www.forma-mentis.net

Emanuele
SEVERINO

 

 

Emanuele Severino nasce a Brescia nel 1929, si laurea a Pavia con una tesi su "Heidegger e la metafisica". Diviene libero docente in filosofia teoretica nel 1951, il suo primo maestro fu Bontadini.

Nel 1962 è ordinario di filosofia morale all'Università Cattolica. Nel 1964 pubblica il saggio "Ritornare a Parmenide" che segna l'inizio della sua personale visione filosofica e provoca il suo allontanamento dalla Cattolica (lo scontro con la Chiesa sarà una costante della sua storia accademica).

Dal 1970 al 1989 insegna all'Università di Venezia, prima come ordinario di filosofia teoretica, poi come direttore del dipartimento di filosofia e teoria delle scienze. E' accademico dei Lincei e medaglia d'oro della Repubblica per i benemeriti culturali. Attualmente insegna all'Istitituto San Raffaele di Milano (chiamato da Massimo Cacciari, il quale lo definisce l'unico filosofo contemporaneo in grado di confrontarsi con il pensiero di Heidegger). Scrive per il Corriere della Sera.

Al di là della sua peculiare visione filosofica (che costituisce il contenuto di questa scheda), sono da ricordare gli importanti studi di Severino su Eschilo, Leopardi, Nietzsche e Gentile, che egli considera gli autori che meglio riescono ad esprimere l'essenza di quel grande errore (o grande "follia", per usare un termine severiniano) che consiste nel nichilismo occidentale, ossia il credere che le cose siano un nulla (si vedrà in seguito che cosa significa questa affermazione).

Opere principali: Note sul problematicismo italiano (1950); La struttura originaria (1957); Studi di filosofia della prassi (1962); Essenza del nichilismo (1972); Gli abitatori del tempo (1978); Legge e caso (1979); Techne. Le radici della violenza (1979); Destino della necessità (1980); A Cesare e a Dio (1983); La strada (1983); La filosofia antica (1985); La filosofia moderna (1985); Il parricidio mancato (1985); La filosofia contemporanea (1988); Il giogo (1989); La filosofia futura (1989); Alle origini della ragione: Eschilo (1989); Antologia filosofica (1989); Il nulla e la poesia. Alla fine dell'età della tecnica. Leopardi (1990); La guerra (1992); Oltre il linguaggio (1992); Tautotes (1995); L'anello del ritorno (1999); La legna e la cenere. Discussioni sul significato dell'esistenza (2000); La gloria (2001).


*

Sommario

1. L'alterazione del senso dell'essere: ritorno a Parmenide

2. L'opposizione essere-nulla

3. La negazione del divenire in Parmenide

4. Tutta la metafisica occidentale è fisica

5. L'essere è la totalità delle differenze: l'autentico senso del divenire

6. L'essere non muore, ma scompare alla vista (alla percezione sensibile)

7. Il tempo è il progressivo apparire degli eterni

8. La fede e la violenza

9. Il mondo come regione della non-verità, l'importanza del fondamento


*


1. L'alterazione del senso dell'essere: ritorno a Parmenide

Nello scritto "Ritornare a Permenide", raccolto in "Essenza del nichilismo", si riflette su una frase di Parmenide che è depositaria, agli occhi di Severino, di una verità originaria dalla quale l'uomo si è via via allontanato: "l'essere è, il nulla (non-essere) non è".

Da questo assunto deriva una particolare conseguenza: essere e nulla sono opposti in senso assoluto (l'essere assoluto è opposto al nulla assoluto), e il fatto che l'essere sia sempre, implica che il nulla non sia sempre. Se l'essere è, sempre, allora è impossibile che possa esistere il nulla, in quanto l'essere vi si oppone stabilmente e in eterno: da ciò deriva che tutto ciò che esiste è eterno, non può distruggersi e non può degradarsi, come non può scaturire dal nulla (e questo degradarsi e questo scaturire dal nulla è il senso radicale del divenire inautentico che da sempre governa l'evidenza delle cose del mondo).

