"Ogni volta che vedo un adulto in bicicletta penso che per la razza umana ci sia ancora speranza" H.G. Wells 

DIARIO DELLE ESCURSIONI DOMENICALI

Come ogni Domenica i soci attivi ( da capire ancora quali sono i passivi), si riuniscono da Saverio per il rituale caffè offerto dall'ultimo arrivato. L'orario previsto è quello delle 8,30 e se Roberto non comincia a sbraitare come al solito, in preda a sostanze dopanti non ancora identificate, si parte in surplace per mete sempre nuove. Raccomandiamo una bici ibrida o mountainbike in ordine e ben registrata. Non dimenticate la borraccia ed una camera d'aria di riserva con il corredo minimo d'attrezzi (mastice,toppe,cacciacopertoni,chiavi a brugola, qualche chiave inglese). At last but non least  una pompa decente perchè Francesco non la presta più. Gli appassionati "ti cicureddi e zanguni" sono pregati di portare una busta e un coltello. Da non dimenticare la macchina fotografica

DIARIO DELLE PASSEGGIATE


Percorso del 21 ott 2007

"Percorso degli ulivi"

.Dopo una ricca colazione estorta a Roberto, alle ore 8.45 i cicloecologisti, inforcata la bici, si sono avviati alla scoperta del territorio, tra ulivi, melograni, melocotogne, direzione Masseria Bottari in agro di Manduria. Superando ogni sorta di ostacoli, come si può vedere dalle foto, alle ore 12.00 i cicloecologisti hanno preso fame è hanno bussato a denari alla Masseria per assaggiare le specialità della casa ( caciotta, caciocavallo,soppressata, pane fatto a casa pummitori ti pennula, vino, etc.etc.) alla faccia della passeggiata...... per la cronaca 42Km

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Percorso del 28 ott 2007

Manduria: Monte Bagnolo e "Castieddi"

Dopo il caffè offerto dall'ultimo arrivato, ovviamente Roberto, si parte per quella che rimarrà indelebilmente nella nostra mente come una delle più fantozziane escursioni del gruppo. Capogita il negriero Roberto che a forza di urlacci ci guida attraverso un odissea di fango e muretti da oltrepassare. Ci si dirige a Sud verso le "Fiate" ed oltrepassandole ci si rivolge verso Est seguendo il crinale  a Sud di monte Bagnolo. Il panorama è splendido, la strada sterrata è ancora buona fino a quando oltrepassato il "panettone" di Bagnolo ci imbattiamo in muri da scavallare e campi argillosi affrontati con spirito guerriero. Francesco sprofonda nella melma raccogliendo nelle ruote e tra esse ed i parafanghi ed i freni almeno 10 chili di fango. Abbandonato dalla ciurma trova conforto nel solo Salvatore, anch'egli intento a liberare la bici dall'inopportuno peso.Raggiunti e redarguiti si prosegue per i "Castelli" e stavolta è "Indiana Jones" Mimmo che ciceroneggia sugli ultimi scavi effettuati alla base della collinetta. Interessantissimi i ritrovamenti e fortunosamente intatti. Manca poco alle 12,00 via le polpette aspettano. 40 km., difficoltà media a parte il fango. Dislivello di circa 50 metri ,media turistica di poco inferiore ai 20 km/h.

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LIZZANO: CANALE DELL'OSTONE

C'era da immaginarselo, Roberto arriva in ritardo e non è una novità, ma arriva con una ruota sgonfia per cui pensa bene di rompere la valvola della camera d'aria per cui la deve/dobbiamo sostituire.Ma non è finita: dopo una settimana di raccomandazioni dimentica la macchina fotografica e usciti dal paese, al momento di scattare la prima foto, si accorge di avere la pila scarica. Inondato di improperi si mortifica e mai come stavolta fotografa di tutto e di più col suo cellulare. Non è stato castigato corporalmente a causa della presenza di suo figlio Fabio e dell'amico Lorenzo figlio di Marcello i quali avranno già capito che dai loro padri c'è ben poco da imparare.
Santuario della Madonna di Pasano e poi giù per un paio di km. verso Lizzano. Si svolta a sinistra e poi a destra per un tratto di strada secondaria con un bellissimo panorama che si estende fino al mare. Si affronta una ripida discesa e ci si immette sulla Torricella-Lizzano direzione Torricella. Dopo un paio di km. si svolta per una strada sterrata che costeggia il canale dell'Ostone fino al mare.Proseguiamo per Torre dell'Ovo e risaliamo verso Torricella indirizzandoci alla volta di Sava ripercorrendo lo stesso tragitto dell'andata. Un plauso alla forza ed al coraggio dei due ragazzi che hanno affrontato un percorso non facile della lunghezza di 48 Km. alla media di 19 Km/h. "Indiana Jones" Mimmo ci conduce per un percorso interessante e molto bello. La campagna insolitamente varia per il nostro territorio mostra paesaggi suggestivi tra mare e terra. Non solo ulivi e viti ma anche meloni eheheh. Nei pressi di scavi archeologici in contrada "Menandra Fontana" incontriamo un signore che ci racconta di quanti reperti sono stati trafugati e smarriti fino a pochi anni fà, proprio lì dove solo adesso la Soprintendenza ha pensato di porre la sua attenzione.

