Discorsi accademici intorno agli studi delle donne nell'Accademia dei Ricovrati di Padova.

Elena Cornaro Piscopia, prima donna ammessa a far parte dell'Accademia dei Ricovrati , nel 1669.


L'attuale «Accademia Galileiana di Scienze Lettere e Arti» di Padova nacque come «Accademia dei Ricovrati» nel 1599 e conservava tale denominazione nel 1723, allorchè Antonio Vallisnieri, l'illustre scienziato, professore primario di medicina teorica all'Università di Padova, che allora la presiedeva, propose «il curioso problema se debbano ammettersi le Donne allo studio delle Scienze e delle belle Arti». I discorsi accademici, dedicati a S.E. la Sig.ra Procuratessa Elisabetta Cornaro Foscarini, furono raccolti in un volumetto edito in Padova alla stamperia del Seminario, nel 1729. Esso merita di essere tratto per un momento dall'oblio in cui giace da quasi tre secoli, costituendo una significativa curiosità storica, poichè ci fa comprendere come il problema venisse inteso e dibattuto da un colto e aristocratico consesso padovano nel secolo che sarà quello dei Lumi.

La prefazione è scritta da Antonio Volpi, pubblico professore di filosofia nello Studio di Padova, il quale dichiara di dover sostenere, per sua disavventura, la parte negativa, così ubbidendo all'ordine dell'Accademia.

Segue l'introduzione del Sig. Cavaliere Antonio Vallisnieri. Per le «amare doglianze e crudi rimbrotti» uditi pronunziare da illustri donne contro gli uomini per non essere elle ammesse allo studio delle arti belle e delle scienze, il Presidente pone la questione «de qua», al fine di stabilire se sian giuste «le querele di un sesso sì benemerito, sì avvenente, sì aggradevole». Giacchè si vive in un secolo che d'ogni opinione e sentenza è severissimo critico, un secolo nel quale «scosso il giogo dell'Autorità degli scrittori anche di primo seggio, nulla si ammette per vero, se non ciò che la ragione ben chiara, fiancheggiata dall'esperienza, non dimostra per evidente». Ascolterà egli l'argomentare dei dottissimi Accademici, al fine di stabilire se con ragione le donne si dolgono di essere dagli uomini costrette nel fiore degli anni all'ago, al fuso, all'arcolaio, alle domestiche penose cure, anzichè darsi a quegli studi che le preparino «a penetrare ogni più occulto e più spinoso arcano della terra e del cielo, e discoprire anch'esse ogni verità più occulta e più caliginosa». «Sarò giudice spassionato della questione» conclude malinconicamente Vallisnieri «per la fredda e rugosa età che in me, volente nolente, a gran passi s'avanza».

Spetta al signor Guglielmo Camposampiero, patrizio padovano, difendere la tesi favorevole alle donne. Egli introduce già affermando come alla domanda posta dal presidente non si possa non dare risposta positiva, proprio in un consesso che non può ignorare tanti esempi di donne illustri che lo circonda, e in una città la quale «ha solennemente approvata la dottrina della eccellentissima Donna Elena Cornaro Piscopia». Ora, che l'uomo fosse destinato a seguire virtute e conoscenza, era nei disegni di Dio che così volle distinguere questa sua diletta creatura da tutte le altre dell'universo. E allora come è pensabile che la donna ne debba essere esclusa? «Sono elleno altro mai le donne che la metà di noi stessi?» Lo affermò già Platone, che pur tenero non fu con le donne, e lo conferma Pietro Bembo in questo distico delle Stanze, rivolgendosi appunto a una Donna: «Però che voi non siete cosa integra / nè noi, ma è ciascun del tutto il mezzo». «E come non può essere differente per sostanza la parte dal tutto, così non può ammettersi distinzione alcuna essenziale tra l'uomo e la donna». È un sentimento plebeo e tirannico quello di coloro che vorrebbero escludere le donne dalle scienze e dalle arti, ben sapendo essi che l'ignoranza rende l'uomo schiavo, o quantomeno sottomesso al sapiente. Ma al di là del principio morale, che pone in questione la dignità tout court della donna, non vanno trascurati gli aspetti pratici della questione: più la donna è colta, meglio adempirà all'ufficio di educatrice dei figli, e la scienza stessa sicuramente si gioverebbe dell'accresciuto numero dei suoi seguaci se verso di essa convergono anche le donne. Ed infine (e la cosa non è di poco conto per il nobile relatore) le donne coltivate nelle arti e nelle scienze non affliggerebbero gli uomini col volerli eleganti ed adorni nella persona di frivolezze, ma li vedrebbero volentieri gareggiare tra loro in dottrina, spronandoli in tal senso, con indubbio vantaggio delle arti e delle scienze stesse.
A scanso però di ogni equivoco, il relatore dà per scontata premessa al suo discorso che egli non intende minimamente sostenere che allo studio delle scienze vadano ammesse tutte le donne di «qualsivoglia condizione», così come non tutti gli uomini, poichè provvidenza ha voluto che molti fossero destinati alla coltivazione dei campi e alle varie manifatture, per il bene stesso della società. Diverso è il destino delle cose create, e quanto più nobile è la creatura, tanto più essa con l'intelletto si avvicina a Dio.