La filosofia occidentale da sempre ha davanti un problema: la necessità di salvaguardare l'essere davanti all'evidenza del mutamento (il divenire), il quale, come visto, implica che l'essere, ad un certo punto del suo cammino, non sia più (se le cose mutano, infatti, esiste un momento in cui, per diventare un "altro essere", devono per forza di cose smettere di essere "un determinato essere, una determinata cosa").

E' a questo problema che Platone (si veda il punto 9 della sua scheda) risponde con l'argomento che lo porterà al "parricidio" del maestro Parmenide: per salvaguardare la possibilità del mutamento Platone afferma che ciò che muta non è l'essere assoluto, ma qualcosa che è diverso da esso. Infatti le cose del mondo, secondo Platone, sono corruttibili, mentre la proprietà dell'immutabilità attribuita all'essere assoluto spetta solo alle cose dell'Iperuranio.

Anche Aristotele procede a una confutazione del pensiero di Parmenide. Aristotele afferma che non vi è necessità che l'essere sia eterno, le cose infatti "sono fintanto che sono, mentre non sono quando non sono più". Dunque la legge di Parmenide si applica all'essere fintanto che l'essere è, quando muore o si distrugge, la legge che vuole l'essere opposto al nulla non ha più motivo di esistere, in quanto l'essere è diventato nulla.

"<L'essere che non è> quando non è, non è altro che l'essere fatto identico al nulla, <l'essere che è nulla>, il positivo che è negativo. <L'essere non è> significa precisamente che <l'essere è il nulla>, che <il positivo è il negativo>. Pensare <quando l'essere non è>, pensare cioè il tempo del suo non essere signfica pensare il tempo in cui l'essere è il nulla, il tempo in cui si celebra la tresca notturno dell'essere e del nulla. Ciò che l'opposizione dell'essere e del nulla rifiuta è appunto che ci sia un tempo in cui l'essere non sia, un tempo in cui il positivo sia il negativo" (Ritornare a Parmenide, Essenza del Nichilismo).

Severino nota allora come negli argomenti di Platone e di Aristotele vi sia un errore evidente: se infatti si afferma che l'essere è, le possibilità che esso possa diventare nulla, sia per un breve periodo (nel momento in cui muta da una cosa all'altra, secondo l'argomento platonico), sia arbitrariamente, è impossibile (l'argomento aristotelico afferma che l'essere è fintanto che è, tale affermazione implica quindi un passaggio arbitrario dall'essere al nulla).

Dunque, la storia della filosofia occidentale dopo Parmenide si fonda su questo equivoco: l'essere è visto come qualcosa che può cadere nel nulla, un concetto probabilmente mutuato dalla necessità di salvaguardare l'evidenza della distruzione delle cose che appare nel mondo sensibile. Questa "facilità" con la quale l'essere è aperto alla possibilità della sua nullificazione costituisce l'essenza del nichilismo occidentale.


2. L'opposizione essere-nulla

Emanuele Severino propone il ritorno alla semplicità originaria di una affermazione, quella di Parmenide, che da millenni “è saputa e pronunciata” ma che non è più stata capita, quasi dimenticata. Dunque non si tratta di attuare una ridefinizione completa di tutto il sapere filosofico (auspicata invece da Heidegger), ma di riportare semplicemente alla luce, ridestare, l’antico significato dell’affermazione parmenidea, per cui se l’essere è il non essere non è (i due termini, opposti, si escludono a vicenda secondo il principio di non contraddizione).

Ma essere e nulla sono davvero contrapposti, ovvero escludenti a vicenda? L'essere è tutto ciò che è, al di fuori del quale non può esistere nient'altro perché tutto è racchiuso in lui (se non fosse così avrebbe al suo interno il non-essere, ovvero il nulla), l'essere si configura come positivo; il nulla è non-essere, ovvero l'assenza dell'essere, il negativo, ciò che non è. I due termini sono perfettamente contrari, si che considerare l'uno esclude necessariamente l'altro. Tale opposizione afferma anche il senso autentico e definitivo dell'essere, ovvero quello di essere "ciò che si oppone stabilmente al nulla".

