Trascrizione di Mirto Sardo
1801
P.mo
[gennaro
1801]
Bella
giornata,
e
somma
speranza
di
armistizio
foriere
di
pace;
ma
sulla
sera
si
sente
che
l’armistizio
non
è
che
al
Danubio,
al
Reno,
e
al
Tirolo,
e
non
è
venuto
ancora
uffizialmente
in
Italia,
anzi
ieri
e
oggi
si
sente
il
cannone.
Si
vuole
che
queste
voci
di
pace
sieno
sparse
ad
arte
per
aver
volentieri
da
noi
24.
milla
staja
di
formento
Si
dice
che
in
Italia
abbiamo
una
vittoria
a
Rivoli,
Somariva
a
Padova,
e
che
le
cose
sono
in
buon
aspetto,
e
che
i
Francesi
sono
respinti
5
miglia
di
là
da
Verona.
L’uomo
ragionevole
non
dovrebbe
temere,
stante
il
talento
di
Bellegarde,
e
il
valor
delle
sue
truppe,
ma
chi
lo
assicura
del
numero,
del
raggiro
ordinario,
e
della
fatalità.
Basta
noi
vediamo
tutto
in
confuso:
la
guerra
è
guerra
e
può
cangiar
ogni
momento
d’aspetto
le
cose:
l’armistizio
non
si
può
fare
senza
vittorie
esente
da
sagrifizi:
la
pace
senza
vittorie
non
può
esser
che
sufficientemente
buona.
Chi
dice
che
avremo
la
pace
di
Campo
Formido,
chi
dice
che
la
demarcazione
sarà
al
Tagliamento,
chi
alla
Piave,
ed
altri
sostengono
che
certi
i
Francesi
d’una
pace
decisa
dal
canto
dell’Austria
gliela
faranno
più
favorevole.
Se le cose non cangiano la Francia dettarà la legge, e noi vittime sfortunate, esausti e rovinati Dio sa qual destino avremo.
2
[gennaro
1801]
Vediamo
nella
Gazzetta
che
a
Inspruch
è
segnato
l’armistizio,
ma
in
Italia
continuamente
si
si
batte.
Ieri
i
Francesi
passarono
l’Adige
a
Pescantina,
ma
furono
respinti
facendo
loro
gran
prigionieri:
ma
in
fatto
cosa
sarà?
Noi
tremiamo
ogni
giorno,
ora
si
dice
che
i
Francesi
vogliono
Verona,
ora
che
coll’armistizio
Mantova
sarà
ceduta,
ora
che
saremo
invasi,
ora
si
và
sperando
per
poche
ore,
poi
si
trema.
Una tal scena d’orrore deve terminare. Frattanto noi vediamo a distruggersi i nostri animali, a divorar le nostre biade, e s’incamminiamo a una gran rovina. Non vediamo salva che in qualche prodigioso trattato, mentre guerra o armistizio colle truppe stanzianti siamo rovinati.Tutti i prigionieri sono passati a Venezia, intendo quei delle prigioni.
3
[gennaro
1801]
Questa mattina al solito la terzana delle buone nuove, ma dopo pranzo precipizi e grandi. Si dice che i Francesi han passato l’Adige, vogliono Verona, questa sia bombardata: il Quartier generale a Soave, i Francesi a Caldiero. Partono le cancellarie e tutti gli immensi uffiziali, che qui erano ad aspettar soldo, e a salvar la pancia. Si dice che si sente il cannone. Chi dice armistizio, chi cessione fino al Tagliamento, chi battaglia a Lonigo, gran confusione di cose. I carriaggi processionano da 8 giorni notte e giorno, e ciò sarà sempre che che se ne dica un contrassegno che le cose van male. Arrivano i bagagli dello Stato Maggiore, ma niuno sà cosa debba succedere: quel che par naturale è che andiamo con pacatezza a esser ceduti, e che tutto si andrà ritirando a tal effetto. Si dice gran rovine in Germania.
