LE TROPPE E GRAVI ANOMALIE
DEL CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI
di Paolo Quintavalla
Nota redazionale: Avevo appena iniziato questo intervento in data 9 ottobre in
prosecuzione del testo precedente. Impreviste condizioni di salute mi hanno,
però, costretto a sospenderne la stesura. Riprendo le riflessioni avendo di
fronte il nuovo contesto della firma del preaccordo siglata in data 18 ottobre
2001.(p.q.)
3.a
anomalia: la diversa rappresentanza, le
divisioni e le diverse strategie dei
sindacati
I due voltafaccia del passato
Governo (28 marzo 2001) e dell’attuale Esecutivo (30 settembre 2001) sono stati
possibili perché la rappresentanza sindacale della nostra categoria è atipica e
profondamente divisa. Nessun Governo, né di centrosinistra né di centrodestra,
avrebbe potuto rimanere sordo di fronte ad eventuali azioni rivendicative forti
e prolungate, a scioperi, manifestazioni che si sarebbero potuti minacciare
come forma di pressione o, al limite, organizzare se le forze sindacali fossero
state unite. Se si osservano i dati ufficiali, forniti dall’ARAN, relativi alla
percentuale di rappresentatività dei vari sindacati (CIDA-ANP – 46,67%; CISL –
21,49%; SNALS – 15,08%; CGIL – 14,91%; UIL – 1,85%) ci si rende conto, invece,
che questa rappresentanza è spaccata a metà. Da un parte l’ANP, unico sindacato
esclusivamente di categoria, dall’altra i sindacati del comparto scuola
(rappresentativi anche dei docenti e del personale Ata), confederali e Snals.
Va osservato che i dati si
riferiscono alla rilevazione ufficiale ARAN al 31 dicembre 1998. Secondo
informazioni informali e ufficiose la situazione della rappresentatività è
mutata negli ultimi mesi e a fine anno 2001 l’ANP da sola supera di due o tre
punti il 50%. Comunque sia, i sindacati confederali e lo Snals, mettendo
insieme le loro quote di rappresentanza, durante le trattative superavano la
metà con il 53.33% ed esprimevano, quindi, in caso di coalizione, la
maggioranza utile per la firma del contratto. In realtà, la quota della UIL,
anche se questo sindacato è stato ammesso alla trattativa, non avrebbe dovuto
essere computata, in quanto è inferiore al 5% previsto per legge. Ma anche in
questo caso la maggioranza utile sarebbe stata, comunque, del 51.48%.
Questi dati hanno sicuramente
pesato nell’orientare, anzi, nel determinare la scelta della collocazione della
nostra categoria nella 5^ Area della dirigenza e non nella 1^, come invece
avrebbe preferito l’ANP. Se quest’ultimo sindacato avesse detenuto da solo la
maggioranza verosimilmente non si sarebbe verificata l’anomalia descritta al punto 1 del precedente editoriale e oggi il nostro
contratto sarebbe positivamente concluso da oltre otto mesi, con
quell’allineamento retributivo che
tutti, almeno a parole, hanno sempre rivendicato ma che non tutti, nei
fatti, hanno coerentemente e fermamente sostenuto e perseguito.
