LE TROPPE E GRAVI ANOMALIE

DEL CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI

 

Editoriale n. 36 del 15 dicembre 2001

 

Seconda parte dell’editoriale n. 35 del 6 ottobre 2001

 

di Paolo Quintavalla

 

Nota redazionale: Avevo appena iniziato questo intervento in data 9 ottobre in prosecuzione del testo precedente. Impreviste condizioni di salute mi hanno, però, costretto a sospenderne la stesura. Riprendo le riflessioni avendo di fronte il nuovo contesto della firma del preaccordo siglata in data 18 ottobre 2001.(p.q.)

 

3.a anomalia:  la diversa rappresentanza, le divisioni  e le diverse strategie dei sindacati

 

I due voltafaccia del passato Governo (28 marzo 2001) e dell’attuale Esecutivo (30 settembre 2001) sono stati possibili perché la rappresentanza sindacale della nostra categoria è atipica e profondamente divisa. Nessun Governo, né di centrosinistra né di centrodestra, avrebbe potuto rimanere sordo di fronte ad eventuali azioni rivendicative forti e prolungate, a scioperi, manifestazioni che si sarebbero potuti minacciare come forma di pressione o, al limite, organizzare se le forze sindacali fossero state unite. Se si osservano i dati ufficiali, forniti dall’ARAN, relativi alla percentuale di rappresentatività dei vari sindacati (CIDA-ANP – 46,67%; CISL – 21,49%; SNALS – 15,08%; CGIL – 14,91%; UIL – 1,85%) ci si rende conto, invece, che questa rappresentanza è spaccata a metà. Da un parte l’ANP, unico sindacato esclusivamente di categoria, dall’altra i sindacati del comparto scuola (rappresentativi anche dei docenti e del personale Ata), confederali e Snals.

Va osservato che i dati si riferiscono alla rilevazione ufficiale ARAN al 31 dicembre 1998. Secondo informazioni informali e ufficiose la situazione della rappresentatività è mutata negli ultimi mesi e a fine anno 2001 l’ANP da sola supera di due o tre punti il 50%. Comunque sia, i sindacati confederali e lo Snals, mettendo insieme le loro quote di rappresentanza, durante le trattative superavano la metà con il 53.33% ed esprimevano, quindi, in caso di coalizione, la maggioranza utile per la firma del contratto. In realtà, la quota della UIL, anche se questo sindacato è stato ammesso alla trattativa, non avrebbe dovuto essere computata, in quanto è inferiore al 5% previsto per legge. Ma anche in questo caso la maggioranza utile sarebbe stata, comunque, del 51.48%.

Questi dati hanno sicuramente pesato nell’orientare, anzi, nel determinare la scelta della collocazione della nostra categoria nella 5^ Area della dirigenza e non nella 1^, come invece avrebbe preferito l’ANP. Se quest’ultimo sindacato avesse detenuto da solo la maggioranza verosimilmente non si sarebbe verificata l’anomalia descritta al punto 1 del precedente editoriale e oggi il nostro contratto sarebbe positivamente concluso da oltre otto mesi, con quell’allineamento retributivo che  tutti, almeno a parole, hanno sempre rivendicato ma che non tutti, nei fatti, hanno coerentemente e fermamente sostenuto e perseguito.

