Amores

San Giovannino (Musei Capitolini) - Caravaggio


Gli Amores, attribuiti a Luciano, sono un testo nettamente più tardivo. Si presentano nella forma, allora molto comune, di un incastro di dialoghi a scatola cinese. Teomnesto, i cui amori per donne o ragazzi rinascono, non appena estinti, […] si sente ugualmente incline all'uno e all'altro amore, e non riesce a capire verso quale dei due debba indirizzarsi. Chiede a Licino — il quale, per quanto lo riguarda, non è portato verso alcuno di questi due amori — di fare da arbitro imparziale e consigliargli la scelta migliore. Fortunatamente, Licino ricorda perfettamente, come fosse scolpito nella sua memoria, il dialogo di due uomini sullo stesso argomento; uno amava esclusivamente i ragazzi e giudicava l'Afrodite femminile un'autentica “rovina”; l'altro era freneticamente portato verso le donne. Riferirà dunque la loro discussione. Ma non cada in errore, Teomnesto: anche se egli, da parte sua, ha posto la questione in modo scherzoso, Caricle e Callicratida, di cui ora si udranno le argomentazioni, avevano preso la cosa molto sul serio. Inutile dire che quest'ultima indicazione va in un certo senso filtrata: seri, i due avversari lo sono senz'altro, ma lo Pseudo-Luciano, riportando le loro argomentazioni enfatiche e solenni, ironizza parecchio. C'è molto del pastiche, in questi pezzi di bravura; ognuno di essi costituisce il discorso tipico del Fautore delle donne e dell'Amatore di fanciulli. […] Ma questa stessa ironia rivela la serietà del problema che è posto. […] Il problema del piacere fisico attraversa infatti tutto il dialogo. Esso è al centro delle preoccupazioni espresse da Teomnesto, sollecitato sia dal fascino delle fanciulle che dalla bellezza dei ragazzi. Ed è il piacere fisico, sono gli aphrodisia, ad avere l'ultima parola e a fare allegramente piazza pulita di tutti i discorsi pudibondi. E l'interrogativo che sottende a tutto il dialogo, anche se adombrato da argomentazioni più eteree, sarà questo: che collocazione, che forma dare al piacere sessuale nell'uno e nell'altro tipo d'amore? […]
Il dibattito ha una strutturazione molto rigida. Ciascuno dei due oratori prende successivamente la parola, e sostiene in un discorso tutto filato la causa dell'amore che predilige: un testimone muto (Licino) farà da giudice di gara e nominerà il vincitore. Anche se il discorso “pederastico” di Callicratida è più ornato e più lungo di quello di Caricle, le due arringhe hanno la stessa struttura […].

1. Il discorso “pro donne” di Caricle si fonda su una concezione del mondo il cui carattere generale è indubbiamente stoico: la natura […] ha predisposto il susseguirsi delle generazioni. […] A questo scopo, la natura ha predisposto la divisione dei sessi, per cui l'uno è destinato a spargere il seme e l'altro a riceverlo; e ha immesso in ciascuno di essi la brama (pothos) per l'altro. Dal rapporto di questi due sessi diversi può nascere il susseguirsi delle generazioni — ma questo non avverrà mai dalla relazione fra due individui dello stesso sesso. Così, Caricle rapporta all'ordine generale del mondo, là dove morte, generazione ed eternità sono legate l'una all'altra, la natura peculiare a ogni sesso e il piacere conforme a ciascuno di essi. Non bisogna che “il femminile” faccia, contro natura, il maschio, né che “il maschile sconvenientemente s'illanguidisca”. Se si volesse sfuggire a questa determinazione, non si trasgredirebbero solo i caratteri propri all'individuo, ma si attenterebbe anche alla concatenazione della necessità universale.

Il secondo criterio di naturalità utilizzato nel discorso di Caricle è lo stato dell'umanità all'origine. L'uomo era a immagine e somiglianza degli dei per virtù, si preoccupava di comportarsi da eroe, celebrava sponsali adeguati e aveva nobile progenitura: tali erano gli elementi che caratterizzavano quest'alta esistenza e ne assicuravano la conformità alla natura. Ma venne la decadenza, e fu progressiva. Sembra che Caricle distingua, come tappe di questo declino, il momento in cui, trascinati alla perdizione dal piacere, gli uomini hanno cercato “forme nuove e devianti” di godimento (dobbiamo intendere, con questo, rapporti sessuali non volti alla procreazione o piaceri estranei al matrimonio?), quindi il momento in cui sono arrivati a “trasgredire la natura stessa”: impudenza la cui forma essenziale — la sola, comunque, evocata nel testo — consiste nel trattare un maschio come una donna. Ora, perché un atto simile, così estraneo alla natura, fosse possibile, è stato necessario che nei rapporti fra gli uomini s'insinuasse ciò che permette di far violenza e d'ingannare: il potere tirannico e l'arte di persuadere.

