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I Racconti della Parola al giorno

nell'Antico Testamento

 

 

 

 

 

 

“IN PRINCIPIO DIO CREO' IL CIELO E LA TERRA”. (Gen. 1,1)

Avvenne che un pagano chiese a Rabbi Aqivà: “Questo mondo da chi è stato creato?”. Rispose Rabbi Aqivà: “Dal Santo, Benedetto Egli sia”. Il pagano: “Cerca di essere più chiaro”. E Rabbi Aqivà: “Che cosa indossi?”  “Un vestito”. “Chi lo ha fatto?”. “Il sarto”. Ribatte allora il rabbino: “Non ci  credo, cerca di essere più chiaro”. “Ma che cosa ti devo dire, non sai che il sarto fa i vestiti?”. “E tu non sai che il Santo Benedetto Egli sia ha creato il mondo?”. Il pagano se ne andò; e gli allievi di Rabbi Aqivà gli chiesero: “Perché la cosa è chiara?”. Egli allora rispose: “Figlioli, come la casa rivela l’opera del costruttore, il vestito quella del sarto e la finestra quella del falegname, così il mondo ci rivela che il Santo, Benedetto Egli sia, lo ha creato”.

 

 

"FACCIAMO L'UOMO A NOSTRA IMMAGINE E SOMIGLIANZA". (Gen. 1,26)

Le nostre paure e il nostro peccato spesso ci fanno dimenticare che noi siamo Figli di Dio e che sempre possiamo fidarci del nostro Padre.

Il mantello lacerato

Un guerriero dal passato piuttosto torbido chiese ad un anacoreta se pensava che Dio avrebbe mai potuto accogliere il suo pentimento. E l'eremita, esortato che l'ebbe con molti discorsi, gli domandò: "Dimmi, ti prego, se il tuo mantello è lacerato, lo butti via?.. "No", rispose l'altro: "lo ricucio e torno ad indossarlo". "Dunque", soggiunse il monaco, "se tu hai riguardo al tuo vestito di panno, vuoi che Dio non abbia misericordia per la sua immagine?". (dagli Apoftegmi dei Padri del deserto)

 

 

“E I DUE SARANNO UNA SOLA CARNE”. (Gen. 2,24)

Avvenne una volta che un uomo decise di ripudiare la moglie, poiché non gli aveva dato figli. Si presentò allora al rabbino per avere la sua approvazione. Il rabbino disse: Approvo, ma a una condizione. Che come avete fatto festa quando vi siete uniti, così facciate festa ora che vi dividete. Fu fatta quindi una gran festa, con danze, cibi prelibati e ottimo vino. La donna approfittò dell’occasione per far bere il marito più del solito, così che questi, in preda all’euforia, a un certo punto le disse: Figliola, puoi portar via dalla mia casa quel che più ti piace; e poi torna alla casa di tuo padre. Che cosa fece allora la donna? Quando il marito fu addormentato, ordinò ai servi di portare lui e il letto in cui dormiva nella casa di suo padre. Nel bel mezzo della notte, smaltita la sbornia, l’uomo si svegliò e si stupì di trovarsi in una stanza a lui ignota. Dove mi trovo, donna? Ti trovi nella casa di mio padre, rispose la moglie. E perché mai? Perché ieri sera mi dicesti che, tornando nella casa di mio padre, avrei potuto portar via con me quel che più mi piaceva. Ora, nulla al mondo mi piace più di te. L’uomo provò molta dolcezza nel sentire quelle parole. E dalla dolcezza di un amore che risorge nasce sempre qualcosa: in quel caso, dopo nove mesi nacque il figlio tanto atteso. (Storia rabbinica)

 

 

“DIO DISSE: CHI TI HA FATTO SAPERE CHE ERI NUDO? HAI FORSE MANGIATO DELL’ALBERO DI CUI TI AVEVO COMANDATO DI NON MANGIARE?”. (Gen. 3,11)

LA PRIMA LACRIMA

Il Signore aveva letto nel cuore di Adamo ed Eva che si erano pentiti del male fatto, ebbe pietà e disse loro: “Infelici figlioli! Vi ho giudicato ed ora dovrete portare le conseguenze di quanto avete fatto. Vi dovrò cacciare da questo splendido luogo, il Giardino di Eden dove siete stati così felici ed andrete in un altro luogo che non conoscete ancora, ma dove vi aspetta una vita ben diversa da quella di prima. Infatti sventure e mali vi colpiranno, grandi difficoltà vi attendono e il vostro animo sarà molto amareggiato. Sappiate però che ho letto nel vostro cuore ciò che sentite in questo momento e vi assicuro perciò che il mio amore verso di voi non cesserà mai. Vi regalo inoltre una pietra preziosa, che traggo dal mio forziere, la lacrima. Quando le sventure si abbatteranno su di voi, le lacrime che scenderanno dai vostri occhi conforteranno i vostri cuori e vi saranno di grande aiuto per superare le gravi difficoltà della nuova vita che vi attende.” Adamo ed Eva, mentre ascoltavano le parole del Signore, incominciarono a piangere e le lacrime cadevano sulla terra. Furono quelle le prime lacrime umane che bagnarono la terra. E come le lacrime aumentavano e manifestavano in questo modo il loro sincero pentimento, e sempre più scendeva nel loro cuore la consolazione divina. Adamo ed Eva sentivano ora che rinasceva in loro la speranza. Queste lacrime del pentimento e della consolazione, le prime del genere umano, Adamo ed Eva le hanno lasciate in eredità a tutti i loro discendenti.

(Da una antologia midrascica del XIII Secolo)

 

 

"CON IL SUDORE DEL TUO VOLTO MANGERAI IL TUO PANE”.  (Gen. 3,19)

Il lavoro dell'uomo può essere maledizione ma è anche il tesoro prezioso che può dar senso alla sua vita.

Diceva Don Bosco: "Lavoriamo come se dovessimo vivere sempre, e viviamo come se dovessimo morire in questo giorno"

IL TESORO DEL GIARDINIERE.

C'era una volta un uomo che faceva il giardiniere. Non era ricco, ma lavorando sodo era riuscito a comperare una bella vigna. Aveva anche allevato tre figlioli robusti e sani. Ma proprio qui stava il suo cruccio: i tre ragazzi non dimostravano in alcun modo di condividere la passione del padre per il lavoro campestre. Un giorno il giardiniere sentì che stava per giungere la sua ultima ora. Chiamò perciò i suoi ragazzi e disse loro: "Figlioli, debbo rivelarvi un segreto: nella vigna è nascosto tanto oro da bastare per vivere felici e tranquilli. Cercate questo tesoro, e dividetelo fraternamente tra voi.”. Detto questo, spirò. Il giorno dopo i tre figli scesero nella vigna con zappe, vanghe e rastrelli, e cominciarono a rimuovere profondamente la terra. Cercarono per giorni e giorni, poiché la vigna era grande e non si sapeva dove il padre avesse nascosto l'oro di cui aveva parlato. Alla fine si accorsero di aver zappato tutta la terra senza aver trovato alcun tesoro. Rimasero molto delusi. Ma dopo qualche tempo, compresero il significato delle parole del padre; infatti quell'anno la vigna diede una quantità enorme di splendida uva, perché era stata ben curata e zappata. Vendettero l'uva e ne ricavarono molti rubli d'oro, che poi divisero fraternamente secondo la raccomandazione del padre. E da quel giorno compresero che il più grande tesoro per l'uomo è il frutto del suo lavoro.

(Rielaborato dai Racconti di Leone Tolstoj)

 

 

“L’ISTINTO DEL CUORE UMANO È INCLINE AL MALE FIN DALL’ADOLESCENZA”. (Gen. 8,21)

Un discepolo domandò un giorno a Sri Ramaknishna come fare per liberarsi dai pensieri di lussuria che lo assalivano da ogni parte. Ne ebbe questa risposta: Un uomo aveva un cane che amava moltissimo, che accarezzava e abbracciava di continuo. Un saggio gli consigliò di non attaccarsi troppo a quell’animale, che era pur sempre un animale e che avrebbe anche potuto morderlo.. L’uomo acconsentì, e da quel giorno non volle più occuparsi del cane, né tanto meno, accarezzarlo. Il cane, non potendosi rendere conto di quanto era accaduto, tornò più e più volte dall’uomo a mendicare un segno d’amicizia. Ma cessò di venire solo quando l’uomo, alla richiesta di una carezza, cominciò ad alzare minacciosamente il bastone. La stessa cosa per te, amico. Malgrado il tuo desiderio di disfartene, il cane che per lungo tempo hai nutrito di te, non si decide ad andarsene. Hai già usato il bastone? O fai solo finta di usarlo?

 

 

“ECCO IO MANDO UN ANGELO DAVANTI A TE PER CUSTODIRTI SUL CAMMINO E PER FARTI ENTRARE NEL LUOGO CHE HO PREPARATO”. (Es. 18,20)

Questo brano l’ho preso da “Scritto sulla Neve” di don Carlo Chiavazza dove racconta la sua esperienza con coloro che nell’Armir ritornarono dalla Russia.

