www.forma-mentis.net

Parmenide, un uomo sicuro di sé

PARMENIDE
(515-450 circa a.C.)

 


Parmenide nacque da famiglia aristocratica ad Elea, oggi Velia, nei pressi di Capo Palinuro. Qui fondò la sua scuola, detta eleatica, e scrisse le leggi della città. Secondo la tradizione visse negli ultimi anni ad Atene assieme al suo discepolo prediletto, Zenone. Ad Atene entrambi conobbero Socrate, si dice che le lezioni del maestro fossero seguite con attenzione da Pericle (notizia riferita da Plutarco).

La negazione del divenire: la ragione, non l'occhio, vede il vero

"Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero / né l'abitudine, nata da numerose esperienze, su questa via ti forzi / a muover l'occhio che non vede, l'orecchio che rimbomba e la lingua, ma con la ragione giudica la prova molto discussa / che da me ti è stata fornita. / Resta solo da pronunciarsi sulla via / che dice ciò che è." (Parmenide, Sulla Natura).

Parmenide fu il primo a sostenere la superiorità della interpretazione razionale della realtà a scapito dell'interpretazione soggettiva dei sensi, i quali falsano il mondo oggettivo. In particolare, entrò in polemica con il pensiero di Eraclito e il divenire. Parmenide ci impone di giudicare secondo ragione: la ragione, e non l'occhio (ovvero i sensi) vedono il vero.

Sostenendo il continuo mutare delle cose da un stato all'altro, ovvero da uno stato di essere a uno stato di non-essere più, Eraclito entrava in una contraddizione logica, in quanto se l'essere è, il non-essere non è. La realtā eraclitea era falsa in quanto si lasciava ingannare dai sensi, l'unica entitā esistente č l'essere, aldilā di ogni percezione soggettiva.

Mentre l'opposizione di Eraclito fa riferimento agli enti sensibili, Parmenide giunge da subito a contrapporre l'essere assoluto al non-essere assoluto: è chiaro che il nulla assoluto non esiste affatto, essendo, per l'appunto, nulla. Ecco che dalla contrapposizione suprema scaturisce la verità incontrovertibile dell'esistenza del Tutto: tutto esiste ed impossibilitato a non esistere, in quanto, nell'eventualità suprema di un supremo annullamento, questo nulla è una possibilità inesistente per sua stessa definizione.

In sostanza, il divenire eracliteo comportava il passaggio dell'essere da uno stato di essere a uno stato di non essere più: ciò è impossibile, ontologicamente, in quanto il non essere, non esiste. Nulla può mutare da uno stato all'altro se alle loro spalle non ci fosse qualcosa di indubbiamente esistente.

Le qualità dell'essere

1. L'essere è, in non-essere non è, ovvero l'essere non può non essere, in quanto il non essere non è e non sarà mai.

2. L'essere è eterno, in quanto non nasce, non è generato (infatti vorrebbe dire che prima non-era) e non muore (vorrebbe dire che non-sarebbe più). Non ci sono posizioni intermedie tra essere e non-essere, in quanto l'esistenza di ciò che non-è non è possibile per sua stessa natura.

3. L'essere è indivisibile e perfetto. Nessun elemento lo può integrare in quanto è già integro, visto che comprende tutto ciò che è.

4. L'essere è sempre identico a se stesso in quanto è tutto e non può divenire ne mutare in qualcos'altro che noi sia l'essere stesso (non esiste il molteplice, ovvero la diversità).

5. Tutte le parole che indicano una condizione di non-essere sono false. Il silenzio (il non-essere suono), il buio (il non-essere luce) sono parole inammissibili secondo logica: non possiamo vedere il buio e non possiamo sentire il silenzio.

L'essere può venire rappresentato da uno Sfero: la figura geometrica perfetta in quanto il centro è sempre alla stessa distanza rispetto alla circonferenza e in cui i lati che la compongono sono infiniti.