Per il terzo connotato di naturalità, Caricle si rivolge al mondo animale: né leoni, né tori, né montoni, né cinghiali, né lupi, né uccelli, né pesci ricercano il proprio sesso; per essi, “i decreti della Provvidenza sono immutabili”. A questa saggia animalità, l'oratore dello Pseudo-Luciano contrappone “la bestialità perversa” degli uomini, bestialità che li degrada a un livello inferiore a quello degli altri esseri viventi, mentre erano destinati a prevalere su tutti. Contrariamente agli animali, che obbediscono alla legge naturale e tendono al fine che è stato loro fissato, gli uomini che hanno rapporti sessuali con uomini presentano tutti i sintomi tradizionalmente attribuiti allo stato passionale: violenza incontrollata, morbosità, perdita del senso della realtà, inabilità ad assolvere i compiti fissati alla natura umana. L'amore per i ragazzi, insomma, […] cosmologicamente, “politicamente”, moralmente, viola la natura.

Nella parte del suo discorso che è in correlazione con questa, Callicratida fa valere non tanto argomenti che confutano l'avversario, quanto una diversa concezione del mondo, della specie umana, della sua storia e dei legami più alti che gli uomini possono stringere fra loro. All'idea di una natura previdente e “meccanicistica” che determinerebbe, attraverso il sesso, la procreazione e la successione delle generazioni così da dare alla specie umana un'eternità di cui i singoli individui sono privati, egli contrappone la visione di un mondo formatosi a partire dal caos. Ed è Eros che ha vinto questo informe originario creando, nella sua facoltà demiurgica, tutto ciò che ha un'anima e tutto ciò che non ne ha, instillando nel corpo degli uomini il principio della concordia, e legandoli gli uni agli altri con “i vincoli sacri dell'affetto”. Nei rapporti fra uomo e donna, Caricle vedeva una natura accorta che istituisce delle successioni nel tempo per aggirare la morte; Callicratida, nell'amore per i ragazzi, riconosce la forza del legame che, per un principio di connessione e concordia, trionfa sul caos.

In questa prospettiva, la storia del mondo non deve esser letta come un frettoloso oblio delle leggi della natura e un tuffo negli “abissi del piacere”, ma piuttosto come un progressivo venir meno delle necessità originarie. All'inizio, l'uomo era stretto dal bisogno; le tecniche e i saperi (technai ed epistemai) gli hanno dato la possibilità di sfuggire alla tirannia di quelle necessità urgenti e di rispondervi meglio: ha saputo tessere indumenti, costruire case. Ora, l'amore per i ragazzi sta ai rapporti con le donne come il lavoro del tessitore sta all'uso delle pelli animali o l'arte dell'architetto alle caverne. All'inizio, le donne erano indispensabili per la sopravvivenza della specie. L'amore per i ragazzi, invece, è nato molto tardi; e non già, come sosteneva Caricle, a causa di un processo di decadenza, bensì a seguito dell'elevarsi dell'umanità verso un maggiore sapere e una più viva curiosità. Quando infatti gli uomini, dopo aver imparato tante pratiche preziose, hanno voluto allargare la loro ricerca senza lasciar più “niente” di intentato, è apparsa la filosofia e con essa la pederastia. L'oratore dello Pseudo-Luciano non spiega esattamente la genesi di questo duplice fenomeno, ma […] esso poggia implicitamente sulla contrapposizione fra la trasmissione della vita attraverso il rapporto con l'altro sesso e la trasmissione delle “tecniche” e dei “saperi” attraverso l'insegnamento, l'apprendimento e il rapporto del discepolo con il maestro. Quando, lasciandosi alle spalle le varie arti, la filosofia ha cominciato a interrogarsi su ogni cosa, ha trovato, per trasmettere la saggezza che è il suo frutto, l'amore per i ragazzi — che è anche amore delle anime belle, capaci di virtù.

