Lei è l'Altro

Botticelli's Venus - Andy Warhol


La storia ci ha mostrato che gli uomini detengono da sempre i poteri concreti; dai primi tempi del patriarcato hanno giudicato conveniente tenere la donna in stato di minorità; i loro codici le sono ostili; in tal modo la donna fu posta concretamente come l'Altro. Tale condizione serviva gli interessi economici dei maschi; e conveniva inoltre alle loro presunzioni ontologiche e morali. Dal momento che il soggetto cerca di affermarsi, l'altro che lo limita e lo nega gli è necessario; il soggetto non si realizza che attraverso questa realtà estranea. Da ciò dipende che la vita dell'uomo non è mai pienezza e riposo, ma difetto, movimento, lotta. Davanti a sè l'uomo trova la natura; le è superiore e tenta di impadronirsene. Ma la natura non è capace di soddisfarlo (...): l'uomo rimane solo; solo quando tocca una pietra, solo quando digerisce un frutto. Non c'è presenza dell'altro. La reale alterità consiste in una coscienza separata dalla mia e identica a sè. L'esistenza degli altri uomini strappa ognuno dalla propria immanenza e gli permette di adempiere la verità del suo essere, di realizzarsi come trascendenza, come finalità. Ma la libertà dell'altro entra in conflitto con la mia; ogni coscienza pretende di porsi come soggetto unico e sovrano. Cerca di realizzarsi precipitando l'altro in schiavitù.

Il dramma potrebbe superarsi mediante il libero riconoscersi di ciascun individuo nell'altro, ciascuno ponendo insieme sè e l'altro come oggetto e come soggetto di un movimento reciproco. Ma l'amicizia, la generosità per le quali si effettua concretamente questo riconoscersi delle libertà, non sono virtù facili. Esse rappresentano certo la più alta meta dell'uomo, sulla loro strada si trova la verità. Si consideri però che si tratta di una verità che nasce da lotte iniziate e abolite con un ritmo incessante; di una verità che esige dall'uomo un continuo superarsi, una tensione costante.

Così, incapace di compiersi in solitudine, l'uomo, mettendosi in relazione coi propri simili, è in continuo pericolo; la sua vita è un'impresa difficile, la cui riuscita non è mai sicura. Tuttavia egli non ama la difficoltà; ha paura del pericolo. Aspira in modo contraddittorio alla vita e al riposo. Sa che la distanza dall'oggetto è la garanzia della sua presenza davanti a sè; ma nell'inquietudine sogna la quiete e una opaca pienezza. La donna è precisamente quel sogno incarnato; lei è il desiderato intermediario tra la natura straniera e il suo simile che gli è troppo identico. Non gli oppone il silenzio ostile della natura, nè la dura esigenza di un riconoscersi reciproco; per un privilegio eccezionale, ella è una coscienza e tuttavia sembra possibile impadronirsi della sua carne. Grazie a lei c'è un modo di sfuggire all'implacabile dialettica del padrone e dello schiavo, che ha origine nella reciprocità delle libertà.

Non ci furono mai donne primitivamente libere, ridotte poi in schiavitù dal maschio e la divisione dei sessi non ha mai dato luogo a una divisione in caste. È sbagliato voler assimilare la donna alla schiava; ci furono donne tra gli schiavi, ma ci furono donne libere, cioè rivestite di una dignità religiosa e sociale; esse accettavano la sovranità dell'uomo, ed egli non si sentiva insidiato da una rivolta che tendesse a trasformarlo a sua volta in oggetto. La donna appariva in tal modo come (...) l'Altro in assoluto, senza reciprocità. Tutti i miti della creazione esprimono questo inamovibile punto di vista, prezioso per il maschio; tra gli altri, la leggenda della Genesi, che, attraverso il cristianesimo, si è perpetuata nella civiltà occidentale. Eva non è stata formata insieme all'uomo; nel formarla, non si usò nè una materia diversa, nè la stessa creta ch'era servita a modellare Adamo; ella fu estratta dal fianco del primo maschio. Nemmeno la sua nascita è stata autonoma; Dio non ha scelto spontaneamente di crearla per un fine proprio, autonomo, limitato a lei sola, e per esserne adorato direttamente, in compenso. L'ha destinata all'uomo. L'ha regalata ad Adamo per salvarlo dalla solitudine. Lei nel suo sposo ha principio e fine; lei è il suo completamento, nella forma dell'inessenziale. È una preda privilegiata. È la natura innalzata alla lucidità della coscienza, è una coscienza naturalmente sottomessa.

Ed è questa la meravigliosa speranza che l'uomo spesso pone nella donna; egli spera di compiersi come essere nel possesso carnale di un essere, facendosi nel contempo confermare nella propria libertà da una docile libertà altrui. Nessun uomo acconsentirebbe ad essere una donna, ma tutti si rallegrano che vi siano le donne. «Ringraziamo Dio che ha creato la donna». «La Natura è buona perchè ha donato all'uomo la donna». In tali frasi e altre analoghe, l'uomo afferma una volta di più con arrogante candore che la sua presenza in questo mondo è un fatto ineluttabile e un diritto; quella della donna nient'altro che un caso, ma un caso fortunato. Nella donna si incarna positivamente il vuoto che l'esistente porta nel cuore e l'uomo spera di realizzarsi cercando di raggiungersi attraverso lei.