La negazione del molteplice: il mondo sensibile è 'doxa'

Il molteplice, al quale il divenire si riferisce, è l'insieme delle cose tra loro differenti. Ma se l'essere è sempre identico a se stesso (vedi punto 4 delle qualità dell'essere), come può esistere, nella sua forma di essere assoluto, qualcosa che è diverso?

Parmenide afferma che il molteplice non esiste. In realtà il molteplice, la diversità che si riscontra nella natura, non è la verità dell'essere stesso. Il mondo sensibile, nel quale l'uomo si muove e percepisce il divenire come reale, in realtà non può essere l'essere stesso, che non muta mai. Il mondo sensibile è allora doxa (opinione), mentre la verità (aletheia) è soltanto l'essere, del quale la realtà è una determinazione, ovvero un modo in cui l'essere si manifesta.

Il molteplice, ovvero la diversità e la diversificazione delle cose del mondo, è solo un'apparenza, l'essere, immutabile ed eterno, è in realtà la sola cosa ad esistere. Questo comporta che concetti come buio (non-luce) e silenzio (non-suono) siano considerati da Parmenide concetti impossibili da esprimere, assurdità: nessuno può dire di vedere il buio o sentire il silenzio... (vedi punto 5 delle qualità dell'essere).

"Il divenire dell'essere, che sembra incessantemente attestato dalle trasformazioni del cosmo, è quindi un'opinione senza verità, un'apparenza illusoria di cui si convincono i "mortali" allorché invece di prestare ascolto alla Verità, seguono il percorso della non-Verità, ove ci si persuade che l'essere possa non essere". (Severino, la Filosofia antica).

Parmenide riconduce tutto all'affermazione dell'esistenza dell'essere come unica possibilità percorribile, secondo logica. Se il nulla non esiste, allora tutto è impossibilitato a non essere. Di più, avverte gli uomini che la via che percorrono, quella di accettare e ipotizzare che l'essere non sia, ovvero che tutto possa mutare e divenire, è sbagliata: gli uomini non vivono nella verità perché se la nascondono, e in questo accettano di essere mortali (perché credono di diventare nulla con la morte). Gli uomini giudicano tutto secondo i sensi, ma con essi si arriva soltanto all'opinione, non alla verità.

L'essere non è il singolo oggetto reale. Se ciò fosse vero, allora il singolo oggetto sarebbe il Tutto stesso, perché l'essere è uno solo. Il singolo oggetto non è l'essere. E siccome l'essere è solo uno (vedi punto 3 delle qualità dell'essere), non esiste molteplice, ovvero la realtà molteplice che gli uomini naturalmente accettano, in realtà non costituisce verità.

Ciò che Parmenide ci vuole dire

Ciò che Parmenide ci vuole dire è che, se davvero vogliamo camminare entro il percorso della verità, dobbiamo affidarci solamente alla ragione e alla logica razionale, tutto ciò che appare è falso. Se vi è contrasto tra mondo sensibile e ragione, la verità è da ricercare nelle conclusioni di quest'ultima.

La filosofia di Parmenide è una sfida radicale al senso comune: essa arriva per vie razionali a contraddire ciò che sembra più evidente e naturale, ovvero che esistano più entità che nascono (si creano dal nulla) e si distruggono (che ritornano nel nulla). Parmenide afferma che nulla può generarsi dal nulla, né tanto meno ridiventare nulla... semplicemente il nulla non esiste.

Platone considerava Parmenide "maestro venerando e terribile", il padre spirituale della filosofia: il suo insegnamento era infatti quello di attenersi alla pura ragione, e questa è da sempre l'essenza ultima di tutta la filosofia occidentale. Ecco perché esprimendo il proprio dissenso verso la tesi del maestro, Platone considererà la propria critica come un parricidio (vedi punto 9 della scheda di Platone).


vedi anche Emanuele Severino.