“La notte del 27 gennaio 1943, le ore di sosta le passai in buona parte assieme a don Gnocchi in un’isba calda e affollata. Dormimmo poco perché avevamo tante cose da dirci, o almeno chi aveva tanto da dire era lui, don Carlo, il dolce cappellano dalla vita ascetica meravigliosa... Poi ci addormentammo... Don Carlo, ad un certo punto, mi svegliò con tocchi leggeri sulla spalla: “Mi senti?”. “Si, sì”, risposi. “La notte sta per finire, sono le quattro” “Non hai dormito?”. “Certo, ma senti, vuoi fare la comunione?”. “Cosa dici?”. “Dico la comunione!”. Mi sveglio di colpo, il buio dell’isba s’era diradato: allungati per terra, sui letti, accosciati, distesi, abbandonati, ufficiali e soldati supini erano immersi in un sonno profondo, animale, ristoratore. “Ma tu”, dissi, “hai con te il Santissimo?”. “L’ho sempre portato con me. Me ne rimane solo un piccolo frammento, ma per due basta. Oggi finalmente saremo fuori pericolo”. Don Carlo parlava gustando la gioia di partecipare a un confratello il suo segreto dei giorni tremendi di morte e di eroismo. Portava il Cristo con sé, nella teca d’oro, sul petto, come un’arma, come un trofeo, come l’oggetto più prezioso del mondo. “Allora”, dissi, “nostro Signore è sempre stato con noi, ha camminato con gli alpini”. “Non ti pare bello? Il calvario degli alpini è stato anche il suo calvario. Accoglieva i caduti, confortava i combattenti. Era la mia forza”.

Le ultime parole si perdono nel tremolio commosso della voce. Poi ci raccogliemmo pochi istanti e assieme recitammo qualche preghiera. Il frammento di ostia, deposto sulle nostre lingue martoriate dalla sete e dalla neve (che sapeva di vetro), era talmente piccolo che appena lo si sentiva, ma era il corpo dei sofferenti e degli eroi, dei buoni e dei cattivi, dei vivi e dei morti che sfolgorava nelle nostre anime con improvvisa luce. Nell’isba dall’aria pesante e puzzolente, ai nostri corpi in preda ai pidocchi e con gli abiti a brandelli, al nostro cuore paurosamente provato, il Redentore portava l’augurio vecchio e nuovo, la realtà più sconvolgente: lo vi ho amati e resterà con voi, sempre!”.

 

 

“SE IL MALVAGIO SI ALLONTANA DA TUTTI I PECCATI CHE HA COMMESSI E OSSERVA TUTTI I MIEI PRECETTI E AGISCE CON GIUSTIZIA E RETTITUDINE, VIVRA', NON MORIRA'”. (Ez. 18,21)

In un villaggio dell’India, viveva una povera vedova; suo figlio, sotto l’influenza di cattivi compagni, si era dato al bere e al gioco d’azzardo. Alla fine era stato messo in prigione a causa dei debiti contratti al gioco, e ne sarebbe uscito solo dopo che questi fossero stati pagati. Il disgraziato passava le sue giornate a sognare il giorno in cui sarebbe potuto uscire. All’inizio aveva contato sui suoi amici, ma costoro io avevano abbandonato. Ma un giorno, la porta si aprì e il secondino gli gridò: “Puoi uscire! Tua madre ha pagato il debito!”. Si precipitò fuori per ritornare a casa della madre. Quando la vide, si gettò piangendo nelle sue braccia. “Ma, mamma, che cosa ti è successo? in che stato sono le tue mani?” “Ebbene, caro, per pagare il tuo debito, ho lavorato come manovale in un cantiere. Ma adesso, tu stai bene, sei libero.” “Oh! mamma! Tu hai fatto questo per me che ti ho tanto afflitto!” Qualche giorno dopo, gli amici del giovane lo invitarono a tornare con loro, ma lui rispose:

“Con voi ho chiuso. Per le mie colpe, ho fatto soffrire troppo mia madre”.

 

 

“ALLORA IL SIGNORE CHIAMO': SAMUELE!” (1Sam. 3,4)

Un canto che facciamo in chiesa dice: “Manchi solo tu” alla mensa, alla gioia, alla festa. Questa semplice favola ci ricorda che forse manchiamo solo noi e il mondo potrebbe cambiare.

Dimmi un po’ : “Quanto pesa un fiocco di neve?”, domandò la cinciallegra alla colomba. “Niente di niente!”, fu la risposta. Allora, la cinciallegra le raccontò una storia. “Mi trovavo sul ramo di un pino, quando cominciò a nevicare. Non proprio una tempesta, ma dolcemente, senza violenza. Come un sogno. Dato che non avevo niente di meglio da fare, cominciai a contare i fiocchi di neve che cadevano sul ramo su cui mi trovavo. Ne caddero 3.751.952. Quando il 3.751.953esimo cadde sul ramo, un niente di niente come hai detto il ramo si spezzò. A questo punto, la cinciallegra se ne andò. La colomba, un’autorità in materia di pace dal tempo di un certo Noè, pensò un momento e concluse tra sé: “Ecco, forse non manca più che una sola persona, perché tutto si capovolga e il mondo viva in pace”.

 

 

“LO SPIRITO DEL SIGNORE MI HA CREATO”. (GB. 33,4)

Fatti ad immagine e somiglianza di Dio, aspiriamo a Lui e la nostra anima non ha pace finché in Lui non riposa.

Un giorno d’autunno un corvo parlava con una rondine al suo primo anno dì vita. Il corvo diceva: Vedo che ti prepari per un lungo viaggio. Dove te ne vai? Rispose la rondine: Qui va facendosi sempre più freddo e potrei morire gelata. Me ne vado in un paese caldo. Il corvo sapientone sogghignò: Ricorda la tua origine. Sei nata qui appena due mesi fa e come fai a sapere che esiste un paese più caldo, che ti accoglierà durante il freddo che sopraggiungerà? La rondine: Colui che mi mise in cuore il desiderio di un clima caldo non può sbagliare. Gli credo e me ne vado. E la rondine trovò quel che cercava.

 

 

"CONTEMPLA IL CIELO E OSSERVA, CONSIDERA LE NUBI: SONO PIU' ALTE DI TE". (GB. 35,5)

L'orgoglio di voler sapere tutto, di voler sindacare persino su Dio fa sì che l'uomo perda la sua vera dimensione, quella di creatura!

Si racconta che il pittore greco Apelle esponeva i suoi quadri in pubblico e prendeva buona nota di tutte le critiche alle sue opere. Un giorno, un calzolaio trovò da ridire al sandalo di un personaggio. La sera stessa l'artista corresse il difetto della calzatura. Il giorno dopo, lo stesso ciabattino, incoraggiato dal fatto che la sua scienza era stata riconosciuta, si permise di estendere le sue critiche ad altre parti del quadro. In tal modo dimostrò la sua ignoranza in materia d'arte e si attirò questa frase severa e giusta del pittore: "Calzolaio, non più in alto della scarpa".

 

 

"DOV'ERI TU QUANDO IO PONEVO LE FONDAMENTA DELLA TERRA". (GB. 38,4)

L'astronomo Kirchner teneva nel suo gabinetto scientifico un globo celeste di piccole dimensioni, ma di un'esattezza e una finizione veramente notevoli. Un giorno ricevette la visita d'un amico, incredulo dichiarato, che pretendeva che l'universo si fosse formato da solo, per una sequenza di casi. Quell'amico si fermò a lungo davanti al piccolo globo che non cessava di ammirare. - Chi è l'autore di questa meraviglia?, domandò. - Non lo so, rispose l'astronomo. Deve essere un prodotto del caso. - Tu mi prendi in giro! - Allora, riprese tranquillamente Kirchner, tu trovi assurdo che questa piccola sfera dipinta sia uscita dal nulla, e ammetti che i cieli che essa rappresenta provengano dal caso?".

 

 

“BEATO CHI SI COMPIACE DELLA LEGGE DEL SIGNORE”.  (Sal. 1,2)

Il rabbino Jehuda un giorno annunciò ai suoi amici alla porta della città: Amici, finalmente ho trovato e ho acquistato una medicina dalle qualità stupende: infatti ringiovanisce, prolunga la vita e la rende felice per sempre! Perché non ve la procurate anche voi? Alla proposta, fatta in modo straordinariamente serio, tutti dissero: Tutti vogliamo comprarla, anche a caro prezzo! Allora il rabbino invitò gli amici nella sua casa, aprì l’armadietto, davanti al quale sempre brillava una lampada accesa, e mostrò la Legge. Ne prese quindi un rotolo, lo svolse e lesse: “Se vuoi vivere a lungo con pienezza di gioia, trattieni la tua lingua dal male”. (Salmo 23)

 

 

“EGLI MI HA DETTO: TU SEI MIO FIGLIO, IO OGGI TI HO GENERATO”. (Sal. 2,7)

Dobbiamo ricordarci sempre della nostra identità di Figli di Dio, se no corriamo il rischio di perdere la giusta visione di noi stessi.

Un giovane principe fu portato in esilio, lontano dal regno del padre. Nella miseria, poco per volta, tutto teso a sopravvivere, dimenticò le sue origini regali, dimenticò la gioia della reggia, dimenticò il padre. Quando il re gli mandò il fratello maggiore per riportarlo a casa, egli pensò ad una beffa e gli disse: “Se proprio vuoi farmi qualcosa di bene, dammi un pezzo di pane e un mantello!”. Aveva dimenticato d’essere un principe! Aveva dimenticato che avrebbe potuto tornare alla reggia del padre, alla felicità deI regno.

 

 

“CON LA BOCCA DEI BAMBINI E DEI LATTANTI HAI PROCLAMATO LA TUA LODE”. (Sal. 8,3)

Sono i semplici che sanno vedere il bene. E nel bene e nel bello riconosco­no la gloria del creatore.Questa parabola buddista ci parla dell’ “essenziale”.

Sì narra che il Buddha mostrò un giorno un fiore ai suoi discepoli. A ciascuno di loro chiese di dire qualcosa sul fiore esibito.

I discepoli osservarono un breve silenzio, ciascuno in cuor suo teso a rendersi merito con l’eloquenza. Infine il primo si alzò e pronunciò un discorso filosofico sul fiore. Il secondo recitò una poesia che sul fiore aveva composto. Un altro si dilungò nel descriverne la specie e la natura. Tutti cercando di superarsi a vicenda in profondità, acume e sapienza. Ma l’ultimo guardava ancora il. fiore e in silenzio ne assaporava le forme e i colori. L’ultimo non disse niente. Solo lui aveva VISTO il fiore.

