della nostra fede, ci spaventiamo: come si fa a credere pienamente? Come osservare tutte le parole di Gesù? Un giovane si recò da un rabbino per essere illuminato: “Maestro, quanto è immensa la Legge di Dio! Più vasta del mare! Come posso praticarla tutta?” Il rabbino gli raccontò questa parabola: “Un ricco signore aveva nel proprio giardino un’enorme buca. Era così profonda che l’occhio non poteva scorgere il fondo. Chiamò un giorno alcuni operai a salario affinché la riempissero di terra. Alcuni di essi, avvicinatisi alla fossa e scopertane la smisurata profondità, rifiutarono il lavoro giudicando l’impresa impossibile. Altri, più saggi, pensarono: “Che importa a noi quanto è profonda? Noi siamo pagati a giornata e siamo fortunati ad avere lavoro; facciamo il nostro dovere e la fossa, prima o poi, si riempirà”. Allo stesso modo non è saggio per l’uomo dire: “Quanto è immensa la Legge di Dio! Come farò a praticarla tutta?” Dio risponde: “Fa’ ciò che puoi ogni giorno, e non pensare ad altro”.

 

 

“NON GIUDICATE SECONDO LE APPARENZE”. (Gv. 7,24)

La famiglia era riunita per la cena. Il figlio maggiore annunciò che stava per sposare la ragazza della casa di fronte. “Ma i suoi non le hanno lasciato una lira”, obiettò il padre. “E lei non ha messo nulla da parte”, aggiunse la madre. “Non si intende affatto di calcio”, disse il fratello più piccolo. “Non ho mai visto una ragazza pettinata in modo così buffo!”, osservò la sorella. “Non fa che leggere romanzi”, commentò lo zio. “E che cattivo gusto nel vestire!”, disse la zia. “Certo, non lesina cipria e belletto!”, aggiunse la nonna. “E’ vero”, ribatté il ragazzo. “Ma lei ha un enorme vantaggio su tutti noi". “E quale?” chiesero tutti in coro. “Non ha famiglia!”

 

 

“LE MIE PECORE ASCOLTANO LA MIA VOCE E IO LE CONOSCO ED ESSE MI SEGUONO”. (Gv. 10,27)

Sovente Gesù nel Vangelo ha paragonato il suo popolo alle pecore. Come mai? Questo racconto può fornircene una spiegazione: Appena creata, la pecora scoprì di essere il più debole degli animali. Viveva con il continuo batticuore di essere attaccata dagli altri animali, tutti più forti e aggressivi. Non sapeva proprio come fare a difendersi. Tornò dal Creatore e gli raccontò le sue sofferenze. “Vuoi qualcosa per difenderti?”. le chiese amabilmente il Signore. “Che ne dici di un paio di acuminate zanne?”. La pecora scosse il capo: “Come farei a brucare l’erba più tenera? Inoltre mi verrebbe un’aria da attaccabrighe”. “Vuoi dei poderosi artigli?”. “Ah no! Mi verrebbe voglia di usarli a sproposito...” “Potresti iniettare veleno con la saliva”, continuò paziente il Signore. “Non se ne parla neanche. Sarei odiata e scacciata da tutti come un serpente”.  “Due robuste corna, che ne dici?”. “Ah no! E chi mi accarezzerebbe più?”. “Ma per difenderti ti serve qualcosa per far del male a chi ti attacca.” “Far del male a qualcuno? No, non posso proprio. Piuttosto resto come sono...”. Abbiamo perso di vista il fatto che noi esseri umani siamo, in un certo senso, come piccoli animali senza nemmeno una pelliccia o denti aguzzi per difenderci. Ciò che ci protegge non è la cattiveria ma l’umanità: la capacità di amare gli altri e di accettare l’amore che gli altri vogliono offrirci. Non è la nostra durezza a darci il tepore la notte, ma la tenerezza, che fa desiderare agli altri di scaldarci. La vera forza dell’uomo è la sua tenerezza.

 

 

“CHI CREDE IN ME COMPIRA' LE OPERE CHE IO COMPIO”. (Gv. 14,12)

Gesù ci invita alla fiducia in Lui. E’ attraverso Lui che noi giungiamo al Padre. Ma questa confidenza in Lui non è una formula magica attraverso la quale ottenere facili miracoli. Un campione di sci, durante un’intervista, si è sentito porre la domanda se ricorresse alla preghiera prima di una gara importante. La risposta, anche se un po’ sbarazzina, resta comunque degna di un maestro spirituale: “Ma lei crede che Dio abbia tempo di occuparsi dei miei sci? Ci penso io!” Ammesso pure che Dio si occupi degli sci, resta il fatto che ci deve pensa­re soprattutto l’interessato. Pregare Dio non vuoi dire per nulla sentirsi dispensati dal proprio mestiere, dal proprio duro lavoro, dalla propria preparazione condotta con serietà.

 

 

“CHI CREDE IN ME COMPIRA' LE OPERE CHE IO COMPIO”. (Gv. 14,12)

Aver fede ed essere attenti a cogliere qual è la volontà di Dio che si manifesta nel prossimo, e poi tutto diventa possibile.

Tetsugen, uno studente zen, decise di intraprendere un’impresa grandiosa: la stampa di settemila copie dei sutra che a quell’epoca erano disponibili soltanto in cinese. Viaggiò in lungo e in largo per tutto il Giappone per raccogliere i fondi necessari al progetto. Ci furono delle persone ricche che gli offrirono anche cento pezzi d’oro, ma per lo più riceveva monete di poco valore dalla gente delle campagne. Tetsugen esprimeva la stessa gratitudine a ciascun benefattore, indipendentemente dalla somma elargita. Dopo dieci lunghi anni di peregrinazioni, finalmente raccolse il denaro necessario all'impresa. Proprio allora, però, il fiume Uji straripò e migliaia di persone restarono senza cibo e senza riparo. Tetsugen spese tutto il denaro che aveva raccolto per il suo amato progetto, per aiutare quella povera gente. In seguito ricominciò a raccogliere fondi. Passarono di nuovo parecchi anni prima di riuscire a trovare tutto il denaro di cui aveva bisogno. Poi scoppiò un’epidemia in tutto il paese e, Tetsugen diede via tutto quanto aveva raccolto per aiutare i sofferenti. Ancora una volta ripartì e, venti anni dopo, finalmente poté realizzare il suo sogno di stampare le scritture in giapponese. La pressa che produsse la prima edizio­ne dei sutra è conservata presso il monastero di Obaku, a Kyoto. I giapponesi raccontano ai loro figli che Tetsugen pubblicò in tutto tre edizioni dei sutra e che le prime due sono invisibili e di gran lunga superiori alla terza.

 

 

“SE UNO MI AMA, OSSERVERA' LA MIA PAROLA”. (Gv. 14,23)

Spesso non osserviamo i suoi comandamenti perché sappiamo amare poco e qualche altra volta è proprio la pigrizia a giocarci brutti scherzi. Tra i padri del deserto, c’era un monaco molto pigro. L’abate, per non scoraggiarlo con un duro rimprovero e per indurlo saggiamente a fare qualcosa, gli narrò questa parabola: “Un uomo aveva un giardino incolto e ordinò al figlio negligente di dissodarlo con cura. Il figlio vi si recò, ma nel vedere cardi e spine si scoraggiò. Perciò pensò bene di sdraiarsi a terra e dormire. Il padre, che era un uomo accorto e saggio, propose al figlio: “Figlio mio, piuttosto di non far niente, lavora ogni giorno solo quel pezzo di terreno che occupi dormendo”. In breve tempo, mettendo in pratica questo semplice consiglio, il figlio negligente dissodò tutto il terreno.