4
[gennaro
1801]
Oggi giugne la nuova che sono entrati i Francesi a Verona pacificamente, che i Tedeschi sfileranno e si porteranno al Tagliamento. Altri vogliono che i Francesi siano entrati in Verona, i Tedeschi nei castelli, e tutta l’armata sino a Villanova disposta a dar una battaglia se le pretese francesi sono eccessive. Noi intanto tremiamo di tutto, e questo rombo tra Verona e Vicenza fa vivere sommamente inquieti. Si vuole che veniamo ceduti per 8 settimane, che ritorneranno i Veneziani, e che sentiremo cose da far stupir il mondo: frattanto la pillola è amara e il raddolcimento è incerto. Gli Uffiziali che giungono sono felici di salvar la pancia per i fichi: essi o pensano a se, o vedono le cose in grande, sicché noi siamo pecore da tosare, e felice notte. I democratici stan zitti perché non vedono l’affar finito, ma bramano l’arrivo che distruggerà tutte le sostanze, e smaniano dei ritardi. Tutto è possibile, ma siamo sempre ridotti al nostro peggio. Mosel e le cancellerie sono partiti.
5
[gennaro
1801]
Dalla Porta del Castello non si vede ad arrivar alcun della truppa, ma molti carriaggi vanno e vengono: chi dice i Francesi a Verona, chi nò, chi li crede al di là del Ponte delle Navi, e i Tedeschi di qui. Chi dice gran trattative, chi dice che s’attendono i corrieri, chi crede una battaglia, altri la vogliono impossibile. S’insiste a credere che si battino tutti i giorni, ma non arriva mai un ferito. Sulla sera si sente da un espresso di Cisotti che i Francesi sono a San Michele, e che i Tedeschi con gran ordinanza si ritirano pacificamente, e che il Quartier generale sarà in questa notte a Montebello. Ciò fa credere la cessione di questi paesi, ma l’affare è involto in tali tenebre che darà da temere e da sperare a tutti. Cosa sarà di Venezia? per noi la cosa par decisa. Si sostiene che i Tedeschi perdettero perché i granatieri non vollero battersi. Già o mancanza di truppe, o di rinforzi, o di generali, o di raggiri sono le solite basi sù cui si fondano le perdite. Quando le cose van bene non ci son più mancanze, né tradimenti.
6
[gennaro
1801]
Ancora le lusinghe del Trattato di Campo Formio, e altre esaggerazioni di forza tenevano in speranza. Questa sera il Colonello Beccar dello Stato Maggiore col giovine Latour ci disse che eravamo ceduti: ci raccontò queste circostanze che Bellegarde poteva facilmente respingere l’inimico che aveva passato il Mincio ad onta di alcuni battaglioni che non vollero battersi (affar giurato dopo Marengo) ma che al momento che la sua bellissima armata era pari e anche superiore a quella dei Francesi poteva ciò tentare, egli ebbe l’ordine da Vienna di un armistizio, i di cui effetti dovevano essere di poner guarnigione in tutte le piazze, e di fare una ritirata, battendosi se l’inimico voleva attaccarlo in ritirata, sino chi dice al Tagliamento, chi al Lisonzo. Ciò provenne per le perdite in Germania dell’arciduca Giovanni servito dal famoso general Laver che favorì Wurmser a Bassano. Ciò pose Vienna in pericolo a grado che si dovette ceder tutto il Tirolo, e per conseguenza poner in circuizione l’armata d’Italia. Egli soggiunse che Bellegarde era disperato d’una tal circostanza, avendo la più bella truppa che poteva far assai. Ma noi siamo rovinati. Il Quartier generale è a Montecchio Maggiore, si crede che tutta l’armata sfilerà metà per Biron, e metà per Vicenza: gran rovine sulle strade di passaggio. Due deputati si ha spediti a Bellegarde per pregarlo di disciplina, e d’istruzioni: i Francesi sono a Villanova, e li seguono volendo attaccare, ma i Tedeschi si battono in ritirata, e giurano che potrebbero respingerli. Questo è un affar inteso. Le piazze rimangono a Tedeschi, i paesi ai Francesi, si vuol la pace certa, e che ciò durerà poco, ma non si sà più cosa credere.
7
[gennaro
1801]
Ritornati
i
deputati,
i
quali,
come
s’intende,
nulla
rilevarono
da
Bellegarde:
suo
fratello
però
li
assicurò
che
tutto
passerà
quietamente.
Si
sente
gran
rovine
sulle
strade
derivante
da
così
immenso
passaggio.
Noi
siam
qui
angustiati
dai
pesi,
dalle
disgrazie
che
si
sentono,
e
da
un
avvenire
dal
quale
poco
si
spera,
e
da
un
imminente
cangiamento
di
scena.
Fino
i
patriotti
più
decisi
sono
avviliti
quanto
il
più
fanatico
aristocratico.
