Nudo femminile supino (1917) - Egon Schiele
Quando si sedettero a tavola ella gli domandò: - Perchè l'hai sposata? Valeva meno di te. Mrs. Bolton mi ha parlato di lei. Non ha mai potuto capire perchè tu l'abbia sposata.
- Te lo dirò - disse - Con la prima ragazza che ebbi, cominciai a sedici anni. Era figlia d'un maestro di Ollerton, graziosa, bella anzi. Mi si considerava un giovane intelligente: ero appena uscito dal collegio di Sheffield, sapevo un po' di francese e di tedesco, ero molto fuori del comune. Ella era romantica, e detestava ogni cosa volgare. Mi spinse alla poesia e alla lettura, in un certo senso fece di me un uomo. Lessi e pensai con accanimento, per lei. Ero giovane, impiegato in un ufficio di Butterley, magro, pallido e tutte le cose che leggevo mi ribollivano dentro. E non c'era cosa della quale non parlassi con lei. Le nostre conversazioni andavano da Persepoli a Timbuctù. Eravamo la coppia letterariamente più colta per dieci contee all'intorno. Declamavo estasiandomi in lei, proprio estasiandomi. Ero tra le nuvole. Ed ella mi adorava. Ma il serpente nascosto nell'erba era il sesso. Ella non aveva sesso, almeno non dove si trova comunemente. Io mi facevo sempre più magro e più estasiato. Allora le dissi che dovevamo diventare amanti. La convinsi a parole, come sempre. Io ero eccitato, ma lei non ne aveva nessuna voglia, nessuna voglia al mondo. Mi adorava, le piaceva sentirmi parlare e lasciarsi baciare: in questo modo nutriva una passione per me. Ma quanto al resto non ne voleva sapere. Ci sono moltissime donne di quel genere. Io invece volevo proprio il resto. Così la rompemmo. Fui crudele e la lasciai. Poi mi misi con un'altra ragazza, una maestra, che aveva provocato uno scandalo facendo quasi perdere la ragione a un uomo sposato. Era una donna morbida e bianca, più vecchia di me e suonava il violino. Era un demonio. Le piaceva tutto dell'amore, eccetto quello sessuale. Era leziosa e carezzevole, si insinuava in tutti i modi, ma se la si forzava ad amare sessualmente digrignava i denti e sprizzava odio da tutte le parti. Io la costrinsi a cedermi ed ella mi riserbò tutto il suo odio. Così fui deluso ancora una volta. Tutto questo mi ripugnava. Allora venne Bertha Coutts. I Coutts avevano abitato porta a porta con noi quando ero ragazzo, perciò li conoscevo molto bene. Erano volgari. Bertha era andata via a lavorare non so dove a Birmingham; come dama di compagnia diceva lei, ma tutti gli altri dicevano che era cameriera o qualcosa di simile in un albergo. In ogni modo, proprio quando ne avevo più che abbastanza dell'altra ragazza, Bertha tornò a casa con grandi arie, molte grazie e vesti eleganti, e una sorta di splendore, quello splendore sessuale che appare qualche volta nelle donne o nelle sgualdrine. Io ero pronto a tutto. Lasciai il mio impiego a Butterley, perchè quel lavoro da impiegato mi sembrava una perdita di tempo; e mi occupai come maniscalco capo a Tevershall. Ferravo i cavalli, soprattutto. Era stato il mestiere di mio padre, ed ero vissuto sempre con lui. Il lavoro mi piaceva, quell'avere a che fare coi cavalli, e mi trovavo a mio agio. Così smisi di parlare in lingua, come dicono, di parlare l'inglese correttamente e ripresi a parlare il dialetto. Continuai a leggere a casa. Ma ferravo i cavalli e avevo un calesse tutto per me. Mio padre mi lasciò trecento sterline, quando morì.
Allora mi legai con Bertha; ero contento che fosse volgare, volevo che lo fosse, e volevo esserlo anch'io. La sposai, e da principio non fu cattiva. Le altre donne, le "pure", mi avevano quasi privato dei testicoli, ma a Bertha non avevo nulla da rimproverare da quel lato. Mi voleva, e non faceva storie. Ero al settimo cielo. Non cercavo altro: una donna che volesse essere posseduta da me. Così io la possedevo più che potevo. E credo che mi disprezzasse un po' perchè ci provavo tanto piacere e le portavo qualche volta la colazione a letto. Trascurava le faccende di casa, non mi preparava un pranzo conveniente quando tornavo dal lavoro e se le dicevo qualcosa mi si avventava contro. Io reagivo violentemente. Lei mi gettava una tazza in testa, e io la prendevo per la nuca e quasi la strozzavo. Una cosa orrenda! Ma mi trattava con insolenza. Era giunta al punto di non volersi più coricare con me quando ne avevo voglia: mai. Mi respingeva sempre brutalmente. E quando mi aveva respinto e io non la volevo più, tornava piena di moine, e io le cedevo. E ci stavo sempre. Ma quando la prendevo, non godeva mai insieme a me. Mai. Aspettava. Se io mi trattenevo per mezz'ora ella si tratteneva ancora più a lungo. E quando avevo realmente finito, allora cominciava lei, e dovevo rimanere dentro di lei finchè avesse goduto, torcendosi e gridando: si aggrappava là in basso freneticamente e godeva, in estasi. Allora diceva "Com'è bello!". A poco a poco mi disgustai: ed ella peggiorò di giorno in giorno. Diventò sempre più restia a godere, e quasi mi lacerava là in basso come se avesse avuto un becco. Per Dio! Si crede che una donna sia morbida come un fico, là in basso! Ma credo che le vecchie baldracche abbiano un becco tra le gambe, col quale dilaniano un uomo fin che non ne può più. L'io, il proprio io! E null'altro! Non pensano che a se stesse, e urlano e dilaniano! Si parla dell'egoismo dell'uomo, ma dubito che possa raggiungere la cieca durezza delle donne, una volta che han preso quella piega. Come vecchie sgualdrine! Ed ella non ne poteva fare a meno. Gliene parlai e le dissi quanto detestassi il suo modo di fare. Tentò anche di correggersi. Provò a starsene immobile e a lasciarmi fare da solo. Fece il tentativo. Ma non servì a nulla. Doveva fare lei, macinarsi il caffè da sola! E tornò all'antico con una necessità folle; doveva lasciarsi andare, e lacerare, lacerare come se non avesse altra sensibilità che alla punta del becco, proprio alla punta che strofinava e strappava. Le antiche prostitute facevano così, dicono. C'era in lei una turpe ostinazione, una specie di ostinazione folle, come in una donna che beve. Ma alla fine non potei più sopportarla. Dormivamo separati. Fu lei a cominciare, in uno di quei momenti in cui voleva liberarsi di me quando diceva che la tiranneggiavo. Ma venne il tempo in cui non volli più che entrasse in camera mia. Non volevo. Detestavo tutto questo. Ed ella aveva orrore di me. Mio Dio, come mi odiò prima della nascita di quella bambina! Penso che la concepisse nell'odio. Del resto, dopo la nascita della bambina, la lasciai tranquilla. Poi venne la guerra e mi arruolai. E tornai soltanto quando seppi che viveva con quell'individuo di Stacks Gate.
L'amante di Lady Chatterley (1928) - D. H. Lawrence
«Suite II per Flauto e Chitarra» 2°movimento, Roberto Di Marino, clicca qui se vuoi leggere lo spartito
Le Léthé / Piccola misoginia / La consigliera del cuore / La donna mancina