 

 

“VI HO DETTO QUESTO PERCHE' LA MIA GIOIA SIA IN VOI E LA VOSTRA GIOIA SIA PIENA”. (Gv. 15,11)

Spesso noi facciamo l’errore di leggere il Vangelo come se fosse un codice di norme da osservare e allora siamo spaventati dalle richieste del Signore tipo: “Vai vendi quello che hai, dallo ai poveri e poi vieni e seguimi”, “Amate i vostri nemici e pregate per loro”, “Porgi l’altra guancia”. Ci sembra che il Signore ci chieda delle cose impossibili, dolorose. Gesù, oggi, invece ci dice: “Se vi chiedo cose difficili, ve le chiedo perché siate felici, perché abbiate la vera gioia”. Se riesci ad essere staccato dal denaro, sei libero da un mucchio di preoccupazioni ed hai più tempo per cercare valori veri. Se preghi per il tuo nemico, presto lo vedrai come un fratello e supererai il rancore. Se sai perdonare hai più serenità di quando gusti il frutto amaro della vendetta. E se riesci a fare queste cose, non solo sei felice tu ma fai felici anche gli altri. Ci vuole così poco: basta una parola gentile, un saluto, una carezza, un sorriso… C’erano una volta due blocchi di ghiaccio, si erano formati durante il lungo inverno, all’interno di una grotta di tronchi, rocce e sterpaglie in mezzo a un bosco, sulle pendici di un monte. Si fronteggiavano con ostentata reciproca indifferenza. I loro rapporti erano di una certa freddezza. Qualche “buongiorno”, qualche “buonasera”. Niente di più. Non riuscivano cioè a “rompere il ghiaccio”. Ognuno pensava dell’altro: “Potrebbe anche venirmi incontro”. Ma i blocchi di ghiaccio, da soli, non possono né andare né venire. E così ogni blocco si chiudeva ancor più in se stesso. Nella grotta viveva un tasso che un giorno sbottò: “Peccato che ve ne dobbiate stare qui. E’ una magnifica giornata di sole!”. I due blocchi di ghiaccio scricchiolarono penosamente. Fin da piccoli avevano appreso che il sole era il grande pericolo. Sorprendentemente quella volta, uno dei due blocchi di ghiaccio chiese: “Com’è il sole?”. “E’ meraviglioso… E’ la vita”, rispose imbarazzato il tasso. “Puoi aprirci un buco nel tetto della tana… Vorrei vedere il sole…” disse l’altro. Il tasso non se lo fece ripetere. Aprì uno squarcio nell’intrico delle radici e la luce calda e dolce del sole entrò come un fiotto dorato. Dopo qualche mese, un mezzodì, mentre il sole intiepidiva l’aria, uno dei blocchi si accorse che poteva fondere un po’ e liquefarsi diventando un limpido rivolo d’acqua. Si sentiva diverso, non era più lo stesso blocco di ghiaccio di prima. Anche l’altro fece la stessa meravigliosa scoperta. Giorno dopo giorno, dai blocchi di ghiaccio sgorgavano due ruscelli d’acqua che scorrevano all’imboccatura della grotta e, dopo poco, si fondevano insieme fondando un laghetto cristallino che rifletteva il colore del cielo. I due blocchi di ghiaccio sentivano ancora la loro freddezza, ma anche la loro fragilità e la loro solitudine, la preoccupazione e l’insicurezza comuni. Scoprirono di essere fatti allo stesso modo e di aver bisogno in realtà l’uno dell’altro. Arrivarono due cardellini e un’allodola e si dissetarono. Gli insetti vennero a ronzare intorno al laghetto, uno scoiattolo dalla lunga coda morbida ci fece il bagno. E in  tutta questa felicità si rispecchiavano i due blocchi di ghiaccio che ora avevano trovato un cuore.

 

 

“IO SONO LA VITE, VOI I TRALCI. CHI RIMANE IN ME E IO IN LUI, FA MOLTO FRUTTO, PERCHÈ SENZA DI ME NON POTETE FAR NULLA”. (Gv. 15,5)

Gesù ci invita a rimanere in Lui. Noi ci proviamo ma poi qualche volta, scoraggiati dai nostri insuccessi, cerchiamo da altre parti.

Un uomo decise di scavare un pozzo. Non trovando traccia d’acqua dopo aver scavato una ventina di metri, smise e cercò un altro posto. Questa volta scavò più profondamente ancora, ma non trovò nulla. Scelse allora un terzo posto e scavò ancora più a fondo, ma senza risultato. Completamente scoraggiato, abbandonò l’impresa. La profondità totale dei tre pozzi aveva raggiunto i cento metri. Se avesse avuto la pazienza di fare soltanto la metà di tale scavo, ma in un unico posto, avrebbe trovato l’acqua. Così è della gente che cambia continuamente fede. Per giungere a un risultato bisogna darsi all’oggetto della propria fede in totalità di cuore, senza mai dubitare ch’essa sia efficace.

 

 

“AMATEVI GLI UNI GLI ALTRI COME IO VI HO AMATI”. (Gv. 15,12)

Per riflettere su questa frase fondamentale di Gesù ho scelto un racconto che forse può lasciarci perplessi: ciascuno lo mediti per se stesso. Un re musulmano fu preso da una grande passione per una schiava e la fece trasferire dagli alloggi degli schiavi al palazzo. Progettava di sposarla e di farne la sua favorita, ma, misteriosamente, la ragazza si ammalò gravemente il giorno stesso in cui entrò a palazzo. Peggiorava sempre più. Le fu dato ogni rimedio conosciuto, ma invano. E la povera ragazza lottava ora tra la vita e la morte. Il re, disperato, offrì metà del suo regno a chiunque l’avesse guarita. Ma nessuno osava curare una malattia che aveva sconcertato i migliori medici del regno. Finalmente si presentò un saggio che chiese il permesso di vedere da solo la ragazza. Dopo che ebbe parlato con lei per un’ora, egli si recò dinanzi al trono del re che attendeva con ansia il suo verdetto. “Maestà”, disse il saggio. “lo conosco una cura infallibile per la ragazza. E sono così sicuro della sua efficacia che, se dovesse fallire, mi consegnerò spontaneamente per essere decapitato. La medicina che propongo, però, si dimostrerà estremamente dolorosa.., non per la ragazza, ma per vostra maestà”. “Di’ qual è la medicina”, gridò il re, e le sarà data costi quel che costi. Il saggio rivolse al re uno sguardo di compassione e disse:  “La ragazza e innamorata di uno dei vostri servi. Datele il permesso di sposarlo e guarirà all’istante”. Povero re! Desiderava troppo la ragazza per lasciarla andare. E l’amava troppo per lasciarla morire. (A. de Mello)

 

 

“LO SPIRITO VI GUIDERÀ ALLA VERI­TÀ TUTTA INTERA”. (Gv. 16,12)

Un antico re dell’Arabia con la sua saggezza e giustizia aveva fatto felice il suo popolo. Aveva un figlio natogli in tarda età che manifestava una profonda riflessione e una gravità di pensieri insolite nei fanciulli. Il giovane principe (non aveva ancora quindici anni) un giorno chiese al padre: “Padre mio, tu che hai tanta dottrina, saggezza ed esperienza, dimmi: che cos’è la vita? Qual è il segreto per viverla bene? Il re rimase scosso da una tale domanda alla quale non gli parve saper rispondere subito. Convocò tutti i savi del suo regno e ripeté loro la domanda. Essi si consultarono, poi dissero al re che conveniva che leggesse tutto quello che i filosofi avevano scritto sull’argomento. “Sono molti questi libri? Voglio vederli!” Il giorno dopo cominciarono ad arrivare cammelli carichi di libri. Alla fine erano molte migliaia. Il re disse: “Io sono vecchio, non ho il tempo materiale di leggere tutti questi libri”. Allora ordinò ai savi del suo regno di riassumerli. Passato un anno i savi portarono al re 500 volumi, frutto del loro lavoro di riassunto. Il re sentiva la vecchiaia avanzare e disse: “500 volumi per me sono troppi: riassumeteli ancora.” Passato un anno i volumi divennero 25 ancora troppi. Il re chiese di riassumerli ancora ed essi divennero 10 poi 5 poi 1. Ma il vecchio re che sentiva la morte appressarsi chiese ancora che condensassero il tutto in una frase che rispondesse alla domanda del figlio. Mentre i saggi lavoravano il re stava per morire. Sereno e calmo come un buon lavoratore che ha compiuto la sua giornata, egli si spegneva tranquillamente e tenendo la mano del figlio gli diceva: “Figlio mio, tu fosti la mia gioia, quando nascesti. Tu piangevi e tutti attorno a te ridevano. Fa’ che al tuo morire tutti piangano e tu solo sorrida”. In quel mentre entrò uno dei savi con un foglietto in mano. Lo consegnò al principe. Il re disse al figlio: “Su, leggi”. Il principe lesse: Che cos’è la vita? Quale è il segreto per viverla bene? “Quando nascesti, tu piangevi, intorno a te tutti sorridevano: fa’ che al tuo morire tutti piangano e tu solo sorrida”.