(Parabola buddhista)

 

 

“MI INDICHERAI IL SENTIERO DELLA VITA, GIOIA PIENA NELLA TUA PRESENZA, DOLCEZZA SENZA FINE ALLA TUA DESTRA”. (Sal. 15,11)

La gioia può diventare carità squisita, se comunicata.

L’irlandese della leggenda che, morto improvvisamente si avviò al tribunale divino, era un poco preoccupato: il bilancio della vita gli si rivelava piuttosto magro. C’era una fila davanti a lui, e stette a vedere e a sentire. Dopo aver consultato il gran registro, Cristo disse al primo nella fila: “Trovo che avevo fame, e tu mi hai dato da mangiare. Bravo! Passa in Paradiso!”. Al secondo: “Avevo sete e tu mi hai dato da bere”. A un terzo: “Ero in carcere e mi hai visitato”. E così via. Per ognuno, che veniva spedito in Paradiso, l’irlandese faceva un esame e trovava di che temere; lui, non aveva dato né da mangiare né da bere, non aveva visitato né carcerati né malati. Venne il suo turno, tremava guardando Cristo, che stava esaminando il registro. Ma ecco che Cristo alza gli occhi e gli dice: “Non c’è scritto molto. Però qualcosa hai fatto anche tu: ero mesto, sfiduciato, avvilito: sei venuto m’hai raccontato delle barzellette m’hai fatto ridere e ridato coraggio.

 

 

“FAMMI CONOSCERE, SIGNORE, LE TUE VIE, INSEGNAMI I TUOI SENTIERI, GUIDAMI NELLA TUA VERITA' E ISTRUISCIMI”.  (Sal. 24,1)

Non dire: “Non sono capace”, “non ne ho le doti”. C’è sempre la possibilità di guardare e di vedere lontano o di chiedere a Qualcuno che ti illumini. Nell’ombra del tempio vedemmo, il mio amico ed io, un cieco che sedeva in disparte. E il mio amico disse: “Guarda, l’uomo più saggio della nostra terra.” Lasciando il mio amico mi avvicinai al cieco, salutandolo. E prendemmo a parlare. Dopo un poco dissi: “Perdona la mia domanda: da quanto tempo sei cieco?” “Dalla nascita.”, rispose. Dissi io: “E quale sentiero di sapienza percorri?” Disse lui: “Sono astronomo.” E appoggiando la mano sul petto, disse: “Scruto questi soli, e lune, e stelle.”

 

  

“ABBI PIETA' DI ME SIGNORE, SONO  NELL’AFFANNO”. (Sal. 30,10)

Un giorno un saggio indiano vide uno strano individuo attraversare il villaggio.

Chi sei e dove vai? , gli chiese. Sono il Demone del Castigo divino rispose questi e vado a Benarès a prendere cento anime, secondo l’ordine del Dio della Morte. Alcuni giorni dopo il saggio rivide l’individuo di ritorno. Lo chiamò e lo rimproverò: Persino tu, messaggero del Dio della Morte, sei un mentitore! Mi avevi detto che avresti preso cento anime e invece so che a Benarès sono morte più di mille persone! Non ho mentito rispose il Demone. Io ne ho uccise soltanto cento; tutte le altre sono morte di Paura.

 

 

"HAI MUTATO IL MIO LAMENTO IN DANZA, LA MIA VESTE DI SACCO IN ABITO DI GIOIA”. (Sal. 30,12)

I poveri hanno molto da insegnarci. Certi valori vengono espressi proprio nella stessa povertà. C'è un episodio, nella vita di madre Teresa, che sconvolge molte idee e lascia pensosi. Forse uno degli episodi chiave per capire questa figura.

"Durante una notte passata nella stazione di Howrah, a Calcutta, verso mezzanotte quando i treni sono tutti fermi per qualche ora, arrivò una poverissima famiglia che veniva di solito a dormire alla stazione. Erano una madre e quattro figli, dai cinque agli undici anni. La madre era una buffa, piccola cosa avvolta in un sari bianco di cotone, sottile per quella notte di novembre, con i capelli rasi a zero, stranamente per una donna. Aveva con sé dei recipienti di latta, qualche straccetto e dei pezzi di pane, tutto quanto possedeva per sé e per i suoi figli. Erano mendicanti. La stazione era la loro casa. I bambini, tre ragazze e un bimbo che era il più piccolo, erano come la madre pieni di vivacità. A quell'ora, in piena notte, sedettero tutti su un marciapiede della stazione presso le rotaie, vicino ad altre innumerevoli famiglie e mendicanti solitari che già dormivano tutt'intorno, e fecero il loro pasto serale di pane secco, probabilmente quanto era avanzato a un rivenditore che verso sera lo aveva ceduto a un prezzo bassissimo. Ma non fu un pasto triste. Essi parlavano, ridevano e scherzavano. Sarebbe difficile trovare una riunione di famiglia più felice di quella. Quando il breve pasto fu finito, andarono tutti a una pompa con grande allegria, si lavarono, bevvero e lavarono i loro recipienti di latta. Poi stesero con cura i loro stracci per dormire vicini, e un pezzo di lenzuolo per coprirsi tutti. E fu allora che il ragazzino fece qualcosa di assolutamente meraviglioso: si mise a danzare. Saltava e rideva fra i binari, rideva e cantava sommesso con incontenibile gioia. Una simile danza, in una simile ora, in così assoluta miseria!".

 

 

“DIO DAL LUOGO DELLA SUA DIMORA SCRUTA TUTTI GLI ABITANTI DELLA TERRA, LUI CHE, SOLO, HA PLASMATO IL LORO CUORE E COMPRENDE TUTTE LE LORO OPERE”. (Sal. 32,14—15)

La gratuità è una delle cose più difficili. Con gli uomini possiamo mascherarci, con Dio no!

Dopo una lunga assenza era finalmente tornato al villaggio l’amato maestro. Tutti lo accolsero con gioia. Ed egli volle che venisse subito celebrata la Festa dei Doni. A portargli i loro doni vennero persino dai villaggi vicini, pur di ascoltare di nuovo il suo insegnamento. Egli fece deporre i doni sul pavimento al centro del tempio, volle che la gente si disponesse tutt’intorno ed entrò nel cerchio. Prendendo i doni ad uno ad uno, restituì ai donatori quelli che recavano un nome, poi disse: Gli altri doni sono accettati. Indi continuò: Siete venuti per avere un insegnamento. Ebbene, eccolo: avete imparato a distinguere un comportamento inferiore da uno superiore. Comportamento inferiore é prendere piacere nel dare e nel ricevere. Comportamento superiore è dare senza creare alcun obbligo al beneficiario. Imparate a distaccarvi dai piccoli piaceri, come quello che vi dà il pensiero di aver fatto il bene, e impegnatevi a realizzare una più elevata ambizione: quella di fare realmente ciò che è utile.

 

 

“CERCA LA GIOIA NEL SIGNORE”. (Sal. 37,4)

La nostra vita è spesso una ricerca spasmodica della gioia. Ma la cerchiamo nella direzione giusta?

Una donna si recò alla fontana: un piccolo specchio tremolante, limpidissimo, tra gli alberi del bosco. Mentre immergeva l’anfora per attingere, scorse nell’acqua un grosso frutto roseo, così bello che sembrava dire: “Prendimi!” Allungò il braccio per coglierlo, ma quello sparì, e ricomparve soltanto quando la donna ritirò la mano dall’acqua. Così per due o tre volte. Allora la donna si mise a estrarre l’acqua per prosciugare la fontana. Lavorò a lungo, sempre tenendo d’occhio il frutto misterioso; ma quando ebbe estratto tutta l’acqua, s’accorse che il frutto non c’era più. Delusa per quell’incantesimo, stava per andarsene via, quando udì una voce tra gli alberi (era l’Uccellino Belvedere, quello che vede sempre tutto): “Perché cerchi in basso? Il frutto sta lassù. La donna alzò gli occhi e, appeso ad un ramo sopra la fontana, scorse il bellissimo frutto, di cui nell’acqua aveva visto soltanto il riflesso. (Fiaba africana)

 

 

“CONFIDA NEL SIGNORE, FA IL BENE”. (Sal. 36,3)

Il giorno in cui Bernard Baruch, finanziere americano, compì 94 anni, i giornalisti gli chiesero chi fosse secondo lui la persona più grande della sua epoca. I giornalisti si aspettavano di sentire il nome di qualche personaggio importante o potente, ma Baruch diede loro questa risposta: “La persona che compie tutti i giorni il suo dovere”. E’ relativamente facile confidare in Dio, ma è indubbiamente molto più difficile e impegnativo tradurre in pratica questa fede facendo il bene, e non “una tantum”, bensì tutti i giorni. Quante occasioni ci passano sotto il naso ogni giorno! Sono veramente molti i nostri peccati di omissione. Proviamo a guardarci intorno, anche solo tra le mura di casa nostra e vedremo un vero e proprio mare di occasioni per fare il bene.

 

 

“QUANTO È PREZIOSA LA TUA GRAZIA, O DIO; SI RIFUGIANO GLI UOMINI ALL’OMBRA DELLE TUE ALI”. (Sal. 36,8)

Scoprire la grazia di Dio, avere nella preghiera il senso dell’abbandono in Dio è una grande gioia, ma... quante difficoltà! Ecco come un anziano monaco rispose ad alcune domande che un gruppo di giovani, dopo una giornata di ritiro, gli ponevano:

Qual è, padre, la principale condizione per una preghiera ben fatta? Di certo è il clima d’amore. Chi prega con il peccato o l’odio nel cuore, è come chi dona cibi squisiti, su un piatto che è sporco; è come chi parla ed ha il fiato che puzza. Padre, ho tante distrazioni durante la preghiera. Come posso liberarmene? Le distrazioni sono come i passeri del cielo: non puoi impedire che passino sul tuo tetto, ma che si fermino a fare il nido, si! Per quanto poi riguarda i cattivi pensieri, essi sono come le vespe: se stai calmo, se ne vanno; se ti agiti, ti tormentano di più. Perché lo scoraggiamento mi tormenta durante la preghiera? Perché non hai ancora visto la fulgida meta: il volto stupendo di Dio. Un’altra domanda, padre: la preghiera è proprio importante, anche più dell’azione? Certamente! E lo dimostra il fatto che proprio contro di essa si scatenano maggiormente i demoni e fanno di tutto per renderla pesante, svogliata, inutile.