Questa
è
una
tempesta
universale
a
cui
le
opinioni
differenti
non
ne
cangiano
la
rovina.
L’immaginarsi
poi
il
male
maggiore
si
gusterà
il
bene
se
mai
arriverà.
Quest’oggi
come
al
solito
passano
immensi
bagagli,
di
cui
molto
bene
i
Romani
chiamavano
impedimenta:
arriva
anche
della
truppa,
e
per
colmo
di
confusione
ne
va
di
nuova.
Sembra
che
in
questa
notte
vi
sarà
gran
passaggio.
Si
crede
che
il
Quartier
generale
o
non
passerà
di
qui
o
lo
farà
di
notte.
Tutt’oggi c’era gran confusione mentre si udiva un gran cannonamento, e si voleva battaglie a Lonigo, sul Ponte nuovo ec. ancora non si si vuol persuadere che l’affare è finito, e che l’accordo fra essi è il più verisimile. Dal Mincio a qui si avrebbe aspettato a battersi? con tutto il Tirolo in poter dei Francesi?
8
[gennaro
1801]
Questa mattina improvvisamente arrivò l’ordine di chiudersi in casa, serrar le fenestre, mentre essendo passato il Quartier generale di Bellegarde a Lisiera, e molta truppa, quantunque ne fosse piena la città, se ne chiusero le porte, perché i Francesi si avvicinavano. Si sentì il moschetto, e un tiro di cannone. I deputati, il clero, il territorio si presentarono al Gen.ll francese, che li accolse politamente, promettendo quiete etc. entrarono essi quietamente con degli evviva tutti di popolo, e si batterono tutti sull’Isola. Alle 2 tutto era terminato, ma la pena universale è stata immensa. Sfilò l’armata francese tutto il giorno. Brune si fermò dal Cordellina, e l’imbroglio degli alloggi, dove vollero tutto, inquietarono sommamente tutti. I Francesi sembrano quei dell’altra volta, molti ne vennero riconosciuti: parlando della ritirata di Bellegarde, chi la lodò, chi la chiamò una passeggiata militare: alcuni dissero che seguiranno i Tedeschi fino a Vienna, che avremo la pace, che torneremo Veneziani. Infine l’affare par serio più di quel che si crede, e le piazze in mano dei Tedeschi non può indicar gran cosa. Il disastro è immenso, e non v’è che la Provvidenza che possa assisterci. Si dice che rimanga il governo che abbiamo provvisoriamente. I patriotti paiono zitti, ma si vede gran cappelli tondi col palosso, e dei bozzoli.
9
[gennaro
1801]
Gran desolazioni, saccheggi, e orrori fuori della Porta di Santa Lucia, e di Padova. Quel che non distrugge affatto l’armata tedesca, lo termina la francese. Pare che siano d’accordo di spargersi in gran distanze per rubare. Queste armate non fanno che 4 miglia al giorno, si battono per rovinare i luoghi, e non le persone. Il cannone si sentì gran tempo, ma si spera che un tal flagello di Dio s’allontanerà. Qui passa un’infinità di truppa e dei cavalli superbi. Tutte le case fanno da mangiare a 30 a 40 uffiziali e soldati: non v’è né pane, né fieni che bastino: ad onta di ciò sono inquieti, e si trema di tutto. Brune sta fermo, e così 40 generali: ora non si pensa che al militare: verrà poi il civile. I Patrioti tacciono, ruminano, osservano, e pajono titubanti. Dio sa cosa succederà. Ora non si parla che delle desolazioni sopra le strade di passaggio, e gli evviva sono cessati. Poca gente gira per la città, e son chiuse tutte le botteghe. Non si credeva di dover soggiacere a una ritirata così terribile. Ma tutto deve avere un carattere di novità, e di distruzione.
10
[gennaro
1801]
Questa
ritirata
è
una
ritirata
da
Attila.
Tutto
il
territorio
saccheggiato,
precipitato,
processioni
di
contadini
che
arrivano
desolati.
Truppa
Francese
che
arriva,
sorte
da
Santa
Lucia,
ritorna,
va
per
la
Porta
di
San
Bartolomeo,
vociferandosi
che
si
accampi,
ed
abbia
avuto
dei
discapiti;
altri
dicono
che
i
Tedeschi
hanno
avuto
altri
ordini.
Intanto
ci
convien
vivere:
la
città
non
è
approvisionata,
i
soldati
sono
insaziabili,
i
territoriali
arrivano
in
folla.
