La pesca all'inglese
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Come d'altronde fa intuire lo stesso nome, la pesca all'inglese è una tecnica nata in Gran Bretagna come soluzione ad almeno tre problemi di natura ambientale tipici di quel paese. Primo problema: l'Inghilterra è ricchissima di fiumi, laghi e canali artificiali che hanno in comune una scarsa profondità; 3 m sono considerati già una misura eccezionale, mentre in Italia è normale affrontare corsi d'acqua con fondali di 5 o 6 m oppure bacini con 10 e più metri d'acqua. Secondo problema: chiunque peschi normalmente con canna, mulinello e galleggiante sa benissimo che il vento è uno dei nemici più difficili da affrontare: genera strani moti nell'acqua, devia la traiettoria di lancio, impedisce una corretta azione di pesca. Ebbene, in Gran Bretagna il vento è un vero e proprio flagello naturale e la sua azione è ancor più evidente su acque poco profonde, per giunta quasi mai protette da rilievi montuosi. Terzo problema: se alle scarse profondità e al vento costante si aggiunge il fatto che la pioggia fa compagnia agli Inglesi per oltre 300 giorni l'anno, è chiaro che il quadro generale non è certamente idilliaco e invitante per un pescatore, almeno secondo la nostra mentalità. Per gli Inglesi, invece, tutto ciò è assolutamente normale e chi ha conosciuto dei pescatori britannici può testimoniare della loro resistenza fisica, certamente sostenuta da una passione di intensità particolare, non comune fra noi. La necessità di superare tutti questi ostacoli naturali ha spinto gli sportivi britannici a ricercare soluzioni che al loro apparire in Italia sono sembrate talmente rivoluzionarie da richiedere alcuni anni prima di essere assimilate dai nostri pescatori. Il primo elemento tipico dell'attrezzatura inglese è certamente il galleggiante, che, essendo fissato alla lenza solo con la sua estremità inferiore, consente di pescare con il filo completamente sommerso, eludendo la spinta del vento che altrimenti provocherebbe la ben nota "pancia" in superficie. La piombatura della lenza può essere concentrata in prossimità del galleggiante, con il vantaggio di conservare una notevole sensibilità indipendentemente dalla portata del galleggiante stesso. La canna è provvista di anelli di piccolo diametro, legati al fusto a distanze ravvicinate: ciò è di grande aiuto in condizioni di elevata umidità o di pioggia, in quanto impedisce al filo di aderire alla canna e creare un'attrito che ridurrebbe notevolmente le distanze raggiungibili con il lancio. Questi sono i fattori principali, la chiave del successo della pesca all'inglese, le novità che hanno scosso le nostre certezze e messo in discussione le nostre esperienze, maturate in oltre trent'anni di tranquillo esercizio della pesca con la bolognese. Affrontando tutti i temi inerenti all'attrezzatura e alla tecnica scopriremo anche altri particolari di minore importanza, ma soprattutto ci dovremo confrontare con la mentalità dei pescatori inglesi e il loro grande rispetto per la natura.
Un po' di storia
Analogamente a quanto è accaduto per altre tecniche di pesca, anche quella all'inglese è stata esportata dalla terra d'origine tramite un veicolo molto efficace: l'agonismo. E' noto, infatti, che i pescatori che partecipano a gare di pesca sono sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, qualcosa in più che possa permettere loro di superare gli avversari. Questa incessante corsa al meglio è stata il vero motore dell'incredibile progresso che la tecnica e le attrezzature da pesca hanno vissuto negli ultimi due decenni. Nel circuito agonistico internazionale gli Inglesi hanno vinto due titoli individuali che hanno coinciso con le prime efficaci apparizioni della tecnica inglese nell'Europa continentale: nel 1963, in Lussemburgo, con Billy Lane (e in alcune zone d'Italia il galleggiante inglese viene ancora chiamato billy con chiaro riferimento al campione del mondo) e nel 1975, in Polonia, con Jan Heaps. Furono però due episodi che non ebbero grande risonanza in Italia per diverse ragioni: i nostri agonisti erano abituati a catturare centinaia di alborelle con canne cortissime, la stampa specializzata non dedicava grande spazio a queste manifestazioni e, parallelamente, non esisteva quell'attenzione al nuovo, quella apertura mentale che invece oggi stimola l'intero ambiente. Nei primi anni Ottanta si verificarono quasi contemporaneamente alcuni fatti che generarono un improvviso interesse verso la pesca all'inglese. Una drastica rarefazione delle alborelle nei più importanti campi di gara fu certamente il problema che aprì gli occhi degli agonisti più impegnati, spingendoli sempre più a considerare la pesca del pesce di taglia, e di conseguenza l'uso di canne con il mulinello, come via obbligata per il conseguimento di una vittoria. Inoltre, in quel periodo si svolsero in Italia tre manifestazioni sportive di rilevanza mondiale che ebbero uno straordinario seguito di pubblico e nelle quali i pescatori britannici mostrarono tutta l'efficacia del loro metodo