Notizie storiche sul bombardamento: 6 luglio ‘44
 
 
 
In preparazione alla realizzazione del filmato sul bombardamento di Dalmine del 6 luglio 1944, preparai il seguente articolo che servì poi per la stesura della sceneggiatura del video “Dalmine - Operazione 614”. L’articolo venne pubblicato nel n° speciale di InformaDalmine interamente dedicato a questo evento e alle manifestazioni organizzate per il 50°. In quel periodo, in quanto Assessore alla cultura, ero direttore del notiziario comunale.
Con l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, per le più importanti industrie pubbliche e private, tra cui la Dalmine S. A.,, fu dichiarata la mobilitazione civile (legge N° 1782) in base alla quale “Tutte le persone dipendenti dagli stabilimenti di produzione della guerra … sono soggette alla giurisdizione militare” (art. 30). Inoltre si tentò di reprimere ogni possibile forma di opposizione da parte dei lavoratori: “Chiunque dolosamente ostacola il corso dei lavori o esegue lavorazione difettosa … è punito con le pene previste dall’art. 253 del Codice Penale … Se il fatto è diretto a menomare l’efficienza bellica dello stato si applica la pena di morte.”
In un verbale del Consiglio di Amministrazione del 1941 si può leggere: “La nostra produzione è ormai per il 95% d’impiego bellico, in analogia alla destinazione bellica dei prodotti di gran parte dell’industria siderurgica. Il crescente fabbisogno di prodotti della siderurgia (in particolare del prodotto tubolare) della Nazione in guerra, ha indotto il Fabbriguerra a dover contare sulla Dalmine per produzioni settoriali, fino ad ora prerogativa di altri complessi siderurgici: dalla fabbricazione di proiettili, a quella di collettori per caldaie marine, fino alla produzione di serbatoi per siluri, nata dal fabbisogno dell’alleata Marina Germanica”.
L’8 settembre 1943 fu dichiarato l’armistizio tra l’Italia e gli anglo-americani. I tedeschi immediatamente disarmarono le truppe italiane e occuparono il nord Italia. Il Paese si ritrovò diviso in due e in fabbrica si sviluppò un forte spirito antifascista che si coagulò attorno alla “Commissione clandestina dello stabilimento”.
Alla Dalminela situazione si presentava particolarmente seria”: sospese d’un tratto le forniture belliche sia dirette che indirette, che costituivano ormai la quasi totalità della nostra produzione, lo stabilimento si trovò dall’oggi al domani senza lavoro e dovette essere fermato. L’attività però doveva essere ripresa al più presto sia per mantenere in efficienza gli impianti, sia per dare lavoro ai nostri operai” poiché “le possibilità di vita di seimila dipendenti e delle loro famiglie sono legate alla produttività del nostro stabilimento. Dopo una settimana quindi il lavoro fu ripreso.”
Dopo tale data, tecnici tedeschi ed un commissario del consiglio nazionale fascista delle corporazioni, il Dr. Massimino, assunsero il pieno controllo dello stabilimento e dell’azienda.
Il
6 ottobre 1943 l’incaricato tedesco per la produzione siderurgica in Italia dr. Heinrich e il Direttore Generale della Dalmine Ing. Vincenzo Zampi firmarono un protocollo in cui “veniva assicurata la produzione d’acciaio e prodotti laminati piani per le necessità belliche della Germania e dell’Italia. Allo Stabilimento di Dalmine veniva assicurata la protezione del Ministero per l’armamento e la produzione bellica, per l’intera durata della guerra”. Contemporaneamente arrivava l’Ing. Zimmermann, Direttore dello stabilimento di Komotau della Mannesmann, nominato Betreuung del settore tubi, che, data la preminente posizione di Dalmine nel settore, dedicava subito particolare interesse alla Dalmine ed anzi vi si installava in modo quasi permanente. La società Dalmine “si è venuta così a trovare in breve volgere di tempo inserita nel quadro dell’economia tedesca”, ma continuando ad alimentare in misura discreta il mercato nazionale (oltre il 20%).
L’8 giugno 1944, un mese prima del bombardamento, nel Consiglio di Amministrazione si sottolineava “la particolare posizione assunta dal nostro stabilimento e mentre vari stabilimenti italiani vengono smontati ed il macchinario spedito in Germania, per Dalmine è stato previsto un ulteriore potenziamento“ con l’ampliamento di un fabbricato e l’installazione di un quarto forno Martin e di due forni elettrici. Anche tra gli operai nessuno era stato inviato in Germania e l’azienda aveva “ottenuto le facilitazioni necessarie per trattenere quelli che fossero eventualmente chiamati”. L’azienda, con l’aumento della produttività e con il progettato sviluppo, appariva in contrasto con gli altri centri industriali perché “ovunque, a causa delle incursioni aeree, degli allarmi, delle difficoltà di trasporto e della scarsa alimentazione, i rendimenti peggiorano”.
Intanto al comando anglo-americano erano giunte informazioni sulla “Dalmine” , “a ½ miglio di distanza dall’autostrada Milano – Bergamo, direzione nord-ovest ed a circa 8,5 da Treviglio. Questa fabbrica costruisce tubi per proiettili di missili. Produce 9.000 tons di proiettili al mese, utilizzati dai soldati tedeschi”. Ormai era considerata alla stessa stregua degli stabilimenti del Reich, che venivano bombardati in un continuo terrificante crescendo.
 