 

 

 “CONFIDA NEL SIGNORE E FA IL BENE”. (Sal. 36,36)

 Alcuni solitari si erano ritirati su una montagna dell’Egitto, vicina al Mar Rosso, sotto la guida di un santo padre spirituale chiamato Sisoe. Uno di essi, avendo dei motivi di lamentela nei confronti di un altro, venne a trovare Sisoe e gli disse di essere risoluto a vendicarsi. Sisoe fece di tutto per dissuaderlo ma, vedendo inutile ogni tentativo, gli disse: Almeno, fratello, preghiamo insieme prima che tu attui la tua risoluzione. Subito cominciò a pregare in questo modo: Signore, non è più necessario che siate nostro difensore, che siate nostro protettore, dal momento che questo fratello pretende che possiamo e dobbiamo farci giustizia da noi stessi. Toccato da queste parole, il solitario si gettò ai piedi di Sisoe, promettendo di rinunciare al suo proposito.

 

 

"STA IN SILENZIO DAVANTI AL SIGNORE”. (Sal. 36,7)

Correre, parlare, leggere... ma qual è la verità della vita, del morire, del soffrire...? Qualcuno chiese a Rinzai, un mistico Zen:  "Dimmi ciò che è veramente essenziale, perché ho fretta. Sono un uomo d'affari e per me il tempo è prezioso. Dimmi in parole semplici: cos'è il fondamento, l'essenziale della religione?" Rinzai rimase in silenzio. Il commerciante si sentì a disagio. "Mi hai sentito?" disse, "ti ho chiesto di darmi la parola chiave della religione". "Ed io te l'ho data", disse Rinzaì. "Ora te ne puoi tornare ai tuoi affari.” "Sei pazzo? lo non ho sentito nulla.” "Ciò che può essere udito non è l'essenziale. lo ti ho dato la parola chiave. La chiave è il silenzio. Ora vai. Hai fretta". (Parabola buddhista)

 

 

“DIO È BUONO CON I GIUSTI, CON GLI UOMINI DAL CUORE PURO”. (Sal. 72,1)

Un giorno, a un predicatore, che aveva chiesto chi di coloro che lo stavano ascoltando potesse affermare di non avere peccato in quel giorno, uno dei presenti, dopo essersi alzato, rispose:

“lo non pecco da sei mesi”. “Bene”, disse il predicatore, “possiamo però sentire il parere di tua moglie?”. Al che colui che si era alzato si sedette immediatamente, cercando di confondersi con tutti gli altri. E’ dunque impossibile essere puri di cuore? E allora, che senso ha l’affermazione del versetto di oggi? Non colpevolizzarti per una mancanza di perfetta purezza che sarà possibile solo quando saremo per sempre con il Signore, ma rifugiati nella consapevolezza che il sangue di Cristo lava una moltitudine di peccati, e lascia che lo Spirito di Dio agisca liberamente in te guidandoti verso una santificazione e una consacrazione altrimenti impossibili; questa è la purezza di cuore che Dio gradisce.

 

 

NON VIOLERO' LA MIA ALLEANZA, NON MUTERO' LE MIE PROMESSE”.(Sal. 88,35)

Spesso noi promettiamo e non manteniamo o perché siamo infedeli o anche perché a volte ce ne manca la possibilità. Dio invece è verità e non viene mai meno alle sue promesse: ecco come un antico catechista ebraico insegnava con semplicità ai fanciulli la fedeltà di Dio:

Un re entrò una volta in una città. Tutti i cittadini lo accolsero calorosamente. Egli ne fu talmente commosso che promise: “Domani costruirò per voi strade, acquedotti, case...” Andò quindi a dormire. L’indomani fu trovato morto. Con lui morirono anche tutte le speranze. Non è la stessa cosa per il Santo, che benedetto sia! Egli è eterno: ha tutto il tempo per mantenere le sue promesse.

 

 

“INSEGNACI A CONTARE I NOSTRI GIORNI E GIUNGEREMO ALLA SAPIENZA DEL CUORE”. (Sal. 89,12)

Mi raccontava un giorno un contadino:

“Quando ero ancona piccolo un giorno mio padre mi chiamò per insegnarmi a leggere l’ora. Dopo di che tornai ai miei giochi, ma lui mi richiamò: “Figlio mio, ti ho insegnato come contare le ore del giorno; bisogna anche che ti insegni o contare il tempo della tua vita”. Questo per me era come parlar cinese ed aspettavo la spiegazione. “L’età media della vita umana è di settant’anni o di ottanta per i più robusti. La nostra esistenza è d’altronde molto incerta e possiamo entrambi morire oggi. Ma se dividiamo una durata normale della vita come il quadrante di un orologio, ogni ora corrisponde a sei anni circa. Tu hai sette anni; dunque sul quadrante della tua vita è un po’ più dell’una. Quando avrai dodici anni saranno le due; se arrivi a diciotto anni, saranno le tre e così via. Secondo il calcolo il mio bisnonno è morto verso mezzogiorno, mio nonno alle undici e mio padre alle dieci. L’ora in cui moriremo tu ed io è conosciuta soltanto da Dio”. Da quel giorno ho raramente sentito chiedere: “Che ore sono?” o guardato il quadrante dell’orologio senza pensare a quelle parole di mio padre. Non abbiamo da vivere che una vita sola. Contare i nostri giorni dà un cuore savio, dice la Bibbia. Saggezza che consiste nel prepararci per l’ora che seguirà la nostra morte, ora che avrà una durata eterna.”

 

 

“SE OGGI ASCOLTATE LA SUA VOCE NON INDURITE I VOSTRI CUORI”. (Sal 95,8)

Siamo portati a dire: “Domani farà, domani mi impegnerò. Un semplice midrash ebraico ci aiuta a comprendere il valore dell’oggi.

Un maestro d’Israele era molto saggio e molto vecchio. I discepoli gli domandarono: “Qual è il momento giusto per convertirsi al Signore?”. Egli rispose: “Occorre convertirsi un giorno prima della propria morte”. I discepoli rimasero confusi e dicevano: “E chi può conoscere il giorno della sua morte?”. “Appunto, replicava il maestro, nessuno lo può conoscere. Per questo noi dobbiamo convertirci ogni giorno. Perché domani potremmo morire

 

 

“GLI IDOLI DELLE GENTI SONO ARGENTO E ORO, OPERA DELLE MANI DELL’UOMO”. (Sal. 113,4)

Un giovane si recò un giorno dal suo maestro e gli chiese:

“Rabbì, che cosa ne pensi del denaro?” “Guarda dalla finestra disse il maestro che cosa vedi?” “Vedo una donna con un bambino, una carrozza trainata da due cavalli e un contadino che va al mercato”. “Bene. E adesso guarda nello specchio. Che cosa vedi?” “Che cosa vuoi che veda, Rabbì? Me stesso, naturalmente”. “Ora pensa: la finestra è fatta di vetro e anche lo specchio è fatto di vetro. Basta un sottilissimo strato d’argento sul vetro e l’uomo vede solo più se stesso”. Che cosa può fare la ricchezza! Può sequestrare il cuore e accecare gli occhi, può farti diventare idolatra e impedirti di vedere Dio.

 

 

“IL SIGNORE VEGLIERA' SU DI TE QUANDO ESCI E QUANDO ENTRI”. (Sal. 121,8)

Una buona tradizione suggerisce ai cristiani di appendere un crocifisso all’ingresso delle nostre case come segno di protezione e di affidamento della nostra famiglia a Colui che con la sua morte ci ha salvato. Anche gli ebrei avevano una simile tradizione che riguardava la Legge. Artabano, re dei Parti, regalò a rabbi Jeuda una perla di grande valore, il rabbino in cambio mandò al re una “Mezuzah”, una di quelle piccole pergamene con frasi della Legge, che si appendono agli architravi delle porte di casa. Il re non ne fu contento, pensando che la “Mezuzah” fosse una cosa da nulla. Allora il rabbi spiegò: O re, la tua perla è preziosa, ma la mia “Mezuzah” ancor di più. Infatti mentre normalmente i re sono nella reggia e le guardie fuori, con essa avviene il contrario: il Re dei re custodisce la tua casa. Tu m’hai regalato una cosa da custodire; io, invece, una cosa potente che ti custodisce.

 

 

“PIETÀ DI NOI, SIGNORE, PIETA' DI NOI; GIA TROPPO CI HANNO COLMATI DI SCHERNI”. (Sal. 122,3)

Una pozzanghera nera, alimentata da una poverissima sorgente, invidiava il laghetto vicino, dalle acque chiare e trasparenti. Tutti i gitanti la schivavano con cura, per andarsi a sdraiare sulle rive del lago.

Un giorno passò di lì un corteo di cavalieri che scortava una principessa a un vicino castello, dove un bellissimo principe l’attendeva per farla sua sposa.  Padre, disse la principessa a un nobile signore fra poco vedrò il mio sposo; ma non so se il mio viso è fresco, la mia acconciatura a posto, il mio occhio limpido. Posso andare a specchiarmi nel laghetto qui accanto? E perché figlia mia? L’acqua di quel laghetto è trasparente, non ti servirà da specchio. Guardati invece in questa nera pozzanghera. Ti darà un’immagine perfetta. Così la pozzanghera non solo poté vedere lei sola, il bel volto della principessa, ma fu felice di esser servita a qualcosa. E quel volto, quelle parole e quella piccola felicità la fecero vivere sino a che il sole non la prosciugò.

