...Tuttavia il fascino, anche se dovesse fare dell'altro un essere-affascinato, non riuscirebbe da sé a originare l'amore. Si può essere affascinati da un oratore, da un equilibrista: ciò non significa che lo si ami
Quando dunque l'amato diventerebbe amante, a sua volta? La risposta è semplice: quando progetterà d'essere amato. In sé altri-oggetto non ha mai abbastanza forza per originare l'amore L'amore può nascere nell'amato solo dalla sensazione della sua alienazione e dalla sua fuga verso l'altro. Ma, d'altra parte, l'amato, se è così, non si trasformerà in amante se non progetta di essere amato, cioè se ciò che vuole conquistare non è un corpo ma la soggettività dell'altro in quanto tale. Il solo mezzo, infatti, che egli possa concepire per realizzare questa appropriazione, è di farsi amare. Così appare chiaro che amare è, nella sua essenza, il progetto di farsi amare
Così, nella coppia d'amanti ciascuno vuole che l'altro l'ami, senza rendersi conto che amare è voler essere amato e che volendo che l'altro l'ami vuole solamente che l'altro voglia che egli l'ami. Così le relazioni amorose sono un sistema di rimandi all'infinito analoghi al puro riflesso riflettente della coscienza, sotto il simbolo ideale del valore amore, cioè di una fusione delle coscienze in cui ciascuna di esse conserverebbe la sua alterità per fondare l'altro.
Di qui la triplice distruttività dell'amore. In primo luogo è per essenza un rimando all'infinito, perché amare è volere che mi si ami, quindi volere che l'altro voglia che io lo ami...
In secondo luogo, il risveglio dell'altro è sempre possibile. Ad ogni istante ciascuna coscienza può liberarsi dalle sue catene e contemplare improvvisamente l'altro come oggetto. Allora la magia cessa, l'altro diventa mezzo tra i mezzi l'illusione, il gioco di specchi che forma la realtà concreta dell'amore, cessa improvvisamente. Ecco la ragione della continua insicurezza dell'amante.
In terzo luogo, l'amore è un assoluto continuamente relativizzato dagli altri. Basta che gli amanti siano guardati insieme da un terzo, perché ciascuno di essi senta l'oggettivazione, non solo di sé ma anche dell'altro. Questa è la vera ragione per cui gli amanti cercano la solitudine. Perché l'apparizione di un terzo, chiunque esso sia, segna la distruzione del loro amore. Bisognerebbe essere solo al mondo con l'amata, perché l'amore conservasse il suo carattere di asse di riferimento assoluto. Ma la solitudine di fatto (siamo soli in una camera) non è affatto solitudine di diritto. Infatti, anche se nessuno ci vede, noi esistiamo per tutte le coscienze ed abbiamo coscienza di esistere per tutte. Di qui la continua vergogna (o fierezza - qui hanno lo stesso valore) dell'amante.
L'etre et le néant (1943) - Jean Paul Sartre
«Winds of May», Roberto Di Marino, clicca qui se vuoi leggere lo spartito
Del perchè l'amante vuole essere amato / La notte / Parassita / Unter den Linden