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Impero romano
e cristianesimo
Da Nerone a Costantino
Gli imperatori romani dovevano provvedere:
- ad amministrare un immenso territorio che, utilizzando riferimenti attuali, comprendeva Portogallo, Spagna, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Svizzerra, Austria, Ungheria, Italia, ex-Jugoslavia, Albania, Grecia, Romania, Turchia, Siria, Giordania, Palestina, Iraq, Armenia, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco;
- a difendere i confini dagli attacchi dei barbari;
- a mantenere l'ordine interno contro sollevazioni, congiure, attentati;
- a sostenere una economia complessa (opere pubbliche, trasporti, commercio estero).
E' difficile pensare che al centro dei loro problemi fosse una setta ereticale di origine ebraica, come veniva percepito il cristianesimo nel I secolo.
Fu solo nel III secolo, quando i cristiani si organizzarono e divennero uno Stato nello Stato, che gli imperatori cominciarono a preoccuparsi. Ma era troppo tardi.
L'Impero riuscirà a superare la profonda crisi politica, economica e militare del III secolo con Diocleziano. Ma all'inizio del IV secolo con Costantino cadrà sotto il controllo di una minoranza estranea alla cultura che aveva fatto Roma Aeterna.
"L'Asia e l'Europa, angoli dell'universo; il mare intero, una goccia dell'universo; il monte Athos, una zolla dell'universo; tutto il tempo presente, un attimo dell'eternità" (Marco Aurelio, Pensieri, VI, 36)
Località: Impero Romano
Epoca degli avvenimenti: I-IV secolo d.C.
Le persecuzioni contro i cristiani
Gli imperatori romani accusati di aver perseguitato i cristiani sono i seguenti:
- Nerone: Prima persecuzione (anno 64)
- Domiziano: Seconda persecuzione (anno 95)
- Traiano: Terza persecuzione (anni 108-112)
- Marco Aurelio: Quarta persecuzione (anno 177)
- Settimio Severo: Quinta persecuzione (anno 202)
- Massimino il Trace: Sesta persecuzione (anno 236)
- Decio: Settima persecuzione (anni 249-251)
- Valeriano: Ottava persecuzione (anni 257-258)
- Aureliano: Nona persecuzione (anni 270-275)
- Diocleziano: Grande persecuzione (anni 303-304).
Nerone (54-68)
La notte di plenilunio tra il 18 e il 19 luglio del 64 un incendio divampò a Roma. Iniziò nella zona del Circo Massimo e raggiunse il Palatino, la Suburra, il Viminale, Porta Capena, il Celio, le Carine, gli Orti luculliani e sallustiani, il Campo Marzio, la zona flaminia.
L'incendio divampò sei giorni, poi sembrò spegnersi ma riprese e durò altri tre giorni.
Nerone accorse a Roma per organizzare i soccorsi.
Si ricercarono i colpevoli dell'incendio.
La comunità ebraica di Roma era protetta da Poppea, la moglie di Nerone.
Le lotte all'interno della comunità tra cristiani e giudei ortodossi erano note a Nerone. Il prefetto del pretorio e il prefetto della città erano a conoscenza delle violenze tra i due gruppi. Venne emesso l'ordine di arresto contro alcuni cristiani, ritenuti gli autori dell'incendio. Furono condannati a morte.
L'episodio è anche narrato da Tacito, Annali XV, 44.
Tacito aggiunge che i cristiani erano perseguiti non solo per il reato di incendio, ma anche per il reato di "odio contro l'umanità". E conclude "Sebbene essi fossero colpevoli e meritassero le punizioni più gravi sorgeva un moto di compassione verso di loro, sembrando che venissero immolati non per il pubblico bene, ma per la crudeltà di uno solo".
Tacito, sostenitore del potere del Senato, era assolutamente ostile a Nerone e non perdeva occasione per denigrarne la figura.