Nella prima fase della
trattativa le divisioni strategiche di fondo erano, tutto sommato, abbastanza
nascoste dietro una comune e formale
rivendicazione dell’allineamento retributivo con le altre dirigenze. Se si
prestava fede alle piattaforme rivendicative e ai comunicati iniziali non si
riscontravano divergenze significative, anche se balzava subito agli occhi una
differenza macroscopica: i sindacati confederali e lo Snals non quantificavano
la cifra necessaria per conseguire tale allineamento mentre l’ANP indicava in
25 milioni di lire lorde pro-capite l’obiettivo da realizzare. Tali divergenze
si sono rivelate con plastica evidenza, tuttavia, in occasione della prima
reale svolta del negoziato: erano, per così dire, occultate anche se leggibili
in filigrana. Il 6 marzo 2001, con l’abbandono del tavolo presso l’Aran, giustificato
dall’esiguità delle risorse economiche messe a disposizione dal passato
Governo, tutti i sindacati sembrarono finalmente ispirarsi ad una strategia unitaria e animati da un’ asserita
unità d’azione. Confesso che in quell’occasione ho provato, come molti
colleghi, una delle poche emozioni positive vissute durante le travagliate
vicende contrattuali. Dopo tre settimane il fronte sindacale, però, era già
irrimediabilmente diviso e ciò determinò una profonda e pericolosa frattura
nella categoria. Il 28 marzo a Palazzo Vidoni il Governo mise sul piatto
ulteriori 40 miliardi rispetto ai 280 che ancora servivano per realizzare
l’allineamento retributivo con le altre dirigenze. Si sa, purtroppo, come è
andata: i sindacati confederali non persero tempo né
occasione per dichiarare la loro “soddisfazione” per un esito che sarebbe
stato umiliante per la categoria. Spiace doverlo ripetere ancora una volta: al
voltafaccia del Governo rispetto all’allineamento promesso nel primo atto di
indirizzo ha corrisposto la connivenza dei sindacati confederali che hanno
fornito, di fatto, la copertura politica all’operazione. In questa fase
decisiva, in una situazione critica e cruciale in cui sarebbe stato necessario
unire le forze, purtroppo, le forze si sono disperse e divise. Negli stessi
giorni abbiamo assistito anche all’accettazione
di questo presunto stato di fatto da parte dell’Andis, legata ai sindacati
confederali da un patto di “interconnessione funzionale” che, evidentemente, la
relega in una condizione di subalternità. Evidentemente accettare un livello di
allineamento di poco superiore alla metà era funzionale rispetto alla reale
strategia dei sindacati del comparto scuola che, per condizionamenti interni,
dovevano limitare al minimo ogni allargamento della forbice retributiva tra la
categoria dei dirigenti e la categoria dei docenti. Il tradimento delle istanze
dei dirigenti è stato possibile, quindi, non solo per l’incuria e il
disinteresse della parte pubblica ma anche per l’atteggiamento rinunciatario di
una metà dello schieramento sindacale. Qualcuno si appella ancora oggi ad un
presunto stato di necessità per il quale sarebbe stato realistico concludere
allora il contratto. No, non era né necessario né opportuno firmare un
contratto al ribasso né a marzo né a maggio. Avrebbe significato soltanto
perdere senza combattere, accettare una visione dimezzata della dirigenza. Per
fortuna la categoria ha potuto contare sull’atteggiamento fermo e coerente
dell’ANP che, anche in condizioni di difficile isolamento, non ha mai cessato
di tenere alto il livello legittimo delle rivendicazioni. Anche se i tempi sono
andati oltre ogni previsione e misura (ma in primavera intascheremo dai 15 ai
20 milioni netti di arretrati, dai 3 ai 4 milioni netti in più rispetto
all’ipotesi e alle condizioni della firma anticipata), anche se non si è
conseguito l’obiettivo del completo allineamento coloro che hanno la mente
libera da pregiudizi possono verificare i
benefici ulteriori che sono maturati da marzo/maggio ad ottobre. Ma su
questo aspetto tornerò con dati e riflessioni in un prossimo intervento.
Per ora prendiamo atto che le
divisioni e le diverse strategie dei sindacati hanno condizionato pesantemente,
purtroppo, l’evoluzione delle trattative, orientandole verso esiti che potevano
essere molto più negativi o, addirittura, disastrosi. Se i sindacati fossero
stati uniti negli obiettivi di fondo sicuramente avremmo potuto conseguire
risultati migliori e avremmo evitato fratture penose all’interno della
categoria. Sarebbe opportuno che, archiviato il primo Contratto, si cominciasse
a pensare al secondo sgombrando il campo da ogni ipoteca, da ogni commistione
di interessi spuri. Si chiede troppo che a decidere gli interessi e le ragioni
dei dirigenti siano i sindacati dei dirigenti e non i sindacati dei docenti,
separando le specifiche rivendicazioni dei dirigenti da quelle delle altre
categorie, come avviene in tutti gli altri comparti? Se non si scioglierà
questo nodo di fondo, se la nostra categoria non riuscirà a liberarsi dalle
“ali protettrici” dei sindacati dei docenti prepariamoci ad affrontare nel
secondo contratto le stesse contraddizioni che abbiamo registrato in questi due
anni.
Continua con la terza parte
(di prossima pubblicazione).