In questo passo viene esposta la visione autentica dell'essere trattata da Severino, alla quale si riferisce la "tresca notturna" di cui si parla nella citazione precedente: "[...] Perché la lotta tra l'essere e il nulla non è come quella che si combatteva tra gli antichi eserciti, che di giorno guerreggiavano, mentre a notte i capi nemici bevevano insieme sotto le tende – nemici dunque quando e se fossero stati in campo. Questo poteva avvenire perché, oltre che nemici, erano anche uomini. L'essere, invece, è un tale nemico del nulla che nemmeno di notte disarma: se lo facesse, non si strapperebbe di dosso la propria armatura, ma le proprie carni." (Ritornare a Parmenide, Essenza del Nichilismo).


3. La negazione del divenire in Parmenide

"Il senso dell'essere emerge nella contrapposizione dell'essere al niente. Anche Parmenide, come Eraclito, riflette esplicitamente sull'opposizione, ma egli si rivolge all'opposizione suprema, quella dove i due opposti non hanno alcunché in comune, e cioè quella dove uno dei due opposti - il niente - non è "qualcosa" che possa venire conosciuto e intorno a cui si possa parlare, ma è l'assolutamente niente, l'assoluto non-essere che non trova luogo all'interno dei confini del tutto." (Severino, La filosofia antica)

Anche Parmenide, però, una volta affermata la verità suprema dell'essere, compie un atto che contraddice la sua affermazione: per salvaguardare l'immutabilità dell'essere, egli afferma che il mutamento al quale si assiste nel mondo sensibile non costituisce verità, e che gli enti sensibili non sono l'essere, ma soltanto 'nomi', sue determinazioni. Con questo Parmenide afferma che ogni ente sensibile è non-essere, ovvero, niente.

"Ma per Parmenide l'essere non è le differenze che si presentano nell'apparire del mondo; le molteplici determinazioni manifeste sono tutte soltanto <nomi>. Parmenide è insieme il primo responsabile del tramonto dell'essere. Poiché le differenze non sono l'essere - poiché 'rosso', 'casa', ' mare', non significano 'essere', non significano cioè 'l'energia che spinge via il nulla' -, le differenze sono non-essere, sono esse stesse il nulla, che la 'doxa' chiama con molti nomi." (Severino, Ritornare a Parmenide).


4. Tutta la metafisica occidentale è fisica

Per Severino, tutta la filosofia occidentale, è in realtà una fisica. Come si arriva a questa affermazione? La metafisica dopo Parmenide è una fisica in quanto l'idea di essere dell'ontologia accoglie entro di sé quelle caratteristiche che sono peculiarità degli enti empirici: l'essere, alla pari degli enti empirici, si oppone al nulla fintanto che è, quindi si ammette che possa annientarsi come un qualsiasi ente sensibile. In realtà, sempre secondo Severino, "ciò che si manifesta è l'essere, e non la sua immagine soggettiva e 'fenomenica', che rinvii alle cose così come sono in se stesse". La sfida è dunque spiegare l'evidenza del divenire sensibile con la verità per cui l'essere è eterno.

Mentre, dunque, la metafisica tenta un accordo tra l'evidenza del divenire e la necessaria immutabilità dell'essere ponendo l'eternità aldilà delle regole del mondo sensibile (Platone), e nel tentativo di accordare queste due evidenze permette in ogni caso all'essere di non-essere, il compito della filosofia più autentica di cui si fa portatore Severino è quello di mostrare come non esistano due mondi separati, l'uno sensibile e l'altro oltre-sensibile (fisico e metafisico), ma che l'evidenza dell'essere che si mostra nel mondo diveniente si riferisce a quello stesso essere che non muta in relazione alla necessità del suo eterno persistere.