Tito (79-81)
Nel 70 Tito, figlio primogenito di Vespasiano, portò a termine la riconquista di Gerusalemme dopo la rivolta ebraica iniziata nel 66.
Nel 68 Tito aveva incontrato la bella principessa ebrea Berenice, figlia di Agrippa I e sorella del re Erode Agrippa II. Da allora aveva avuto inizio una relazione che portò i romani a temere di dover sottostare ad una novella Cleopatra.
Berenice era strettamente osservante e aveva obbligato il re di Cilicia, uno dei suoi mariti, a farsi circoncidere per poterla sposare.
Si tramanda che al tempo di Nerone Berenice avesse incontrato Paolo.
L'influenza di Berenice su Tito fu notevole e ne beneficiarono sia ebrei che cristiani ancora non chiaramente distinti.
Domiziano (81-96)
Domiziano, secondogenito di Vespasiano e di Flavia Domitilla Maggiore, intraprese una politica di austerità e di rigidità morale. Condannò a morte tre vestali che non avevano osservato la castità e perseguitò adulteri ed omosessuali.
Domiziano aveva una grande venerazione per l'antica religione romana e celebrava con grande sfarzo gli antichi rituali.
Il tema principale delle coniazioni di Domiziano fu Minerva, la dea italica il cui culto era diffuso nella Sabina, luogo da cui traeva origine la famiglia dell'imperatore. Nel Foro venne iniziata la costruzione di un tempio dedicato alla dea. Sul Campidoglio restaurò il tempio di Giove Ottimo Massimo.
A corte ebbero una forte influenza il console Flavio Clemente e sua moglie Flavia Domitilla. Sembra che entrambi fossero di tendenza giudaizzante cristiana.
Nel 95 Flavio Clemente venne messo a morte e Domitilla venne inviata in esilio. Non è chiaro se il movente fosse un tentativo di successione dinastica da parte di Flavio Clemente o il suo atteggiamento troppo favorevole ai giudeo-cristiani. Venne messo a morte anche il consolare Acilio Glabrione.
I provvedimenti politici di Domiziano nell'ultima fase del suo impero hanno lo scopo di reprimere ogni forma di opposizione (senatoria e giudaico-cristiana) al suo governo.
Nel 96 Domiziano venne assassinato da Stefano, un liberto di Domitilla.
Traiano (98-117) e Adriano (117-138)
Traiano aveva emanato delle disposizioni sulle hetaeriae, associazioni fondate su comuni interessi e sulla reciproca assistenza.
I cristiani, che si erano venuti differenziando dagli ebrei, non riuscirono a far dichiarare licita la loro associazione religiosa e si trovarono ad essere al di fuori della legge.
Come scrisse Plinio il Giovane (61-113), esponendo il pensiero comune ad ampi strati della popolazione, la nuova religione era nihil aliud quam superstitionem pravam immodicam. In particolare risultava inaccettabile l'ostilità dei cristiani verso l'imago imperatoris e i deorum simulacra.
Nella religione romana l'adesione al culto pubblico era di per sé una professione di lealtà verso lo Stato ed un eserizio dei diritti di cittadinanza.
Durante i processi i cristiani venivano invitati dal presidente del tribunale a giurare nel nome della "Fortuna (Tyche) di Cesare" nelle aree di lingua greca, e nel nome del "Genio di Cesare" in quelle di lingua latina. Il Genio era la divinità personale che proteggeva e governava la vita dell'individuo.
I cristiani agli occhi dei romani sembravano essere nemici dello Stato e atei convinti. Il loro comportamento offendeva gli dei ed attirava la loro ira, provocando disgrazie alla popolazione (calamità naturali, carestie, epidemie, ecc.) e alle autorità statali (invasioni dei barbari, sconfitte militari, ecc.).
I rescritti che i due imperatori inviarono ai funzionari imperiali dell'Asia Minore (odierna Turchia), in risposta a richieste di chiarimento sulla procedura da seguire nei processi contro i cristiani, non manifestano ostilità, né segnano l'inizio di una politica repressiva.