 

 

“CHI SEMINA NELLE LACRIME MIETERA' NEL GIUBILO”. (Sal. 125,5)

Un discepolo chiese al maestro: “Rabbì, perché i buoni soffrono più dei cattivi?” Rispose il maestro: “Ascoltami. Un contadino aveva due mucche; una robusta, l’altra debole. A quale mette il giogo?” “Certamente a quella forte.” Concluse il rabbino:

“Così fa il Misericordioso, che benedetto sia! Per tirare avanti il mondo, mette il giogo ai buoni.”

 

 

“VIVRAI DEL LAVORO DELLE TUE MANI”. (Sal. 128,2)

Una favola di Gianni Rodari ci aiuta a comprendere che la creazione di Dio continua anche attraverso il lavoro delle mani dell’uomo.

In principio la terra era tutta sbagliata, renderla abitabile fu una bella fatica. Per passare i fiumi non c’erano i ponti. Non c’erano sentieri per salire sui monti. Cascavi dal sonno? Non esisteva il letto. Per non pungersi i piedi non c’erano né scarpe né stivali. Se ci vedevi poco non trovavi gli occhiali. Per fare una partita non c’erano i palloni, mancava la pentola e il fuoco per cuocere i maccheroni, anzi, a guardar bene non c’era neppure la pasta. Non c’era niente di niente. C’erano solo gli uomini con due braccia per lavorare, e alle mancanze più grosse si poté rimediare. Però mancano ancora tante cose: rimboccatevi le maniche, c’è lavoro per tutti quanti! E ricorda: un uomo che lavora con le mani è un manovale; un uomo che lavora con le mani e con il cervello è un artigiano. Un uomo che lavora con le mani, con il cervello e con il cuore è un artista.

 

 

“IO SONO TRANQUILLO E SERENO, COME UN BIMBO IN BRACCIO A SUA MADRE: COME BIMBO RIPOSO IN DIO!”

(Sal. 130,2)

La vedevo sempre seduta nei primi banchi, nella penombra della cappella del Santissimo Sacramento. Era una vecchietta simpaticissima; passava delle ore intere in profonda preghiera: talvolta leggendo il suo libro consunto, più spesso guardando il Signore. Più volte ho scherzato con lei: Nonna, ormai il Signore le sa a memoria le tue lunghe preghiere! Lei mi sorrideva. Ma un giorno, un po’ più serio, con affetto, le feci una domanda, utile per me sacerdote. Ve la presento, perché ebbe una risposta stupenda. Le dissi: Nonna, dove vai a prendere le tante cose, che dici al Signore? Ella mi guardò con un abisso d’amore divino negli occhi e rispose: io ho niente da dire al Signore; è Lui che ha sempre un mucchio di cose bellissime da dire a me.

 

 

“GLI IDOLI DEI POPOLI SONO ARGENTO E ORO, OPERA DELLE MANI DELL'UOMO”. (Sal. 134,15)

Un’antica leggenda ebraica racconta:

Abramo di giorno in giorno s’avvicinava al vero Dio; s’allontanava così dagli idoli falsi. Per questo suo padre lo condusse davanti al re Nimrod. Chiese il re ad Abramo: Perché non adori gli idoli?  Rispose deciso Abramo:  Perché il fuoco li brucia. Allora adora il fuoco! Piuttosto adoro l’acqua, capace di spegnere il fuoco! Adora dunque l’acqua. No! Piuttosto adoro le nuvole, dalle quali l’acqua proviene  rispose Abramo. Allora adora le nuvole  insistette il re Nimrod. No, perché il vento è più forte di loro e le disperde. Allora adora il vento, che soffiò. Se il vento fosse Dio, continuò Abramo, noi dovremmo adorare l’uomo che ha il soffio del respiro. Allora adora l’uomo! No, perché, purtroppo, muore. Allora adora la morte. E finalmente Abramo poté concludere: L’unico che bisogna adorare è il padrone della vita e della morte. Questi è il mio unico Dio!

 

 

“GUIDAMI, SIGNORE, SULLA VIA DELLA VITA”. (Sal. 138,24)

Siamo come dei bambini che hanno bisogno di essere condotti, presi per mano, guidati.

Un uomo camminava per una strada deserta insieme al suo bambino. Gli diceva: “Cammina innanzi a me.” Quando vide delle persone, poco rassicuranti, venirgli incontro, gli disse: “Cammina dietro a me.” Quando s’accorse che un lupo affamato li inseguiva, disse: “Mettiti di fianco a me.” Ma, ai bordi, la strada era disagevole e il bambino faceva fatica a camminare. Che fece allora il padre? Prese il suo bambino e se lo mise sulle spalle. Così fa Dio con noi.

 

 

“IL SIGNORE RISANA I CUORI AFFRANTI E FASCIA LE LORO FERITE”. (Sal. 146,3)

GLI OCCHI DEL CUORE

Un uomo, giunto in età adulta, decise di fare pulizia nel suo cuore. Troppe cose inutili lo ingombravano, legate ancora agli anni giovanili. Così fece uscire dalla finestra dell’anima vecchi ciarpami come Poesia, Fantasia, Sensibilità, Meraviglia. Si sentì più libero e più forte e visse lunghi anni da leone. Sopraggiunse però la vecchiaia con le sue nebbie, e l’uomo si ammalò di una strana malattia: non riusciva più a vedere le cose nelle loro esatte dimensioni; alcune gli apparivano più grandi, addirittura enormi, altre più piccole, sino a sparire. I medici gli prescrissero ogni tipo di occhiale, ma invano. Un giorno, mentre ormai curvo, grigio e triste camminava in un parco, s’imbatté in un cieco che procedeva a fronte alta col suo bastone e un gran sorriso in volto. Perché sorridi, amico, pur essendo cieco? gli chiese il vecchio. Perché c’è un gran sole oggi nel parco e mille fiori sui prati e mille uccelli in cielo. Ma tu come fai a vederli? Con gli occhi del cuore, che sono Poesia, Fantasia, Sensibilità, Meraviglia. Io questi occhi non li possedevo una volta. Ma un giorno li trovai impigliati fra i rami di un albero. Qualcuno li aveva buttati via. Da quel giorno, pur nella mia infermità, vissi felice. Il vecchio si sentì morire. Poi, siccome era ancora forte, divenne umile e chiese al cieco: Se io mi attaccassi al tuo pastrano, mi mostreresti le cose che vedi? Ben volentieri, amico. Per me non c’è gioia più grande che mostrare agli altri la realtà. E insieme partirono alla scoperta del mondo. (Piero Gribaudi)

 

 

“NON DIRE AL TUO PROSSIMO: VA’, RIPASSA DOMANI SE TU HAI CIO' CHE TI CHIEDE”. (Pr. 3,28)

Spesso, davanti a persone che ci chiedono aiuto abbiamo dei dubbi: “Avrà proprio bisogno?” “Dare a costui significa poi privare altri di quel poco che potrei dare!” Ragionamenti giusti, in certi casi doverosi... Anche questo episodio non ci darà risposte ma certamente lasciandoci perplessi aprirà qualche nuovo interrogativo. 

“Signore, il mio amico non è tornato dal campo di battaglia. Chiedo il permesso di andare a prenderlo”. “Permesso non concesso”, replicò l’ufficiale. “Non voglio che rischi la vita per un uomo che probabilmente è già morto”. Il soldato uscì lo stesso e rientrò un’ora dopo ferito mortalmente, trasportando il cadavere dell’amico. L’ufficiale era fuori di sé dalla rabbia. “Te l’avevo detto che era morto. Ora vi ho persi tutti e due. Dimmi, valeva la pena di rischiare per portare indietro un cadavere?” Il soldato morente rispose: “Oh, si, signore. Quando l’ho raggiunto, era ancora vivo e mi ha detto: Jack, ero sicuro che saresti venuto”.

 

 

"NON  RIMPROVERARE IL BEFFARDO PER NON FARTI ODIARE, RIMPROVERA IL SAGGIO ED EGLI TI AMERA'”. (Pr. 9,8)

Un proverbio che tutti conosciamo dice che "lavar la testa all'asino si spreca  tempo e sapone", un altro che "non c’è uno più sordo di chi non vuoi sentire". E' solo chi è saggio che sa ascoltare e portar frutto dell'altrui esperienza. "Scusa", disse un pesce dell'oceano ad un altro, "tu sei più vecchio e più esperto di me, e probabilmente potrai aiutarmi. Dimmi: dove posso trovare quella cosa che chiamano oceano? L'ho cercato dappertutto inutilmente". "L'oceano", disse il pesce più vecchio, “e quello in cui stai nuotando adesso” "Oh, questo? Ma questo à solo acqua. Quello che sto cercando è l'oceano", disse il giovane pesce e, deluso, nuotò via per cercare altrove.

 

 

"L'UOMO ACCORTO CELA IL SUO SAPERE, IL CUORE DEGLI STOLTI PROCLAMA LA STOLTEZZA". (Pr. 12,23)

Si rimane stupiti a volte davanti a certe persone che parlano di ogni cosa, che sanno di tutto e qualche volta si corre il rischio di credere che ogni loro parola sia verità, ma passa il tempo e il più delle volte ti accorgi che dietro alle parole forbite e altisonanti c'è il vuoto, dietro tanto fumo c'è poco arrosto. Ecco un racconto orientale: sembra una barzelletta, ma ci richiama profondamente al brano dei proverbi di oggi. Il giovane discepolo era un tale prodigio che studiosi di ogni parte cercavano il suo consiglio e si meravigliavano della sua cultura. Il governatore, cercando un consigliere, si recò dal maestro e disse: "Dimmi, è vero che quel giovane sa tutto quello che si dice che egli sappia?". "A dire la verità, rispose il maestro sarcasticamente, "quel tale legge tanto che non vedo come potrebbe trovare il tempo di sapere qualcosa".

