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BERNARDO PROVENZANO
L’arresto e brevi nozioni
PALERMO
- Si nascondeva a «casa sua», in un casolare del Corleonese: dopo oltre
quarant'anni di latitanza è stato preso il boss dei boss Bernardo
Provenzano. Ricercato dal 1963, era considerato la primula rossa numero uno
in Italia. Subito dopo il blitz ha ammesso la propria identità agli agenti
dello SCO e della Mobile di Palermo.
Il re della mafia è stato portato, scortatissimo, in questura a Palermo. Ad
attenderlo decine di giornalisti e cameraman e molta gente. Tante le persone
che hanno applaudito al passaggio delle auto.
Si sono sentiti anche
insulti nei confronti del boss: «Bastardo» ha gridato la folla.
Il capomafia è rimasto in silenzio a lungo e ha risposto solo alle domande
che gli investigatori gli hanno posto per accertare le sue generalità.
L'ARRESTO - Provenzano è stato trovato a pochi chilometri da Corleone nascosto in una masseria, in jeans e maglietta: in tasca aveva alcuni «pizzini», i bigliettini di carta scritti a macchina mandati ai destinatari da uomini fidati per dirigere i suoi affari miliardari visto che non utilizzava mai il telefono o il cellulare per evitare di essere intercettato.
TRADITO DAI «PIZZINI» - Proprio «intercettando» una serie di pizzini scritti dalla moglie e inviati per mezzo di una serie di staffettisti gli inquirenti sono arrivati a lui. In particolare, sono stati seguiti anche due pacchi che, dopo diverse tappe, sono giunti nella masseria situata nelle campagne di Corleone senza più riprendere il via. Così è stata decisa l'irruzione nel cascinale, che ha consentito di trovare e catturare Provenzano. Sono stati identificati anche alcuni complici che si occupavano della sua latitanza. Proprio seguendo le tracce di questi ultimi la polizia avrebbe scritto la parola fine sulla latitanza del superboss. La notizia, diramata dalle forze dell'ordine, è stata confermata dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e dai pm della Dda Prestipino e Marzia Sabella.
NESSUN TRADIMENTO - Come si è arrivati alla cattura del boss dei boss? «Lo abbiamo preso - spiega il questore di Palermo, Giuseppe Caruso - grazie a indagini condotte in vecchio stile, attraverso pedinamenti e intercettazioni. A un certo punto abbiamo deciso di agire. Provenzano non è stato tradito da nessuno, non ci siamo avvalsi di pentiti né di confidenti».
BOSS DEI BOSS - Boss incontrastato della mafia, uomo senza volto, ricercato da mezzo secolo dai reparti speciali di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza può considerarsi un vero e proprio acrobata della clandestinità. Dal 17 settembre 1958, giorno in cui fu arrestato per l'ultima volta, non esistevano altre sue foto, ma solo descrizioni fornite dagli uomini d'onore poi diventati collaboratori di giustizia. Proprio nei mesi scorsi era stato presentato il nuovo identikit del boss mafioso, realizzato grazie all'aiuto di nuovi pentiti come Antonino Giuffrè, il suo ex braccio destro, finito in carcere tre anni fa, che ha parlato a lungo di Provenzano ai magistrati. È stato Giuffrè a descriverlo come un uomo «firrignu», cioè forte, «capace di dormire per più notti nel sacco a pelo». Non solo. Era stato proprio il nuovo pentito di mafia a chiarire ai magistrati la strategia numero uno del boss: «Non usa telefoni perchè sa che ogni segnale potrebbe svelare il suo nascondiglio». Così, Provenzano , per dirigere i suoi affari miliardari usava i cosiddetti pizzini, cioè i bigliettini di carta mandati ai destinatari da uomini fidati.
PENTITI - Alcuni, però, forse per paura,
decidono di tradirlo. Come aveva fatto, a marzo, Mario Cusimano, finito in
carcere nella retata del 25 gennaio scorso, quando vennero arrestati decine
di gregari del boss latitante. Fin dal primo momento, Cusimano aveva deciso
di saltare il fosso e collaborare con i magistrati che lo hanno ascoltato.