Gli imperatori erano preoccupati di contenere l'ostilità popolare contro la nuova religione nell'ambito della legalità. Vennero fissati criteri e regole giuridiche per i processi contro i cristiani. Vennero posti dei limiti alle forme di arbitraria persecuzione.
Traiano, rispondendo ad una lettera di Plinio il Giovane, legatus Augusti pro praetore per la Bitinia, affermò che i cristiani non dovevano essere ricercati. Se denunciati dovevano essere condannati solo se la denuncia era firmata e se i cristiani non sacrificavano agli dei. Il testo dice esattamente che i cristiani conquirendi non sunt; si deferantur et arguantur, puniendi sunt, ita tamen ut qui negaverit se christianum esse idque re ipsa manifestum fecerit, id est supplicando diis nostris, quamvis suspectus in praeteritum, veniam ex poenitentia impetret.
Adriano, scrivendo al proconsole d'Asia Minucio Fundano, intorno al 125, aggiunse che l'accusatore doveva essere presente di persona al giudizio. Se l'accusa si rivelava infondata l'accusatore doveva essere condannato lui stesso. In ogni caso si doveva procedere in giudizio solo "se si dimostra qualche loro offesa alle leggi".
Siamo in presenza di una situazione di precarietà, ma non di persecuzione.
Celso (II secolo d.C.) e Porfirio (III secolo d.C.)
Celso, filosofo di tendenza platonica, compose in greco tra il 178 e il 180 un'opera in difesa della religione romana e in polemica con la nuova religione cristiana: Logos arethes (Il Discorso della verità). Ne abbiamo conoscenza per la confutazione che di essa fece nel 248 il cristiano Origene (185-253) nel Contra Celsum.
L'opera di Celso non fu l'unica nella polemica con i cristiani. Nel 270 il filosofo Porfirio (233-305) scrisse Contro i cristiani, un trattato in quindici libri, ma purtroppo non ci è giunto nulla in forza della condanna a seguito del decreto imperiale riportato nel Codice di Giustiniano I, 1, 3: "Decretiamo che tutte le opere che Porfirio, spinto dalla propria follia, o chiunque altro, abbia scritto contro la santa religione cristiana, presso chiunque trovate siano date alle fiamme, perché non vogliamo che quegli scritti che provocano l'ira di Dio o che offendono le anime, raggiungano le orecchie dei sudditi. Teodosio II e Valentinano III, il giorno 16 febbraio 448".
Celso concluse la sua opera con una esortazione ai cristiani: "Vi esorto dunque a sostenere con tutte le forze l'imperatore e ad impegnarvi insieme con lui nelle giuste imprese, a combattere per lui, a partecipare alle sue spedizioni, quando egli lo richieda, a porvi al comando degli eserciti con lui, a governare con lui la patria, se si rende necessario, e a fare questo per la salvezza delle leggi e della religione". (Il discorso della verità, VIII, 75)
Porfirio diceva "I cristiani li chiamano angeli, noi li chiamiamo dei perché sono vicini alla divinità. Perché litigare su un nome?".
Sia Celso, nel II secolo, che Porfirio, nel III secolo, si richiamavano ad una concezione monoteista. Lo stesso farà Salustio nel IV secolo. La religione romana vedeva negli dei delle espressioni e delle manifestazioni dell'unica potenza divina.
Marco Aurelio
Non risulta che Marco Aurelio, l'imperatore filosofo, abbia emesso decreti contro il cristianesimo.
Alcuni episodi di intolleranza furono opera di autorità locali.
Commodo (180-192)
Commodo, figlio di Marco Aurelio, si sposò nel 178 con Bruttia Crispina, che però venne ripudiata e messa a morte. Amante dell'imperatore divenne Marcia, filocristiana.
Nel 192 Marcia partecipò alla congiura che portò alla morte di Commodo.
