Karl
Il teologo Karl Barth, nato a Basilea, è ritenuto uno dei massimi esponenti della teologia dialettica. Dopo avere insegnato in varie città tedesche, fu privato della possibilità di insegnare nel 1935 in seguito alla sua attività antinazista (si oppose pubblicamente al nazismo dalle file del partito socialdemocratico). Ritornato a Basilea, insegnò nella città natale fino alla morte. Il
pensiero di Barth si pone in antitesi alla teologia liberale di stampo
romantico, la quale affermava una continuità tra Dio e l'uomo,
testimone l'interiorità come luogo privilegiato del rapporto
con il divino. Come si vedrà, Barth affermerà invece,
similmente a Kierkegaard, il carattere paradossale di una fede che si
rivolge a Dio come estraneità suprema rispetto all'umano, Dio
come "totalmente Altro". Opere principali: L'epistola ai Romani (1919-22); Fides quaerens intellectum (1931); Dogmatica ecclesiale (1932 e seguenti, non terminata); Comunità cristiana e comunità civile (1946); Umanesimo (1950); L'umanità di Dio (1956); Introduzione alla teologia evangelica (1962).
* Sommario 2. L'autentico significato della fede *
1. Il "totalmente Altro" Secondo il teologo Karl Barth Dio è il "totalmente Altro", ovvero diversità assoluta rispetto all'uomo e al mondo in cui vive. Recuperando un discorso già trattato da Kierkegaard (il quale affermava che Dio è "l'infinita differenza qualitativa tra il tempo e l'eternità"), Barth avverte come per l'uomo l'infinità e la perfezione divina siano qualcosa di totalmente estraneo alla sua condizione terrena: non è possibile alcuna analogia tra l'essere umano e l'essere divino, la vita dell'uomo racchiude in sé aspetti esclusivamente umani. Come si può notare tale affermazione conduce singolarmente a conclusioni vicine al pensiero di Feuerbach: anche per Barth la vita racchiude in sé solamente l'umano, ogni divino percepito dall'uomo è solamente un proiettare fuori da sé i propri desideri e le proprie aspirazioni, ipostatizzandole (ovvero ritenendole realmente esistenti fuori da sé come realtà autonome). Il divino percepito dagli uomini non è il vero Dio, ma solamente l'aspirazione dell'uomo a raggiungere mete più elevate della sua propria spiritualità. L'elevazione umana verso il divino non è quindi "dono" di Dio, ma iniziativa esclusivamente umana. Questa proiezione da parte dell'uomo delle sue stesse aspirazione è, secondo Barth, il tema centrale di ogni teologia: l'umano tratta solo l'umano. L'uomo non può elevarsi al divino, ogni forma di religione è idolatria (porre come divino qualcosa che è esclusivamente umano). Nemmeno l'avvicinamento a Dio per via negativa, ovvero l'avvicinamento che avviene dopo aver considerato l'impotenza umana rispetto allo scacco della sua esistenza finita può condurre al divino, l'uomo non può conoscere Dio partendo da se stesso. Infine, nemmeno le opere terrene possono condurre l'uomo alla salvezza, nessuna opera umana lo rende meritevole di un destino particolare e determinato in base alle azioni compiute entro la vita mondana: Dio è infatti "l'assolutamente Altro".
Dunque l'uomo non può conoscere Dio partendo da se stesso. Che significato può rivestire la fede alla luce di queste considerazioni? Recuperando tratti già appartenuti al fondamento del protestantesimo, Barth afferma che solo la parola di Dio così come è espressa dalle Sacre Scritture può permettere la Sua conoscenza. La fede è un dono di Dio, prima ancora di essere un atto di fede che parte dall'uomo, è la volontà di Dio di rendere giusto il peccatore (secondo quanto era già stato affermato da Lutero nell'Epistola ai Romani). E' dunque la volontà divina a permettere nell'uomo la fede, ovvero è Dio che, per mezzo della Sua fedeltà all'uomo (ovvero la volontà di donargli la Sua Parola), concede all'uomo di essere conosciuto attraverso il Suo annuncio (del quale si rese portatore il Cristo). L'annuncio di Cristo, la lieta novella, il messaggio di salvezza che testimonia la Parola di Dio, è la vera e unica conoscenza, la verità che si rende evidente per mezzo della stessa Parola divina e che deve essere creduta e della quale "dobbiamo aver fiducia", "dobbiamo obbedire in vita e in morte". L'analogia dell'ente della filosofia tomista, per cui vi è analogia tra l'essere divino e quello umano, è un errore, in quanto presuppone una certa relazione tra le dimensioni umane e divine. Se Dio è il "totalmente Altro", allora non vi può essere alcuna relazione tra uomo e Dio che parta da una iniziativa umana: la stessa teologia tomista ha per oggetto le sole considerazioni umane, ovvero l'ipostatizzazione di considerazioni esclusivamente umane. Come si è già visto, il rapporto di fede è un "dono" che Dio concede agli uomini in forza della Sua volontà e della fedeltà alle Sue creature. Dunque non si può parlare di analogia dell'ente, ma si può invece affermare che tra gli uomini e Dio esiste una analogia della fede, ovvero l'unico rapporto che lega Dio alle sue creature, per Sua stessa iniziativa, e non per iniziativa umana. A questo punto si configura una doppia dimensione relativamente all'uomo: da un lato l'umanità è chiusa in sé, quasi rifiutata da Dio, ovvero l'umanità non ha ricevuto da Dio il dono di possedere una qualsiasi analogicità sostanziale all'essere divino. Dall'altro lato Dio si rivela comunque all'uomo per mezzo della sua Parola, gli dona la fede e lo giustifica, lo salva. L'uomo è dunque condannato e salvato allo stesso tempo: questo è il significato dialettico della teologia di cui Barth si fa portatore. Non esiste una netta separazione tra beati e salvati, non esiste alcun modo per l'uomo di conoscere con i propri mezzi il proprio destino, il quale è nelle mani di Dio, un destino conosciuto solamente da Dio. Dunque,
diversamente da ciò che pensava Calvino, non è il successo
nelle opere del mondo a garantire la salvezza, ma è invece l'indecisione
insolubile attorno alla salvezza e alla condanna, la coscienza di rimettere
la propria salvezza nelle mani di Dio a rappresentare il segno più
autentico della fede.
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Scheda
di Synt - ultimo aggiornamento 03-12-2004
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