Tuttavia la donna non ha rappresentato sempre ai suoi occhi la parte dell'Altro, nè ha conservato in ogni momento della storia la medesima importanza. Vi furono momenti in cui altri idoli la eclissarono. Quando la Città, lo Stato divorano il cittadino, non c'è più modo di occuparsi del proprio destino privato. In quanto votata allo Stato la donna di Sparta fruisce di una condizione superiore a quella delle altre donne greche. In cambio gli uomini non fantasticano su di lei, non la trasfigurano. Il culto del capo, sia Napoleone, Hitler o Mussolini, esclude ogni altro culto. Nelle dittature militari, nei regimi totalitari, la donna non è più un oggetto privilegiato. Si capisce che la donna sia idolatrata in un paese ricco e incapace di dare un senso alla vita: è ciò che accade in America. (...) Occorre però osservare che pochissimi uomini coincidono esattamente col soldato, col militante che hanno scelto di essere; nella misura in cui restano individui, la donna conserva ai loro occhi un valore speciale. Ho visto lettere di soldati tedeschi a prostitute francesi nelle quali, a dispetto del nazismo, la tradizione del fiore azzurro si confermava ingenuamente vitale. Scrittori comunisti come Arangon in Francia e Vittorini in Italia conferiscono nelle loro opere un posto di prim'ordine alla donna, amante e madre.

Forse il mito della donna un giorno si spegnerà; più le donne si affermano come esseri umani, più la meravigliosa qualità dell'Altro muore in loro. Ma oggi esiste ancora nel fondo di tutti gli uomini. Ogni mito implica un soggetto che proietti speranze e timori su un cielo trascendente. Le donne, impotenti a porsi come soggetto, non hanno creato un mito virile in cui si riflettano i loro disegni; non hanno una religione o una poesia che appartengano loro in proprio; sognano attraverso gli occhi degli uomini. Adorano gli dei fabbricati dai maschi. Costoro hanno formato, per esaltarsi, le grandi figure virili (Ercole, Prometeo, Parsifal); nel destino di codesti eroi la donna recita una parte secondaria. Non c'è dubbio che esistano anche immagini stilizzate dell'uomo per quanto riguarda i suoi rapporti con la donna: egli allora sarà il padre, il seduttore, il marito, il geloso, il figlio buono, il figlio cattivo; ma anche queste immagini furono gli uomini a fissarle, ed esse non attingono la dignità del mito; non sono che decalcomanie. La donna è definita solo in base al suo rapporto con l'uomo. L'asimmetria delle due categorie, maschio e femmina, si manifesta nell'aspetto unilaterale dei miti sessuali. Si dice qualche volta «il sesso» per designare la donna; lei è la carne, con le sue delizie e i suoi pericoli; ma che per la donna sia l'uomo l'essere sessuato e carnale è una verità che non è mai stata detta, perchè non c'è nessuno a dirla. La rappresentazione del mondo come tale è opera dell'uomo; egli lo descrive dal suo punto di vista, che confonde con la verità assoluta.

È sempre difficile descrivere un mito. Non si lascia cogliere, nè limitare, perseguita le coscienze senza mai collocarsi davanti ad esse come un oggetto definito. È così ondeggiante, così contraddittorio che è difficile afferrarne subito l'unità: Dalila o Giuditta, Aspasia o Lucrezia, Pandora o Athena, la donna è insieme Eva e la Vergine Maria. È un idolo, una schiava, la sorgente della vita, una potenza delle tenebre; è il silenzio elementare della verità, è artificio, chiacchiera e menzogna; è la preda dell'uomo e la sua confusione, è tutto ciò che egli non ha e che vorrebbe avere, la sua negazione e la sua ragion d'essere.

«Essere donna - dice Kierkegaard - è qualcosa di così strano, fluido e complicato che nessun predicato giunge a esprimere la cosa e i molteplici predicati che si vorrebbero adoperare finirebbero per contraddirsi in modo tale che soltanto una donna lo potrebbe sopportare». Ciò nasce dal fatto che la donna è considerata non positivamente, per ciò che ella è per sè; ma negativamente, come appare all'uomo. La sua ambiguità è l'ambiguità stessa dell'idea di Altro. L'Altro è il Male; ma, necessario al Bene, torna al Bene. Mediante esso trovo la via del Tutto, eppure è l'Altro che me ne separa; è la porta dell'Infinito e la misura della mia finitezza. Questa è la ragione che impedisce alla donna di incarnare un concetto stabile; attraverso lei si compie senza posa il passaggio dalla speranza alla delusione, dall'odio all'amore, dal bene al male, dal male al bene. Sotto qualunque aspetto venga considerata, questa ambivalenza colpisce immediatamente.

Simone De Beauvoir - «Il secondo sesso» (1949)


«Suite per Flauto e Arpa», 4° movimento, Roberto Di Marino, clicca qui se vuoi leggere lo spartito


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