Il territorio di Lizzano abbraccia un’estensione considerevole che dal mare si protrae verso l’interno; è segnato dal corso torrentizio dell’Ostone, che incide un’ampia gravina caratterizzata da una serie di insediamenti rupestri, o di epoca classica, o dImage descriptioni periodo protostorico, come sulla costa l’abitato dell’età del Bronzo di Bagnara; altrettanto significativa appare la presenza neolitica, distribuita lungo il corso del canale.
  Tali dati indicano interrelazioni di questa parte dell’Alto Salento con il resto della penisola e con l’area mediterranea; evidenziano altresì una caratterizzazione territoriale della comunità insediativa e la strutturazione di un villaggio quale esempio di lettura di un modello di abitato neolitico del sud-est meritevole di ricognizione.

Dalla presentazione del libro di Paride Tarentini : "Lizzano, quell'antica vita lungo l'Ostone" , per i tipi di Filo Editore

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FAGGIANO:" Presepe Vivente, Montedoro morente"

La pioggia ha permesso ma Grottaglie ci vedrà la prossima volta. In seguito ad una segnalazione abbiamo fatto rotta verso Faggiano. Capogita questa volta è Marcello che benchè armato di cartina autocostruita, bussola e cannocchiale, dopo 6 km. non si raccapezzava più. Partenza da Piazza S.Giovanni, via Roma e sempre diritti verso Agliano e poi Fragagnano. Da lì, dopo aver assaggiato qualche succulento pompelmo, ci dirigiamo verso il santuario della Madonna della Camera in agro di Monteparano. Di origine bizantina (XI sec.) questa era anticamente la chiesa del casale di Mennano, feudo Arcivescovile. L’edificio religioso è quanto mai interessante per il ricco ciclo di affreschi di scuola bizantina che ancora si osservano nella calotta absidale a vista. Ma che stupore nel notare che proprio all'abside hanno permesso di di chiudere le fessure laterali con dei conci di tufo quanto mai esteticamente inopportuni. Tra l'altro l'ingresso era chiuso e non si riesce a comprendere in che modo intendano  valorizzare queste risorse sul territorio se queste sono le credenziali e soprattutto quelli sono gli interventi. Purtroppo è solo il primo dei cattivi segnali della giornata. Affrontiamo la salita che ci porta a Roccaforzata e scendiamo verso Faggiano, attraversando il bosco già vittima di incendi e soprusi di ogni genere. Portiamo le nostre ruote sull'obiettivo : il sito predisposto dal comune di Faggiano per la rappresentazione del Presepe vivente. Si trova sul lato sud del paese, adiacente ad esso, sulla spalla del monte Doro. Comprendiamo che una comunità piccola come quella dei Faggianesi tragga notevoli benefici da quello che nelle edizioni 97/98 e 98/99 è stato premiato come il più bel Presepe vivente d'Italia ma qui crediamo che la solerzia del Comitato e dell'Amministrazione abbia travalicato i limiti del buon senso.
Vogliamo citare a tal proposito quel viene scritto su Wikipedia :"Organizzato dalla "ASSOCIAZIONE PER LE TRADIZIONI POPOLARI" con il patrocinio dei Comune di Faggiano e della Provincia di Taranto, il Presepe Vivente di Faggiano, alla sua settima edizione, compie nel 2006 un ulteriore salto di qualità sia dal punto di vista organizzativo che da quello artistico-religioso, mobilitando oltre cento personaggi con costumi tradizionali, nell'incantevole scenario rupestre della Contrada "La Campana", zona periferica e rurale del paese, in un paesaggio ricco di suggestioni e mistero".
Bene, proprio in quel paesaggio rurale, ricco di anfratti, rocce affioranti e piante di ogni specie, emergono manufatti in tufo , paletti non di legno ma di cemento. Scale, scalette, artefatti per una superfice estremamente vasta. Questo "incantevole scenario