5. L'essere è la totalità delle differenze: l'autentico senso del divenire

Che cos'è, infine l'essere? La verità per cui è necessario che l'essere sia sempre in quanto non può cadere nel nulla (che non è e non può esistere), implica che non solo l'essere in sé sia eterno, ma tutti i singoli enti determinati che costituiscono una sua parte (io, voi, la tastiera del computer, il monitor, il mouse, la stanza, le finestre, tutto ciò che sta oltre di esse ed entro di esse) siano eterni, in quanto non è possibile che una singola cosa determinata possa cadere nel nulla: ogni ente è, ed essendo si oppone al nulla.

Dunque l'essere è la totalità degli enti che si oppongono al nulla in modo stabile ed eterno (eterno nel senso che sono costrette ad esistere per sempre). L'essere è quella totalità del positivo che esclude in modo permanente "tutto" il negativo e lo costringe fuori da sé. Per questo motivo la totalità dell'essere è la totalità dell'esistente, nulla può esistere fuori da esso.

Questo comporta che non esista alcuna differenza qualitativa tra i singoli enti, per cui non vi è bisogno di affermare un essere assoluto e immutabile (Dio), poiché tutti i singoli enti sono assoluti e immutabili. E' questa uguaglianza degli enti che porterà Severino a scontrarsi con la Chiesa, la quale, per sua stessa natura, concede esclusivamente la proprietà dell'eternità a Dio.

Il divenire degli enti, il mutare degli enti da una cosa all'altra, non implica più la distruzione dell'ente, poiché ogni ente è salvo da sempre e per sempre dalla sua nullificazione. L'essere rimane identico a sé stesso, l'essere che si manifesta nel processo diveniente è diverso dall'essere immutabile: questa è l'autentica differenza ontologica. Tuttavia questo non comporta che, per il fatto che l'essere che si mostra diveniente non sia l'essere immutabile, l'essere diveniente sia aperto alla possibilità del nulla, l'essere che si manifesta è lo stesso essere che non muta, entrambi esistono, ma in due dimensioni diverse (come il singolo fotogramma immobile di un film è lo stesso che che vediamo in movimento sullo schermo). Dunque le differenze esistono ma rimangono sempre entro il percorso necessario della loro esistenza.

"Questa differenza, che è l'autentica 'differenza ontologica', è richiesta dal fatto (ché appunto di un fatto si tratta) che 'il medesimo' sottostà a due determinazioni opposte (immutabile, diveniente), e quindi non è medesimo, ma diverso (ossia questo colore eterno non è questo colore che nasce e perisce). Agisce cioè daccapo, la legge dell'opposizione del positivo e del negativo, per la quale il negativo non è soltanto il puro nulla (Parmenide), ma è anche l'altro positivo (Platone)." (Severino, Ritornare a Parmenide).

Analogamente al discorso platonico, l'essere che diviene non è altro dall'essere in quanto nulla, è altro dall'essere in quanto diveniente, tuttavia, diversamente da Platone, Severino riporta le differenze entro l'essere, divenire e immutabile restano entro l'impossibilità di diventare nulla (mentre Platone aveva permesso che l'ente potesse distruggersi nel mondo sensibile, e quindi di cedere al nulla). Vi è quindi l'essere immutabile che lascia aperta la porta alle manifestazioni, le quali non contengono ogni parte dell'essere ma ne mostrano parti sempre diverse.


6. L'essere non muore, ma scompare alla vista (alla percezione sensibile)

Il disfacimento del corpo non ne è l'annientamento, ma è il modo in cui il corpo si porta stabilmente al di fuori dell'apparire dell'essere. La storia è il processo del comparire e dello sparire dell'eterno. La dialettica non è l'essenza dell'essere in quanto è, ma dell'essere in quanto appare. L'essere sopporta inalterato ogni aggressione della tecnica. Non ne resta in alcun modo intaccato, ma lascia apparire gli spettacoli dell'alienazione del senso dell'essere. Il nostro tempo è ormai tutto diventato un siffatto spettacolo. E' ormai persuaso di poter giungere a un illimitato controllo della creazione e dell'annientamento dell'essere. Ogni opera del nostro tempo è compiuta sul fondamento di questa persuasione e perciò essa è un condurre nell'apparire gli spettacoli dell'alienazione." (Severino, La terra e l'essenza dell'uomo, Essenza del Nichilismo).