e la superiorità della loro scuola. Nel 1982, a Firenze, l'Arno ospitò il campionato del mondo per club, vinto dagli inglesi dell'Essex County che schieravano il famoso Bob Nudd, vincitore in seguito di 2 titoli mondiali individuali. A Parma, l'anno successivo, replica dello stesso spettacolo nel Laghetto del Parco Ducale; attori eccezionali gli inglesi del Barnsley Daiwa, che potevano vantare la presenza in squadra del giovane talento Tom Pickering (campione del mondo 1989) e il vero e proprio mito Ivan Marks, noto in Inghilterra come the Master, ovvero "il maestro". Ma fu il campionato del mondo 1985, tenutosi a Firenze sull'Arno, la miccia che fece esplodere in Italia il fenomeno "pesca all'inglese" in tutta la sua potenza. Migliaia di spettatori, provenienti da tutto il paese, poterono assistere alla vittoria della Nazionale inglese e di David Roper nella gara individuale e l'impressione generale fu quella di avere vissuto "in diretta" una giornata storica, punto di partenza di una nuova epoca. Nello stesso anno si tenne proprio a Firenze la prima edizione dell'Aipo Show, fiera nazionale delle attrezzature per la pesca sportiva, che ebbe un grande successo di pubblico. Senza dubbio le maggiori attenzioni furono rivolte alla pesca all'inglese, che simultaneamente aveva conquistato spazi importanti su tutte le riviste specializzate. Ecco quindi sintetizzate le radici della pesca all'inglese in Italia: da un fenomeno di élite, strettamente agonistico, a un movimento di massa stimolato positivamente sia dalle aziende commerciali, sia dalla stampa e dalla televisione (Fish Eye, il seguitissimo programma di Italia 1, riservò particolare attenzione a questa tecnica emergente, con servizi anche dall'Inghilterra, e contribuì in notevole misura alla sua diffusione). Oggi la pesca all'inglese è conosciuta e praticata in tutta la penisola da migliaia di appassionati; la tecnica originale è stata in qualche caso adattata a specifiche esigenze locali, ma i fondamenti sono rimasti invariati. Questo il quadro per quanto riguarda passato e presente. Ma per il futuro? Non è ovviamente semplice formulare previsioni sulla sua evoluzione, ma una cosa è certa: progressi e cambiamenti si verificheranno senz'altro, perché nella pesca, come in tutti gli altri sport, non esistono situazioni statiche ma esiste un dinamismo inarrestabile. Non dimentichiamo che ora il fenomeno è di portata europea, avendo investito non solo l'Italia ma anche Francia, Spagna, Germania, Olanda, Belgio, Danimarca, Svezia, Svizzera e i paesi dell'Europa orientale; ci sono pertanto oltre dieci milioni di pescatori che contemporaneamente studiano il modo per migliorare i propri risultati sportivi ed è per questo che ci si può attendere da un giorno all'altro che qualcosa di nuovo esca da una di queste esperienze individuali, qualcosa che sarà in grado di stupirci nuovamente.
Un fruttuoso interscambio
La principale motivazione del successo della pesca all'inglese in Italia è senza dubbio l'efficacia con cui è possibile affrontare le nostre acque e i nostri pesci. I pescatori italiani sono riusciti addirittura ad allargare il campo di utilizzo alle acque marine, in quanto il moto ondoso del Mediterraneo consente l'impiego del galleggiante. A proposito degli ambienti in cui la pesca all'inglese può essere praticata, è necessario distinguere le acque ferme dalle acque correnti. Nelle acque ferme, o molto lente, gli inglesi usano il classico galleggiante applicato alla lenza per la sua estremità inferiore, che viene chiamato waggler, ossia "ballerina", proprio per il fatto che penzola dalla lenza quando non è in assetto di pesca. Nelle acque correnti, invece, non sarebbe possibile usare un waggler perché questo galleggiante affonderebbe al minimo accenno di trattenuta. In questo caso gli inglesi montano un galleggiante fissato alla lenza in due punti, detto stick proprio perché il filo aderisce al suo corpo (to stick significa aderire). E evidente che lo stick è molto simile ai nostri galleggianti da bolognese, tecnica in cui noi italiani non abbiamo veramente nulla da imparare dagli inglesi. Lo stick viene utilizzato con una canna di 4 m di lunghezza, che non consente un perfetto controllo della passata a distanza, perché la lenza è forzatamente appoggiata all'acqua. La lunga canna bolognese, invece, ci permette di guidare il galleggiante tenendo tutto il filo fuori dall'acqua, essendo oltretutto più precisi e pronti nella ferrata. Per queste ragioni anche gli inglesi ora usano le lunghe bolognesi telescopiche, avendo riconosciuto la netta superiorità della tecnica italiana per eccellenza. Di conseguenza, è ovvio che concentreremo ora la nostra attenzione sulla waggler fishing, regina delle acque ferme o mosse da una debole corrente. Il panorama delle acque idonee alla pratica della pesca all'inglese è ampio, comprendendo tutti i laghi, le dighe, i canali, alcuni tratti di fiumi e il mare; si può pertanto affermare che non esiste zona d'Italia in cui non sia possibile divertirsi con questa interessante tecnica di pesca.