E’ polemica per un sondaggio condotto
a livello europeo, che indica Israele come un pericolo per la pace. Una
nuova polemica, scoppiata soprattutto in Italia, mentre non si è
ancora placata quella relativa al Crocifisso di Ofena. Due polemiche vicine
nel tempo e due polemiche periodicamente ricorrenti, che mi suggeriscono
un accostamento tra il Crocifisso e Israele.
Chi ha una qualche familiarità
con i testi biblici non si stupirà di questo accostamento. Le letture
che utilizziamo nella liturgia sono piene di richiami a Israele; mattino
e sera, nei cantici del Benedictus e del Magnificat, torna puntuale il
riferimento a Israele; e quando leggiamo nel libro di Isaia i carmi del
Servo Sofferente il primo riferimento è proprio il popolo d’Israele,
anche per chi legge quelle pagine in chiave messianica riferita a Gesù.
Il Crocifisso e Israele possono
dunque essere accostati sia per le tragiche sofferenze patite sia perché
ambedue continuano ad essere segno di contraddizione, fanno discutere,
provocano scelte di campo, non solo tra i credenti. E’ bastato un sondaggio,
probabilmente mal impostato e mal presentato, per riaccendere la discussione
sui grossi temi che hanno dominato il XX secolo e sul tema fondamentale
della pace.
A chi si riferiva il sondaggio?
All’attuale governo israeliano? Allo Stato d’Israele? Al popolo ebraico?
Si tratta, secondo molti, di distinzioni necessarie, non sempre accettate
da parte ebraica perché il governo è il risultato di una
consultazione democratica, quindi rappresenta direttamente i cittadini
dello stato d'Israele, ma a quello Stato e soprattutto a quella Terra si
sente legato in modo indissolubile ogni membro del popolo ebraico.
Eppure mi sembrano distinzioni (distinguere
non significa necessariamente separare) necessarie, per una serie di motivi:
anzitutto per evitare ogni forma, magari subdola, di antisemitismo; per
poter al tempo stesso esprimere delle critiche nei confronti di un governo;
per non relegare il discorso della pace a livello di appelli generici,
senza entrare in giudizi storici che invece sono necessari: occorre parlare
di Shoà e di sicurezza per lo stato d’Israele, ma occorre parlare
anche dei Territori occupati, degli insediamenti nei Territori e del Muro
che avanza inesorabile. Difficile dar torto alle parole del Patriarca,
quando constata che l’attuale politica israeliana, giustificata con la
ricerca della sicurezza, di fatto rende sempre meno sicuro Israele. Vogliamo
condannare ogni rigurgito antisemita ma anche essere accanto alla condizione
inaccettabile del popolo palestinese, con una condanna altrettanto ferma
di ogni terrorismo. E’ possibile?
Il legame tra Israele e il problema
della pace è antichissimo, risale alle pagine dei Profeti biblici,
i quali, senza i nostri complessi derivati dall’antisemitismo e dalla Shoà,
sapevano penetrare nel profondo del cuore d’Israele per mettere in luce
le radici dell’ingiustizia e della violenza, ma anche per dirci che queste
non erano e non sono né israelitiche né israeliane ma tragica
esperienza dell’uomo e dell’umanità intera. Ecco Israele, “parabola”
dell’Umanità, ed ecco il Crocifisso, che si è presentato
e offerto come il Figlio dell’Uomo.