rupestre" benchè utilizzato per un sacro evento è stato violentato e deturpato in maniera sconsiderata. Noi denunciamo questo degrado che con buon senso di responsabilità poteva essere evitato utilizzando strutture amovibili e riutilizzabili.
Continuiamo sulla strada del ritorno passando da S.Crispieri, frazione di Faggiano. Occupato dagli Albanesi rifugiatisi in puglia dopo la morte di Giorgio Castriota Skanderberg nel 1468, conserva il Castello di età tardo rinascimentale. Vorremmo conoscere il nome del tecnico comunale che ha dato il permesso di effettuare delle modifiche ,diciamo,singolari, visibili dal cortile del fabbricato. Un percorso davvero interessante non c'è che dire. Proseguiamo per la Serra, saliamo ed il panoramo che si apre ai nostri occhi è magnifico: il golfo di Taranto, lo skyline della città in fondo e giù davanti a noi le verdi campagne che digradano verso il mare.
Certo, bisogna fare attenzione nel non inciampare in un enorme palo dell'Enel crollato e mai rimosso.
Scendiamo e raggiungiamo Lizzano. capatina alla cripta della S.Annunziata (Vsec.?) e ritorno a Sava in tempo per li pizzarieddi.50,70 Km., media difficoltà ,tranne alcuni brevi tratti da esperti.

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Manduria: Macchie, nebbie e coste

La nebbia è fitta, iniziamo a pedalare ed è impossibile indossare gli occhiali, le lenti sono bagnate. Arriviamo ad Uggiano Montefusco e da lì per una strada secondaria raggiungiamo il "Cardinale" e poi sempre diritti per i "Castelli".Nei pressi incontriamo la Chiesa di Madonna Concedi Grazia: un piccolo santuario, del XVIII sec. I fedeli lo visitano di Sabato, bisognerà approfondire la conoscenza. All' incrocio, dove la strada dell'Arneo incrocia la Manduria-S.Pietro in Bevagna, sulla sinistra c'è una triforcazione, scegliamo la strada centrale e ci inoltriamo in direzione Avetrana. Questa zona è piena di ulivi e rifiuti. Per chilometri costeggiamo inerti, detriti, materassi, elettrodomestici e...siringhe. Uno spettacolo vergognoso, al quale non si pone rimedio da moltissimo tempo e che interessa per buona parte il vasto territorio comunale di Manduria. Noi auspichiamo che l'amministrazione comunale intervenga con una campagna di sensibilizzazione presso la cittadinanza e che si prodighi per la rimozione di questo sconcio.

Qualche chilometro prima di arrivare all'Urmo, volgiamo a destra e ci inoltriamo in una macchia straordinaria. Un sentiero vi si inoltra per un paio di km. tra rovi, corbezzoli, fitolacca, ginepri, lamponi e funghi! Begli esemplari ha individuato Roberto tutti Boletus della specie detta da noi Minetole. Ritorniamo sull'asfalto ed arriviamo in località Urmo ad una bella fontanina...scassinata. Hanno divelto il pannello del comando di mandata, rompendolo, sicchè l'acqua scorre perennemente. Possibile che non ci si sia accorti di questo?

Un fiume d'acqua che l'amministrazione paga, che il cittadino paga e che è una volta di più un segno di degrado ed incuria profondi che mai ci stancheremo di condannare.

Scendiamo a Torre Colimena e proseguiamo per S.Pietro in Bevagna. Al ritorno percorriamo la "Tarantina" in direzione di Maruggio e qui lo spettacolo è di quelli che rendono famoso il Salento. Solo in bicicletta o a piedi si possono ammirare alcuni dei più begli ulivi della nostra terra. Ulivi secolari, maestosi, drammatici e potenti nella forma. Risaliamo da una strada secondaria che costeggia "Li Surii" e dopo una breve ma ripida salita ci ritroviamo nuovamente in contrada "Cardinale". Ritorniamo ad Uggiano e poi a casa per la doccia. 46,7 Km. abbastanza facili, media sui 21.