La
Provvidenza
ci
assisti,
mentre
il
momento
è
deplorabile.
Brune
è
fermo
in
casa
Cordellina,
niente
si
traspira,
noi
siamo
bloccati
da
tutti
i
versi,
e
non
si
può
saper
nulla
nemmeno
da
Verona.
11
[gennaro
1801]
Gran
desolazioni
in
territorio:
si
dice
comunemente
che
in
premio
ai
soldati
sia
stato
accordato
tre
giorni
di
saccheggio
in
territorio.
Non
si
conta
che
guai
e
rovine,
e
par
di
esser
in
un
bosco
di
ladri.
Oggi
si
ha
fucilato
un
Polacco
e
par
che
finalmente
il
gen.l
Brune
prenda
delle
misure.
Sembra
che
le
città
debbano
esser
preservate,
ma
si
trema,
e
non
persuade
che
il
pensiero
che
volendo
essi
esser
serviti
essi
le
preserveranno;
ma
come
mantenere
un’ingordigia
insaziabile
a
peso
di
tutte
le
case,
mentre
il
pubblico
non
ha
nulla,
perché
trasportato
il
tutto
dai
Tedeschi,
senza
le
campagne
che
ci
aiutino,
e
come
portare
tutti
i
pesi
che
verranno
senza
poterne
ricavar
dai
fondi.
Faccia
la
Provvidenza,
mentre
si
prevvede
un
gran
precipizio,
e
certo
un
deciso
cambiamento
di
stato,
perché
non
v’è
rendite
che
possano
a
ciò
resistere.
Oggi
si
volevano
i
Francesi
battuti
alla
Tesina,
impediti
certo
di
passar
la
Brenta,
gran
contr’ordine
nell’armata
tedesca,
discesa
di
Austriaci
dal
Tirolo:
Padova
certamente
in
poter
loro,
e
tagliato
il
Ponte
alle
Brentelle.
Allora
sì
diverressimo
sepolti.
Quel
ch’è
certo
è,
che
i
Francesi
ha
ritroceduto
con
una
colonna
ch’è
andata
fuori
di
San
Bartolomeo.
Ma
dal
Mincio
a
qui
questa
scena
deplorabile
è
sempre
succeduta,
e
non
per
ciò
la
ritirata
s’è
interrotta:
s’acquista
tempo
su
la
rovina
de’
popoli.
Castigo
del
cielo,
e
per
l’orrore,
e
per
la
rovina,
e
per
la
stagione,
e
per
l’esaurimento
in
cui
siamo:
contuttociò
il
sole,
un
inverno
dolce
par
che
secondi
questo
fulmine.
Oggi
non
è
arrivata
gran
truppa,
contuttociò
ad
onta
delle
partenze
la
città
è
piena
di
uffiziali.
Brune
insiste
a
dire
che
non
saremo
né
Tedeschi,
né
Francesi,
ma
Veneziani.
Continua
il
governo
attuale
provvisoriamente
anzi
se
lo
ha
confermato.
Questa
disposizione,
e
le
disgrazie
a
quasi
tutti
accadute
nei
loro
beni
fa
che
non
si
senta
tumulti,
né
scene
interne;
ma
chi
ci
assicura
dell’avvenire?
I
Patriotti
van
dicendo:
ora
si
pensa
al
militare,
verrà
poi
l’organizzatore,
e
la
voglia
di
comandare
è
troppo
decisa
per
crederli
tranquilli.
Arrivano
seguendo
l’armata
Breganze,
e
Carlo
Vicentini,
dicono
essi
che
il
piano
interno
delle
cose
è
diverso
dall’altra
volta:
che
si
esaurisce
interamente
la
povera
Italia,
e
che
si
tratti
a
Parigi
il
destino
delle
cose.
Quì
siamo
ancora
barricati,
e
non
si
ha
ancora
avuto
lettere
di
Verona.
Gran barbe, gran ceffi, magnifiche divise, e bei cavalli nei Francesi, gran ladrerie, e contegno cambiato.
12
[gennaro
1801]
Non
si
sente
che
le
rovine
accadute
a
chi
più
a
chi
meno.
La
piazza
è
sprovvista,
e
le
botteghe
stan
chiuse.
Oggi
i
Francesi
partono
a
furia
e
sembra
che
l’armata
si
sia
avanzata.
Sulla
strada
di
Lisiera
vi
son
due
o
tre
morti
insepolti,
tanto
è
divenuta
deserta
quella
infelicissima
strada.
