Sarà più chiaro, forse, se considero questo problema che sembra puramente psicologico: perché l'amante vuole essere amato? Se l'amore, infatti, fosse puro desiderio di possesso fisico, potrebbe essere, nella maggior parte dei casi, facilmente soddisfatto. L'eroe di Proust, per esempio, che fa abitare con sé la sua amante, può vederla e possederla in ogni ora del giorno, ed ha saputo porla in una completa dipendenza materiale. Non dovrebbe essere tormentato dall'inquietudine. Si sa, invece, che è roso dalla preoccupazione. E' con la sua coscienza che Albertine sfugge a Marcel, proprio quando egli le è accanto, ed è per questo che egli non ha tregua se non quando la contempla nel sonno.
E' quindi certo che l'amore vuole imprigionare la coscienza. Ma perché lo vuole? E come? La nozione di proprietà con la quale si definisce così spesso l'amore non può essere, infatti, la prima. Perché dovrei volermi appropriare di altri se non fosse perché altri mi fa essere? Ma ciò implica un certo modo di appropriazione: è della libertà di altri in quanto tale che noi vogliamo impadronirci. E non per volontà di potenza: il tiranno se ne ride dell'amore; egli si accontenta della paura. Se cerca l'amore dei suoi accoliti è per ragioni politiche, e se trova un mezzo più economico per asservirli, lo adotta subito. Al contrario, chi vuole essere amato, non desidera di asservire l'essere amato. Non tiene affatto a diventare l'oggetto di una passione selvaggia e meccanica. Non vuole possedere un automa; e se si vuole umiliarlo, basta rappresentargli la passione dell'amata come il risultato di un determinismo psicologico: l'amante si sentirà sminuito nel suo amore e nel suo essere. Se Tristano e Isotta sono resi pazzi d'amore da un filtro, interessano meno; e si giunge al punto che l'asservimento totale dell'essere amato fa svanire l'amore dell'amante. Il fine è superato: l'amante si ritrova solo se l'amata si è trasformata in un automa.
Così l'amante non desidera di possedere l'amata come si possiede una cosa; pretende un tipo speciale di appropriazione. Vuole possedere una libertà come libertà. Ma, d'altra parte, non può essere soddisfatto di quella forma eminente di libertà che è l'impegno libero e volontario. Chi si accontenterebbe di un amore che si desse come pura fedeltà all'impegno preso? Chi accetterebbe di sentirsi dire: Ti amo perché mi sono liberamente impegnata ad amarti e perché non voglio contraddirmi: ti amo per fedeltà a me stessa? Così l'amante chiede il giuramento e si irrita del giuramento. Vuole essere amato da una libertà e pretende che questa libertà come libertà non sia più libera. Vuole insieme che la libertà dell'altro si determini da sé a essere amore - e questo non solo all'inizio dell'avventura, ma ad ogni istante - e, insieme, che questa libertà si imprigioni da sé, che ritorni su se stessa, come nella follia, come nel sogno, per volere la sua prigionia. E questa prigionia deve essere insieme rinuncia libera e incatenata nelle nostre mani. Nell'amore non si desidera nell'altro il determinismo passionale o una libertà fuori portata: ma una libertà che gioca al determinismo passionale e che aderisce al suo gioco.
L'etre et le néant (1943) - Jean Paul Sartre
«Suite III per Flauto e Chitarra» 1° movimento , Roberto Di Marino, clicca qui se vuoi leggere lo spartito
Della
triplice distruttività dell'amore / Mariane
/
Smilla
è una bambina / Le donne non
secernono come gli uomini