Ma come rispondere alla realtà diveniente delle cose, in qui tutto sembra nascere e ritornare nel nulla? Ciò che vediamo non è un annientamento dell'essere, ma soltanto il suo sparire dall'orizzonte dei fenomeni, il modo in cui l'essere si porta al di fuori del suo apparire.

La tecnica occidentale quindi si ritiene in grado di creare dal nulla le cose e distruggerle (riportare nel nulla), mentre non è in grado di intaccare minimamente l'esistenza eterna dell'essere, tutt'al più sarà in grado di intaccarne la possibilità della sua apparizione e sparizione sul palcoscenico del mondo sensibile.

L'atteggiamento alienato dell'uomo fin dai tempi di Platone e dopo Parmenide è quindi credere che le cose possano distruggersi, in realtà nulla può distruggersi in quanto il nulla non esiste. Sarebbe come se un uomo che chiudesse gli occhi affermasse di conseguenza che il mondo non esiste più. Il fatto di non percepire più l'ente, non significa che questi si sia dissolto.

 


7. Il tempo è il progressivo apparire degli eterni

L'assunto per cui non esiste il nulla e tutto è destinato ad essere sempre, in eterno, porta a scontrarsi con la normale esperienza quotidiana del tempo. In questa esperienza quotidiana il tempo sembra essere parte integrante del processo diveniente che porta ogni cosa a mutare, ad essere finita e non infinita.

In realtà la percezione ci porta a pensare che ogni cosa sia finita e determinata, non eterna, ma la percezione, similmente a ciò che scrive Parmenide, non dice la verità alla quale si arriva per vie razionali: la ragione, e non l'occhio, vede il vero.

La storia, il tempo, è il progressivo apparire degli eterni. Cosa significa? L'impossibilità della totalità dell'esistente di non essere, implica che tutto è eterno, non solo il passato e il presente, ma anche il futuro. Il futuro è ciò che non è ancora, ma non è in quanto nulla, non è in quanto non appare, pur essendo già. Tutto ciò che è, è stato e sarà di ogni ente è già presente nell'essere, in quanto il futuro inteso come ciò che non è, non è possibile. Non c'è cosa che possa provenire dal nulla, il futuro sarebbe il provenire di ciò che ancora non è dal nulla.

Il tempo si configura così come il progressivo apparire degli stati immutabili dell'essere, ogni istante è quindi l'apparire dell'eterno nel mondo della percezione, similmente ai fotogrammi di un film, che esistono già, nella pellicola, ma che, fatti apparire uno dopo l'altro in sequenza, creano la percezione del movimento (parimenti alla concezione zenoniana del moto). La pellicola, in questa analogia, rappresenta quindi l'essere, il film già girato ed eterno, mentre i singoli fotogrammi sono gli istanti che fluiscono nel tempo, illuminati dalla luce dell'essere.

Dunque ogni determinazione dell'essere appare nella percezione comune come finita, poiché appare e scompare dall'orizzonte dei fenomeni, in realtà esiste un attimo eterno per ogni singolo attimo che costituisce la catena degli attimi, che, messi in fila uno dopo l'altro, dà origine al tempo e al movimento. Esiste quindi un attimo eterno in cui siamo davanti al monitor a leggere questa scheda, esiste un attimo eterno in cui il pensiero di aver compreso la scheda esiste in eterno, esiste un altro attimo eterno in cui ci domandiamo se tale visione sia realmente valida (il senso comune è infatti molto forte in noi, abituati a concepire il tempo in un certo modo).