I
generali
comprano
cavalli,
e
legni
fissandone
essi
il
prezzo,
e
si
distribuisce
guardie
a
chi
ne
vuole
dopo
essersi
espressi
per
i
primi
tre
giorni
che
per
la
campagna
non
ne
vogliono
concedere.
Si
dice
che
deve
arrivar
una
colonna
di
Cisalpini.
Gambara
e Breganze
son
qui.
Enrico
Bissaro
si
dice
partito
per
Milano,
chi
dice
per
disimbarrazzarsi,
chi
dice
per
impicciarsi
negli
affari
correnti.
Ma
questo
saccheggio
fatto
indistintamente
ha
fatto
cessare
gli
ardori
del
presente
ordine
di
cose.
Si
dice
Venezia
in
rivoluzione,
credendo
di
recuperare
il
suo
antico
sistema.
Sia
arte
o
ché
tutti
dicono
che
saremo
Veneziani.
Brune è partito, e alla partenza del Quartier generale si dice che arrivi il commissario incombenzato di dare una forte contribuzione. Già le spese pubbliche e private sono eccessive, e un cambiamento di stato deve accadere a tutti.
13
[gennaro
1801]
Non
si
pensa
che
di
sacco
e
di
violenze:
molti
Uffiziali
dicono
che
si
vergognano
di
essere
Francesi,
e
dicono
orrori
di
Brune.
Le
requisizioni
sono
tanto
immense
che
il
nostro
paese
si
conosce
vicino
a
una
gran
miseria.
Non
è
possibile
di
soddisfare
a
brame
tanto
ingorde
e
fin
cappricciose.
Non
si
sà
nulla,
si
crede
la
pace,
e
tutti
immaginano
un
terribile
avvenire.
Solo
Dio
può
assisterci.
Non arriva truppa, ma questi diavoli formicolano da per tutto.
14
[gennaro
1801]
Passa
per
qui
un
Ambasciator
Russo,
che
và
a
Palermo,
convenne
la
requisizione
di
6
cavalli
per
esser
distrutti
i
cavalli
da
posta
dai
Francesi.
Oggi
corre
armistizio,
e
si
parla
meno
di
pace,
che
gli
altri
giorni.
Le
piazze
si
sostengono,
la
provvisorietà
del
governo
austriaco
sussiste:
le
armate
sono
in
presenza:
cosa
debba
sussistere
il
Cielo
lo
sà.
L’armistizio
di
Germania
indica
che
in
Italia
si
andrà
in
conseguenza.
A
Padova
si
dice
che
non
vi
sieno
né
Tedeschi,
né
Francesi,
e
che
a
Venezia
tutto
è
tranquillo.
Questo
è
il
primo
giorno
che
arriva
i
corrieri,
si
dice
che
v’erano
due
soli
pacchetti
alla
posta,
uno
di
poesie
in
onore
delle
armi
francesi,
l’altro
di
rami
delle
mode
di
Parigi,
bel
momento
per
accoglierle,
e
per
aver
voglia
di
farle
venire,
ma
i
Francesi
son
sempre
Francesi
in
tutto.
Pare che vi sarà del conflitto alla Piave.
15
[gennaro
1801]
Passa
continuamente
truppa,
e
si
rimarcò
gran
cavalleria
nell’armata
tedesca,
e
gran
fanteria
nella
francese.
Si
continua
a
sperar
nelle
case
l’ingordigia
uffiziale,
e
per
colmo
varie
generalesse
seguono
gli
sposi,
e
incommodano
le
famiglie.
Si
sentono
ancora
dei
svaliggi,
e
non
si
ottiene
guardie
che
per
un
giorno
attese
le
partenze.
Nei Patriotti regna della melanconia prima perché i Francesi non ancora li considerano, poi ché alcuni hanno sofferto gli orrori del sacco, e altri vedono che il popolo non vorrebbe secondarli, mentre la paura, il danno, e il raccapriccio è universale. Fanno i moderati per forza, e non godono i vantaggi esclusivi dell’altra volta. I Francesi almen per ora devastano tutto, esigono assai, lasciano il governo com’era, e la nobiltà unita alla miseria; ne serve di prova Marostica in cui dei patriotti abbatterono la presidenza e crearono una Municipalità. Il comandante di piazza ordinò alla nostra presidenza di citarli per adempire agli ordini precisi di lasciar il regime che abbiamo. Gran angustia e curiosità somministrano gl’immensi affari correnti: si teme dell’armistizio, della guerra, e persino della pace. Niente si traspira, solo si conosce che ogni bestialità può divenir possibile e fattibile.