Papa Callisto
Callisto era uno schiavo di Carpoforo, un liberto cristiano della casa imperiale. Carpoforo affida a Callisto la gestione di una banca, che però fallisce. Secondo quanto riferisce Ippolito, Callisto si era appropriato dei beni delle vedove e degli altri cristiani.
Callisto fugge, poi viene catturato e messo nel pistrinum a girare la mola.
Rimesso in libertà disturba le cerimonie dei giudei, che lo denunciano al prefetto urbano rivelando ufficialmente che Callisto è un cristiano.
Carpoforo allo scopo di salvare Callisto afferma che questi non è cristiano. Ma Callisto reagisce affermando la propria fede e viene condannato ad metallas in Sardegna.
Marcia, la concubina di Commodo, si fa dare da papa Vittore l'elenco dei condannati in Sardegna ed ottiene la grazia da Commodo. Callisto non fa parte dell'elenco, ma riesce lo stesso a farsi liberare convincendo i funzionari incaricati di un suo presunto rapporto con Marcia.
Callisto, tornato a Roma, ottiene un assegno mensile da papa Vittore che lo allontana da Roma, inviandolo ad Anzio.
Zeffirino, il successore di Vittore, lo richiama a Roma e gli affida la gestione delle catacombe (oggi chiamate Catacombe di S. Callisto).
Nel 217, alla morte di Zeffirino, Callisto diviene papa. Morirà nel 222.
Da rilevare la situazione precaria dei cristiani e la difficoltà della amministrazione giudiziaria romana. Basta la denuncia dei giudei per far condannare un cristiano. Ma un cristiano potente come Carpoforo può addirittura intervenire in giudizio a favore di Callisto sostenendo il falso. La donna più potente dell'Impero è filocristiana e interviene attivamente a favore di quanti sono stati condannati per cristianesimo ottenendone la libertà da un imperatore dal carattere malvagio, che aveva addirittura fatto uccidere la sorella. Un cristiano, forse non del tutto irreprensibile, ma esperto nella gestione degli affari diviene papa.
I Severi (193-235)
La dinastia di origine afro-siriaca si aprì alle influenze orientali soprattutto per l'influenza di Giulia Domna, la moglie siriaca di Settimio Severo, e di Giulia Mammea, madre di Alessandro Severo.
Il cristianesimo sembrò ai Severi assimilabile nel sincretismo religioso dell'epoca.
Ad eccezione di un breve periodo sotto Settimio Severo (193-211), i cristiani furono ampiamente tollerati.
Settimio Severo promulgò nel 202 un editto con cui si vietava ad ebrei e cristiani di fare proselitismo, ma tale editto fu presto dimenticato.
Sotto Alessandro Severo (222-235) i cristiani ebbero addirittura il favore dell'imperatore. Secondo la Historia Augusta Alessandro aveva nel suo larario, accanto ad Orfeo e ad Apollo, Abramo e Cristo.
Alessandro Severo concesse alle chiese cristiane di stare in giudizio e di disporre di beni.
Massimino il Trace (235-238)
Della sesta persecuzione non si ha alcuna traccia nella storiografia romana. Viene tramandata esclusivamente da scrittori cristiani.
Si afferma che Massimino tentò di restaurare la tradizione religiosa e militare dell'Impero abbandonando la politica tollerante dei Severi. Massimino avrebbe richiesto agli esponenti del clero cristiano di rendere omaggio all'imperatore.
Erodiano riporta che Massimino spogliò i templi degli dei romani, ma non parla mai di una persecuzione anti-cristiana. La crisi economica portò l'imperatore a fare requisizioni anche a spese della classe senatoria che organizzò una rivolta e fece uccidere Massimino.
Organizzazione dei cristiani (III secolo)
Tra la fine del II secolo e l'inizio del III i cristiani si organizzano: dottrina, liturgia, struttura gerarchica, presenza territoriale sono consolidati in tutto l'Impero.