Si comprende dunque come Callicratida possa confutare con una gran risata la lezione “animale” che gli propinava il suo avversario: che cosa prova mai il fatto che i leoni non amino i maschi della loro specie, e che gli orsi non s'innamorino degli orsi? Non già che gli uomini hanno corrotto una natura che sarebbe rimasta intatta negli animali, bensì che le bestie non sanno che cosa sia “filosofare”, né sono in grado di cogliere quanto di bello possa originare l'amicizia. […]

La banalità (del resto, a tratti, piacevolmente forbita) delle spiegazioni di Caricle e di Callicratida dimostra abbastanza chiaramente che essi dovevano fungere un po' da blasoni filosofici: l'amatore di ragazzi, piuttosto platonizzante, sotto la bandiera di Eros, e il fautore delle donne, vagamente stoico, all'insegna esigente della natura. Il che non significa, ovviamente, che gli stoici condannassero una pederastia che il platonismo avrebbe giustificata non accettando il matrimonio. Sappiamo che, dal punto di vista delle dottrine, le cose non stavano così — o che, in ogni caso, erano ben lontane dall'essere così semplici. Ma è giocoforza riconoscere, attraverso i documenti di cui disponiamo, quella che potremmo chiamare “una associazione privilegiata”: l'arte della vita coniugale si è elaborata in gran parte attraverso una riflessione di tipo stoico, e con riferimento a una certa concezione della natura, delle sue necessità fondamentali, del posto e della funzione da essa previsti per tutti gli esseri, di un piano generale delle procreazioni successive e di uno stato di originaria perfezione da cui una decadenza perversa allontana il genere umano. È del resto da una concezione di questo tipo che il cristianesimo attingerà largamente quando vorrà edificare un'etica del rapporto matrimoniale. Ugualmente, l'amore maschile, praticato come modo di vita, ha consolidato e riprodotto nel corso dei secoli un paesaggio teorico alquanto diverso: forza cosmica e individuale dell'amore, movimento ascendente che permette all'uomo di sfuggire alle necessità immediate, acquisizione e trasmissione di un sapere attraverso le forme intense e i legami segreti dell'amicizia. Il mettere a confronto l'amore per le donne con l'amore per i ragazzi è ben più di un certame letterario; non arriveremo a dire che è il conflitto fra due forme di desiderio sessuale in lotta per la supremazia o per il rispettivo diritto all'espressione: è il confronto fra due forme di vita, due modi di stilizzare il proprio piacere e i diversi discorsi filosofici che sono di supporto a quelle scelte.

2. Ciascuno dei due discorsi — quello di Caricle e quello di Callicratida — sviluppa, dopo il tema della “natura”, la questione del piacere. Questione che, come abbiamo già visto, costituisce sempre un punto cruciale per una pratica pederastica che vuole identificarsi nella forma dell'amicizia, dell'affetto e dell'azione benefica di un'anima su un'altra. Parlare del “piacere” al fautore dell'amore per i ragazzi significa già muovergli un'obiezione di fondo. Ed è proprio quello che fa Caricle. Egli apre infatti la discussione su questo tema con una denuncia, del resto tradizionale, dell'ipocrisia pederastica: vi definite seguaci di Socrate, innamorati, cioè, non già dei corpi ma delle anime. Come mai, allora, non correte mai dietro a dei vecchi pieni di saggezza, ma inseguite fanciulli che non sanno ragionare? Perché, se di virtù si tratta, amare, come faceva Platone, un Fedro che ha tradito Lisia, o, come faceva Socrate, un Alcibiade empio, nemico della patria, avido di potere? È dunque necessario, a dispetto di pretesi amori spirituali, “scendere”, come dice Caricle, alla questione del piacere, e confrontare “la pratica dei ragazzi” con “la pratica delle donne”.

Fra gli argomenti utilizzati da Caricle per differenziare le due “pratiche”, e il posto che il piacere occupa in ciascuna di esse, il primo è quello dell'età e della fugacità. Una donna conserva il proprio fascino fino alle soglie della vecchiaia — anche a costo di alimentarlo con la sua lunga esperienza. Il ragazzo, invece, non è attraente che per un breve momento. E Caricle contrappone al corpo della donna che, con i suoi capelli ondulati, la pelle sempre morbida e “senza peluria”, rimane un oggetto di desiderio, il corpo del ragazzo che molto presto diventa villoso e muscoloso. Ma, da questa differenza, Caricle non trae la conclusione (tradizionale) che si possa amare un ragazzo solo per un periodo molto breve, e che si tenda ben presto ad abbandonarlo, dimenticando tutte le promesse di amore eterno che gli si sono potute fare: egli evoca, al contrario, colui che continua ad amare un ragazzo che abbia superato i vent'anni; ciò che allora persegue, è un' “Afrodite ambigua”, in cui egli svolge il ruolo passivo. La modificazione fisica dei ragazzi viene qui invocata come principio non di fugacità dei sentimenti ma d'inversione del ruolo sessuale.