Nella prima fase della trattativa le divisioni strategiche di fondo erano, tutto sommato, abbastanza nascoste dietro una  comune e formale rivendicazione dell’allineamento retributivo con le altre dirigenze. Se si prestava fede alle piattaforme rivendicative e ai comunicati iniziali non si riscontravano divergenze significative, anche se balzava subito agli occhi una differenza macroscopica: i sindacati confederali e lo Snals non quantificavano la cifra necessaria per conseguire tale allineamento mentre l’ANP indicava in 25 milioni di lire lorde pro-capite l’obiettivo da realizzare. Tali divergenze si sono rivelate con plastica evidenza, tuttavia, in occasione della prima reale svolta del negoziato: erano, per così dire, occultate anche se leggibili in filigrana. Il 6 marzo 2001, con l’abbandono del tavolo presso l’Aran, giustificato dall’esiguità delle risorse economiche messe a disposizione dal passato Governo, tutti i sindacati sembrarono finalmente ispirarsi ad una strategia unitaria e animati da un’ asserita unità d’azione. Confesso che in quell’occasione ho provato, come molti colleghi, una delle poche emozioni positive vissute durante le travagliate vicende contrattuali. Dopo tre settimane il fronte sindacale, però, era già irrimediabilmente diviso e ciò determinò una profonda e pericolosa frattura nella categoria. Il 28 marzo a Palazzo Vidoni il Governo mise sul piatto ulteriori 40 miliardi rispetto ai 280 che ancora servivano per realizzare l’allineamento retributivo con le altre dirigenze. Si sa, purtroppo, come è andata: i sindacati confederali non persero tempo né occasione per dichiarare la loro “soddisfazione” per un esito che sarebbe stato umiliante per la categoria. Spiace doverlo ripetere ancora una volta: al voltafaccia del Governo rispetto all’allineamento promesso nel primo atto di indirizzo ha corrisposto la connivenza dei sindacati confederali che hanno fornito, di fatto, la copertura politica all’operazione. In questa fase decisiva, in una situazione critica e cruciale in cui sarebbe stato necessario unire le forze, purtroppo, le forze si sono disperse e divise. Negli stessi giorni abbiamo assistito anche all’accettazione di questo presunto stato di fatto da parte dell’Andis, legata ai sindacati confederali da un patto di “interconnessione funzionale” che, evidentemente, la relega in una condizione di subalternità. Evidentemente accettare un livello di allineamento di poco superiore alla metà era funzionale rispetto alla reale strategia dei sindacati del comparto scuola che, per condizionamenti interni, dovevano limitare al minimo ogni allargamento della forbice retributiva tra la categoria dei dirigenti e la categoria dei docenti. Il tradimento delle istanze dei dirigenti è stato possibile, quindi, non solo per l’incuria e il disinteresse della parte pubblica ma anche per l’atteggiamento rinunciatario di una metà dello schieramento sindacale. Qualcuno si appella ancora oggi ad un presunto stato di necessità per il quale sarebbe stato realistico concludere allora il contratto. No, non era né necessario né opportuno firmare un contratto al ribasso né a marzo né a maggio. Avrebbe significato soltanto perdere senza combattere, accettare una visione dimezzata della dirigenza. Per fortuna la categoria ha potuto contare sull’atteggiamento fermo e coerente dell’ANP che, anche in condizioni di difficile isolamento, non ha mai cessato di tenere alto il livello legittimo delle rivendicazioni. Anche se i tempi sono andati oltre ogni previsione e misura (ma in primavera intascheremo dai 15 ai 20 milioni netti di arretrati, dai 3 ai 4 milioni netti in più rispetto all’ipotesi e alle condizioni della firma anticipata), anche se non si è conseguito l’obiettivo del completo allineamento coloro che hanno la mente libera da pregiudizi possono verificare i benefici ulteriori che sono maturati da marzo/maggio ad ottobre. Ma su questo aspetto tornerò con dati e riflessioni in un prossimo intervento.

Per ora prendiamo atto che le divisioni e le diverse strategie dei sindacati hanno condizionato pesantemente, purtroppo, l’evoluzione delle trattative, orientandole verso esiti che potevano essere molto più negativi o, addirittura, disastrosi. Se i sindacati fossero stati uniti negli obiettivi di fondo sicuramente avremmo potuto conseguire risultati migliori e avremmo evitato fratture penose all’interno della categoria. Sarebbe opportuno che, archiviato il primo Contratto, si cominciasse a pensare al secondo sgombrando il campo da ogni ipoteca, da ogni commistione di interessi spuri. Si chiede troppo che a decidere gli interessi e le ragioni dei dirigenti siano i sindacati dei dirigenti e non i sindacati dei docenti, separando le specifiche rivendicazioni dei dirigenti da quelle delle altre categorie, come avviene in tutti gli altri comparti? Se non si scioglierà questo nodo di fondo, se la nostra categoria non riuscirà a liberarsi dalle “ali protettrici” dei sindacati dei docenti prepariamoci ad affrontare nel secondo contratto le stesse contraddizioni che abbiamo registrato in questi due anni.

 

Continua con la terza parte (di prossima pubblicazione).