 

 

“NESSUNO VI POTRÀ TOGLIERE LA VOSTRA GIOIA”. (Gv. 16,23)

“C’erano una volta tre monaci. Nessuno conosceva i loro nomi. Da tutti erano conosciuti semplicemente come “i tre Santi che ridono”, infatti facevano solo questo: ridevano! Ridevano e basta…, viaggiavano da una città all’altra, si fermavano sulla piazza del mercato..., e si spanciavano dalle risate. La gente si affollava intorno a loro, i negozi venivano chiusi, ognuno interrompeva le sue attività, tutti venivano contagiati da queste tre persone bellissime e allegre, tutti cominciavano a ridere a crepapelle al solo guardare i tre che, dal gran ridere, saltellavano come tre giullari. E se qualcuno chiedeva loro: “Diteci qualcosa”, i tre monaci rispondevano: “Non abbiamo nulla da dire. Ci limitiamo a ridere per cambiare l’atmosfera.” Ed era vero. Un luogo che fino a pochi istanti prima era triste e lugubre, poiché la gente aveva in mente solo il denaro e gli affari, diventava come per incanto un posto luminoso e sereno: nessuno era più cliente, nessuno era più mercante, tutti dimenticavano di essere là per comprare o per vendere... nessuno era più distorto dalla propria avidità. Ogni persona, preoccupata o in collera, si sentiva come trasformata, e veniva trascinata dal torrente di risate, anche se non capiva bene il motivo di tanto ridere. Anzi, a dire il vero, molti avevano provato ad interrogare i tre sul motivo della loro sfrenata giovialità, ma nessuno aveva ottenuto risposta. Un giorno accadde che uno dei tre monaci morì. Gli abitanti si riunirono e dissero: “Ora sono in un bei guaio. Come potranno gli altri due ridere ancora? Il loro amico è morto, sarà inevitabile che piangano!”  Ma li trovarono, tutti e due, che cantavano, ballavano e ridevano per celebrare il lutto. Gli abitanti del luogo commentarono sdegnati: “Questo è troppo! Non è segno di rispetto... Quando un uomo muore, ridere e danzare è un oltraggio e una profanazione!”  Ma i due monaci risposero: “Sapete, per tutta la vita abbiamo scherzato su chi di noi tre sarebbe morto per primo, e lui ha vinto la scommessa! Il nostro caro amico ha finalmente raggiunto il regno della Luce e della Vita; perché non dovremmo gioire per lui?”. Questa storia ti insegni il segreto della vita. Non vale la pena rattristarsi e incupirsi per i fatti e le preoccupazioni dell’esistenza; a volte un sorriso o una sana risata possono ricordarti che su questa terra sei solo di passaggio e che presto raggiungerai anche tu il regno della Vita e della Luce.

 

 

“FINORA NON AVETE CHIESTO NULLA NEL MIO NOME”. (Gv. 16,24)

Il bambino protagonista del film Capitani coraggiosi entra in chiesa. Deve fare qualcosa per ricordare il suo amico Manuel, il pescatore che l’ha salvato e che, successivamente, è stato inghiottito dall’oceano. Un candeliere, due candele accese, ha i dollari sufficienti per tutto ciò. Fin qui agisce con sufficiente disinvoltura, avvolto dallo sguardo compiaciuto di un prete. Poi, all’improvviso, si trova imbarazzato. E adesso, che cosa devo fare? Mettiti a pregare lo ammonisce paternamente il sacerdote.

Ma il ragazzo non è a suo agio. Tu rimani qui? No. lo vado via. E... posso dire tutto ciò che voglio? Sì, figliolo, puoi dire tutto ciò che vuoi al Signore. L’imbarazzo del bambino esprime l’imbarazzo di tanti uomini che provano il desiderio, almeno qualche volta, di pregare. Fino alle candele accese, al segno di croce furtivo, tutto bene. Ma quando si vorrebbe uscir fuori dal convenzionale, dall’abitudine, spuntano le difficoltà. Non sarà forse perché Dio non è diventato ancora un “Tu”? e Gesù il mio vero fratello?

 

 

“APPENA SCESI A TERRA, VIDERO UN FUOCO DI BRACE CON DEL PESCE SO­PRA, E DEL PANE”. (Gv. 21,9)

Gesù ha preparato cena per i suoi discepoli. Ancora una volta il Risorto manifesta che la sua venuta nel mondo è per il servizio. E indica anche che la fraternità e la condivisione sono il modo per riconoscere la presenza del Risorto nella nostra vita. Riflettiamo su questo attraverso questo raccontino. L’inferno era al completo ormai, e fuori della porta una lunga fila di persone attendeva ancora di entrare. Il diavolo fu costretto a bloccare all’ingresso tutti i nuovi aspiranti. “E’ rimasto un solo posto libero, e logicamente deve toccare al più grosso dei peccatori”, proclamò. “C’è almeno qualche pluriomicida tra voi?”. Per trovare il peggiore di tutti, il diavolo comincio ad esaminare i peccatori in coda. Dopo un po’ ne vide uno di cui non si era accorto prima. “Che cosa hai fatto tu?”, gli chiese. “Niente. Io sono un uomo buono e sono qui solo per un equivoco”. “Hai fatto certamente qualcosa”, ghignò il diavolo, “tutti fanno qualcosa”. “Ah, lo so bene”, disse l’uomo convinto, “ma io mi sono sempre tenuto alla larga. Ho visto come gli uomini perseguitavano altri uomini, ma non ho partecipato a quella folle caccia. Lasciano morire di fame i bambini e li vendono come schiavi; hanno emarginato i deboli come spazzatura. Non fanno che escogitare perfidie e imbrogli per ingannarsi a vicenda. Io solo ho resistito alla tentazione e non ho fatto niente. Mai”. “Assolutamente niente?”, chiese il diavolo incredulo. “Sei sicuro di aver visto tutto?”. “Con i miei occhi!”. “E non hai fatto niente?”, ripeté il diavolo. “No!”. Il diavolo ridacchiò: “Entra, amico mio. Il posto è tuo!”.

 

Racconti nel Vangelo di Marco

 

 

 

 

“GESÙ DISSE ALL’UOMO CHE AVEVA LA MANO INARIDITA: METTITI NEL MEZZO”. (Mc. 3,3)

Il Vangelo di oggi ci presenta un malato davanti a Gesù. L’atteggiamento della gente può essere diverso: dal dire “poverino”. al discutere se sia lecito guarirlo di sabato o se è meglio aspettare. Gesù invece di parlare di lui, di disquisire di teologia, lo mette in mezzo, guarda alla sua persona, si fa parte nella sua sofferenza. Ecco uno dei tanti racconti della vita di Raoul Follereau:

Il portiere dell’albergo gli telefona: “Cercano di lei”.  Discese. C’era una ragazza seduta, con la schiena dritta come un palo e le mani sulle ginocchia. “Mi perdoni cominciò a dire so che la mia domanda le sembrerà strana”, e dopo un silenzio: “Vorrei vedere le sue mani”. Un po’ interdetto gliele mostrò. Ella prima le guardò come se non osasse toccarle; poi si fece coraggio, le prese e continuò:  “Io amo i lebbrosi. Sinceramente. E vorrei aiutarli di tutto cuore. Ma non ho il coraggio di toccarli... Ho un po’ paura. Per questo volevo vedere le sue mani che hanno stretto tante mani, hanno accarezzato tanti volti di lebbrosi”. Egli non la lasciò respirare: “Lei ama i lebbrosi, ma a che serve se non va a dirglielo? A che serve dirlo se non è capace di mostrarlo? Bisogna che lei vada a vederli. Subito. E prenda le loro mani. Come adesso stringe le mie, subito…”

 

 

“E’ LECITO IN GIORNO DI SABATO FARE IL BENE O IL MALE, SALVARE UNA VITA O TOGLIERLA?”. (Mc. 3,4)

Se è vero, come dicono una volta a Gesù, che i miracoli poteva farli in qualunque giorno, perché Egli sembra quasi ostinarsi a farli di sabato, scandalizzando religiosi e benpensanti? Quando Gesù scandalizza, lo fa per il nostro bene, per farci scoprire che le norme vanno bene, sono una guida, quando sono a nostro servizio, ma vanno superate quando c’è un bene maggiore da salvaguardare. Ed è in questo senso che oggi vi propongo questo racconto un po’ difficile e forse anche un po’ scandalizzante.

 

IL COMANDAMENTO DELLA FRUTTA

In una regione desertica gli alberi erano scarsi e la frutta difficile da trovare. Si diceva che Dio volesse fare in modo che ce ne fosse abbastanza per tutti, perciò apparve un profeta e disse: “Questo è il mio comandamento a tutta la popolazione attuale e alle generazioni future: nessuno mangerà più di un frutto al giorno. Così sia scritto nel Libro Sacro. Chiunque trasgredirà questa legge sarà considerato peccatore nei confronti di Dio e degli uomini”. La legge fu osservata fedelmente per secoli, finché gli scienziati scoprirono il sistema per trasformare il deserto in terra fertile. La regione divenne feconda di cereali e bestiame, e gli alberi si curvavano sotto il peso della frutta non raccolta. Ma la legge sulla frutta continuava ad essere imposta da parte delle autorità civili e religiose del paese. Chiunque facesse notare che lasciar marcire la frutta per terra era un delitto contro l’umanità, veniva tacciato di essere blasfemo e nemico della morale. Si diceva che questa gente, che metteva in dubbio la saggezza della Sacra Parola di Dio, fosse guidata dallo spirito orgoglioso della ragione, invece che dallo spirito di fede e sottomissione che solo può condurre alla Verità. In chiesa si tenevano spesso prediche in cui si dimostrava come tutti coloro che infrangevano la legge avessero fatto una brutta fine. Non si accennava neppure al numero altrettanto alto di quanti avevano subito la stessa sorte pur rispettando fedelmente la legge o alla grande massa di coloro che prosperavano nonostante la loro disobbedienza. Non si poteva far nulla per cambiare la legge, perché il profeta che asseriva di averla ricevuta da Dio era morto da molto tempo. Probabilmente egli avrebbe avuto il coraggio e il buon senso di mutare la legge in base alle circostanze poiché aveva accolto la Parola di Dio non come qualcosa da venerare, ma come uno strumento da usare per il bene del popolo.