Bombardamenti a Bergamo
Nel piano strategico anglo-americano, allo scopo di distruggere il potenziale economico avversario e demoralizzare la popolazione, era stato deciso di effettuare massicci bombardamenti aerei sull’Europa controllata dall’esercito tedesco.
In Italia, incursioni particolarmente gravi ebbero per obiettivi i porti e le città industrializzate del nord che alimentavano l’industria bellica. In Lombardia le città più colpite furono: Milano con 2.239 civili caduti; Brescia e provincia con 2.075 caduti e Pavia con 1354.
Bergamo in un certo senso appare un’isola privilegiata: sempre più frequenti i passaggi aerei, ma rare le cadute di bombe. Vittime e incursioni si registrarono a Orio al Serio (9 agosto 1944) con alcune vittime tra i contadini; a Colzate (29 gennaio 1945) col mitragliamento del treno della Valle Seriana, con 24 caduti e 26 feriti.
Ponte San Pietro è l’abitato che ha subito i danni più gravi. Obiettivo strategico: il ponte ferroviario, che subì una serie di 9 incursioni aeree, ma non fu mai distrutto. Furono però causati danni incalcolabili alla popolazione ed agli edifici. Il primo bombardamento avvenne il 24 luglio ’44 alle 8,0, mentre il 24 ottobre e il 4 novembre ’44 le incursioni si svolsero alle 11,30. Il 1945 si aprì con un bombardamento e mitragliamento alle ore 10 per ripetersi due giorni dopo. L’ultima incursione fu realizzata alla vigilia della Liberazione,il 22 aprile. Le vittime complessive sono state 36, centinaia i morti.
 
Nome in codice: “Operazione 614”
Il 6 luglio 1944 avvenne la tragedia più grave che in tutto il periodo bellico abbia mai colpito la popolazione e l’industria bergamasca.
Il 99° Gruppo Bombardieri comandato dal Col. Ford J. Lauer, di stanza al campo aereo Tortorella (Salerno) e il 463° Gruppo Bombardieri comandato dal Col. Frank Kurtz del campo aereo di Celone (Foggia) furono incaricati di eseguire la missione denominata in codice “Operazione 614” che aveva per obiettivo le “Acciaierie Bergamo” (Dalmine) a 45° 38’ 45” N  09° 35’ 37” E (conosciute anche come Officine Mannesmann). Allegate alle istruzioni vi era pure una piantina, disegnata a mano, dove era segnato il punto da colpire, raccomandando attenzione per un campo di prigionieri che si trovava poco prima (Grumello al Piano).
Gli aerei, conosciuti come “fortezze volanti”, dovevano arrivare sullo stabilimento provenendo da Est. Partirono in 27 (uno tornò alla base prima di raggiungere l’obiettivo), erano aerei del tipo Boeing B 17G Flying Fortress da bombardamento, prodotti nel 1943. Avevano un’apertura alare di 31,62 m e lunghi 22, 66 m. Viaggiavano ad una velocità di 462 km/h a 7.620 m d’altezza. La quota massima operativa era di 10.850 m, con un’autonomia di viaggio di 3.220 km. Disponevano i 13 mitragliatrici e trasportavano fino a 7.985 kg di bombe. L’equipaggio era composto da 9 persone. Volando ad un’altezza di 24.800 piedi erano accompagnati da altri 37 aerei che volavano 1.500 m sopra di loro col compito di proteggerli.
Insieme risalirono dal Sud Italia. 
Con loro viaggiavano altre squadriglie di aerei che, seguendo lo stesso percorso, dovevano colpire invece altri obiettivi (Avisio e Verona).
I bombardieri si ritrovarono alle ore 8,10 sopra Foggia, alle 8,27 sopra l’isola di Caparra nelle Tremiti; alle 8,46 sul Mar Adriatico, all’altezza di San Benedetto del Tronto (AP). Sorvolando Chioggia entrarono nella pianura Padana, poi Stanghella (Padova) e salirono fino a Riva del Garda (Trento), per poi scendere verso Sarnico, definito il punto iniziale dell’attacco.
Il servizio d’informazione americano segnalava che la contraerea di Bergamo disponeva di 24 cannoni pesanti. Arrivarono senza preavviso, il 463° stormo alle 11,02 a 23.500 piedi d’altezza ed il 99° alle 11,04 volando a 24.810 piedi d’altezza, scaricando le loro tonnellate di bombe “con spoletta d’ogiva a 0,1 secondo e spoletta di fondello mista a 0,01 e 0,025 secondi”.
La sirena d’allarme rimase muta. I feriti furono oltre 800, mentre le vittime dipendenti “Dalmine” furono 242, mentre 13 appartenevano ad altre aziende. Anche tra la popolazione civile si contarono 21 morti. L’azienda calcolò che la percentuale dei colpiti era di oltre il 25%, essendo presenti al momento circa 4.000 persone.
 
