L'ATTACCO A PEARL HARBOR
(7 DICEMBRE 1941)
"Tora! Tora! Tora!"
L'ARIZONA | LA CALIFORNIA |
L'ATTACCO A PEARL HARBOR VISTO DAGLI AMERICANI
SCALATE IL MONTE NIITAKA
(TRATTO DA "LA GUERRA DEL PACIFICO" DI B. MILLOT)
Il piano escogitato dall'ammiraglio Yamamoto, l'attacco cioè della flotta americana alla fonda a Pearl Harbor, poggiava su un postulato essenziale: la sorpresa. Bastava che gli americani la sospettassero sia pur minimamente e l'operazione avrebbe perduto il suo carattere stupefacente e con ciò la sua stessa ragione d'essere.
Il segreto che circondò i preparativi fu eccezionale e vennero adottati provvedimenti di sicurezza draconiani.
A metà novembre 1941 l'addestramento a ritmo serrato era finito, gli equipaggi e i mezzi potevano considerarsi prontissimi. A bordo delle navi prescelte per l'operazione vennero imbarcati gli ultimi rifornimenti, mentre le prime unità già salpavano l'ancora.
Le navi arrivarono così a scaglioni o singolarmente il 22 novembre nel punto di riunione, la baia di Tankan (chiamata altresì Hitokappu), nell'isola quasi deserta di Etorofu.
Quest'isola situata nelle Curili meridionali era stata scelta
perché pochissimo popolata, perché non vi si
trovava un solo straniero e perché rimaneva quasi sempre avvolta in una nebbia impenetrabile. Essa costituiva l'incontro provvidenziale per
una missione del genere.
Nel frattempo, radioperatori di ogni grande nave, servendosi dei consueti segnali di riconoscimento e del loro c tocco personale. erano
rimasti a Kure, nell'isola di Hondo dell'arcipelago giapponese, e mantenevano un traffico radio apparentemente immutato. Questa ulteriore
precauzione si rivelò assennata, poiché non soltanto ingannò i servizi di ascolto americani, ma anche certi ufficiali giapponesi, all'oscuro di tale astuzia, tra i quali lo stesso ammiraglio Kusaka, il quale, a un momento, pensò che vi fossero fughe di notizie.
Alla fine di quel pomeriggio del 22 novembre, le 31 navi che formavano il corpo di spedizione di Pearl Harbor, posto agli ordini del vice ammiraglio Chuiki Nagumo, erano riunite nell'inospitale baia di Tankan.
Nella luce fioca del crepuscolo invernale, si intravedevano, attraverso la nebbia fredda e umida, le masse imponenti di sei portaerei, la Kaga e l'Akagi nave ammiraglia della Kido Butai, la Soryu e I'Hiryu, un po' più piccole, della 2° divisione, e la Shakaku e la Zuikaku, recentissime, della 5. divisione.
Un po' più lontano, il gruppo d'appoggio comprendeva le alte sagome di due corazzate antiquate ma veloci, la Hiei e la Kirishima della terza divisione di linea, e i due incrociatori pesanti nuovissimi Tane e Chikuma dell'8° divisione incrociatori.
Più vicino alla riva si vedeva l'incrociatore leggero Abukuma conduttore della I squadriglia cacciatorpediniere comprendente le 9 torpediniere di scorta Tanikaze, Urakaze, Isakaze, Hamakaze, Kasuni, Arare, Kagera,Shiranuhi e Akiguma.
Più oltre si scorgevano a malapena i profili di tre sommergibili del gruppo di pattuglia I. 19, I.21 e I.26. E in ultimo, un po' in disparte, annegate nella nebbia, v'erano le 8 petroliere e navi rifornimento al seguito della squadra.
Anche qui vennero adottate misure di sicurezza per garantire il segreto più assoluto sulla missione. Gli equipaggi furono consegnati, e i rifiuti, di solito gettati in mare, vennero triturati e conservati.
La scelta della rotta da seguire era stata oggetto di accese discussioni e, dopo aver rinunciato alla rotta sud che passava per le isole Marshall, nel timore di possibili indiscrezioni, e alla rotta centrale, perchè troppo vicina alle linee del commercio internazionale, si optò per la rotta nord, più lunga, e in un mare non di rado tempestoso, ma al riparo da incontri incresciosi. Inoltre la squadra aveva avuto l'ordine di colare a picco senza preavviso qualsiasi bastimento, anche giapponese, incontrato durante la rotta di avvicinamento.