Di conseguenza, alcuni disprezzavano apertamente la legge, Dio e la religione. Altri la violavano in segreto e sempre con un certo senso di colpa. E la grande maggioranza vi si adeguava in modo rigoroso e si considerava santa solo per il semplice fatto che restavano fedeli ad un’usanza insulsa e superata di cui non avevano il coraggio di sbarazzarsi.

 

 

"NON SI ACCENDE UNA LAMPADA PER NASCONDERLA SOTTO IL LETTO". (Mc. 4,21)

La luce dell'Amore riesce a sconfiggere le tenebre della solitudine. Racconta Madre Teresa:

"In Australia, dove operano le nostre Sorelle, andiamo nelle case dei poveri e laviamo e facciamo le pulizie e tutto questo genere di lavori. Una volta andai nella casa di un uomo solo e gli chiesi: "Mi permettete di pulire la vostra casa?". Quegli mi rispose: "Sto bene così". E io replicai: "Starete meglio se mi lascerete farvi le pulizie". Così mi lasciò ripulire la sua abitazione. Poi scorsi in un angolo della stanza una lampada piena di polvere. Gli domandai:  "Non accendete la lampada?". Mi disse: "Per chi? Sono anni che nessuno viene mai a trovarmi… sono anni". Allora dissi: "Accenderete la lampada, se le Sorelle vi verranno a trovare?". Egli disse: "Sì". Allora ripulii la lampada. Le Sorelle cominciarono ad andare a casa sua, nella sua abitazione e la lampada rimase accesa. Mi dimenticai completamente di lui. Dopo due anni ricevetti notizie da lui stesso che diceva: "Dite alla mia amica che la luce che ha acceso nella mia vita sta ancora brillando".

 

 

“NEL FRATTEMPO SI SOLLEVO' UNA GRAN TEMPESTA DI VENTO CHE GETTAVA ONDE NELLA BARCA, TANTO CHE ORMAI ERA PIENA”. (Mc. 4,37)

Un naufrago, scaraventato da una mareggiata su un’isola deserta, dopo un periodo di sopravvivenza precaria era riuscito a costruirsi una rozza capanna. Aveva supplicato Dio ogni giorno per la sua salvezza e ogni giorno scrutava l’orizzonte nella speranza di avvistare una nave di passaggio. Un mattino, mentre tornava da una spedizione di caccia, vide inorridito che la sua piccola capanna era andata in fiamme. Tutto ciò che era riuscito a salvare dal naufragio era perduto. L’accaduto gli sembrò il presagio della fine. Il povero uomo non si dava pace per la tragedia immane. Gli pareva che tutte le preghiere fossero state vane e che Dio si fosse preso gioco di lui. Proprio quel giorno giunse una nave. Abbiamo visto il suo segnale di fumo spiegò il capitano al naufrago. Nell’imperscrutabile disegno di Dio sovente le perdite più gravi sono foriere di grandi benedizioni..

 

  

“ERODE  ASCOLTAVA VOLENTIERI GIOVANNI IL BATTISTA ANCHE SE NELL’ASCOLTARLO RESTAVA MOLTO PERPLESSO”. (Mc. 6,20)

Erode ha incontrato Giovanni e non si è convertito. Ha incontrato Gesù e non si è convertito. Meditiamo oggi su questa moderna parabola. “Un uomo desiderava conoscere il cristianesimo perché gli era stato riferito che si trattava di una religione venuta da Dio, ma aveva molti dubbi. Si recò in una chiesa e qui gli diedero il Vangelo perché lo leggesse. Lo lesse e ne rimase colpito, ma subito osservò che molti cristiani che lui conosceva lo praticavano male e rimase con i suoi dubbi. Tornò alla chiesa e fu invitato a partecipare a una liturgia molto bella. Vi partecipò e ne fu commosso ma c’erano molte cose che non capiva e restò con i suoi dubbi. Ritornò nuovamente alla chiesa dove gli dettero i documenti dell’ultimo concilio. Li lesse e ne fu impressionato, ma siccome aveva letto anche circa gli errori della Chiesa attraverso la storia, non si persuase nemmeno questa volta. Sconcertato, non ritornò alla Chiesa per molto tempo. Un bel giorno conobbe un santo e familiarizzò con lui. Ne rimase impressionato e di colpo capì il vangelo, la liturgia e la Chiesa. E si convertì.”

 

 

"GUARDATE GLI UCCELLI DEL CIELO". (Mc. 6,26)

Un grano di saggezza: I discepoli facevano molte domande su Dio. Il maestro disse: "Dio è ignoto e inconoscibile, ogni affermazione che lo riguardi, ogni risposta alle vostre domande è una distorsione della verità". I discepoli rimasero perplessi:  "Ma allora perché parli di lui?". "Perché cantano gli uccelli?" disse il maestro. Un uccello non canta perché ha qualche dichiarazione da fare. Canta perché ha una canzone.

 

 

“UN PROFETA NON È DISPREZZATO CHE NELLA SUA PATRIA, TRA I SUOI PARENTI E IN CASA SUA”. (Mc. 6,4)

Una parabola orientale ci illustra quanto afferma Gesù: Sulla grande piazza era arrivato un famoso profeta. Pare dicesse cose molto interessanti. Un’occasione da non perdere. Tutti accorrevano ad ascoltare. Applaudivano entusiasti. Un grosso successo. Era il profeta che ci voleva. Col trascorrere del tempo, però, l’uditorio cominciò a sfoltirsi. Sulla piazza, abitualmente gremita cominciarono a crearsi dei vuoti. Qualcuno si stancava. Altri si infastidivano. Infatti il profeta diceva verità scomode, che disturbavano. Cose che la gente non amava sentirsi dire. Qualcuno lo insultò, altri lo derisero. Ci fu perfino chi pensò di chiamare la polizia. I più se ne andarono in silenzio, delusi. Non era quello il messaggio che si aspettavano. Rimasero in pochi. Ma lui in mezzo a quella mezza dozzina di ascoltatori distratti, continuava a gridare. Anche se mancavano gli applausi. Andò a finire che il profeta rimase solo. Ogni giorno, tuttavia, tornava in piazza a parlare. Un bottegaio, lì vicino, uscì fuori e lo interpellò: “Perché insisti a gridare? Non ti accorgi che è tutto inutile, ormai, la tua missione è fallita, la gente si è stufata di te, non vuole più saperne? A chi parli?” Il profeta rispose: “Vedi, da principio nutrivo la speranza di poterli cambiare, almeno un po’. Per questo dovevo gridare. Adesso, però, mi sono convinto che devo gridare per impedire che siano loro a cambiare me”.

 

 

"VOI STESSI DATE LORO DA MANGIARE".(Mc. 6,37)