***


Zenone di Elea, il fido scudiero

ZENONE
di Elea

(540-? a.C. circa)


Zenone, nato anch'egli ad Elea e allievo prediletto di Parmenide, fece della difesa delle tesi del maestro il punto centrale del suo lavoro, fino a spingersi al paradosso. Anche Zenone intende dimostrare l'impossibilità del molteplice, contro l'apparenza comune. Con Zenone, prima ancora che nei sofisti, nasce l'argomentazione logica non solo come metodo di indagine, ma soprattutto, come strumento di polemica.

I paradossi zenoniani prendono il nome di logoi (ragionamenti): essi furono una spinta formidabile alla sviluppo della logica e a teorie alternative che giustificassero il divenire pur mantenendo fermo l'essere immutabile ed eterno. Per superare l'aporia della divisibilità infinita, Democrito formulò la sua teoria degli atomi, ma si cimentarono nella sua confutazione anche Aristotele e Platone.

Tutti i paradossi di Zenone, come già detto, vogliono dimostrare l'impossibilità del molteplice e del divenire: ciò che appare non ha alcuna importanza, perché la verità è comunque quella alla quale si arriva logicamente per mezzo della ragione e delle sue regole.

Alcuni esempi di argomenti (logoi) zenoniani, ogni argomento dimostra razionalmente come la realtà contraddica la ragione:

Il moto non esiste (Achille e la tartaruga). Uno degli aspetti della realtà che giustificano maggiormente l'esistenza del divenire è l'esistenza dell'estensione della materia nello spazio e nel tempo, ovvero il suo occupare diversi spazi in tempi diversi.

Celebre è il paradosso di Achille e della tartaruga. Zenone dimostrò come fosse possibile per Achille raggiungere la tartaruga partita prima di lui.

Per Zenone il moto si spiega come il passaggio da un punto di partenza a un punto di arrivo. Ma per arrivare al punto di arrivo occorre arrivare prima alla metà di questo percorso, e per arrivare alla metà di questo percorso, occorre arrivare alla metà del percorso che va dall'inizio al punto intermedio, e così via: in sostanza, un uomo, per raggiungere una posizione nello spazio, deve sempre prima percorrere i segmenti intermedi, e questi segmenti, essendo lo spazio divisibile all'infinito, sono infiniti... ora, come può Achille raggiungere la tartaruga se è alle prese con la divisione infinita degli spazi che la separano da essa?

La divisione infinita dello spazio comporta che Achille in realtà non si muova mai, ma resti sempre fermo, nell'impossibilità di uscire dall'infinita serie di segmenti divisibili. Inoltre, il movimento è una serie sequenziale di istantanee ferme (di posizioni immobili che si succedono una dopo l'altra), come possono prendere movimento tali posizioni immobili, se sono immobili? Come può scaturire il movimento dal non-movimento? (si veda anche la concezione del tempo di Severino).

Il paradosso del chicco di grano. I paradossi zenoniani insistono spesso sul rapporto finito-infinito, parte-intero. Come può, ad esempio, qualcosa che preso da solo ha un significato, moltiplicato ne ha un altro?

Un chicco di grano, cadendo, non produce alcun rumore. Un sacco di grano invece si. Come può una somma di silenzi dare origine a un rumore?

La divisione del molteplice. Come è possibile allora che le cose molteplici possano costituire un intero? Se le cose sono molteplici (ovvero divise) devono per forza essere separate da altre cose intermedie, ma che cosa stabilisce il numero di questi intermedi, essendo il molteplice, per sua stessa natura, indefinito?


Dunque Zenone insegna con esempi pratici ciò che il maestro aveva teorizzato; le aporie che sorgono dai suoi logoi sono tali perché, per Zenone e per Parmenide, in realtà non vi è alcun rapporto tra verità (raggiunta per mezzo della ragione) e mondo sensibile (opinione, non-verità), mentre per gli uomini che non seguono la strada della verità, si apre la lotta per far coincidere l'apparenza sensibile alle conclusioni contrarie suggerite dalla ragione.

 

 

Scheda di Synt - Ultimo aggiornamento Maggio 2004

<< Indietro
www.forma-mentis.net
Avanti >>