Nel gergo mafioso, Cusimano era considerato un pesce piccolo, ma le sue
rivelazioni si stanno dimostrando «molto importanti». Sarebbe stato proprio
il neo pentito a raccontare ai pm che si occupano della cattura di
Provenzano del viaggio compiuto in auto dal latitante nel 2003 dalla Sicilia
fino in Francia, a Marsiglia, per sottoposri a un delicato intervento
chirurgico alla prostata. Un'operazione andata bene e che potrebbe essere
persino stata rimborsata in pieno dalla Asl 6 di Palermo. Ed è quello che
stanno accertando i magistrati che tra maggio e giugno hanno sequestrato
montagne di carte per scoprire se effettivamente Provenzano , che si fece
ricoverare sotto il falso nome di Gaspare Troia, avesse fatto domanda alla
regione per ottenere il rimborso dell'operazione.
ULTIMO CONTATTO - L'ultimo contatto tra le
forze dell'ordine e Provenzano risale al 9 maggio del 1963, quando il boss
venne convocato nella caserma dei carabinieri di Corleone per accertamenti:
fu l'ultima volta che i militari videro il volto del boss dei boss. Di lui
si perdono definitivamente le tracce il 18 settembre del '63, quando i
Carabinieri lo denunciarono per la strage in cui persero la vita Francesco
Streva, Biagio Pomilla e Antonio Piraino. Inizia quel giorno la lunga,
interminabile latitanza di Bernardo Provenzano , che dura sino ad oggi. A
dire il vero, le forze dell'ordine, diverse volte, sono state vicinissime
all'arresto della primula rossa, ma come sempre, è riuscito a farla franca.
Come quel 31 gennaio del 2001, quando la Polizia bloccò Benedetto Spera, il
suo braccio destro di allora, in una masseria di Mezzojuso, nel palermitano.
Provenzano era lì, a pochi passi, in attesa di essere visitato da un medico
a causa delle sue cattive condizioni di salute. Ma riuscì a sfuggire, per
l'ennesima volta.
LA CARRIERA CRIMINALE - La carriera criminale di Bernardo Provenzano comincia negli anni Cinquanta, quando insieme con Salvatore Riina, altro boss finito in carcere nel '93, diventa il più fidato luogotenente di Luciano Liggio, allora capo incontrastato di Cosa nostra nel corleonese. Di lui Liggio diceva «spara come un Dio, ma ha il cervello di una gallina», una definizione che Provenzano smentirá con il passare degli anni. Il boss approda ai vertici di Cosa nostra all'inizio degli anni Ottanta, solo dopo avere fatto uccidere tutti i boss rivali. Sono state diverse le strategia usate dal capo di Cosa nostra per gestire gli affari della mafia. L'ultima, quella indicata dal collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè, è quella della moderazione con l'infiltrazione costante nelle istituzioni, piuttosto che l'attacco frontale, come accadeva in passato. Lo scorso aprile la Cassazione aveva annullato, con rinvio per nuovo giudizio, l'ergastolo a Provenzano in relazione al processo per 127 omicidi di mafia avvenuti, a Palermo e provincia, tra gli anni '70 e i primi anni '90. Fino all'ottobre scorso di Bernardo Provenzano non si avevano foto recenti, ma solo identikit. Oggi il colpo di scena.
MICROSPIE
- Gli investigatori dello SCO monitoravano il boss Provenzano da dieci
giorni, ascoltandolo tramite intercettazioni ambientali. Gli agenti avevano
individuato il covo attraverso indagini coordinate dai pm Marzia Sabella e
Michele Prestipino e nel covo in cui è stato arrestato avevano nei giorni
scorsi piazzato delle microspie. La procura e la polizia sono entrati in
azione dopo che hanno avuto la conferma che si trattava proprio di
Provenzano.
VOLANTINI ELETTORALI - In un locale attiguo
alla masseria dove si nascondeva Provenzano, sono stati trovati dei
volantini propagandistici per le elezioni politiche dello scorso 9 e 10
aprile. I volantini fanno riferimento al presidente della Regione siciliana,
Salvatore Cuffaro, candidato al Senato per l'Udc, e a Nicolò Nicolosi,
sindaco di Corleone, e anche lui candidato alle politiche per il Patto della
Sicilia. I volantini sono stati immortalati da alcuni fotografi e operatori
tv entrati nel covo. Il materiale propagandistico si trovava in un locale
utilizzato da un pastore e non dal superboss.