Attraverso il confronto con gli eretici e i pagani si rafforzano e si chiariscono i concetti base del cristianesimo. Nasce l'apologetica: scritti finalizzati a combattere le idee degli eretici e dei pagani.
Si formano scuole teologiche che cominciano ad utilizzare anche gli strumenti della cultura greca e romana.
I romani percepivano il distacco dei cristiani rispetto all'Impero.
I cristiani avevano un loro sistema di vita e di credenze che ne facevano un'alternativa rispetto alla civiltà greco-romana.
La coscienza dei cristiani di costituire un genus diverso dagli altri cittadini dell'Impero non poteva non assumere valenza politica.
I cristiani erano presenti in tutti gli strati della popolazione, e non potevano essere identificati per lingua, territorio o razza ma solo per le loro idee e per le loro istituzioni.
La loro organizzazione era divenuta ricca e potente.
I fedeli lasciavano volentieri alle chiese i loro beni. Marcione lasciò la somma di 200.000 sesterzi quando la paga annua di un legionario era di 1.200 sesterzi.
Innumerevoli e molto proficue erano le iniziative imprenditoriali dei suoi membri.
La Chiesa si era venuta strutturando in forma gerarchica. Non era più fondata sul primitivo legame di carità e di fede, ma su quello ben più concreto di una dipendenza dai vescovi e dalle altre autorità ecclesiastiche.
Filippo l'Arabo (244-249)
Filippo l'Arabo fu favorevole al cristianesimo. Ma la notizia che si fosse convertito al cristianesimo, divenendo il primo imperatore cristiano, non ha avuto conferme.
Decio (249-251)
Decio, volendo riorganizzare l'Impero, raccolse intorno a sé tutte le forze spirituali del paganesimo. Per il suo impegno religioso venne chiamato restitutor sacrorum. Fece coniare una serie di monete con le effigi degli imperatori divinizzati. Nel momento della crisi interna ed esterna dell'Impero occorreva ricompattare le fila. Era in pericolo la stessa sopravvivenza della patria.
Decio promosse una grande azione religiosa e patriottica per riunire e dare fiducia a tutti i cittadini romani.
Nel 250 con un decreto stabilì che tutti i cittadini romani dovevano offrire un sacrificio agli dei o all'imperatore. In pratica bastava bruciare un pugno di incenso davanti alla statua dell'imperatore.
Decio aveva pensato ad una grandiosa azione sacrale individuale e collettiva. Era tutto il popolo romano che doveva chiedere agli dei la salvezza dell'Impero, non per mezzo dei suoi rappresentanti ma con un atto personale religioso e patriottico ad un tempo.
Coloro che sacrificavano ricevevano un certificato che attestava il compimento del loro atto sacrale. Gli altri venivano chiamati davanti ad una commissione che li sottoponeva a varie pressioni perché compissero il loro atto di fedeltà allo Stato.
Le autorità non avevano intenzione di uccidere chi non sacrificava, lo scopo del decreto era quello di unire non di dividere e perseguitare.
Decio morì nel 251 e il decreto non sopravvisse alla sua morte. Ma anche prima la sua applicazione era stata sostanzialmente abbandonata. Un grande atto di solidarietà collettiva non può essere diluito troppo nel tempo.
Il decreto di Decio, che aveva avuto valore solo per circa 18 mesi, non era stato rivolto contro il cristianesimo o qualsiasi altra religione.
Valeriano (253-260)
Nei primi quattro anni di governo Valeriano si dimostrò favorevole al cristianesimo. Poi emise due provvedimenti diretti ai cristiani.
Il primo editto, emesso nell'agosto del 257:
- prescrisse ai vescovi, ai preti e ai diaconi di sacrificare agli dei, pena il bando;
- proibì a tutti i cristiani le assemblee di culto e le riunioni nei cimiteri, pena la morte.
I cristiani potevano continuare ad esercitare la loro religione in privato, ma dovevano sacrificare agli dei protettori di Roma. La Patria era di nuovo in pericolo e tutti dovevano essere uniti nella sua difesa.