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Ceglie Messapica: "Madonna della Grotta"

Anche questa Domenica si parte con un nebbione che aumenta sempre più per poi cominciare a diradarsi alle porte di Francavilla Fontana. Abbiamo scelto un percorso cicloturistico un pò diverso dal solito, puntiamo direttamente alla masseria della Madonna della grotta in agro di Ceglie Messapica. Percorriamo la provinciale con accortezza, la visibilità è davvero scarsa. Francavilla Fontana, grosso centro con ricche attività commerciali, industriali ed agricole è semideserta e ci dà la possibilità di osservare con attenzione quello che a causa di un evento fortuito (un crollo) è venuto alla luce in piazza Umberto I°: un sistema di silos per la conservazione del grano, di epoca romana e poi basolato in buono stato di conservazione. Le amministrazioni che si sono succedute hanno dovuto affrontare difficoltà economiche per una rapida risistemazione della piazza, nonchè un'opinione pubblica che in parte lamenta la scarsa fruibilità del luogo. A nostro avviso, crediamo che, se l'obiettivo è quello di valorizzare e recuperare una testimonianza così importante della storia del luogo, si farebbe bene a stimolare un intervento serio e qualificante ed avere un pò di pazienza e senso civico.
Usciamo dalla città percorrendo la strada che costeggia il cimitero e ci inoltriamo in un territorio ben curato, diverso nelle coltivazioni e nella sua conformazione da quello che interessa la fascia costiera della provincia tarantina: alberi ad alto fusto, pini, eucalipti, pascoli e poi trulli e saliscendi continui. Quella che percorriamo è una strada secondaria che corre quasi parallelamente alla provinciale per Ceglie e ci permette di arrivare dopo circa 9 km. alla nostra meta: la Masseria della Madonna della grotta. Da lontano scorgiamo la facciata della chiesa, lo stile ricorda il tardo gotico e fu realizzata nel finire del XIV sec. dall'architetto Domenico De Juliano. Affianco vi è il corpo masserizio, probabilmente nel corso dei secoli l'antico chiostro e stato trasformato in quel che oggi è il suo aspetto e la sua funzione. Il soffitto, in legno, è parzialmente crollato ed andato perduto ma per fortuna si provvide a realizzarne uno in conci di tufo. Ma la facciata nasconde in realtà un luogo di culto ben più antico: i monaci Basiliani tra il IX e X sec. sfruttarono le cavità naturali che si aprono a pochi metri dall'ingresso, per poter celebrare i loro riti religiosi. Un sistema di grotte e cunicoli che si sviluppano per circa 40 m. , tra stalattiti ed affreschi ed altari di varie epoche, attesta una fede che in tempi passati era ben più viva e sentita. Si scorgono affreschi di stile bizantino e quello della Vergine con bambino chè dà il nome al Santuario. il tutto pare in uno stato di abbandono ed incuria, sappiamo che sono sorti in Ceglie diversi comitati per il recupero ed il restauro del Santuario e noi vogliamo aggiungere la nostra voce alla loro. Si fà un gran parlare di territorio e valorizzazione delle risorse artistico-culturali ma pare incredibile che uno dei più rimarchevoli esempi di architettura religiosa rurale che ci racconta secoli di fede ed interpretazione artistica sia oggi abbandonata a se stessa.
La struttura mostra chiari segni di cedimento, in special modo nei campanili a vela e ci auguriamo che le autorità competenti si attivino per reperire quelle risorse che possano permettere il recupero ed il rilancio di un sito che certamente potrebbe essere inserito nei percorsi turistici della nostra regione.
Ripartiamo alla volta della Masseria S.Giacomo e poi per la strada che collega S. Vito dei Normanni a Francavilla Fontana. Il tempo scorre veloce e non abbiamo la possibilità di visitare le molte masserie che incontriamo sulla strada, lo faremo una prossima volta. Torniamo a Sava dopo 65 km., abbastanza facili, percorsi ad una media di 21,2 km./h. Li pizzarieddi aspettano. Nell’anno 1597, precisamente il giorno 20 del mese di luglio, il procuratore generale del Capitolo di Ceglie, don Paladino Nisio, stipula una convenzione con il maestro muratore Vito Nughele per la costruzione di quattro cappelle nella chiesa di Santa Maria della Grotta. Le cappelle dovevano essere allestite in numero di due per parte, lungo le pareti della chiesa, iniziando dal muro in cui si apriva la porta maggiore ed essere completate da due arcate misuranti palmi 16 ciascuna.