E per giunta, l'ammiraglio Yamamoto aveva raccomandato all'ammiraglio Nagumo di invertire la rotta se la squadra fosse stata avvistata due giorni prima del giorno J. Nel caso che questa eventualità si fosse determinata un giorno prima del giorno l, l'ammiraglio Nagumo rimaneva il solo giudice e doveva decidere se effettuare l'operazione o rinunciarvi.
Attenendosi alle direttive dello stato maggiore generale, l'ammiraglio Yamamoto trasmise personalmente il 25 novembre l'ordine di salpare
il mattino del 26, reiterando la consegna dell'assoluto silenzio radio.
Preceduti dai sommergibili partiti parecchie ore prima, i cacciatorpediniere uscirono dalla baia alle ore 6, nella notte ancor buia, flagellati da un vento violento e glaciale. Poi, ad una ad una, le grandi navi si misero in moto.
Alle 8 la baia rimaneva deserta e non appena in alto mare la flotta assunse la formazione di navigazione.
Le sei portaerei si disposero su due colonne di tre avendo ciascuna una nave di linea in coda e un incrociatore pesante spostato di prora e alcuni cacciatorpediniere che proteggevano i fianchi, mentre gli altri erano spiegati in linea di fronte davanti alla formazione.
I sommergibili svolgevano compiti di esplorazione 200 miglia di prora e assicuravano la protezione della flotta. Quest'ultima navigava in
formazione raccolta e a bassa velocità per economizzare combustibile e consentire alle petroliere e alle navi onerarie di mantenere le loro
posizione.
Il mare era tempestoso con onde lunghe, il vento non riusciva a disperdere la fitta nebbia. I caccia torpediniere sembravano tuffarsi e poi riemergere dalle onde tanto beccheggiavano.
Il 28 novembre si tentò di fare rifornimento in mare, ma gli elementi erano scatenati a tal punto che fu necessario rinunciare. Numerosi marinai furono spazzati via dalle grosse tubazioni e dalle gomene e annegarono.
Il 30 la stessa operazione venne ritentata, con risultati un po' migliori; ciononostante, alcuni fusti
di benzina ruppero gli attacchi e rotolarono sventrandosi.
La navigazione continuò e i radioperatori in ascolto delle emittenti americane non captarono nulla che lasciasse supporre la scoperta
dell'operazione.
L'ammiraglio Nagumo era però preoccupato.
Le corazzate e gli incrociatori del vice ammiraglio G. Mikawa non sembravano risentire troppo della tempesta, ma il contrammiraglio S. Omori, sull'incrociatore leggero Abukuma era impegnatissimo nel far si che i suoi fragili cacciatorpediniere, i quali danzavano frenetici sul mare scatenato, si mantenessero in formazione.
La maggior parte degli ufficiali superiori e un centinaio di ufficiali di aviazione erano stati informati dell'operazione, ma tutti gli altri degli equipaggi non ne sapevano nulla.
Il 2 dicembre l'ammiraglio Nagumo ricevette il messaggio fatidico : Niitaka fama Nobore (Scalate il monte Niitaka).
Gli ultimi dubbi si dileguarono. Questo messaggio significava infatti che le trattative a Washington erano fallite e che la prevista operazione doveva essere attuata 1'8 dicembre (il 7 alle Hawaii).
Gli equipaggi vennero adunati e informati dello scopo della missione.
Fu un delirio generale e un uragano di Banzai .(letteralmente: Diecimila anni di vita all'imperatore!). A partire da quel momento fu febbrile l'atmosfera in cui gli aviatori studiarono i loro obiettivi particolareggiati su carte a grande scala, su modelli in rilievo e su planimetrie, a frequenti intervalli misero in moto i motori, verificarono i comandi, controllarono le armi.
Grazie all'eccellente rete di spionaggio, la flotta riceveva parecchie volte al giorno, ritrasmessa da Tokio, la situazione delle navi americane nella base di Pearl Harbor .
Ci si avvicinava alla meta. L'ammiraglio Nagumo, desiderando avere piene le casse di nafta nell'eventualità di una precipitosa ritirata, fece
rifornire di carburante tutte le sue navi tra il 5 e il 6 dicembre, e le 5 petroliere lasciarono la squadra per rientrare in patria.
Il 6 dicembre l'ammiraglio Isoroku Yamamoto inviò un messaggio di incoraggiamento.
Sull'albero della nave ammiraglia Akagi salì la bandiera Z, che l'ammiraglio Togo aveva alzato a Tsushima nel 1905, e la flotta, liberata delle navi onerarie, aumentò la velocità facendo rotta sud a 24 nodi.
A intervalli regolari, i messaggi trasmessi da Honolulu indicavano una situazione in pratica immutata della flotta americana.
Nella serata del 5, un nuovo telegramma non segnalò alcun pennacchio di fumo sui fumaioli delle navi americane, alcuna traccia di sbarramenti con palloni aerostatici e alcun indizio di allarme aereo.