Il secondo editto, emesso a metà del 258, stabilì che:
- ai vescovi, ai preti e ai diaconi che si fossero rifiutati di sacrificare agli dei, sarebbe stata comminata la pena di morte;
- i senatori e i cavalieri cristiani avrebbero subito la confisca dei beni e sarebbero stati condannati a morte;
- le donne appartenenti a famiglie senatorie e dei cavalieri avrebbero perduto il proprio patrimonio e sarebbero state esiliate se non avessero abiurato;
- i dipendenti imperiali, sia a corte, sia nei domini dell'Impero, sarebbero stati condannati ai lavori forzati in quegli stessi domini e sarebbero stati privati dei loro beni se non avessero abiurato.
Il contenuto del secondo editto, principalmente incentrato sul sequestro dei beni a favore dello Stato, fa pensare che l'intenzione di Valeriano fosse meno religiosa e più economica: riempire le casse vuote dello Stato con i beni dei cristiani e delle autorità ecclesiastiche.
Nell'estate del 260, a Edessa, Valeriano cadde nelle mani del re di Persia Sapore I, fu imprigionato e scomparve.
I decreti di Valeriano ebbero valore per circa tre anni.
Gallieno (260-268)
Gallieno, figlio di Valeriano, abolì i decreti del padre, concesse a tutti i vescovi di rientrare dall'esilio e ordinò di riconsegnare alle chiese i loro beni.
Per più di quaranta anni nessun imperatore prenderà provvedimenti contro il cristianesimo.
Aureliano (270-275)
Non risulta che Aureliano abbia emesso decreti contro il cristianesimo.
Aureliano, soldato originario della Pannonia, associò la figura dell'imperatore al culto del dio Mitra, molto diffuso in ambito militare.
Diocleziano (284-305)
Diocleziano fu il restauratore dell'Impero. La sua intensa attività in campo economico, politico e militare consentì all'Impero di risorgere dalle rovine del III secolo.
Diocleziano, conformemente alla tradizione romana, non voleva imporre una religione uniforme ai cittadini dell'Impero, ma voleva rinnovare il culto degli dei in tutta la loro diversità.
La religione non era un fatto privato, ma pubblico. I sacerdoti erano dei magistrati dello Stato. Giulio Cesare era stato Pontefice Massimo ed a tale carica era stato regolarmente eletto.
Rifiutare di partecipare ai riti pubblici significava mettersi contro lo Stato, era un atto politicamente eversivo.
I cristiani con il loro rifiuto si mettevano contro tutta la tradizione romana e finivano per costituire uno Stato nello Stato.
Nessuno chiedeva ai cristiani di abbandonare la loro fede o i loro culti. Si chiedeva di partecipare anche simbolicamente alle cerimonie pubbliche.
Diocleziano nella sua opera di riorganizzazione aveva dato grande importanza a ordine pubblico, quiete, rispetto della tradizione e obbedienza. Non voleva una guerra di religione. Ma non poteva nemmeno accettare il comportamento eversivo dei cristiani.
La sua strategia consistette nell'attaccare l'organizzazione ecclesiastica e lo status civile dei cristiani, in particolare di quelli benestanti.
A partire dal 298 Galerio, che era Cesare di Diocleziano, aveva iniziato a chiedere ai suoi soldati di sacrificare agli dei, pena l'espulsione dall'esercito. Non si ha conferma della stretta applicazione del decreto che avrebbe potuto portare dei seri vuoti nella struttura militare. Era evidentemente un provvedimento finalizzato a ricompattare i soldati e gli ufficiali intorno all'imperatore, non certamente a distruggere la forza dell'esercito.
Nel 302 Diocleziano estese alle sue truppe l'editto di Galerio.
Poi il 24 febbraio 303 venne emesso un decreto con cui si ordinava:
- la distruzione delle chiese cristiane e la consegna dei libri sacri;
- che la gerarchia ecclesiastica sacrificasse agli dei.