Seconda ragione in favore della “pratica femminile”: la reciprocità. È indubbiamente la parte più importante del discorso di Caricle. Egli si appella innanzi tutto al principio in base al quale l'uomo, essere dotato di ragione, non è fatto per vivere solo. Da questo, tuttavia, egli non fa discendere la necessità di avere una famiglia o far parte di una città, bensì l'impossibilità di “passare il tempo” da soli, e il bisogno di una “comunanza affettiva” (philetairos koinònia) che renda più piacevoli le cose piacevoli, e più leggere quelle difficili. Che la vita a due assolva questo ruolo, è un concetto che ricorre regolarmente nei trattati stoici relativi al matrimonio. Qui, esso è applicato al campo specifico dei piaceri fisici. Caricle evoca in primo luogo i banchetti e i pasti che si fanno in comune proprio perché, a suo parere, i piaceri condivisi risultano più intensi. Cita quindi i piaceri sessuali. Secondo quanto si afferma tradizionalmente, il giovane passivo, dunque più o meno violentato (hubrismenos), non può provare piacere; nessuno “sarebbe così pazzo” da sostenere il contrario; quando ha cessato di piangere e spasimare, l'altro gli diventa molesto. L'amante di un ragazzo prende il proprio piacere e se ne va; non dà piacere a sua volta. Ben diversamente stanno le cose con le donne. E Caricle espone successivamente il fatto e la regola. Nel rapporto sessuale con una donna, vi è, egli afferma, “un uguale scambio di voluttà”; e i due partner si separano dopo essersi reciprocamente dati la stessa quantità di piacere. A questo, che è un dato di fatto naturale, corrisponde un principio di comportamento: è bene non ricercare un godimento egoistico (philautòs apolausai), non voler prendere tutto il piacere per sé, ma condividerlo, donandone all'altro tanto quanto se ne prova. Certo, questa reciprocità del piacere costituisce un tema già alquanto noto che la letteratura d'amore o erotica ha molto spesso sfruttato. Ma è interessante vederlo utilizzato qui sia per caratterizzare “naturalmente” il rapporto con le donne che per definire una regola di comportamento nell'ambito degli aphrodisia e per designare, infine, ciò che vi può essere di non naturale, di violento, dunque di ingiusto e di perverso, nel rapporto di un uomo con un ragazzo. La reciprocità del piacere in uno scambio in cui ci si preoccupa del godimento dell'altro, badando a che sussista fra i partner un'uguaglianza il più possibile rigorosa, iscrive nella pratica sessuale un'etica che prolunga quella della vita in comune.

A questa argomentazione piuttosto solenne, Caricle ne aggiunge altre due che lo sono un po' meno, ma che si richiamano entrambe allo scambio dei piaceri. La prima rimanda a un tema alquanto corrente nella letteratura erotica: le donne, a chi sa avvalersene, sono capaci di offrire tutti i piaceri che possono dare i ragazzi; questi, in compenso, non possono procurare quel particolare piacere che è prerogativa del sesso femminile. Le donne sono dunque capaci di offrire tutte le forme di voluttà, comprese quelle particolarmente ambite dagli amanti dei ragazzi. Secondo l'altra argomentazione, se si accettasse l'amore fra uomini, bisognerebbe accettare anche la relazione fra donne. Questa simmetria polemicamente invocata fra i rapporti intermaschili e i rapporti interfemminili è interessante: innanzi tutto perché nega, come del resto la seconda parte del discorso di Caricle, la specificità culturale, morale, affettiva, sessuale dell'amore per i ragazzi, facendolo rientrare nella categoria generale del rapporto fra individui di sesso maschile; e poi, perché si serve, per compromettere questo amore, di quello, tradizionalmente più scandaloso — si prova “vergogna” perfino a parlarne — fra donne; e, da ultimo, perché Caricle, rovesciando questa gerarchia, fa capire che è ancora più vergognoso, per un uomo, essere passivo alla maniera di una donna, che non, per una donna, assumere il ruolo maschile.