 

 

"CHI CONFIDA NELLA PROPRIA RICCHEZZA, CADRA'". (PR. 11,28)

Un barbiere stava passando sotto un albero infestato dagli spiriti quando udì una voce dire:

"Ti piacerebbe avere le sette giare d'oro?". Si guardò intorno e non vide nessuno. Ma la sua avidità era stata solleticata, così rispose ansiosamente: "Sì, certo". "Allora va' subito a casa", disse la voce. "Le troverai là". Il barbiere fece tutta la strada di corsa. Infatti c'erano le sette giare... tutte piene d'oro, tranne una che era piena solo a metà. Il barbiere non poteva tollerare il pensiero di avere una giara piena a metà. Si sentiva violentemente spinto a riempirla, altrimenti non avrebbe potuto essere felice. Fece fondere tutti i gioielli della famiglia in monete d'oro e le versò nella giara mezza piena. Ma la giara rimase piena a metà proprio com'era prima. Era esasperante! Cominciò a risparmiare e a far economia e a fare la fame lui e la sua famiglia invano. Per quanto oro mettesse nella giara, quella rimaneva piena a metà. Così un giorno pregò il re di aumentargli lo stipendio. Lo stipendio gli fu raddoppiato. E riprese la lotta per riempire la giara. Iniziò persino a mendicare. La giara divorava ogni moneta d'oro che veniva gettata in essa e rimaneva cocciutamente piena a metà. Il re notò l'aspetto miserevole ed affamato del barbiere. "Che c'è che non va?", gli chiese. "Eri così felice e contento quando il tuo stipendio era più basso. Ora ti è stato raddoppiato e tu sei lacero ed avvilito. Non sarà che hai con te le sette giare d'oro?". Il barbiere rimase sbalordito: "Chi ve l'ha detto, maestà?", domandò. Il re rise. "Ma questi sono ovviamente i sintomi della persona a cui lo spirito offre le sette giare. Una volta le ha offerte a me. lo chiesi se il denaro si poteva spendere o se doveva solo essere accumulato. Egli svanì senza una parola. Quel denaro non si può spendere. Porta solo con sé l'obbligo di accumulare. Va' e restituiscilo immediatamente allo spirito e sarai di nuovo felice".

 

 

“UN CUORE TRANQUILLO È LA VITA DI TUTTO IL CORPO”.  (Pr. 14,30)

Un racconto della tradizione musulmana:

Un uomo andò un giorno dal Profeta. Prima che aprisse bocca, questi gli disse: Sei venuto a chiedermi che cos‘è la gioia. Come fai a saperlo? Perché ti vedo teso ed inquieto. Ora ascolta. Per sapere cos’è la gioia, interroga il tuo cuore. La pace è ciò mediante cui l’anima gode del riposo e il cuore della tranquillità. Il peccato è ciò che porta turbamento all’anima e tumulto al cuore. Non perdere tempo a chiedere a destra e a manca che cos’è la gioia. Vivila. L’anima e il cuore ti risponderanno.

(Tradizione musulmana)

 

“PER UN CUORE FELICE È SEMPRE FESTA”. (Pr. 15,15)

Abbiamo intere miniere di gioia in noi stessi e attorno a noi!

Due uomini, seduti sotto un albero, osservavano la campagna circostante, piatta e arsa dalla calura. Uno dei due, dallo sguardo duro e superbo, disse: Che noia questo paesaggio tutto così uguale! Possiedo un puledro veloce; andrò a fare un viaggio per scoprire le meraviglie del mondo. L’altro uomo, minuto, tranquillo, sembrava pago di quella sosta e sorrideva con dolcezza guardando la pianura monotona. Anch’io ho un cavallo veloce. Farò dieci, venti, cento viaggi. I due proposero di trovarsi dopo un anno sotto quell’albero, per raccontarsi le loro esperienze. Così avvenne. Parlò per primo l’uomo dallo sguardo altero. Ho visto il mare infinito, le montagne che toccano le nuvole, le selve dalle ombre azzurre. Ho conosciuto uomini scaltri che mi hanno insegnato a guadagnare molto denaro. Ora sono ricco e potrò viaggiare sempre di più. E tu? Sono stato lassù, nel cielo, nella città del Sole. Tu vaneggi! Un cavallo non vola! Il mio cavallo ha le ali e mi porta dove voglio andare. Conosco tutto l’universo: i giardini tra le nuvole, le strade lucenti tra stella e stella. Le mie orecchie hanno udito la melodia dell’immensità, le mie mani hanno sfiorato il morbido raso della volta celeste. Anche se così fosse replicò sgarbatamente l’uomo superbo che cosa hai guadagnato? Sei sempre lo stesso pezzente di un anno fa. Non puoi capirmi. Per te la ricchezza consiste nel denaro. lo sono un poeta. E’ la fantasia che mi rende ricco.

 

 

"PRIMA DELLA GLORIA C'È L'UMILTA'". (Pr. 15,33)

Questa fiaba cinese ci invita a pensare con umiltà ma con gioia a chi siamo e allora sapremo accontentarci.

LO SPACCAPIETRE

C'era una volta un povero spaccapietre che col sole o con la pioggia passava la giornata a spezzar sassi sul ciglio della strada.

"Ah, se potessi essere un gran signore", pensò un giorno, "mi riposerei finalmente!". C'era per aria un Genio, che lo udì. "Sia esaudito il tuo desiderio!", gli disse. Detto fatto, Il povero spaccapietre si trovò di colpo in un bel palazzo, servito da uno stuolo di domestici. Poteva riposare a suo agio. Ma un giorno lo spaccapietre ebbe l'idea di levar gli occhi al cielo, e vide ciò che forse non aveva guardato mai: il Sole! "Ah, se potessi diventare il Sole!" sospirò. "Non avrei neppure il fastidio di vedermi intorno tutti quei domestici” Anche questa volta il Genio buono lo volle far contento: "Sia come vuoi!", gli disse. Ma quando l'uomo fu diventato il Sole, ecco che una nube venne a passargli innanzi, offuscando il suo splendore. "Potessi essere una nuvola!", pensò. "Una nuvola è persino più potente del sole". Ma esaudito che fu, soffiò il Vento, che ridusse a brandelli le nuvole nel cielo. "Vorrei essere il Vento che travolge ogni cosa!" E il Genio compiacente di nuovo lo esaudì. Ma, divenuto Vento impetuoso e violento, incontrò la Montagna che resiste anche al Vento. Trasformato in Montagna, si accorse che qualcuno gli spezzava la base a colpi di piccone. "Ah, poter esser quello che spezza le montagne!" E per l'ultima volta, il Genio io esaudì. Così io spaccapietre si ritrovò di nuovo sul ciglio della strada, nella sua prima forma di umile operaio. Né mai d'allora in poi si lagnò più.

 

 

"POCO CON ONESTA' È MEGLIO DI MOLTE RENDITE SENZA GIUSTIZIA". (Pr. 16,18)

La logica del benessere è quella di avere molto, tutto, subito abbondantemente.

Nella scuola di una borgata romana, un bambino ha disegnato la propria nonna senza mani. Richiesto dall'insegnante di giustificare quella dimenticanza singolare, ha spiegato: Ma lei non lavora! In casa, certamente gli avevano inculcato per tempo la logica del rendimento, dell'efficienza, della produzione, del profitto. Una persona vale per quello che guadagna. Se non contribuisce a "incrementare" il bilancio familiare, è un essere inutile, un peso. La nonna, in certi casi, non ha bisogno delle mani neppure per ritirare i soldi della pensione. Qualcuno la sostituisce in quella fatica. Senza mani. L'essere è irrilevante. Non conta.

Soltanto l'avere, il possesso conta (di fatto, si può contare). Chissà se qualcuno si preoccuperà di insegnare a quel moccioso che le mani non servono solo per lavorare, o per tenere, prendere, difendere, ma anche per giocare (e si può, si deve giocare a tutte le età), servono anche per "lasciare". Che le mani vanno adoperate anche per dare. Che c’è il pericolo di diventare adulti senza aver imparato a usare le mani nel gesto più bello: il dono. Che le mani veramente, irrimediabilmente inutili, sono quelle impiegate esclusivamente per sé.

 

 

"CHI DERIDE IL POVERO OFFENDE IL SUO CREATORE”. (Pr. 17,5)

Don Giovanni Maria Colombo che ha fatto da tempo la scelta di stare con gli "impediti" fisici e mentali, racconta questo episodio.

"Un ragazzo di 18 anni, capace di una certa autonomia, nonostante le lesioni cerebrali che lo affliggono fin dalla nascita, sale sull'omnibus per recarsi al suo lavoro in un ambiente protetto. Presenta all'addetto il proprio abbonamento. Manca la firma sentenzia il funzionario. E invita il giovane a completare il documento. Le sue parole cadono nel vuoto, quasi fossero dette in arabo. Verso la fine del viaggio, nuovo controllo. L'impiegato perde la pazienza: Ehi, giovanotto, fai proprio conto di prendermi in giro? Perché non hai firmato l'abbonamento? Risposta testuale: Sei così stupido da non capire che io non so né leggere né scrivere?