Alle Hawaii non si sospettava manifestamente nulla.
Era un successo meraviglioso di tutte le misure di sicurezza, di tutte le eccezionali precauzioni delle quali si era
circondata la flotta imperiale.
Gli ultimi messaggi dalle Hawaii, però, non indicavano la sperata presenza delle portaerei americane, che costituivano l'obiettivo principale.
Il comandante dell'Akagi si consolò pensando che forse, all'ultimo momento, una o due portaerei sarebbero rientrate a Pearl Harbor nelle
prime ore del mattino, per consentire ai loro equipaggi di godersi il sacrosanto week-end americano.
L'ammiraglio Yamamoto aveva deciso che l'attacco doveva essere sferrato domenica, ben sapendo quale importanza rivestisse quel giorno di distensione e di riposo per le abitudini americane: pensava di sorprendere in questo modo la quasi totalità delle forze locali americane in un'atmosfera di vacanza.
L'aspetto psicologico aveva costituito un fattore importante nella concezione dell'operazione.
Il 6 dicembre, alle ore 16.52 (ora di Tokio), il sommergibile giapponese I. 72, di pattuglia al largo delle Hawaii, confermò che la flotta americana non si trovava nell'ancoraggio di addestramento di Lahana, bensì a Pearl Harbor.
All'1.20 di mattina del 7 dicembre (ora locale), Tokio ritrasmise uno degli ultimi messaggi pervenuti da agenti a Honolulu. Questo
telegramma riconfermava che tutto era normale.
In un silenzio radio totale, la flotta giapponese calò direttamente a sud verso Oahu. Ne distava meno di 250 miglia quando, alle ore 5.30, i
due incrociatori pesanti Tone e Chikuma catapultarono ciascuno un idrovolante, eseguendo così l'unica e ultima ricognizione aerea
prima
dell'attacco.
A bordo delle portaerei, la febbrile esaltazione, l'entusiasmo e l'impazienza aumentavano e i meccanici tornavano a verificare per l'ultima volta gli aerei sul punto di partire.
Gli aviatori si riunirono intorno a piccoli altari portatili scintoisti, poi si ritrovarono tutti nella sala operazioni. Insieme alle razioni speciali, ebbero allora le ultime indicazioni di volo e le rotte di ritorno. Alcuni minuti dopo presero posto sui loro apparecchi mentre le sei portaerei accostavano adagio per mettersi con la prua al vento.
La flotta si trovava in quel momento 230 miglia a nord-est di Oahu, su un mare sempre agitato che faceva oscillare i ponti.
E sotto un cielo coperto, alle prime luci dell'alba, alle 6 di quel 7 dicembre (ora locale), mentre le bandiere di decollo salivano sull'albero della nave ammiraglia Akagi, i primi apparecchi partirono.
Le partenze erano date in funzione dei movimenti di oscillazione dei ponti di volo, ogni aereo trovandosi lanciato all'estremità della pista quando la prua veniva sollevata dalle onde.
Partirono anzitutto i caccia, seguiti dagli aerosiluranti che a loro volta precedettero i bombardieri in picchiata e i bombardieri in quota. Poco tempo dopo, 183 apparecchi che costituivano la prima ondata, viravano assumendo la formazione di volo.
Comandati personalmente dal capitano di fregata Mitsuo Fuchida procedevano i 49 bombardieri in quota Nakajima tipo 97, che volavano a 2700 metri d'altezza; un po' più in alto e a sinistra v'erano i 51 bombardieri in picchiata Aichi tipo 99, a destra e un po' più in basso i 40 apparecchi Nakajima tipo 97 armati con siluri e quindi, molto in alto, intorno ai 4000 metri di quota, i 43 caccia Mitsubishi tipo Zero che assicuravano la protezione.
Gli aviatori giapponesi, sorvolando un mare di nuvole, disperavano di individuare gli obiettivi, quando, verso le 7, udirono per radio il rapporto dei due idrovolanti di ricognizione del Tone e del Chikuma che annunciavano loro le condizioni atmosferiche sopra Pearl Harbor : "Nuvoloso a tratti". soprattutto sopra le montagne... plafond 1500 metri... visibilità buona.. »
Le apprensioni si dileguarono e il comandante Fuchida avvertì gli equipaggi che avrebbero attaccato da est e da ovest per evitare le montagne a nord di Oahu.
L'ATTACCO A PEARL HARBOR VISTO DAGLI AMERICANI
MAPPE DELL'ATTACCO DI PEARL HARBOR
LE PIU' GRANDI BATTAGLIE NAVALI