La scena qui descritta si ripete ogni giorno ad Assagon (India).(Questa testimonianza è di parecchi anni fa. Padre Maschio è morto. Ma la sua opera continua) Sono le 5 del mattino quando raggiungo l'ampio viale che fiancheggia il santuario. La città è ancora avvolta nel silenzio e nelle tenebre. La strada è letteralmente gremita dalla più eterogenea folla di mendicanti che mente umana possa immaginare: vecchi, donne, bambini... Ogni età è largamente rappresentata. I collaboratori di padre Maschio cercano di mettere un po' d'ordine in questa accozzaglia di creature, che hanno per denominatore comune: fame, miseria, sofferenze. Molti attendono dalle 3 del mattino, alcuni dalla mezzanotte mi dice padre Maschio. E durante la stagione delle piogge, da giugno a settembre, questi poveretti attendono ore e ore sotto una pioggia scrosciante, senz'alcun riparo. Molti vengono da lontano; hanno percorso chilometri e chilometri per prendere quel poco che possiamo offrire loro. Prima le donne!, grida intanto uno dei suoi aiutanti, mettendole in fila. Una folla di mamme, avvolte nei loro poveri "sari” , ridotti spesso a uno straccio, sfila davanti ai miei occhi per ricevere il dono offerto dalla generosità di tanti benefattori. Molte recano un bimbo in braccio e altri attaccati ai "sari". La maggior parte di questi bimbi continua padre Maschio non potranno sopravvivere. Osservi i loro corpicini diafani, scheletriti, il ventre rigonfio, gli arti insufficientemente sviluppati per denutrizione. E quelli che riusciranno a sopravvivere, rimarranno contagiati dalla lebbra o preda di tante altre malattie che trovano nella sporcizia e nella miseria un terreno quanto mai favorevole per attecchire e svilupparsi. Alle donne segue la folla dei bambini, dai due ai dieci anni. Qualcuno tiene per mano il fratellino o la sorellina. Sono tutti vestiti di stracci, qualcuno solo della sua innocente nudità. E' triste, terribilmente tragico dover ammettere che, in pieno secolo ventesimo, ci siano milioni di bimbi che nascono, vivono e muoiono così! Seguono poi i vecchi: molti si trascinano a fatica, altri si appoggiano a un bastone o a rudimentali stampelle. Sono malati cronici, scossi da tosse violenta, minati dalla tubercolosi, che avrebbero bisogno di un ricovero urgente. Alcuni hanno a tracolla un lurido tascapane e in mano un barattolo di latta: tutta la loro proprietà. Trascorrono la vita mendicando, raccogliendo tra le immondizie qualche rifiuto commestibile, in attesa che la morte ponga fine alle loro incredibili sofferenze. Per ultimi vengono i lebbrosi: hanno atteso più degli altri, accosciati per terra, anche perché molti sono mutilati. E' una visione orrenda, straziante, che supera ogni immaginazione: uomini, donne di tutte le età, con il volto e le membra deturpati dal terribile morbo, che ogni giorno strappa loro un brandello di carne. Molti sono privi delle dita delle mani e dei piedi, altri hanno gli arti ridotti a informi moncherini. Alcuni sono seduti su un asse, con sotto quattro rotelle, che un compagno, in grado di camminare, per quella solidarietà che esiste tra i disgraziati, li trascina al luogo di raccolta. A ogni mamma, a ogni bimbo, a ogni vecchio, a ogni lebbroso viene consegnata una pagnotta confezionata apposta, e una "rupia" (150 lire), che assicurerà, oltre al pasto del giorno, anche un piatto di riso per l'indomani... Quanti saranno stati?, chiedo a padre Maschio sul cui volto, generalmente atteggiato a mestizia, vedo splendere un sorriso: la gioia di sentirsi strumento nelle mani di Dio per offrire un po' d'amore a tanti derelitti. Da 4.000 a 5.000! Certi giorni sono ancor più numerosi. Molti verranno più tardi, lungo la giornata. La domenica poi facciamo una distribuzione speciale, solo per i lebbrosi. Ci sono poi ancora i casi nascosti… quelli che non osano o non possono venire a chiedere l'elemosina e spesso sono i più pietosi. Quanto spende per ogni distribuzione? Tra pane e denaro siamo sui due milioni. Una cifra enorme per quei paesi! Sto per ritirarmi, quando si avvicina un lebbroso: un rottame umano, una figura mostruosa da inferno dantesco, che si regge a fatica appoggiandosi a un bastone. Padre, non ne posso più, soffro troppo! Fammi ricoverare in ospedale! Lo sai che non è possibile; non c’è posto. Bisogna attendere che muoia qualcuno... Dammi almeno 20 rupie! (tremila lire). Per farne cosa? Per farmi arrestare! Un poliziotto che conosco è disposto per quella somma a mettermi in prigione; là mi daranno da mangiare e anche delle medicine per attutire i dolori.

 

 

"VOI STESSI DATE LORO DA MANGIARE". (Mc. 6,37)

Al centro "Le Beatitudini" di Madras, fondato da padre Mantovani per accogliervi i più poveri tra i poveri, mentre sto visitando con padre Schlooz i vari reparti, vedo arrivare una giovane donna con in braccio due creature dalla pelle raggrinzita e il ventre rigonfio a causa della denutrizione. "Prendili, padre dice porgendo i due corpicini tremanti altrimenti li uccido e poi mi uccido anch'io". "Ma non puoi...". "Non ho più nulla da dar loro e non posso vederli morire di fame, lentamente, giorno per giorno...".

 

 

"VOI STESSI DATE LORO DA MANGIARE".(Mc. 6,37)

Madre Teresa ha venduto la bianca "Lincoln" che i cattolici americani avevano offerto al Papa per i suoi spostamenti durante il suo soggiorno a Bombay, in occasione del Congresso Eucaristico, nel dicembre 1964, e che egli, prima di partire aveva regalato all'eroica fondatrice delle missionarie della carità. "Il regalo del Papa aveva detto era stato molto prezioso e mi aveva causato una grande emozione, ma ci siamo accorte che il suo mantenimento veniva a costare troppo. Un ricco indù mi ha offerto un prezzo di affezione con il quale abbiamo comprato un terreno sul quale sta sorgendo una città dei lebbrosi". Noi continueremo a girare con i nostri carretti per   i bassifondi alla ricerca di moribondi, neonati, lebbrosi. Quando il Papa, prima di salire sull'aereo, faceva dono della sua auto alla Madre, questa si trovava accanto a un vecchio che moriva per denutrizione. Lo aveva raccolto il giorno prima, mentre si recava al grande "Ovale" ove il Pontefice avrebbe concluso il Congresso. Il vecchio, ridotto a pelle ed ossa, con le gambe sottili come canne di bambù, non aveva potuto essere salvato: la fame lo aveva ridotto oltre quel punto dal quale nessun cibo e nessuna medicina poteva salvarlo. Spirò sereno tra le braccia della buona suora che pregava in ginocchio accanto a lui.

 

 

"VOI STESSI DATE LORO DA MANGIARE". (Mc. 6,37)

Mentre in un anno sono morti di fame 2.500.000 persone, nello stesso tempo sono stati distrutti volontariamente  200.000 vagoni di caffè, 258.000 di zucchero, 26.000 tonnellate di riso, 25.000 tonnellate di carne. Leggo dalla pubblicità di un settimanale: "E' Natale! Pensate al vostro cane! La ditta X ha realizzato per il vostro cane un nuovo tipo di letto con baldacchino, un cappotto che lo ripara dal freddo e un costume nuovo da cow—boy con la stella da sceriffo. Prezzo netto £. 75.000". Per un Natale senza Cristo e senza amore contano più i cani dei bambini! Tragico ma vero: i nostri cani e gatti mangiano e vivono meglio di milioni di bambini!

 

 

"VOI STESSI DATE LORO DA MANGIARE". (Mc. 6,37)

Racconta don Alessi: Sono a Calcutta, la città più popolata dell'India. Sono le otto del mattino. Mi trovo fermo di fronte a una trattoria. Ad un tratto un cameriere del locale getta sulla strada un grosso cartoccio. Immediatamente due bambini di 6—7 anni, coperti di luridi stracci, che forse un giorno erano pantaloni o una maglietta, si impossessano dell'involto sottraendolo a uno dei tanti cani randagi e a uno stormo di corvi sempre in agguato. Aprono avidamente il cartoccio pieno di avanzi di cibo del giorno innanzi: riso, verdure, bucce di frutta, rimasugli di una specie di pane chiamato "ciapati", mentre i loro visetti si illuminano di un sorriso di gioia. Accoccolati a terra, con le manine sudice, cominciano a mangiare avidamente. Presto si uniscono a loro altri due bimbetti... il cerchio si allarga.. c'è posto per tutti! I primi due non difendono il loro tesoro, anzi, con generosità lo dividono con gli altri e anche con i cani e i corvi che reclamano la loro parte. Ogni macchina che passa, sparge su quell'indefinibile pasto la polvere nerastra che ricopre l'asfalto della strada. Ora hanno terminato: si puliscono le manine unte di grasso, sfregandole per terra, poi, senza scambiarsi una parola, ognuno riprende il suo cammino, lasciando ai cani la carta da leccare e ai corvi gli ultimi chicchi di riso. Per oggi i bambini hanno mangiato: non soffriranno la fame! Domani si vedrà...

 

 

"VOI STESSI DATE LORO DA MANGIARE". (Mc. 6,37)

Dal racconto di un ufficiale dell'esercito: Erano 20 anni che non entravo in chiesa, non avevo il coraggio di presentarmi a Cristo con le mani sporche di sangue. Era stato durante la ritirata in Russia: ogni giorno moriva qualcuno dei miei. La fame era tremenda. Ci avevano detto di non entrare mai nelle isbe senza avere in mano il fucile, pronti a sparare al primo cenno di... Dov'ero entrato io, c'era un vecchio, una ragazza bionda, dagli occhi tristi: "Pane! Dateci del pane!". La ragazza si china. Pensai che volesse prendere un'arma, una bomba; sparai deciso. Cadde riversa. Quando mi avvicinai, la ragazza aveva in mano un pezzo di pane. Avevo ucciso una ragazza di 14 anni, un'innocente: nemmeno Cristo mi avrebbe perdonato... Ho cominciato a bere per dimenticare: ma come? Questa mattina ho sentito cantare i ragazzi di una comunità: "Il tuo viso, Signore, il tuo bel viso noi l'abbiamo coperto di sputi". Sono entrato in chiesa. Ho cominciato a piangere... Un prete mi ha dato il perdono.