La parte del discorso di Callicratida che risponde a questa critica è […] un “pezzo di bravura retorica”, […] dà fondo a tutto il bagaglio delle argomentazioni pederastiche mettendo in gioco tutte le sue risorse e i suoi più nobili riferimenti, a proposito della questione sollevata molto esplicitamente da Caricle: la reciprocità del piacere. Su questo particolare punto, ciascuno dei due avversari si rifà a una concezione semplice e coerente: per Caricle, e i “partigiani dell'amore femminile”, è il fatto di poter provocare il piacere dell'altro, di prestare attenzione al partner e trovare, nel suo piacere, il proprio; è insomma questa charis che, come diceva Plutarco, legittima il piacere nel rapporto fra uomo e donna e permette di integrarlo nell'Eros, ed è inversamente la sua assenza che contrassegna e squalifica il rapporto con i ragazzi. Come vuole la tradizione di questo secondo tipo d'amore, Callicratida gli dà, come fondamento, non la charis ma l'aretè - la virtù. È appunto l'aretè, secondo lui, che deve operare il collegamento fra “il piacere” e “l'amore” e assicurare ai partner un piacere dignitoso e saggiamente misurato e, al tempo stesso, la comunione indispensabile alla relazione dei due esseri. […]

La dimostrazione di Callicratida consiste innanzi tutto nel criticare, come illusoria, la reciprocità di piacere che l'amore per le donne rivendica come sua caratteristica specifica, e nel contrapporle, come il solo capace di verità, il rapporto virtuoso con i ragazzi. Contro le donne, Callicratida sgrana con astio tutta una serie di luoghi comuni. Le donne, basta guardarle da vicino, sono “brutte” intrinsecamente, “realmente” (alèthòs): il loro corpo è “sgraziato” e sgradevole il loro volto, come quello delle scimmie. Per mascherare tale realtà, devono darsi parecchio da fare: trucco, paludamenti, acconciature, gioielli..., tutte apparenze, artifici che uno sguardo attento basta a sventare. Inoltre, esse hanno un'inclinazione per i culti segreti che permette loro di circondare di mistero le loro dissolutezze. Inutile ricordare tutti i temi satirici cui questo passo, piuttosto piattamente, si richiama. Ben altri esempi troveremmo; basati su argomenti simili, nei vari elogi della pederastia. Achille Tazio, ad esempio, negli Amori di Leucippe e Clitofonte, fa dire a uno dei personaggi, fautore dell'amore per i ragazzi: “In una donna, tutto è artefatto, gesti e parole. Se una di loro può sembrar bella, questo è il risultato di una molto laboriosa applicazione di cosmetici. La sua bellezza è fatta di mirra, di tintura per capelli, di belletto. Se togli alla donna tutti i suoi artifici, sembra il passerotto della favola cui sono state tolte le piume.” Il mondo della donna è infido perché è segreto. La separatezza sociale fra il gruppo degli uomini e quello delle donne, il loro modo di vivere “diverso”, la scrupolosa distinzione fra attività femminili e attività maschili, tutto questo ha verosimilmente contribuito molto a sviluppare nell'esperienza dell'uomo ellenico questo stato d'inquietudine nei confronti della donna come oggetto misterioso e fallace. Ingannevole nel corpo, celato dalla sapienza delle vesti e suscettibile di delusioni una volta scoperto; si pensa subito a imperfezioni abilmente mascherate; si trema all'idea di possibili difetti ripugnanti...; il mistero e le particolarità del corpo femminile sono carichi di poteri ambigui. Volete, diceva Ovidio, guarire da una passione? Osservate un po' più da vicino il corpo della vostra amante. E ingannevole, la donna lo è anche nei costumi, con la vita segreta che conduce e che si richiude su chissà quali inquietanti misteri. Nell'argomentazione che lo Pseudo-Luciano attribuisce a Callicratida, questi temi hanno un significato preciso; essi permettono di mettere in causa il principio della reciprocità dei piaceri nel rapporto con le donne. Come vi potrebbe essere una simile reciprocità se le donne sono ingannatrici, se coltivano piaceri tutti particolari, se, di nascosto dagli uomini, si abbandonano a segrete dissolutezze? […] L'argomento del maquillage può forse apparire un po' banale, in questo dibattito che vede contrapposte le due forme d'amore; esso però poggia, per gli Antichi, su due elementi piuttosto seri: l'inquieto timore ispirato dal corpo femminile, e il principio filosofico e morale in base al quale un piacere è legittimo solo se l'oggetto che lo suscita è autentico. Nell'argomentazione pederastica, il piacere con la donna non può avere reciprocità in quanto si accompagna a troppa finzione.