Le pene previste erano la morte o i lavori forzati.
La tattica ebbe successo. Pochi arresti e ancora meno esecuzioni.
Qualche mese dopo il palazzo imperiale di Nicomedia venne incendiato. La camera da letto di Diocleziano venne raggiunta dalle fiamme. Si ritenne che gli autori fossero dei cristiani. Secondo Lattanzio l'autore sarebbe stato Galerio per incitare Diocleziano a prendere misure più drastiche.
Dopo l'incendio la persecuzione si accentuò. Anche la moglie e la figlia di Diocleziano furono costrette a offrire sacrifici. Ormai era diventato un test per verificare chi era dalla parte dell'Impero e chi contro.
In Siria e in Armenia ci furono delle sommosse cristiane.
Nell'estate del 303 Diocleziano emise un secondo editto che prevedeva l'arresto dei membri del clero. Ma le prigioni non potevano contenere tutti i prigionieri. Il decreto fallì completamente lo scopo.
Venne emesso un terzo editto che prevedeva l'amnistia, a condizione che il clero offrisse sacrifici.
La persecuzione si intensificò.
I decreti furono attuati principalmente nelle regioni orientali dell'Impero, dove comandava Galerio.
In Occidente le autorità furono molto più restie a dar seguito alla legge. In Gallia e in Bretagna non ebbe praticamente applicazione.
Nell'aprile del 304, mentre Diocleziano era malato, venne emesso un quarto decreto. Per la prima volta dai tempi di Decio la religione cristiana venne dichiarata ufficialmente religio illicita. A tutti i cittadini venne richiesto di fare sacrifici, pena la morte.
I magistrati volevano che i cittadini sacrificassero, non volevano la loro morte. Furono fatte pressioni in tutti i modi per evitare crudeltà e disordini, nonostante le provocazioni dei cristiani che cercavano il martirio.
Qualche giudice accettò anche il sacrificio all'"Unico Dio" senza precisare di chi si trattasse. I cristiani furono trascinati agli altari a forza e costretti ad aprire la mano con l'incenso. Alle autorità bastava una offerta formale.
Furono colpite in particolare la Bitinia, la Frigia, la Siria, l'Egitto e la Palestina.
Molti pagani non riuscivano a capire le ragioni della persecuzione. Ad Alessandria molti pagani nascosero i cristiani nelle loro case.
Intorno al 306 la persecuzione diminuì.
Sembra che i giustiziati fossero qualche migliaio.
Massenzio (306-312)
L'ascesa al potere di Massenzio in Occidente segnò la fine dell'applicazione degli editti di Diocleziano, d'altronde mai seriamente eseguiti.
Galerio (305-311)
Il 30 aprile del 311 Galerio, a nome anche di Costantino e di Licinio, emanò l'editto di Nicomedia. Galerio decretò la fine degli editti di Diocleziano, riconobbe ai cristiani libertà di culto e di riunione, restituì alle chiese i beni non ancora alienati dopo la confisca, ordinò la ricostruzione delle chiese. Il cristianesmo divenne ufficialmente religio licita.
Costantino (306-337)
Costantino fu autore di una politica particolarmente favorevole al cristianesimo:
- edificò nuove chiese e fece donazioni in loro favore;
- adottò simboli religiosi cristiani;
- nel 318 istituì un foro ecclesiastico con effetti giuridici;
- nel 319 vietò la magia e l'aruspicina effettuata nelle case private;
- nel 320 introdusse la settimana di sette giorni con l'obbligo festivo della domenica;
- nel 321 riconobbe alle chiese il diritto di ricevere eredità per testamento;
- nel 321 e nel 323 accordò ai preti il diritto di affrancare i propri schiavi senza formalità e di fungere da testimoni alle dichiarazioni con cui venivano affrancati gli schiavi da parte di altri in seno alle chiese;
- introdusse una legislazione ispirata ai principi dei cristiani (ad esempio soppresse le leggi di Augusto contro il celibato e punì i rapporti extra-coniugali).