 

 

"CHI FA LA CARITA' AD UN POVERO, FA UN PRESTITO AL SIGNORE CHE GLI RIPAGHERA' LA BUONA AZIONE". (Pr. 19,17)

Questo Proverbio ci dà l'occasione di riprendere ancora uno dei tanti episodi della vita di Madre Teresa di Calcutta:

Settembre 1963. Ad Agra le suore di Madre Teresa hanno aperto un altro centro di carità". Di laggiù una suora telefona in termini drammatici: Dobbiamo a tutti i costi aprire una casa per i bambini abbandonati. In questa zona ne muoiono a decine tutti i giorni. E quanto ci vuole per aprirla? Possiamo farcela con 50 mila rupie (circa duemila euro). Capisco benissimo, sorella mormora madre Teresa. Ma io non so dove prenderle, cinquantamila rupie. Pochi minuti dopo il telefono squilla ancora. E' la redazione di un quotidiano di Calcutta. Annunciano a madre Teresa che il governo delle Filippine le ha assegnato il premio Magsaysay, che la riconosce come "la donna più meritevole dell'Asia". Teresa non ha la più pallida idea di che cosa sia quel premio. Domanda: Si tratta di denaro? Sì, circa 50 mila rupie. Il redattore del giornale rimane di stucco quando sente la suora mormorare al microfono: Allora vuol proprio dire che Dio vuole la casa per i bambini abbandonati di Agra.

 

 

“I PIANI DELL’UOMO DILIGENTE SI RISOLVONO IN PROFITTO”. (Pr. 21,5)

C’era una volta un re grande e sciocco il quale si lamentava che il terreno ruvido gli faceva male ai piedi. Allora ordinò che tutto il paese venisse tappezzato di pellame. Il buffone di corte rise quando seppe dell’ordine dato dal re. “Che idea folle, Vostra Maestà”, esclamò. “Perché sprecare così tanto denaro? Basterà che tagliate due piccole pezze con cui proteggervi i piedi”. Il re seguì il consiglio del buffone. Fu così che nacquero le prime scarpe. Fu così che nacque l’uomo saggio che ha capito che prima di cambiare il mondo, deve cambiare se stesso.

 

 

"LO TI DOMANDO DUE COSE, NON NEGARMELE PRIMA CHE IO MUOIA; TIENI LONTANO DA ME FALSITA' E MENZOGNA, NON DARMI NE' POVERTA' NE' RICCHEZZA, MA FAMMI AVERE IL CIBO NECESSARIO”. (Pr. 30,7-8)

Il Signore Visnu era così stufo delle continue richieste del suo devoto che un giorno gli apparve e disse: "Ho deciso di concederti tre cose che mi domanderai. Dopo di che non ti darò più niente". Il devoto, felice, fece immediatamente la prima richiesta. Chiese che la moglie morisse per poter sposare una donna migliore, Il suo desiderio fu esaudito all'istante. Ma quando amici e parenti si radunarono per il funerale e iniziarono a ricordare tutte le buone qualità di sua moglie, il devoto capì di essere stato avventato. Si rese conto allora di essere stato assolutamente cieco a tutte le sue virtù. Sarebbe mai riuscito a trovare una donna altrettanto buona? Così chiese al Signore di riportarla in vita! E rimase con una sola richiesta. Ed era deciso a non fare errori questa volta, perché non avrebbe potuto correggerli. Chiese consiglio a tutti. Qualcuno dei suoi amici gli suggerì di chiedere l'immortalità. Ma a che gli sarebbe servita l'immortalità, dissero altri, se non godeva di buona salute? E a che gli sarebbe servita la salute se non aveva soldi? E a che gli sarebbero serviti i soldi se non aveva amici? Gli anni passavano e lui non riusciva a decidere cosa chiedere: la vita o la salute o la ricchezza o il potere o l'amore. Alla fine disse al Signore: "Per favore, consigliami che cosa chiedere". Il Signore rise nel vedere l'imbarazzo dell'uomo e disse: "Chiedi di essere soddisfatto qualunque cosa la vita ti porti".

 

 

“I RAGIONAMENTI TORTUOSI ALLONTANANO DA DIO”. (Sap. 1,3)

Quante parole, discussioni, ragionamenti su Dio: ci sarà, non ci sarà? Come sarà fatto? Perché?

Un saggio, vedendo i suoi discepoli discutere sull’esistenza di Dio, un giorno pensò bene di recarsi da loro in sella al proprio asino. Si aggirava attorno come se cercasse qualcosa. Gli chiesero preoccupati i discepoli: Maestro, dove stai andando? Rispose: Sto andando in cerca del mio asino!  Scoppiarono tutti a ridere e fecero notare: Ma ciò è ridicolo: gli stai in sella!

E Lui: Ancora più ridicoli siete voi: andate in cerca di Dio, quando è su di lui che vivete!

 

 

“I TUOI GIUDIZI SONO DIFFICILI DA SPIEGARE”. (Sap. 17,1)

L’uomo da solo non riesce a capire i piani di Dio. Solo una fede totale ci apre alla sua Sapienza divina. Ecco un “difficile” ma significativo racconto musulmano:

Un giorno Allah comandò ad un suo angelo: Scendi sulla terra e porta in paradiso quella povera vedova, madre di quattro bambini! L’angelo partì. Trovò la donna che allattava il suo bambino più piccolo. Ristette dubbioso, guardando Allah, quasi per pregarlo di ritirare l’ordine. Ma Allah tacque. L’angelo allora portò la povera vedova in cielo e lasciò quattro bambini in pianto sulla terra. Come godere il paradiso con quella tristezza nel cuore? Vedendolo triste, Allah fece chiamare l’angelo, lo condusse in una scogliera deserta, gli mostrò un masso enorme e gli intimò: Spezzalo! L’angelo ubbidì. Nel cuore del grande macigno c’era un piccolo verme vivo! Allora esclamo: O Altissimo Signore, che mistero grande è la tua creazione! Se la tua somma sapienza e il tuo infinito amore non dimenticano un verme in un sasso, certo avrai cura dei quattro piccoli orfani, che sono anche tuoi figli!

 

 

“CHI CONOSCE I DISEGNI DI DIO?”. (Sir. 1,5)

“… SE A DIO PIACE!”

Un contadino, dopo aver trascorso tutta la giornata a mietere, ritornò a casa. Disse alla moglie: Domani, a mezzogiorno, di sicuro avrò finito di mietere. La buona donna rispose: Devi aggiungere: “Se a Dio piace”, perché sai che la volontà degli uomini non conta. Ti assicuro, moglie mia, che né Dio né il Diavolo potranno impedirmi di finire per mezzogiorno! La mattina dopo, all’alba, il contadino si diresse verso il campo. Strada facendo, si imbatté in un corteo di donne e cavalieri al seguito del Sultano. Uno di loro fermò il contadino e gli disse: Buon uomo, ti ordino di guidarci alla montagna che vedi laggiù, in fondo alla valle. Il Sultano deve essere là prima di sera e noi non conosciamo la strada. Il contadino non poté rifiutarsi. Soltanto a sera inoltrata fu di ritorno. Bussò alla sua porta. Chi è a quest’ora? chiese la moglie. Sono io, tuo marito, se a Dio piace. Aprimi, se a Dio piace, che voglio andare a letto, se a Dio piace!

 

 

“FIGLIO, PER QUANTO POSSIBILE, TRATTATI BENE!”. (Sir. 14,1)

Viviamo nell’affanno, nella ricerca di un senso, vogliamo essere felici, lavoriamo per il successo... ma ci ricordiamo di vivere?

Un filosofo che attraversava un fiume su di un traghetto chiese al battelliere: Conosci le matematiche? No. E’ grave? Gravissimo. Hai sciupato almeno un quarto della tua vita. Conosci almeno l’astronomia? E’ qualcosa che si mangia? Stolto! Hai perso almeno metà della tua vita. E l’astrologia, la conosci? Neanche. Sei uno sciagurato. Hai sprecato tre quarti della tua vita.

Il traghetto, in quel momento, affondò; e il battelliere gridò al filosofo: Tu, sai nuotare? No! Allora perdi i quattro quarti della tua vita.

 

 

“C’È’ CHI TACE ED E' PRUDENTE”. (Sir. 20,1)

Se qualche volta alla fine della giornata potessimo vedere quante parole inutili o cattive abbiamo detto, ci stupiremmo per il loro numero.

Un giovane, che desiderava percorrere la via della perfezione, domandò un giorno a un monaco che gli desse un cilicio, per poter giungere più facilmente e speditamente alla santità. Il religioso lo guardò a lungo negli occhi e vide che il suo desiderio era sincero e la sua volontà decisa. Allora si limitò a tracciare sulle sue labbra un segno di croce e, sorridendo, gli disse: Stai tranquillo, amico: non c’è cilicio migliore che quello di vegliare costantemente sopra tutto ciò che esce da questa porta!

 

 

 “SECCA L’ERBA, APPASSISCE IL FIORE, MA LA PAROLA DI DIO DURA SEMPRE”. (Is. 40,8)

L’autobus era allegramente animato da un gruppo di giovani. Un viaggiatore prese posto accanto a loro, con la sua Bibbia in mano. Un burlone, affettando la più grande serietà, chiese: “Scusi, signore, può darmi un’informazione? E’ lontano il Paradiso?”. Il signore con la Bibbia guardò il giovane negli occhi e, con tono affabile e serio, rispose: “Mio caro, il Paradiso, è a un solo passo da te. Vuoi fare adesso questo passo?”. Tutto qui. Ma quelle semplici parole e il modo con cui erano state pronunciate, ritornarono con insistenza allo spirito di quel giovane, che non trovò riposo finché non ebbe fatto quel “passo”, verso Gesù Cristo, il Salvatore. Anche voi, chiunque siate, fatelo senza indugio questo passo della fede, necessario per “passare dalla morte alla vita”. Nessuno può farlo al posto vostro. Forse avrete dei genitori o degli amici credenti. La loro fede non vi serve a nulla, è necessaria la vostra. Forse vi riposate su degli intermediari specializzati fra voi e Dio, nei quali avete fiducia per tutto ciò che concerne “la religione”. Neppure loro possono aiutarvi se non invitandovi a cercare personalmente la presenza di Dio. Non avete nulla da offrirgli ed Egli si aspetta da voi solo una cosa: il pentimento che produce la fede. Non esitate ulteriormente: fate il passo subito!