Il piacere preso con i ragazzi è posto, al contrario, sotto il segno della verità. La bellezza del giovane è reale, perché non ricorre a preparativi ricercati. Come fa dire Achille Tazio a uno dei suoi personaggi: “La bellezza dei ragazzi non è impregnata di essenze di mirra, né di profumi ingannatori e innaturali; eppure, il sudore dei ragazzi profuma più di tutti i cosmetici di una donna”. Alle ingannevoli seduzioni della toilette femminile, Callicratida contrappone il ritratto del ragazzo che non indulge ad alcuna ricercatezza: di buon mattino salta giù dal letto, si lava con acqua pura; non ha bisogno di specchio né di pettine; si getta la clamide sulla spalla e si affretta alla volta della scuola; in palestra, si esercita con slancio gagliardo, suda, fa un rapido bagno; e, dopo aver ascoltato le lezioni di saggezza che gli vengono impartite, si addormenta quasi subito sotto l'effetto delle sane fatiche della giornata. Come non desiderare di dividere la propria vita con un ragazzo così schietto? Si vorrebbe “passare il proprio tempo standosene seduti di fronte a questo amico”, approfittando del piacere della sua conversazione e “prendendo parte a tutte le sue attività”. Saggio piacere che non durerebbe solo il tempo fugace della gioventù; dal momento che non ha come oggetto la grazia fisica destinata a svanire, può durare tutta la vita: vecchiaia, malattia, morte, e perfino sepoltura, tutto può essere messo in comune; financo “la polvere delle ossa”. […]

Il testo dello Pseudo-Luciano insiste soprattutto su di un punto importante: la costituzione, in questo affetto che continua dopo l'adolescenza, di un legame in cui il ruolo dell'erastès (amante) e quello dell'eròmenion (amato) non possono più essere distinti, essendo l'uguaglianza perfetta e la reversibilità totale. Come nel caso, dice Callicratida, di Oreste e di Pilade, a proposito dei quali l'interrogativo tradizionale era, come del resto per Achille e Patroclo, chi fosse l'amante e chi l'amato. Pilade sarebbe stato l'amato; ma, giunto con il passare degli anni il momento della prova — si tratta, per i due amici, di decidere chi dei due dovrà esporsi alla morte —, l'amato si comporta da amante. In questo, bisogna vedere un modello. È infatti così, dice Callicratida, che deve trasformarsi l'amore serio e appassionato concepito per il ragazzo (il famoso spoudaios eròs); quando arriva il momento in cui la gioventù è finalmente capace di ragionare, esso deve passare alla forma virile (androusthai). In questo affetto maschile, colui che era stato amato “ricambia a sua volta l'amore”, al punto che diventa difficile sapere “chi dei due è l'erastès”; l'amore di chi ama è rimandato all'amante dall'amato come un'immagine riflessa in uno specchio. La restituzione, da parte dell'amato, dell'amore ricevuto aveva sempre fatto parte dell'etica pederastica, sia sotto forma di aiuto nelle avversità, che di assistenza durante la vecchiaia, di sodalizio nel corso della vita o di eventuale, non previsto, sacrificio. Ma l'insistenza dello Pseudo-Luciano nel sottolineare l'uguaglianza dei due amanti, e l'uso che egli fa dei termini che caratterizzano la reciprocità coniugale, sembrano evidenziare la preoccupazione di piegare l'amore maschile al modello della vita a due qual era descritta e prescritta dal matrimonio. […] Nel discorso di Callicratida, il contrasto fra corpi maschili e corpi femminili è messo in risalto nella stessa misura in cui l'etica della vita a due sembra invece avvicinare l'affetto virile al legame coniugale.