I figli di Costantino (337-361)
I figli di Costantino (Costantino II, Costante e Costanzo) seguiranno la politica religiosa del padre. Concederanno privilegi ai cristiani e renderanno sempre più difficile la vita dei fedeli della religione romana.
Giuliano (361-363)
L'imperatore Giuliano tenterà il recupero dei valori della religione romana. Verrà fermato da una lancia, forse cristiana, mentre combatteva contro i Persiani.
Salustio fu collaboratore di Giuliano. Scrisse il trattato "Degli dei e del mondo" nel quale espose i principi fondamentali della religione romana:
- Esiste una Causa Prima, da cui derivano gli dei e da questi procede il mondo.
- Gli dei non sono antropomorfi.
- Il mondo è coeterno con gli dei da cui procede.
- Gli uomini hanno un'anima immortale, che partecipa del divino.
- L'anima è in grado di migrare da un corpo ad un altro in vite successive.
- I miti servono a palesare la verità sugli dei a tutti gli uomini in forme diverse.
- Il culto non serve agli dei, ma agli uomini.
- Fine di ogni uomo è l'unione con gli dei.
- L'unione si raggiunge operando secondo virtù, ossia secondo ragione e giustizia.
- Il male deriva da un errore di interpretazione del bene.
- Se le anime operano secondo virtù, dopo la separazione dal corpo si uniranno agli dei.
Teodosio (379-395)
Con Teodosio il cristianesimo divenne religione di stato e, nel 392, la religione romana venne proibita, pena la morte.
Si scatena la persecuzione contro i pagani.
Poco prima del 313 il cristiano Lattanzio (240-320) aveva scritto che non esistendo sulla terra nulla di più importante della religione " bisognava morire per essa, ma non uccidere; occorreva preservarla con la tolleranza, non con la violenza, con la fede, non con i crimini. Se pensate di difendere la religione causando spargimenti di sangue e infliggendo tormenti, di fatto non riuscirete nel vostro intento, piuttosto arrecherete alla religione stessa vergogna e disonore". (Divinae Institutiones I, 18, 8)
Riferimenti bibliografici:
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Antichità
classica
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Garzanti
|
|
Enciclopedia delle
religioni
|
Garzanti
|
Ammiano Marcellino |
Le storie
|
TEA
|
Brown P. |
Il mondo tardo antico
|
Einaudi
|
Cameron A. |
Il tardo impero romano
|
Il Mulino
|
Celso |
Contro i cristiani
|
Rizzoli
|
Filoramo G. (a cura di) |
Storia delle religioni
- 2. Ebraismo e cristianesimo
|
Laterza
|
Fini M. |
Nerone
|
Mondadori
|
Gibbon E. |
Destino e caduta
dell'Impero romano
|
Mondadori
|
Grant M. |
Gli imperatori romani
|
Newton
|
Gregorovius |
Vita di Adriano
|
Fratelli Melita
|
Levi M. A. |
Adriano
|
Rusconi
|
Marcone A. |
Costantino il Grande
|
Laterza
|
Mazzarino S. |
L'Impero romano
|
Laterza
|
Mazzarino S. |
La fine del mondo
antico
|
Rizzoli
|
Puech H.-C. |
Storia del cristianesimo
|
Mondadori
|
Rostovzev M. |
Storia economica
e sociale dell'impero romano
|
La Nuova Italia
|
Tacito |
Gli annali
|
Garzanti
|
Tantillo I. |
L'imperatore Giuliano
|
Laterza
|
Wells C. M. |
L'Impero romano
|
Il Mulino
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Williams S. |
Diocleziano
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ECIG
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Williams S. - Friell G. |
Teodosio
|
ECIG
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MAAT FORUM
MAAT
CONOSCERE
LA STORIA PER CREARE IL FUTURO
TO KNOW THE HISTORY TO CREATE THE FUTURE