16
[gennaro
1801]
Continuano
i
picchetti
ad
onta
delle
guardie
a
ritornare
a
saccheggiare
e
a
svaliggiare,
a
prender
bovi,
e
cavalli
per
forza,
e
biade
di
cui
si
fa
pubblico
mercato.
Tutto
il
mondo
è
in
affanno,
e
ognuno
può
raccontare
una
storia
lagrimevole.
Questa
sera
dopo
9
giorni
si
fa
un
manifesto
per
far
cessar
le
ruberie,
ma
non
si
crede
più
a
nulla.
Le
famiglie
Nievo,
Velo
e
Negri
han
pagato
la
posta,
e
servito
coi
propri
cavalli
l’Ambasciator
Russo
che
premeva
tanto
ai
Francesi,
e
che
però
non
fecero
nulla
per
lui,
e
lo
lasciarono
come
il
resto
a
nostro
peso.
Vita
Sbirro
trasportò
la
cassa
di
Cologna
fin
che
quei
abitanti
si
radunarono
in
Consiglio.
Fatto
sbirresco
a
cui
si
dovette
una
pronta
restituzione
a
mille
titoli.
Oggi corre armistizio arrivati i Francesi al veneto confine: il non entusiastar i patrioti fa giudicare che potesse ritornar la linea dell’Adige per compensi. Si trema del ritorno d’una truppa che ci annichilerebbe.
17
[gennaro
1801]
Oggi
passa
per
qui
il
generale
dello
Stato
Maggiore
Oudinot
che
va
a
Parigi
si
dice
per
le
ratifiche
della
pace.
L’Armistizio
è
fatto
e
il
confine
per
i
Tedeschi
è
di
là
del
Tagliamento,
come
diceva
la
prima
voce
sempre
vera
ai
tempi
nostri.
Si
dice
che
Bellegarde
e Brune
avessero
in
saccoccia
questo
armistizio
fatto
da
Moreau
dopo
i
successi
della
Germania,
ma
la
politica
volle
far
soffrire
a
questi
miseri
paesi
una
ritirata
che
li
distrugge.
Si
dice
che
oggi
Brune
sarà
a
Vicenza,
ma
che
passerà
a
Verona.
Noi
siam
qui
in
pena
di
tutto:
all’apparenza
sembra
che
l’imperatore
avrà
la
linea
dell’Adige,
primo
progetto
di
Bonaparte,
e
ciò
lo
comprova
solo
il
regime
nostro
confermato,
il
poco
entusiasmo
che
si
permise
ai
patrioti,
e
il
silenzio
che
si
fa
di
Venezia.
Ma
Dio
sà
come
sarà
il
formidabile
passaggio,
l’irrequiete
dimore,
e
i
raggiri
della
pace,
e
gli
arbitri
dell’esecuzione.
I
Francesi
fingendo
un
riscatto
di
prigionieri
sorpresero
a
dei
poveri
parrochi
e
conventi
del
denaro.
Ogni
giorno
c’è
invenzioni
e
ruberie.
Si
vuole
che
i
sanitari
abbiano
servito
di
guida
ai
saccheggi
Francesi,
di
fatto
non
se
ne
vede
più
alcuno
in
città.
Ancor
questo
è
un
regalo
dell’avidità
mercantile.
Fu
qui
un
Lecchi
che
pagò
la
polizza
del
suo
mangiare
essendo
alloggiato
da
noi:
unico
esempio
che
merita
d’essere
scritto.
Tante
famiglie
consumano
in
un
giorno
per
gli
alloggiati
quel
che
consumerebbero
in
un
mese.
La
sola
Porta
di
Santa
Lucia
sino
a
Lisiera
ha
600
bovi
e
200
cavalli
all’armata,
e
si
contenterebbe
di
ricuperarne
la
metà.
Si fa tombola a teatro, ma nessuna persona onesta e saggia vi và: un bosco di ladri non accomoda.