I danni, i soccorsi, la ripresa
I danni all’apparato industriale furono gravi, quantificati poco dopo dall’azienda in oltre 600 milioni. Sconvolte le acciaierie, gli aggiustaggi e le finiture: danneggiati i laminatoi, gli edifici dei servizi diversi e degli uffici; distrutti o inservibili gli impianti e le condutture sotterranee. Verso Mariano era stata distrutta una casa e una intera famiglia di 8 persone.
Nel rapporto finale sull’”Operazione 614” veniva segnalato un rientro anticipato tra i 27 aerei incaricati.
I 26 aerei avevano comunque sganciato 77 e ¾ di tonnellate di bombe da 500 libbre e 50 pacchi di nichel, da un’altezza di 23.000 piedi, dichiarando “l’obiettivo ben colpito”, soprattutto sul lato sud.
Segnalavano inoltre di non aver incontrato nessun aereo e la contraerea aveva agito in modo “scarso e in accurato” causando solo un lieve danno.
Nei giorni successivi il comune fece esporre dei manifesti per invitare la gente alla precauzione nei confronti di ordigni rimasti inesplosi.
I soccorsi furono immediati, in una prova esaltante di abnegazione nel salvataggio dei feriti e il recupero delle vittime, in continue condizioni di grave rischio. Non è possibile ricordare ora tutti gli interventi, ma:
•    Essenziale la prestazione tecnica dei Vigili del fuoco di Bergamo e di Treviglio e pronta la presenza della Croce Rossa di Bergamo, Milano, Como, Erba e Busto;
•    Continua la presenza del clero locale e dei cappuccini, tutti in maschera e guanti sino al completo recupero delle salme e la scorta alle loro case;
•    Preziosa l’offerta immediata di sangue di una trentina di donatori, quasi tutti delle Valli Seriana e Brembana.
La stessa azienda stanziava una somma a favore di ciascuna famiglia delle vittime e prevedeva pacchi di viveri e somme in denaro anche per i feriti bisognosi e premi speciali per i volenterosi.
Non si manifesta fra la popolazione alcun risentimento verso i nemici incursori, ma piuttosto verso la Direzione e verso le autorità germaniche”.
In un documento non firmato dell’Archivio “Dalmine” si dice che il Ministro Leyers in data 12 luglio aveva inviato una lettera di condoglianze giudicata “piuttosto fiacca e anodina”.
Per giorni la gran parte dei dipendenti rimase ancora assente, evidentemente depressa moralmente e impaurita. Infatti il cielo nella settimana seguente il disastro era dominato dall’aviazione nemica e gli allarmi erano frequentissimi (fino a 10 il giorno 12 luglio).
L’Ing. Zimmermann, arrivato a Dalmine il giorno 12 luglio, esigeva una immediata ripresa delle attività da parte di tutti, dirigenti, impiegati e operai. Venne diffuso un avviso in cui si imponeva a tutti i dipendenti di riprendere il lavoro entro il giorno 24: i renitenti saranno considerati dimissionari.
 
Perché non fu dato l’allarme?
La polemica scoppiò subito e fu alla base del risentimento della gente verso la Direzione e le autorità tedescheaccusate solidalmente di non aver dato segnali per non interrompere il ritmo della produzione”.
L’Avv. Carli, segretario dell‘Unione Provinciale dei Lavoratori dell’Industria, “raccogliendo delle voci cervellotiche”, indirizzava una lettera al capo della Provincia Vecchini, nella quale era detto che “la Direzione non aveva voluto dare il segnale di allarme per non interrompere il lavoro”.
Il capo della Provincia in un telegramma al Ministro dell’Interno della Repubblica di Salò, così scriveva invece:
 
“Ore 11,05 sorvolo periferia Bergamo 
26 bombardieri diretti Dalmine 
che è stata bombardata ore 11,06. 
Comitato allarme segnala allarme ore 11,12.
Allarme non viene diramato
essendo aerei sicuramente già passati”.
 
Un anno dopo, il 10 agosto 1945 furono rese note le conclusioni della relazione della commissione nominata dal prefetto di Bergamo:
 
“Il segnale d’allarme non era stato dato perché
l
’ufficio germanico di Milano, 
il quale solo aveva la facoltà di ordinarlo, 
lo aveva dato con deplorevole ritardo
Detto comando germanico, infatti, 
era solito segnalare l’allarme solo in caso di 
imminente pericolo di grandi formazioni, 
allo scopo di non far interrompere il lavoro 
negli stabilimenti di guerra, 
come appunto nel caso di Dalmine”.
 
Altri bombardamenti
A ricostruzione iniziata, il 29 gennaio 1945, lo stabilimento fu di nuovo colpito. Nuovi attacchi il 12 e il 14 aprile. Pesanti i danni: colpiti sistematicamente i forni Martin, tutti i laminatoi e le lavorazioni di pezzi speciali. Fortunatamente non si registrò nessuna altra vittima.
 
 
 
 
 
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