 

 

"VOI STESSI DATE LORO DA MANGIARE".(Mc. 6,37)

Concludiamo questa serie di fatti sulla fame con una preghiera di Quoist:

Ho mangiato, ho mangiato troppo. Ho mangiato per fare come gli altri, perché ero invitato, perché ero nel mondo ed il mondo non m’avrebbe compreso; e stentavo a mandar giù ogni portata, ogni boccone.Ho mangiato troppo, Signore, mentre nello stesso momento, nella mia città, più di 1.500 persone, con la gavetta, facevano coda alla cucina popolare; mentre quella donna mangiava in soffitta quello che la mattina aveva raccolto nelle immondizie; mentre quei ragazzi, nella loro caverna, dividevano gli avanzi freddi del magro pasto dei vecchi del Ricovero; mentre dieci, cento, mille infelici, nello stesso istante, nel Mondo, si contorcevano di dolore, morivano di fame davanti ai parenti disperati. Signore, è tremendo, perché so, gli uomini ora sanno. Sanno che non solo alcuni infelici hanno fame, ma centinaia sulla porta di casa loro. Sanno che non solo alcune centinaia di infelici, ma migliaia hanno fame alle frontiere del loro paese. Sanno che non solo migliaia, ma milioni hanno fame nel mondo. Gli uomini hanno redatto la carta della fame; le zone di morte s'impongono, terrificanti. Le cifre erigono la loro implacabile verità. Per più di 800 milioni di creature umane, il mensile minimo dell'italiano rappresenta il massimo annuo. Un terzo dell'umanità è sottoalimentato. Parecchi milioni di uomini muoiono di fame durante una sola carestia in India. Gli Indiani vivono in media appena 26 anni. Signore, Tu vedi quella carta, Tu leggi quelle cifre, non come lo statista freddo nel suo ufficio, ma come un Padre di famiglia numerosa chino sulla fronte di ogni suo figliuolo. Signore, Tu vedi quella carta, Tu leggi quelle cifre da sempre. Tu la vedevi, Tu le leggevi quando narravi per me la storia del ricco seduto a tavola e del povero Lazzaro affamato; Tu la vedevi, Tu le leggevi quando narravi per me l'ultimo Giudizio. Ebbi fame Signore, Tu sei terribile! Tu fai coda alla cucina popolare, Tu mangi gli avanzi delle immondizie. Tu agonizzi torturato dalla fame, Tu muori solo in un angolo a 26 anni, mentre nell'altro angolo della grande sala del mondo con alcuni membri della nostra famiglia mangio senz'appetito quello che occorrerebbe per salvarli. Ebbi fame... Tu potrai sempre dirmelo, Signore, se per un solo istante cesso di donarmi. Non avrò mai terminato di servire la minestra ai miei fratelli: sono troppi, ve ne saranno sempre che non avranno avuto la loro parte. Non avrò mai finito di lottare per ottenere la minestra per tutti i miei fratelli. Signore, non è facile dar da mangiare al Mondo. Preferisco fare la mia preghiera, regolare, pulita, preferisco far astinenza il venerdì, preferisco visitare il mio povero, preferisco dare ai banchi di beneficenza ed agli istituti; ma dunque non basta, dunque non è nulla, se un giorno Tu mi potrai dire: "Ebbi fame!". Signore, non ho più fame, Signore, non voglio più aver fame. Signore, non voglio più mangiare che il necessario per vivere, per servirli e lottare per i miei fratelli. Perché Tu hai fame, Signore, Perché Tu muori di fame, io sono sazio.

 

 

“E LO PREGAVANO DI POTERGLI TOCCARE ALMENO LA FRANGIA DEL MANTELLO; E QUANTI LO TOCCAVANO GUARIVANO”. (Mc. 6,56)

C’era un tempo un uomo così pio che anche gli angeli si beavano nel vederlo. Un giorno un angelo gli disse: “Sono stato mandato da Dio. Domanda tutto ciò che vuoi e ti sarà dato. Desideri avere il dono di guarire la gente?” “No”, rispose l’uomo, “preferisco che sia Dio stesso a guarire” “Ti piacerebbe essere un tale modello di virtù che la gente si senta spronata a imitarti?” “No”, disse il santo, “perché così sarei sempre al centro dell’attenzione “Che cosa desideri allora?”, domandò l’angelo. “La grazia di Dio”, replicò l’uomo. “E’ tutto ciò che desidero”. “No, devi chiedere una dote miracolosa o ti verrà imposta”. “Be, allora domando che sia compiuto del bene per mezzo mio, senza che io lo sappia”. Fu quindi deciso che l’ombra del santo uomo fosse dotata di proprietà miracolose tutte le volte che egli stava di spalle. Così, dovunque la sua ombra si posasse, purché fosse dietro di lui, i malati erano sanati, la terra diventava fertile, zampillavano le fontane e il volto di coloro che erano oppressi dalle pene della vita riprendeva colore. Ma il santo non sapeva nulla di tutto questo, poiché l’attenzione di tutti era così concentrata sulla sua ombra che nessuno si ricordava di lui e il suo desiderio di fare da intermediario senza essere notato fu esaudito fino in fondo.

 

 

“... TUTTO VIEN FUORI DAL DI DENTRO”. (Mc. 7,23)

Nel Vangelo odierno, Gesù ci riporta al centro di noi stessi. Una favoletta provocatoria può forse farci pensare a questo. Dio, stanco degli uomini che continuavano a scocciarlo e a chiedergli questa o quell’altra cosa, un bel giorno disse: “Vorrei andarmene per un po’, nascondermi da qualche parte”. Radunò i suoi consiglieri e chiese loro: “Dove potrei nascondermi per un po’? Quale sarebbe, secondo voi, il luogo più adatto?”. Alcuni dissero: “Nasconditi sulla cima della montagna più alta della terra”. Altri dissero: “Oh, no! Nasconditi nel fondo dell’Oceano!”. Un altro ancora disse: “Il posto più adatto è il lato oscuro della luna, nessuno potrebbe trovarti là!”. Dio si rivolse allora al più fidato dei suoi angeli e gli chiese: “Secondo te, quale sarebbe il posto migliore?”. “Nasconditi nel cuore degli uomini” rispose l’angelo. “E’ l’unico posto dove non verrà mai loro in mente di cercarti”.

 

 

“SE UNO VUOI ESSERE IL PRIMO, SIA L’ULTIMO DI TUTTI”.  (Mc. 9,35)

RICERCA DI DIO

Uno scienziato s’impegnò per anni e anni nel cercare Dio con i metodi della scienza. Non essendo riuscito nella sua impresa, si accanì contro tutti i credenti di ogni religione, sbeffeggiandoli e irridendoli. Un giorno, mentre passeggiava in un bosco, scorse un contadino che pregava inginocchiato davanti a una cappella. “Poveretto! gli disse perché cerchi qualcosa che non c’è?” “Chi sei tu che mi parli così?” gli chiese l’uomo. “Io sono uno che mi sono tuffato infinite volte in infiniti mondi per trovare Dio, e ti assicuro: Dio non c’è”. Il contadino rispose: “Se non sei riuscito a trovare la perla con i tuoi tuffi, non dare la colpa all’oceano; da’ la colpa a te stesso. Non ti sei tuffato ancora abbastanza profondamente.” “Perché gli fece lo scienziato tu forse l’hai trovato? e in quale oceano?” “In quell’oceano che è il più vasto e infinito di tutti, e, insieme, il più piccolo di tutti” e nel dir questo gl’indicò il proprio cuore.

 

 

"CHE COSA DEVO FARE PER AVERE LA VITA ETERNA". (Mc. 10,17)

Questa domanda mi ha fatto venire in mente un racconto dei Padri del deserto, che pur non avendo nulla a che fare con il contesto di questo versetto evangelico, mi sembra però significativo: "Un fratello si recò dal padre Macario l'Egiziano e gli chiese: "Padre, dimmi una parola: come posso salvarmi?" Gli dice l'anziano: "Va' al cimitero e insulta i morti". Il fratello vi andò, li insultò e li prese a sassate. Quindi ritornò a dirlo all'anziano, e questi gli disse: "Non ti hanno detto nulla?" Ed egli: "No". Gli dice l'anziano: "Ritorna domani e lodali". Il fratello vi andò e li lodò chiamandoli apostoli santi e giusti. Quindi ritornò dall'anziano e gli disse: "Li ho lodati". Ed egli: "Non ti hanno risposto nulla?" "No". "Tu sai quanto li hai insultati dice l'anziano e non hanno risposto nulla, e quanto li hai lodati, e non ti hanno detto nulla; diventa anche tu morto in questo modo, se vuoi salvarti. Non far conto né dell'ingiuria né della lode degli uomini, come i morti. E potrai salvarti".