 

 

"LO SONO IL SIGNORE CHE TI CHIAMO PER NOME”. (Is. 45,3)

"Dio ha tanto da fare che non ha tempo a pensare a me tra miliardi di uomini", mi diceva un amico.  E l'idea poco per volta si insinuò in me: che valeva pregare, essere obbedienti, caritatevoli, Dio aveva ben altro da fare! Diventava però enormemente triste essere solo più un numero...

Un uomo disperava dell'amor di Dio. Un giorno, mentre errava sulle colline che attorniavano la sua città, incontrò un pastore. Questi, vedendolo afflitto, gli chiese: Che cosa ti turba, amico? Mi sento immensamente solo. Anch'io sono solo, eppure mori sono triste. Forse perché Dio ti fa compagnia... Hai indovinato. Io invece non ho la compagnia di Dio. Non riesco a credere al suo amore. Com'è possibile che ami gli uomini uno per uno? Com'è possibile che ami me? Vedi laggiù la nostra città? gli chiese il pastore Ne vedi ogni casa? Vedi le finestre di ogni casa? Vedo tutto questo. Allora non devi disperare. Il sole è uno solo, ma ogni finestra della città, anche la più piccola e la più nascosta, ogni giorno viene baciata dal sole, nell'arco della giornata. Forse tu disperi perché tieni chiusa la tua finestra.

 

 

"DISPREZZATO E REIETTO DAGLI UOMINI, UOMO DEI DOLORI CHE BEN CONOSCE IL PATIRE, COME UNO DAVANTI AL QUALE CI SI COPRE LA FACCIA, ERA DISPREZZATO E NON NE AVEVAMO ALCUNA STIMA”. (Is. 53,31)

Isaia parla del servo di Dio sofferente e noi vediamo in esso la prefigurazione di Gesù. Ma Cristo soffre ancora oggi. Ecco come un giornalista ci racconta un episodio dell' "Ospedale dei Moribondi":

"Lo scaricarono da un carretto e a braccia lo portarono nella baracca. Guaiva come un cucciolo. Se avesse avuto più forza avrebbe urlato, perché il cancro stava divorando metà del suo corpo. Gli ammalati, sui pagliericci intorno, cominciarono a brontolare. Qualcuno alzò la voce: Ma non sentite che puzza? Portatelo fuori. Una donna esile, vestita di un sari bianco, si avvicinò con una bacinella e delle bende. Ma il tanfo terribile che emanava da quelle piaghe la fece impallidire. Se ne andò di corsa, prima di svenire. ll brontolio dei malati si fece minaccioso: Portate via quella carogna. Lasciateci morire in pace... Reggendolo per le mani e per i piedi, tre suore lo portarono nella baracchetta posta a nord, sempre in ombra e fresca. La stanza dei cadaveri. Lo posero sul pavimento. Madre Teresa vide che le altre due non ce la facevano più, e disse: Portatemi una bacinella di acqua pulita, poi andate dagli altri. Adagio cominciò a lavare le piaghe orrende, accompagnata da quel guaito lungo, interrotto solo da un ansare affannoso, disperato. A un tratto gli occhi, che fino allora avevano fissato senza vedere niente, si fermarono su di lei. Il guaito cessò, Il moribondo cercava qualche parola: Dove sono?... Chi sei?... Come fai a sopportare questa puzza nauseante? Non è niente lei rispose in confronto al male che sopporti tu. La morte arrivò verso sera. Madre Teresa era ancora lì, a reggere la testa, a dire parole di speranza. Quell'uomo (di cui nessuno sa il nome) riuscì ancora a dire: Tu sei diversa dalle altre. Ti ringrazio. E lei: Sono io che ringrazio te, che soffri con Cristo.".

 

 

“NON SI VANTI IL RICCO DELLE SUE RICCHEZZE; CHI VUOI GLORIARSI SI VANTI DI CONOSCERE ME”. (Ger. 9,23—24)

Un bambino aveva collezionato dei francobolli. Un giorno si accorse che molti di essi, assai quotati sul catalogo, riportavano un’iscrizione in minutissimi caratteri: “Fac—simile”. Egli non ne conosceva il significato, ma quella parola suscitò in lui una certa inquietudine. Pose la domanda a uno zio che gli spiegò che i suoi più bei francobolli non valevano assolutamente nulla. Quante persone accumulano così dei beni senza valore! Non è tragico accorgersene solo al momento in cui bisogna lasciarli? Ma allora, quali sono le vere ricchezze? Giacomo, nella sua lettera, definisce così quelli che le posseggono: sono “ricchi in fede” Essere ricco è conoscere Dio e servirlo con fedeltà. Essere ricco significa conoscere Gesù Cristo, il Figliuol di Dio come Salvatore e come ragione di vita. Questa è la ricchezza che non inganna, quella che ci si porta via quando si lascia questo mondo. Facciamo bene il conto delle nostre ricchezze. E se possedessimo solo dei “fac—simile”? Ebbene, oggi è ancora tempo per prendere dalla mano di Dio ciò che Egli offre gratuitamente: le ricchezze della fede.

 

 

“IO PERDONERO' LA LORO INIQUITA'”. (Ger. 31,34)

Don Bosco è allo stremo delle forze. Confessa soltanto alcuni salesiani e gli alunni dell’ultima classe. In modo quasi inspiegabile, Luigi Orione ottiene questo singolarissimo privilegio. Bisogna che si prepari seriamente. Lo narrò don 0rione stesso: “Nell’esame di coscienza che feci, riempii tre quaderni”. Per non tralasciare nulla, aveva consultato alcuni formulari. Ricopiò tutto, si accusò di tutto. A una sola domanda aveva risposto negativamente: alla domanda: “Hai ammazzato?”. “Questo no!”, scrisse. Poi, con i quaderni in tasca, una mano sul pet­to, gli occhi bassi, si accodò agli altri attendendo il suo turno. Tremava per l’emozione. Toccò a lui. Si inginocchiò. Don Bosco lo guardò sorridendo: “Dammi i tuoi peccati”. Il ragazzo tirò fuori il primo quaderno. Don Bosco lo prese, sembrò soppesarlo un attimo, poi lo stracciò. “Dammi gli altri”. Anche gli altri due fecero la stessa fine: stracciati. Il ragazzo stava a guardare disorientato. “E adesso la confessione è fatta”, disse il Santo. “Non pensare mai più a quanto hai scritto”. (Teresio Bosco)

 

 

“CONVERTITEVI E VIVRETE”. (Ez. 18,32)

“Se gli altri la pensassero e agissero come me!... Il mondo andrebbe meglio!” E’ una frase che spesso diciamo o perlomeno pensiamo. Ma la conversione vera comincia dagli altri, o da me stesso?

A un discepolo che si lamentava continuamente degli altri, il maestro disse: “Se è la pace che vuoi, cerca di cambiare te stesso, non gli altri. E’ più facile proteggersi i piedi con delle pantofole che ricoprire di tappeti tutta la terra”.

 

 

“TRATTACI SECONDO LA GRANDEZZA DELLA TUA MISERICORDIA”. (Dan. 3,42)

Può sembrare quasi fuori luogo commentare questa bellissima preghiera con una poesia d’amore scritta da una ragazza americana, ma penso ci aiuterà oggi a riflettere sulla grande misericordia che Dio ha con noi e sulle tante occasioni di gratitudine che noi perdiamo.

“Ricordi il giorno che presi a prestito la tua macchina nuova e l’ammaccai? Credevo che mi avresti uccisa, ma tu non l’hai fatto.

E ricordi quella volta che ti trascinai alla spiaggia, e tu dicevi che sarebbe piovuto, e piovve? Credevo che avresti esclamato: “Te l’avevo detto”. Ma tu non l’hai fatto. Ricordi quella volta che civettavo con tutti per farti ingelosire, e ti eri ingelosito? Credevo che mi avresti lasciata, ma tu non l’hai fatto. Ricordi quella volta che rovesciai la torta di fragole sul tappetino della tua macchina? Credevo che mi avresti picchiata, ma tu non l’hai fatto. E ricordi quella volta che dimenticai di dirti che la festa era in abito da sera e ti presentasti in jeans? Credevo che mi avresti mollata, ma tu non l’hai fatto. Sì, ci sono tante cose che non hai fatto. Ma avevi pazienza con me, e mi amavi, e mi proteggevi. C’erano tante cose che volevo farmi perdonare quando tu saresti tornato dal Vietnam. Ma tu non sei tornato.”

 

 

“BENEDITE, OPERE TUTTE DEL SIGNORE, IL SIGNORE”. (Dan. 3,57)

Gesù apriva gli occhi ai ciechi... forse anche noi lo siamo. Questa riflessione di A. de Mello risulterà difficile a molti, ma, rileggendola più volte...

La continua protesta del discepolo al suo maestro zen era: “Tu mi stai nascondendo il segreto ultimo dello zen”. E si rifiutava di credere alle smentite del maestro. Un giorno il maestro lo portò a fare una passeggiata sulle colline. Mentre camminavano sentirono cantare un uccello. “Hai sentito quell’uccello cantare?” disse il maestro. “Sì”, disse il discepolo. “Be!, adesso sai che non ti ho nascosto niente”. “Sì”, disse il discepolo. Se avessi davvero sentito un uccello cantare, se avessi davvero visto un albero... sapresti, al di là delle parole e dei concetti. Cos’hai detto? Che hai sentito cantare decine d’uccelli e visto centinaia di alberi? Ah, è l’albero che hai visto o l’etichetta? Quando guardi un albero e vedi un albero, non hai visto davvero l’albero. Quando guardi un albero e vedi un miracolo.., allora, finalmente, hai visto un albero! Il tuo cuore non si è mai riempito di una meraviglia senza parole nell’udire il canto di un uccello?

     
     
 

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