8. La fede e la violenza

"Nella nostra civiltà tutto è diventato fede. Anzi, è ridiventato fede. Gli uomini vivono nella fede da quando stanno sulla terra. "Fede" significa "fiducia". Ci si fida di qualcuno, quando non si vede e non si sa ciò che egli sa e vede. Ad esempio, quando ci fidiamo di una guida alpina non conosciamo il sentiero lungo il quale saremo da essa condotti; e quando si ha fiducia in un messaggio o in una parola non si vede ciò di cui il messaggio e parola parlano. L'aver fede è un non vedere e un non sapere. E l'apostolo Paolo dice appunto che si ha fede nelle "cose che non appaiono" (non apparentium).
Il fedele può quindi ingannarsi. Anzi, è solo il fedele che può ingannarsi. (Ma, stiamo dicendo, oggi non esistono altro che fedeli.)
" (E. Severino, Téchne).

Ciò in cui si ripone fiducia (ovvero il significato stesso del termine "fede"), è fonte di inganno. Quando ci si affida non si vede infatti ciò che è l'oggetto ultimo della nostra fiducia. Il verbo greco péithein (radice del latino fidem) significa infatti "persuadere" (infondere fiducia) e "ingannare".

La filosofia, così come è stata fondata dai greci, è il tentativo più importante di uscire dall'oscurità della fede e di entrare entro il percorso illuminato della conoscenza. Ciò che la filosofia vuole fare è il riportare alla luce la realtà per come si mostra, rendere evidente ciò che si manifesta. Il filosofo non vuole dare fiducia a ciò che gli rimane nascosto (come invece accade per i fedeli), il filosofo conosce ciò che si manifesta. Il termine greco sophos, che designa il "sapiente", presenta forti analogie con la parola saphés ("chiaro", "manifesto", "illuminato"). La parola greca che designa la verità (aletheia), significa letteralmente "ciò che viene privato del nascondimento" , "ciò che si manifesta" (a- come privativo e lèthe, "nascondimento").

La civiltà moderna borghese, secondo Severino, ha cancellato il significato originario della filosofia in nome di una praticità e di un pragmatismo che intende utile solo ciò che si può utilizzare per accumulare ricchezza. E utile soltanto ciò che può servire concretamente alle necessità più prossime, la filosofia moderna nasce dall'artigianato medievale, non ci si preoccupa della verità, ma solamente di ciò che può essere utile per se e per i propri interessi.

"Come il Cristianesimo promette il Regno dei Cieli a chi ha fiducia in Cristo, così la scienza promette il Regno della Terra a chi ha fiducia nelle leggi scientifiche [...] Nella nostra civiltà tutto è ridiventato fede: la scienza, la morale, la politica, l'arte, la religione e anche l'incredulità religiosa. In nome del contenuto della sua fede, la nostra civiltà condanna la violenza. Ma la fede, in quanto tale, non è forse la forma originaria della violenza?." (Téchne).

Se consideriamo la violenza generata dall'arbitrio che viene imposto senza alcuna ragione, la fede è quindi la forma originaria di violenza, poiché impone all'uomo di credere in qualcosa che non si rende manifesto, e del quale non possiamo giudicare in alcun modo, ma solo "fidarci".

La violenza in Severino non è "la volontà che vuole il possibile, ma deve essere la volontà che vuole l'impossibile. La violenza vuole oltrepassare il limite che è impossibile oltrepassare [...] La violenza non conosce la necessità come necessità [...] Sta di fronte alla necessità, ma la vede come contingenza" (E. Severino, Oltre il linguaggio).

Definita la violenza, si dica che l'impossibile per Severino è che l'ente divenga altro da sè, che l'ente sia altro da sè, che l'ente sia differente da sè. Quindi ogni forma di volere è volere che qualcosa sia altro da sè (sia l'uomo che fa la guerra e vuole uccidere, sia quello che vuole la pace, tutti vogliono che qualcosa sia come non è), quindi è violenza. La fede è anch'essa un volere le cose come non sono, quindi è violenza. Perchè le cose non possono essere come non sono? Perchè non possono diventare altro? questo lo spiega Severino, che conclude l'eternità e la necessità di tutti gli enti, che sono e non possono essere ciò che non sono.