18
[gennaro
1801]
Oggi corre armistizio, e pace di Campo Formido. Il generale Gardan disse: i vincitori non devono abusar dei vinti: il primo console ha sempre proposta la pace di Campo Formido anche se fosse arrivato dentro le porte di Vienna, dunque questo sarà fatto, e voi sarete Austriaci. Intanto cadono le fortezze, Mantova e Venezia restano Austriache. Comincia ad innondarci un regurgito di ladri, e in oggi la città n’era ripiena e tremante, e fuori delle Porte erano accampati i soldati che devono partir domani. Si spera di schivare alcune Divisioni, ma si teme: noi avremo quella del general Mortzein. Quanto tempo debba durare questa immensa distruzione non si sà, pare che la pace sia certa e prossima, ma l’esecuzione diventa arbitraria, e Dio sà a quali raggiri si sottosterà. Ma la Provvidenza dopo tanti gastighi si ricorderà di noi.
19
[gennaro
1801]
La
truppa
ritorna
in
furia
e
non
è
descrivibile
l’imbarazzo
degli
alloggi,
delle
spese
per
saziar
la
loro
ingordigia,
per
mangiare
a
carico
di
ciascheduna
famiglia.
Continuano
a
rubare,
a
far
mercato
delle
nostre
misere
spoglie.
Si
vede
i
nostri
legni
e
animali
derubati
a
passar
sul
corso,
ma
vi
vuole
il
diavolo
per
disintricare
le
cabale
per
restituire,
e
ciò
costa
sagrifici
di
denaro,
minaccie
alla
persona,
e
fratture
della
roba
restituita,
sicché
il
pover
uomo
non
azzarda
tanto,
e
abbandona
il
proprio.
Noi avremo l’ala sinistra della division Mortzein fra Castelfranco, Bassano, e Vicenza. Pare che l’imperatore arriverà fino all’Adige, ma tutto è incerto dettrata la rovina universale.
20
[gennaro
1801]
Finalmente
dopo
il
ritorno
da
tre
giorni
dell’armata
stante
l’armistizio
(furia
però
osservabile)
è
giunto
qui
Brune
che
accerta
la
pace
fatta,
se
gl’illuminò
il
teatro,
ma
né
persone,
né
battimani
s’avvilirono
a
fargli
la
corte;
il
lutto
universale
è
immenso.
Arrivò
il
nostro
generale
comandante
Moncei,
e
per
lettere
di
Bassano
si
sa
ch’egli
fu
d’un
qualche
conforto
ai
loro
mali.
Si
dice
ch’è
un
uomo
probo,
dell’antico
regime.
Si
mostrò
inorridito
degli
eccessi
che
vide
sui
nostri
territori,
promise
una
disciplina
dell’umanità,
e
di
farci
godere
la
pace
che
avevamo
20
anni
fà.
Le
buone
parole
piacciono,
ma
la
moda
è
di
distrugger
tutto,
e
poi
raddolcire.
Arte
diabolica
del
carattere
di
questa
rivoluzione.
È
arrivato
Monier
per
far
visite,
eseguendo
il
suo
pronostico
di
ritornar
dopo
3
anni.
Un
uffiziale
entusiasto
di
Moreau
disse:
il
primo
console
della
Francia
sarà
Moreau,
e
Bonaparte
quello
dell’Italia,
al
che
Luigi
Muzan
rispose:
così
va
bene,
mentre
ancor
noi
verremo
in
Francia
a
recuperar
il
nostro.
Una
vecchia
contadina,
volendo
alcuni
Francesi
strappargli
gli
orecchini,
essa
disse
loro
tranquillamente:
aspettate
ch’io
li
levi
che
saranno
vostri,
ma
i
Francesi
che
furono
nel
1733
erano
ben
differenti
da
voi
altri.
Sù
di
ciò
essi
non
vollero
altro,
e
la
lasciarono.
Aggredito Fontanella da 6 Francesi esso si rivolse con sangue freddo, come mai dei soldati appartenenti alla gran nazione s’abbassano a tali viltà? questi rimasero confusi, e lo lasciarono andar tranquillamente.
21
[gennaro
1801]
Partì
il
Quartier
generale
per
Verona;
subito
dopo
Moncei
ordinò
l’arresto
del
concussionario
comandante
Collin,
e
del
suo
aiutante
Merlo,
ciò
rallegrò
tutti.
Si
ordinò
poi
tutta
la
truppa
alloggiata
nelle
case,
e
si
ordinò
la
rifazione
delle
distrutte
caserme.
Ciò
proverebbe
una
dimora;
ma
tali
spese
nulla
costano
ai
Francesi,
sicché
non
indica
nulla.