Ad una pressochè analoga conclusione giunge il Signor Giuseppe Salio: egli è sì d'accordo che le donne si avvicinino agli studi, ma non tutte le donne e non a tutti gli studi, bensì solo le donne nobili dovrebbero acculturarsi, e in una sola branca del sapere, e non per farsene pompa. E più di ogni altra scienza si addice loro la morale filosofia, segnatamente utile per i loro due principali impegni sociali, e cioè il conversare e il buon dirigere e governare la propria casa.

Al signor Antonio Volpi, pubblico professore di filosofia nello Studio di Padova, è affidato l'ingrato compito di argomentare contro lo studio delle donne, ed egli se ne scusa, all'inizio del proprio discorso, con le nobildonne che ha di fronte, tutte illustri e distinte per splendore di sangue e per fortuna di educazione e per grandezza d'animo e d'ingegno. Egli argomenta osservando che se tutti i precedenti secoli hanno voluto che le donne fossero di regola destinate al governo pacifico della famiglia, ossia a compiti alla portata delle forze loro, vi sarà pure stata una valida ragione, a meno che non si voglia sostenere che tutti gli antichi fossero consigliati non dalla ragione, ma da «violento genio di sopraffare», nel tenere lontane le donne dalle Accademie e dalle Scuole. E se così non fosse, come mai le donne non si sono mai ribellate ma si sono volentieri adattate a tale loro condizione? Si potrebbe rispondere che ciò fu non per mancanza d'ingegno ma di forze. Ma tale argomento non regge, poichè l'ingegno è esso la più grande delle forze, che può rendere domestiche anche le belve, e d'altronde tutti sanno che un popolo più è rozzo e povero d'ingegno, più è soggetto ad essere dominato. Però la verità è un'altra, ed è che le donne, accettando di massima volentieri il loro stato, danno prova d'intelletto e saggezza, perchè preferiscono esplicare le attività che più a loro sono congeniali, ed inoltre con la loro grazia e le virtù d'animo sanno bene come addomesticare l'uomo e conquistare la signoria su di lui, che intanto suda e si snerva nei cento doveri che la società gli richiede. Inoltre, la donna che fa filosofia o poesia aborrirebbe dalla maternità e dalle pene stesse della famiglia, con grave danno sociale se fossero in molte a poetare e filosofare; poichè alle scienziate più gravi e intollerabili apparirebbero le miserie della vita domestica e coniugale; ed è facilmente constatabile che «gli studi rendono di lor natura le persone, circa gli affari domestici, negligenti e trasandati».

Ma v'è di più, perchè dovendo il marito esercitare in famiglia la potestà che gli spetta «per legge naturale e divina», si può facilmente immaginare cosa accadrebbe (le diatribe, le gelosie) se il marito dovesse ogni volta contendere con una moglie resa saccente, presuntuosa e autoritaria dallo studio delle scienze. E anche gli mancherebbe, al rientro a sera dopo una giornata di penoso lavoro, il conforto di una moglie semplice, umile e vezzosa; in luogo della quale egli si troverebbe invece di fronte una donna che non smette mai «di garrire e di rompergli il capo con racconti di storie o con esami di nuovi teoremi». L'oratore è inoltre convinto che la massima parte delle donne, interrogate in proposito, non mancherebbero di dargli ragione, preferendo decisamente esse dilettarsi di cose piuttosto frivole anzichè annoiarsi con racconti filosofici e scientifici, eccezion fatta per alcune di loro «cui la natura di magnanimo spirito e generoso dotar volle nel nascimento». Ma le donne in generale, messe di fronte ai problemi concreti della vita, sanno essere pratiche, intuitive e giudiziose, senza bisogno di chiedere aiuto a qualsivolgia accademia e senza sacrifici di studi. E si avvia così alla conclusione il nostro dotto relatore: «Conservino quelle Adorabili Creature, illibato e fresco il fior di lor bellezza, tanto da esse e dagli uomini, non senza gran ragione, apprezzato: nè si pongano a rischio di perderlo miseramente, contraendo un colore smorto e dilavato, una guardatura bieca, un costume ritroso, un andamento goffo, un parlare affettato e che odori di scuola; cose tutte che le farebbero in poco d'ora deformi e disobbliganti».

Conclude, sciogliendo il problema con giudizio salomonico e con magnificenza d'eloquio il Presidente dell'Accademia, Antonio Vallisnieri, rifacendosi all'autorità di Platone, che già ebbe a notare nella sua Repubblica come le donne siano provviste d'anima e ragione (al pari degli uomini), ma non tutte siano dotate delle stesse capacità e inclinazioni. Ordunque «s'ammettano allo studio delle Scienze e delle arti liberali solamente quelle che, innamorate sono delle medesime, e che da un nobile occulto genio alla virtù e alla gloria sono portate, nelle quali scorre per le vene un chiaro illustre sangue, e ferve e sfavilla uno spirito fuor dell'usato» e così via discorrendo. Ma non si biasimino quelle che si sentono invece chiamate all'economia della casa, che sono anch'esse degnissime ed anzi necessarie alla richiesta varietà di attitudini e di lavori...

da un articolo di Pasquale Scarpati
(dal n. 83 anno XV, della rivista di storia arte cultura: «Padova e il suo territorio»)


Il frontespizio dei «Discorsi»


«Sonata per Flauto e Chitarra» 1° movimento , Roberto Di Marino, clicca qui se vuoi leggere lo spartito


Rothari, 204 / Il gineceo / Nina / Parassita

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