 

 

"GESÙ, FISSATOLO, LO AMÒ INTENSAMENTE". (Mc. 10,21)

Lo sguardo di Gesù conosce a fondo il cuore dell'uomo e viene a rispondere alla esigenza più profonda dell'uomo: il bisogno di amare. Più ancora che del cibo, della salute, del denaro, l'uomo ha bisogno di essere amato. In una torrida e afosa giornata di maggio è portata in ambulanza al Nirmal Hriday una donna, ridotta a un mucchietto informe e maleodorante. Madre Teresa solleva quel povero corpo scarno, così simile a una radiografia. Le piaghe aperte raccontano una lunga storia di patimenti. Mentre lava delicatamente tutto il corpo con acqua disinfettante, invita un'altra suora ad intervenire con cardiotonici, e una terza a portare un brodo tiepido. La donna si  rianima,  gli  occhi che fissavano il vuoto riprendono  vita. Mormora: Perché fai questo? Perché ti voglio bene dice piano madre Teresa. La donna con un grande sforzo le prende la mano: "Dillo ancora” Ti voglio bene ripete con dolcezza. Dillo ancora, dillo ancora. La donna le stringe le mani, l'attira a sé. Sulle sue labbra appare un'ombra di sorriso.

 

 

"QUANTO DIFFICILMENTE COLORO CHE HANNO RICCHEZZE ENTRERANNO NEL REGNO DI DIO”,(Mc. 10,23)

Quanta afflizione, quanti problemi per il denaro, il potere, il successo; quante corse, quanti morti... Questa parabola buddista parla di  oro  e  cenere  ma anche  di  occhi  per vedere la cenere o l'oro. C'era un uomo ricco e avido che improvvisamente trovò il suo oro tramutato in cenere. Tanto se ne afflisse, che si mise a letto rifiutando ogni cibo. Un amico, saputo della sua malattia, andò a visitarlo e apprese la causa del suo dolore. Gli disse allora: "Non facevi buon uso delle tue ricchezze. Esse perciò, quando le ammassavi, non erano migliori della cenere.   Ora ascolta il mio consiglio: stendi una stuoia nel tuo bazar, mettici sopra questa cenere, e fingi di farne commercio” Il ricco fece come l'amico gli aveva consigliato, e quando qualcuno gli chiese: "Perché vendi cenere?", egli rispose: "Metto in vendita i miei beni". Un giorno venne a passare di lì una ragazza orfana e molto povera, ma senza cupidigia nel cuore. Vedendo il mercante nel bazar, gli disse: "Signore, perché hai ammucchiato lì, per venderli, oro e argento?" Il ricco mercante rispose: "Vuoi porgermi, per favore, quell'oro e quell'argento?" Ed ella prese una manciata di cenere, che subito si tramutò in oro. Per chi ha le mani pure, la cenere diventa oro; ma per chi ha cupidigia nel cuore, l'oro si tramuta in cenere.

 

 

"E' PIU' FACILE CHE UN CAMMELLO PASSI PER LA CRUNA DI UN AGO CHE UN RICCO ENTRI NEL REGNO DI DIO".

(Mc. 10,25)

Qualche volta corriamo il rischio di pensare che la ricchezza sia solamente conto in banca, portafoglio; ci sono anche tanti altri tipi di ricchezze, di egoismi intellettuali che ci fanno più grossi di un cammello. Un maestro di sapienza giapponese, noto per la saggezza delle sue dottrine, ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sul suo pensiero. Il saggio servì il tè: colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare, con espressione serena e sorridente. Il professore guardò traboccare il tè, tanto stupefatto da non riuscire a chiedere spiegazione di una distrazione così contraria alle norme della buona creanza; ma, a un certo punto, non poté più contenersi: "E' ricolma! non ce ne sta più!" "Come questa tazza", disse il saggio imperturbabile, "tu sei ricolmo della tua cultura, delle tue opinioni e congetture erudite e complesse: come posso parlarti della mia dottrina, che è comprensibile solo agli animi semplici e aperti, se prima non vuoti la tazza?".

 

 

“E’ PIÙ FACILE CHE UN CAMMELLO PASSI PER UNA CRUNA DI UN AGO, CHE UN RICCO ENTRI NEL REGNO DI  DIO”.

(Mc. 10,25)

Un uomo e una donna portarono un giorno le loro lamentele a giudizio da un saggio rabbino. “Mio marito”, singhiozzò la donna, “è uscito di senno. Polverizza le nostre ricchezze in carità e doni. Potremmo vivere nell’agio, ed invece siamo costretti a mendicare un tozzo di pane” “Mio fratello, invece”, sospirò l’uomo, ‘‘non presta ascolto alle mie preghiere. Ho un figlio molto malato e ho chiesto invano un piccolo aiuto in denaro”. Il rabbino volle indagare personalmente sulle ragioni di tali condotte; ascoltò perciò con attenzione le difese dei responsabili. Il marito dichiarò di temere una morte prematura; suo unico cruccio era assicurarsi la salvezza dell’anima per mezzo di elemosine ed elargizioni. Il ricco fratello dichiarò di temere sopra ogni altra cosa una vecchiaia di stenti e miseria; a scongiura di ciò, egli si impegnava nel risparmio di ogni singolo danaro. “Possa il Signore proteggervi da quel che più temete”, disse il rabbino a conclusione della visita. Ed il Signore non tardò ad accogliere questa preghiera. Il filantropo che temeva una morte prematura, visse fino a tardissima età, elargendo ogni bene... ogni dove. E all’avaro fu risparmiata una meschina vecchiaia. Infatti morì di accidente pochi mesi dopo.

 

 

“PIETRO DISSE A GESÙ: ECCO, NOI ABBIAMO LASCIATO TUTTO E TI ABBIAMO SEGUITO”. (Mc. 10,28)

Un giovane monaco buddista, dopo aver trascorso qualche mese in un monastero, disse un giorno al suo maestro: “Maestro, ho riflettuto: non mi sento di rinunciare a tutto adesso che sono giovane. Lo farò quando sarò più vecchio; ora ci sono troppe cose che voglio sperimentare nei mondo”. Detto questo, se ne andò. Il maestro, quella sera, comunicò cosi la notizia alla comunità: “Il nostro giovane novizio se n’è andato, attratto dai mondo. Egli diventerà come quell’uomo che decise di rinunciare a tutto quando gli mori la moglie, la sua casa bruciò e i suoi raccolti furono distrutti dalle cavallette.” Al Signore questo tipo di rinuncia non interessa. Colui che abbandona la via della disciplina interiore non sarà pronto a “rinunciare a tutto” sintanto che avrà ancora qualcosa cui rinunciare.

 

 

"E MOLTI DEI PRIMI SARANNO ULTIMI E GLI ULTIMI I PRIMI”. (Mc. 10,31)

Era piccolo, sparuto e miserabile, quell'ometto. Era un servo, un domestico indiano, e doveva compiere la sua corvée nella residenza del grande Signore. Pieno di umiltà e di terrore, l'Ometto si teneva in piedi di fronte al padrone. Forse a causa di quella sua aria smarrita, era da questi particolarmente disprezzato. "Mi sembri un cane", gli diceva. "Mettiti a quattro zampe. Ora trotta come i cagnolini. Ora drizza le orecchie. Fa' il Bello. Giungi le mani". L'Ometto obbediva come meglio poteva, e il padrone rideva a crepapelle. E così ogni giorno, obbligava il suo servo a umiliarsi, lo esponeva alle canzonature dei suoi compagni. Ma una sera, l'Ometto alzò d'un tratto la voce. Aveva qualcosa da dire. "Grande Signore, Padrone mio, perdonami, ma vorrei parlarti", disse. "Che? proprio tu?... e a Me?" "Sì, Signore. Ho fatto un sogno. Ho sognato che eravamo morti tutti e due: tu ed io". "Tu?... con Me?... Racconta, che ridiamo un po' “ "Ecco, eravamo morti, e perciò nudi tutti e due insieme. Nudi davanti al nostro grande Patrono san Francesco” "Ma guarda un poi E allora?... Parla!" ordinò il padrone, tra seccato e incuriosito. "Il nostro grande Patrono ci esaminava con i suoi occhi che vedono fin dentro al cuore. Poi chiamò un Angelo e gli ordinò: "Porta una coppa d'oro piena del miele più trasparente!" "E allora?" incalzò il padrone. "Allora san Francesco disse: "Ricopri questo gentiluomo col miele della coppa d'oro". E l'Angelo, prendendo il miele nelle proprie mani, lo ha spalmato sopra il tuo corpo, o Padrone, dalla testa ai piedi, cosicché tu eri raggiante di luce, come una statua d'oro, trasparente nello   splendore    del cielo". "Bene", fece il padrone. Poi soggiunse: "E tu?" "Per me, il nostro Santo Patrono fece venire un Angelo con un grosso bidone pieno di escrementi umani." "Andiamo, gli disse, insudicia il corpo di questo ometto; coprilo tutto come meglio potrai. Alla svelta". Così fece l'Angelo. Mi impiastricciò tutto il corpo, da capo a piedi, ed io comparvi, vergognoso e puzzolente, nella luce del cielo...". "Proprio così ha da accadere", approvò il Padrone. "Finisce qui la tua storia?" "Oh no, mio Signore, no, Padre mio. San Francesco riprese a scrutarci con quei suoi occhi che frugano il cuore, poi comandò: "Ed ora, leccatevi l'un l'altro. Lentamente e a lungo!" E ordinò agli Angeli di vegliare perché si adempisse la sua volontà".