9. Il mondo come regione della non-verità, l'importanza del fondamento

Come è possibile agire eticamente in un mondo che ci presenta sia le fede nella pace che la guerra come violenza e quindi come errore?

"In questo senso, l'uomo occidentale nasce quando si pone la terra - ossia la totalità di ciò che sopraggiunge nel cerchio dell'apparire - come la regione sicura, l'insieme di ciò che è disponibile all'azione della volontà: "Quindi stabilisco un'equazione tra persuasione che la terra sia la regione sicura - insomma la dimensione "seria" con cui avremmo a che fare (senza, poniamo, le chiacchiere di Severino, tanto per intenderci) - e la volontà di potenza [...] L'uomo è il risultato dell'atto con cui la volontà di potenza è cosciente di sé, l'atto che dice: io sono qui, con una certa potenza sulle cose, io sono "uomo" "(Il paragrafo è tratto dall recensione di Daniele Didero al libro di Severino "La legna e la cenere", il materiale si trova on line sul SWIF, si vedano i links).

L'uomo vive da sempre entro il percorso della non-verità. Se la verità è l'eternità dell'ente che elimina l'errore fondamentale del nichilismo, tutto il mondo in cui l'uomo si trova agire, supportato da un linguaggio che rispecchia la non-verità delle cose che provengono e ritornano nel nulla, è esso stesso non-verità.

Possiamo agire entro questo mondo di errore? Certamente si, è doveroso agire per la pace se questo può servire ai popoli, agli individui e al benessere dei nostri figli, ma si deve pur sempre tener conto che ogni aspetto del mondo contingente che è dimora degli uomini vive entro l'errore.

Come è possibile allora agire in modo veramente giusto ed eliminare l'errore? L'uomo, se davvero vuole vivere il percorso della verità, alla quale si giunge solo per mezzo della ragione (si ricordi Parmenide, "la ragione, e non l'occhio, vede il vero"), deve tornare al fondamento razionale costituito dall'evidenza dell'essere eterno. Se questo percorso non è certamente facile, tuttavia risulta l'unica alternativa a quel nichilismo entro il quale continua a sussistere l'errore.

Sull'importanza del fondamento si legga questo passo tratto sempre da "La legna e la cenere":
"Se qualcosa è affermato in base a un fondamento, se non si discute il fondamento non si possono mettere in questione le conseguenze "paradossali" che scaturiscono da ciò che si è affermato. Non è vero che l'albero si giudica dai suoi frutti: lo si giudica dalle sue radici. Se uno dice che i frutti sono cattivi, ma le radici sono buone, allora vuol dire che chi assaggia ha il gusto malato. Non si può dire, in relazione al pensare, che, quando conduce a conclusioni paradossali, esso è errato; bensì che, se conduce a qualcosa che è ritenuto paradossale, ciò significa che i criteri in base ai quali si qualifica qualcosa come paradossale sono inadeguati". (La legna e la cenere).

Le obiezioni al pensiero di Severino che si usano fondare sul senso comune, sulla fede o sulla scienza sperimentale, trovano poi risposta in questo passo in cui Severino stesso ci illustra per analogia quello che avrebbero risposto a Galileo i suoi avversari senza considerare alcun problema fondativo:
"O che tu dici! Non vedi al mattino che il sole spunta a oriente, e poi sale su nel cielo, e a sera va giù dall'altra parte? O che incompetentissimo tu sei! Suvvia, alzati di buon ora, e mettiti a guardare verso il chiaro che vedrai, e, zuccone, vedrai montar su il sole e muoversi sotto i tuoi occhi e attraversare il cielo in tutta la sua lunghezza! Ignorante! Tu non sai nemmeno che il sole va su e va giù! Ma chi mai ti ha fatto professore?" (La legna e la cenere).

 

 

Scheda di Synt - ultimo aggiornamento 12-02-2005
(gli ultimi due paragrafi del capitolo 8 sono di Faskyo)

<< Indietro
www.forma-mentis.net
Avanti >>