Vi è tuttavia una differenza essenziale, ed è che se l'amore per i ragazzi è definito come il solo in cui possono conciliarsi virtù e piacere, quest'ultimo non è mai designato come piacere sessuale. Incanto di quel corpo giovane, senza trucco né inganno, di quella vita retta e assennata, delle conversazioni confidenziali, dell'affetto contraccambiato... tutto questo è innegabile. Ma il testo lo mette bene in chiaro: a letto, il ragazzo è “senza compagno”, e non si guarda in giro quando sta andando a scuola; la sera, poi, stanco com'è per l'operosa giornata, si addormenta subito. E agli amanti di ragazzi come questi, Callicratida dà un consiglio formale: restare casti come lo era Socrate quando riposava accanto ad Alcibiade, avvicinarli con temperanza (sòphronòs), non sciupare un affetto importante per un piacere da poco.

Ed è la lezione che sarà tratta, a conclusione del dibattito, quando, con ironica solennità, Licino assegna la palma: vincitore è il discorso che ha celebrato l'amore per i ragazzi, nella misura in cui è praticato dai filosofi e si attiene a legami di amicizia “giusti e senza macchia”. Il dibattito fra Caricle e Callicratida si conclude così con una “vittoria” dell'amore per i ragazzi. Vittoria conforme a uno schema tradizionale che riserva ai filosofi una pederastia in cui il piacere fisico viene eluso. Vittoria, tuttavia, che lascia a tutti non solo il diritto, ma il dovere di sposarsi (secondo una formula che vigeva presso gli stoici: pantapasi gamèteon). Si tratta, infatti, di una conclusione sincretica, che sovrappone all'universalità del matrimonio il privilegio di un amore per i ragazzi riservato a coloro che, filosofi, sono capaci di una “perfetta virtù”.

Non si deve tuttavia dimenticare che questo dibattito, il cui carattere tradizionale e retorico è insito nel testo stesso, è a sua volta inserito in un altro dialogo: quello di Licino con Teomnesto che gli chiede quale dei due amori debba scegliere, sollecitato com'è sia dall'uno che dall'altro. Licino riferisce dunque a Teomnesto il “verdetto” reso a Caricle e Callicratida. Ma subito Teomnesto ironizza su quello che è stato il punto focale del dibattito e sulla condizione della vittoria dell'amore pederastico: esso, cioè, ha vinto in quanto legato alla filosofia, alla virtù, e dunque alla eliminazione del piacere fisico. Si deve credere che questo è realmente il modo in cui si amano i ragazzi? Teomnesto non s'indigna, come faceva Caricle, per l'ipocrisia di un simile discorso. Là dove, per conciliare piacere e virtù, i fautori dei ragazzi sostengono l'assenza di ogni atto sessuale, egli riporta alla ribalta, come vera ragion d'essere di questo amore, i contatti fisici, i baci, le carezze e la gioia. Come farci credere, egli dice, che tutto il piacere di questa relazione consista nel guardarsi negli occhi e nel bearsi all'ascolto delle reciproche conversazioni? La vista, certo, è fonte di godimento, ma non è che un primo momento. Poi viene il tatto, che invita tutto il corpo a godere. E quindi il bacio che, timido dapprima, si fa ben presto consenziente. Né la mano nel frattempo resta inoperosa; avanza sotto le vesti, si posa con leggera pressione sul petto, scende lungo il ventre sodo, raggiunge “il fiore della pubertà” e finalmente colpisce il bersaglio.

Questa descrizione non ha per Teomnesto, né certo per l'autore del testo, valore di rifiuto nei confronti di una pratica inammissibile. Serve a ricordare che è impossibile — se non a costo di un insostenibile artificio teorico — relegare gli aphrodisia fuori dell'ambito dell'amore e delle sue giustificazioni. L'ironia dello Pseudo-Luciano non è un modo di condannare il piacere che si può cogliere con i ragazzi e che egli evoca con un sorriso; è un'obiezione essenziale ai vecchissimi argomenti della pederastia greca, i quali, per poterla pensare, formulare, mettere in discussione e giustificare, adombravano la presenza manifesta del piacere fisico. Egli non dice che, l'amore per le donne è migliore, ma mette in risalto l'intrinseca debolezza di un discorso sull'amore che non faccia posto agli aphrodisia e ai rapporti che all'insegna di questi si stringono.

 

Michel Foucault. Terzo volume della “Storia della sessualità” – La cura di sé.
IV parte - I ragazzi, 2° capitolo - Lo Pseudo-Luciano.


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A celle qui est trop gaie / Dalle parti del Dôme / Il primo oggetto / Del perchè l'amante vuole essere amato

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