 

 

"MENTRE ERANO IN VIAGGIO GESU' CAMMINAVA DAVANTI A LORO". (Mc. 10,32)

Già altre volte ci siamo fermati a pensare su questo "seguire le orme di Gesù. Una favola buddista, nella sua ingenuità può forse aiutarci meglio a comprendere che cosa vuoi dire identificarsi con lui. Una bambola di sale, dopo un lungo pellegrinaggio attraverso le terre aride, arrivò al mare e scoprì qualche cosa che mai essa aveva visto ed era incapace di comprendere. Stava sulla terra ferma, piccola, dura bambola di sale, ed ecco che davanti a lei si stendeva un'altra terra, mobile, pericolosa,numerosa,strana, sconosciuta. Chiese al mare: "Ma chi sei tu?" "Sono il mare". La bambola domandò ancora: "Cos'è il mare?", e il mare rispose: "Sono io". "Non riesco a capire continuò la bambola ma vorrei proprio poterlo fare; come posso?".  Disse il mare: "Toccami". Allora la bambola, timidamente mosse in avanti un piede e toccò l'acqua e provò la strana impressione che quella cosa cominciasse a diventare conoscibile. Tirò indietro la gamba e vide che le dita del suo piede erano scomparse; spaventata esclamò: "Oh, dove sono andate le mie dita, cosa mi hai fatto?" E il mare disse: "Tu mi hai dato qualche cosa di te per poter comprendere". Progressivamente l'acqua rosicchiò dalla bambola piccoli frammenti di sale ed essa avanzò sempre più lontano nel mare, e più avanzava, più aveva l'impressione di capire meglio, senza tuttavia essere capace di dire con le sue parole che cos'è il mare. Affondando si scioglieva sempre di più, ripetendo: "Ma che cos'è il mare?" Alla fine un'onda fece sparire quel che restava ancora di lei e la bambola disse: "Sono io!".

 

 

“CHI VUOI ESSERE GRANDE TRA VOI SI FARA' VOSTRO SERVITORE”. (Mc. 10,43)

Gesù parla tanto di servizio perché è proprio questo il fondamento dell’amore. In un suo scritto S. Agostino dice: “Si racconta che i cervi, quando vogliono recarsi al pascolo in certe isole lontane dalla costa, per attraversare la lingua di mare, poggiano la testa sulla schiena altrui. Succede così che uno soltanto, quello che apre la fila, tiene alta la propria testa senza appoggiarla sugli altri; quando però egli si è stancato, si toglie dal davanti e si mette per ultimo, sicché anche lui può appoggiarsi sul compagno. In questo modo tutti insieme portano i loro pesi e giungono alla meta desiderata: non affondano perché la carità e il servizio vicendevole fanno loro da nave

 

 

"GESÙ HA DATO LA SUA VITA IN RISCATTO PER TUTTI”.  (Mc.10, 45)

Se siamo onesti è facile scoprirci poveri, senza meriti, con le mani vuote. Ma se siamo anche umili, consapevoli dei doni di Dio, riconoscenti, c'è qualcuno che ci vuol bene, ci accompagna, ci salva: “Aveva sciupato la vita in preoccupazioni, che ora sul letto di morte non contavano niente. Ebbe però il coraggio di chiamare un sacerdote. Questi, per l'infinita misericordia di Dio, gli perdonò tutti i peccati della vita e lo riconciliò con Dio. Ma il moribondo, triste, guardava le sue mani e sospirava: Come sono vuote di opere buone le mie mani, come sono vuote! Allora il sacerdote staccò dalla parete il crocifisso, lo pose tra le mani di quel povero uomo pentito e gli disse: Ora le tue mani non sono più vuote! I meriti di Gesù, che ti ama, sono diventati tuoi. Ora possiedi il più grande tesoro, il lasciapassare per il Regno del Padre. A queste parole il povero uomo si strinse felice il Crocifisso al cuore e morì sereno”. Ma non solo in punto di morte, la croce ci parla della misericordia di Dio in Gesù, ma già durante la vita può riempirci di speranza, di misericordia, di pazienza, di amore. S. Francesco di Sales, famoso vescovo di Ginevra, incontrò un giorno un ragazzo. Portava un secchio pieno d'acqua, su cui galleggiava un piccolo pezzo di legno. Chiese: “Ragazzo mio, a che serve quel pezzo di legno sull'acqua del secchio?” Rispose il ragazzo: “Con quel pezzo di legno, l'acqua non si agita troppo, mentre cammino, e quindi non esce dal secchio.” Questo fatto suggerì al santo dottore un'utile considerazione sulla vita dell'uomo: “Sulle onde dei tuoi dubbi e dolori, o uomo, metti la croce di Cristo. Essa ti darà tranquillità e non perderai la pazienza nel tuo soffrire.”

 

 

“L’UOMO LASCERA' SUO PADRE E SUA MADRE E I DUE SARANNO UNA SOLA CARNE. L’UOMO DUNQUE NON SEPARI CIO' CHE DIO HA CONGIUNTO”. (Mc. 10,9—10)

Oggi è molto facile sentire parlare con superficialità di tradimenti matrimoniali. Maestro, parlami della fedeltà disse un discepolo.

Un cane servì il suo padrone per tutta la vita, ne difese la casa e i beni e quando questi morì rimase per due mesi sulla sua tomba. Quando morì il cane, gli uomini gli eressero una piccola stele sulla quale scrissero: “Fedeltà”. Un uomo rimase fedele alla moglie per tutta la vita. Quando morì, dietro il suo feretro c’era solo la moglie, ed essendo egli un poveraccio, fu gettato nella fossa comune. Perché questa differenza, maestro? Perché gli uomini ammirano la fedeltà degli animali, cui nulla costa essendo inscritta nella loro natura. Quanto a praticarla essi stessi, non vogliono pagarne il prezzo, conoscendone il costo. La fedeltà coniugale è virtù preziosissima, e ha quindi un costo molto elevato.

 

  

"TUTTO QUELLO CHE DOMANDATE NELLA PREGHIERA, ABBIATE FEDE DI OTTENERLO E VI VERRA' ACCORDATO".

(Mc. 11,24)

Tante volte questa frase di Gesù, staccata dal discorso fede - fiducia - abbandono, ha creato quasi un automatismo ed ha ridotto Dio ad un tappabuchi. Questo aneddoto di Antony de Mello, anche se a prima vista un po' sconvolgente e irriverente è invece pieno di saggezza e nella linea di Gesù. Il maestro non smetteva mai di attaccare le nozioni di Dio che la gente aveva. "Se il vostro Dio viene a salvarvi e vi toglie dai guai", diceva, "è ora che cominciate a cercare il vero Dio". Quando gli chiesero di spiegarsi, raccontò questa storia: Un uomo lasciò al mercato, incustodita una bicicletta nuova fiammante e andò a fare le sue spese. Si ricordò della bicicletta solo il giorno dopo... e si precipitò al mercato sicuro che fosse stata rubata. La bicicletta era esattamente dove l'aveva lasciata. Sopraffatto dalla gioia si precipitò in un tempio vicino  a ringraziare Dio per aver custodito la sua bicicletta... solo per scoprire, uscendo dal tempio, che la bicicletta non c'era più!

  

 

“ANDATE IN TUTTO IL MONDO E PREDICATE IL VANGELO AD OGNI CREATURA”. (Mc. 16,15)

Un bambino aveva accompagnato per la prima volta la mamma in chiesa. L’organo, i canti, le vetrate, tutto era nuovo per lui. Non poteva staccare gli occhi dalle grandi finestre con tanti magnifici personaggi colorati. Nel suo entusiasmo, disse alla mamma: “Mamma, chi è quella gente sulle finestre?”. La mamma, in imbarazzo, perché non voleva disturbare, mormorò: “Sono dei cristiani, zitto, non parlare!”. Qualche tempo dopo, a scuola, la maestra chiese: “Chi sa dirmi che cosa sono i cristiani?”. Il bimbo alzò la mano. “Maestra, disse i cristiani sono della gente attraverso cui brilla la luce”. La risposta di quel bambino, per ingenua che possa apparire, era molto bella. La luce del mondo, è Gesù che e venuto da presso a Dio, ed ha rivelato il suo amore e lo ha dimostrato col dono di se stesso. Egli ci incarica di lasciar trasparire la sua luce. Noi siamo “la luce del mondo”. Nulla veli la diffusione di questa luce attorno a noi.

     
     
 

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