IVREA - Non è facile parlare
della serata di martedì 28 ottobre nella sala S. Marta di Ivrea
e non è facile parlare del libro che in essa veniva presentato:
“Maria, Lola e le altre in strada. Inchieste, analisi, racconti sulla prostituzione
migrante”. Perché si tratta di un argomento complesso, delicato,
mal conosciuto e scomodo.
Spingeva a essere lì, quella
sera, il fatto che il libro fosse presentato dal suo “curatore” (non autore,
come ha precisato) Andrea Morniroli, per molti anni attivissimo nella vita
politica e sociale di Ivrea, da alcuni anni trasferitosi a Napoli, dove
lavora nella cooperativa sociale “Dedalus”. Con lui sono intervenuti nel
dibattito Carla Giacchetto, del Gruppo Abele, Carla Corso, del Comitato
per i Diritti Civili delle prostitute, e Chiara Bertone, ricercatrice dell’Università
Piemonte Nord-Ovest.
Il libro illustra l’esperienza svolta
dalla Cooperativa “Dedalus” a Napoli con il progetto “La gatta”, definita:
Unità mobile di strada per l’intervento sulla prostituzione migrante,
attraverso azioni di informazione, di prevenzione e tutela della salute,
di supporto ai percorsi di uscita. Il progetto opera dal giugno 2000 ed
è tuttora in corso, sostenuto dal Comune di Napoli, dalla Caritas
Diocesana napoletana e altri enti. Analisi, inchieste, racconti di vita
arricchiscono il libro, offrendo un panorama ampio e articolato del fenomeno
prostituzione (non solo a Napoli), documentando la serietà e professionalità
del progetto, presentando anche analoghe esperienze di altre parti d’Italia
(come il Gruppo Abele) e riportando infine cenni di legislazione sul tema
in oggetto. Ma non si tratta solo di un rendiconto “tecnico”, utilissimo
agli addetti ai lavori o comunque a chi vi si interessi; ancora di più,
oserei dire, è utile al lettore medio che dai racconti di vita e
dai molteplici interventi è tratto a interrogarsi e verificare quanto
noi sappiamo di questo mondo. Nessun intento moralistico, nessun pregiudizio
negli operatori del progetto e nei relatori del libro; piuttosto una grande
capacità di ascolto e anche di rispetto e umiltà. Il rispetto
è l’atteggiamento, mi sembra, conduttore di tutta l’operazione,
che porta a riconoscere le donne come oggetti di diritto, riconoscendo
loro capacità di scelta e di assumersi delle responsabilità
e partecipare attivamente ai servizi attivati.
Altro punto importante è
la “riduzione del danno”, che tende non a eliminare il fenomeno, ma a limitarne
i rischi, non solo per le donne ma anche per i clienti e la comunità,
creando inoltre un sistema di fiducia tra le donne e gli operatori sociali.
Assolutamente negativa è giudicata l’azione delle retate e delle
espulsioni, che spingono i trafficanti a nascondere la prostituzione in
luoghi chiusi, difficilmente raggiungibili dagli operatori sociali. Nella
strategia del progetto importantissimo il ruolo delle mediatrici culturali,
cioè quelle operatrici sociali appartenenti alle stesse etnie delle
donne da avvicinare, di cui condividono cultura e lingua. Il progetto nasce
nella strada, dove l’unità mobile costituisce il primo punto di
riferimento per informazione, accoglienza, e anche ritrovo e relax delle
donne cui faranno poi seguito altri servizi più strutturati, come
il Centro d’Ascolto. Importante anche la rete che si è creata in
modo informale con tutte quelle persone che per la loro attività
vengono a contatto con il mondo della prostituzione: tassisti, baristi
ecc.
Un capitolo insolito del libro è
dedicato ai clienti, con invito alla riflessione. Dalla tipologia variegata
dei clienti sembra emergere la violenza, l’incapacità di rapporti
maturi e paritari, lo stress di una vita di corsa. Colpisce la richiesta
pressante di rapporti non protetti (e pagati al doppio o al triplo), che
induce a pensare al rapporto rischio/piacere. Emerge l’ipotesi che gli
uomini cerchino una risposta più a un bisogno di potere che di relazione.
Fenomeno mal conosciuto, si è
detto. A questa maggior conoscenza potrebbe servire il libro. Perché
le storie di queste donne sono tutte diverse fra di loro; perché
le motivazioni anche, e le reazioni, e noi non ce ne facciamo un’idea.
Perché non solo “le altre”. Sono donne, come noi.
liliana curzio