La stipula della convenzione da parte del Nisio (o Nisi), poteva essere sottoscritta a pieno titolo. Infatti, ormai da 19 aprile del 1570, poiché mesi prima della sua dipartita, monsignor Giovanni Carlo Bovio, di famiglia bolognese ma brindisino di nascita (era nato nella città il 5 gennaio 1522), arcivescovo di Brindisi e di Oria dal 1564 al 1572, aveva assegnato il complesso dei fabbricati masserizi e della chiesa Sancte Marie de Cripta una cum eius fructibus iuribus et emolumentis integro ac pleno jure imperpetuum pertineat ad dictam vestram parrochialem ecclesiam et vestram capitularem massam… al capitolo di Ceglie. Pertanto, il Capitolo poteva totalmente disporne per incrementare il culto della Vergine ed impiegare i frutti dei terreni annessi alla chiesa, non soltanto per per le necessità dell’importante santuario mariano, ma anche per i bisogni dell’intero clero di Ceglie.
La chiesa fu meta di pellegrinaggi. Sull’affresco che rappresenta San Antonio Abate, sul pilastro sinistro al lato dell’abside, vi sono vari graffiti di pellegrini; in uno si legge: aprele 1473 fruit processio… Si andava in primavera a Santa Maria della Grotta dai vari centri vicini.
Oggi l’edificio sacro e i padiglioni masserizi si presentano, a chi proviene da Ceglie, quasi all’improvviso, a circa sei chilometri dalla città, dopo aver percorso una stretta, tortuosa vicinale, opportunamente asfaltata, che conduce a Francavilla Fontana. Le pareti della chiesa sono alte e snelle, rese preziose dal bugnato antico, interrotte soltanto dal vecchio portale e dall’ampio rosone, del quale rimane la ghiera esterna e nessun elemento della raggiera; esili monofore filtrano all’interno, discrete, la luce del giorno. La facciata, a bugne rustiche e monocuspidata, termina anch’essa (come per la chiesa dell’Annunziata, nella zona storica di Ceglie) con un campanile a vela ad un fornice cui fu aggiunto, in tempi posteriori, un altro che non riesce, comunque, ad appesantire la leggera eleganza dell’intera struttura litica.
E’ probabile che il fornice più basso sia stato realizzato mentre si eseguivano i lavori delle cappelle nell’aula lunga e stretta della chiesa, facendo perdere così all’assieme quell’equilibrio estetico programmato dal progettista. Tuttavia, non è possibile affermarlo con sicurezza, perché mancano probanti documenti in proposito. E’ noto però il nome dell’architetto del sacro edificio, il quale appose la propria firma sulla facciata, appena a destra rispetto all’asse, sotto il rosone. Qui, su un concio di pietra calcarea, una scritta si tre righi, a caratteri gotici abbreviati, recita in latino: Hoc opus aedificavit magister muratoribus Dominicus de Juliano.
Chi fosse questo magister si ignora totalmente. Si possono, tuttavia, avanzare delle ipotesi abbastanza convincenti. Si pensa che egli abbia lavorato abbondantemente e con un certo profitto in tutta l’area della regione. Dalla sua scuola deve provenire il discusso Domenico di Martino o Martana che nel XIV secolo costruì la chiesa matrice di Grottaglie, varie volte restaurata, ove si ritrovano elementi comuni alla chiesa di Santa Maria della grotta di Ceglie come le colonnine ottagonali (che sorreggono l’arco ogivale del protiro) ed altri elementi del portale che accusano un’indiscussa parentela con quelli del portale maggiore della Basilica di San Nicola di bari.
L’intern, largo 6 metri e lungo (dalla porta d’ingresso fino all’arco di trionfo, che divide l’aula vera e propria dal vano absidale) 22 metri, era, senza dubbio alcuno, completamente affrescato. Oggi i muri sono scrostati e spogli, sebbene ancora, qua e là, qualche superstite scampolo d’intonaco ci documenta su di un passato pregno di arte e di devozione.
Il tetto, anche se in parte crollato, risulta formato da un doppio spiovente embricato, dalle lontane reminiscenze gotiche. La presenza, infine, della pavimentazione nettamente sottoposta alla soglia dell’ingresso rappresenta un elemento architettonico tipico delle chiese a carattere ipogeico, che trova riscontro nell’area jonico-salentina, in special modo nella cattedrale di Otranto, nell’Assunta di Castellaneta, rigorosamente restaurata agli inizi degli anni Settanta e nella S.S. Annunziata di Ceglie, da poco restaurata con accortezza filologica.
Appena varcato lo splendido portale con all’interno degli affreschi ed una gradinata in calcare duro si accede attraverso un’altra scalinata nel primo ambiente adattato a cripta nel quale si fondono l’arcano ed il mistico. Infatti le stalattiti e le stalagmiti fanno da stupenda cornice agli altari, i piani e le scalinate interne della chiesa sotterranea. la cavità prosegue per altri 36 metri circa tra stretti e bassi passaggi a gallerie riccamente concrezionate.
In una nicchia, nella quale è ricavata una cappella di taglio rinascimentale, da un altare litico ormai sbrecciato, occhieggia di già sbiadito, l’affresco della Vergine col Bambino da cui deriva il titolo alla chiesa ed il toponimo alla contrada. Lo spettacolo è penoso. Rifiuti e immondizie si accumulano da sempre e dove un tempo, per il tramite della Madre del Cristo, si invocava la protezione divina, regnano prepotenti la desolazione irredimibile e la rovina.
Affiancano la chiesa un minuscolo portico dotato di alcuni anelli di pietra calcarea, forse un tempo usati per agganciarvi i finimenti o allacciarvi le redini dei cavalli dei pellegrini ed un vasto corpo masserizie dal tetto a spioventi embricati. Si pensa possa essere stato, in origine, la sede di una comunità di monaci italo-greci, qui rifugiatisi a salvamento in seguito alle persecuzioni iconoclastiche scatenate dall’imperatore d’Oriente, Leone III l’isaurico, nell’VIII secolo.
Anche se gli elementi architettonici degli edifici sono certamente più recenti, di rozza fattura e giustapposti gli uni agli altri, risultato di modifiche strutturali apportate per l’adattamento del complesso alla diversa funzione, è ancora chiaramente individuabile l’impianto a chiostro. I numerosi locali risultano attualmente destinati ad abitazioni di contadini, che coltivano i campi dell’azienda agricola chiamata appunto dal nome della contrada masseria Madonna della Grotta.
Ancora nell’anno 1730, al tempo in cui venne redatta la Platea dei beni del Capitolo, la masseria faceva parte della Collegiata e Insigne Chiesa della Terra di Ceglie. Essa chiesa - enumera l’anonimo compilatore della Platea - possiede una masseria volgarmente detta della Beatissima Vergine della grotta, consistente in tumola cinquanta di terre serrate, e tre cento di terre aperte, con arbori trenta circa di olive, dentro una chiusura delle medesime, oltre altri innesti, le quali non ancora producono frutto; può fruttare da fertile, ed’infertile per ciaschedun’anno docati cinquanta, confinando detta Massaria da levante con un’altra Massaria di questo Reverendo Capitulo detta di Donna Antonia Christofero, li beni de R.R.P.P. Scholepie di Francavilla da Tramontana, da ponente li… altra Massaria di detto Capitulo chiamata Le Cruci, frutta, e può fruttare l’anno dico 50.. Attualmente l’azienda è di proprietà di privati e non risulta, con certezza, quando sia stata alienata dal Capitolo di Ceglie. Né tuttavia si può affermare se, quando e come essa possa essere stata espropriata in seguito ad una delle tante leggi eversive che, dal tempo di Carlo di Borbone e del suo ministro Bernardo Tanucci, via via fino ai regni di Gioacchino Murat e di Vittorio Emanuele II di Savoia, privarono la chiesa di buona parte del suo patrimonio secolare.
Un dato è, comunque, certo: la masseria sopravvive assai precariamente, essendo oramai abbandonata, come tante altre aziende dell’agro di Ceglie che non hanno saputo essere al passo con i tempi e si sono rivelate incapaci di riconvertire la produzione si da renderla maggiormente competitiva e più economicamente redditizia.
L’antica chiesa-basilica, in cui a malapena è possibile leggere superstiti affreschi dai vaghi moduli bizantineggianti che la impreziosivano, è paurosamente degradata per essere stata destinata, per lunghi anni, a stalla. E’, ormai, il melanconico relitto di un passato glorioso, che sopravvive a se stessa ed è visitata soltanto da qualche sporadico studioso che si avventura fin li per esaminarla e ne commisera la triste fine. Decisamente inutile, in questi anni, si è rivelato ogni intervento che da varie parti e in momenti diversi è stato posto in essere per tentare, almeno, un restauro conservativo dell’illustre monumento. Gli organi preposti alla tutela del patrimonio architettonico della Puglia hanno sempre lamentato, pretestuosamente, la mancanza di fondi sufficienti, forse sperando che il vecchio tempio alfine crolli e, con buona pace di ciascuno, non se ne parli definitivamente più.
Gaetano Scatigna Minghetti

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