Essi
spargono
che
i
Napolitani
sono
in
Firenze,
e
fanno
orrori,
e
con
ciò
la
truppa
è
arrivata
in
furia
dal
Tagliamento
per
delle
nuove
operazioni.
Se
ciò
è
cosa
sarebbe
di
noi.
Non
è
pubblicato
il
formale
dell’armistizio,
ma
il
ritorno
lo
comprova.
Abbiamo
qui
la
guarnigione
dei
castelli
di
Verona,
ceduti
quattr’ore
prima
dell’avviso:
c’è
qui
il
general
loro
Risel,
e
pare
sieno
trattenuti.
Niente
si
sà
e
poche
poste
girano.
Il lutto universale è sommo: non si azzarda di tener aperte le botteghe, e il paese pare un deserto.
22
[gennaro
1801]
Moncei
fa
dei
bei
regolamenti,
ma
fuori
delle
porte
rovine
e
saccheggi:
non
si
sà
più
come
vivere.
Bassano
requisiziona
sopra
di
noi,
e
tutto
collima
a
non
saper
più
dove
dar
la
testa:
convien
provvedere,
alloggiare,
spesare,
la
più
ladra
e
la
più
ingorda
truppa
dell’universo:
il
territorio
è
saccheggiato,
e
tutti
temono
anche
dei
nostri:
la
disperazione
è
al
sommo.
Il
commissario
regolatore
ci
dà
una
contribuzione
in
generi
terribile:
delle
migliaia
di
scarpe,
cassoni
di
biscotto,
muli,
cavalli,
frugoni[=furgon]
etc.
Tal
qualità
di
cose
è
introvabile.
Ci
disse
che
gli
duole
il
cuore,
che
Vicenza
è
calcolata
dai
Francesi
per
un
paese
buono,
niente
fanatico,
e
ospitale,
che
han
fatto
di
tutto
per
minorarci
la
contribuzione,
ma
che
Verona
essendo
tutta
il
contrario,
vanno
a
gara
di
caricarla
in
ogni
proposito.
Quel
misero
paese
non
vien
nemmeno
amato
dagli
stessi
Austriaci.
Cosa
debba
esser
di
noi
ora
sempreppiù
si
va
pensando.
Furono
troppo
solleciti
i
Francesi
a
dirci
che
saremo
Veneti,
poi
sino
all’Adige
ceduti
all’imperatore
secondo
il
Trattato
di
Campo
Formido,
ora
non
si
dice
più
nulla,
la
pace
par
comandata
dalla
necessità,
ma
non
si
vede
né
l’armistizio
stampato
colle
condizioni,
e
tutti
gli
andamenti
son
nell’oscurità
la
più
profonda,
in
fondo
non
si
comprende
qualche
cosa
che
dall’aver
essi
ordinati
i
frugoni
,
ordinario
segno
di
partenza,
ma
chi
ce
ne
assicura?
Venezia
chi
la
vuol
esente
da
tutto
chi
bloccata.
Non
vengono
corrieri
nemmen
da
Verona,
conseguenza
della
poca
sicurezza
delle
strade,
e
del
rubamento
dei
cavalli.
I Francesi bevono il vino a secchi, mangiano quel che pare incredibile, e rubano sino alle midolle. I Generali, e gli Uffiziali sono decisamente uguali ai soldati, e per la verità sembrano d’una razza diversa dall’altra volta. Quel che si rimarca di nuovo ancora si è la decadenza decisa dello spirito rivoluzionario ed entusiasta, non solo per riguardo a noi, ma ancora per loro medesimi.
23
[gennaro
1801]
Fu
dichiarata
impolitica
la
cosa
di
non
dar
da
mangiare
ai
generali
e
ai
soldati.
Non
si
si
può
liberare
dai
continui
svaliggi
fuori
delle
porte.
Il
descrivere
il
bosco
di
ladri
in
cui
siamo,
le
requisizioni
che
si
fanno
dicendo,
piangete,
ridete,
disperatevi,
devono
esser
pronte,
e
se
non
v’è
ci
deve
essere:
i
comandi,
i
sutterfugi,
le
terze
mani,
il
diavolo
in
carne
di
tutto,
il
tramortimento,
l’imperizia
di
tanta
iniquità
non
è
moralmente
nemmen
concepibile.
L’oscurità dell’avvenire si aggiunge ai nostri mali: è vero che alcune congetture fanno sperare un termine, ma chi ci accerta che non venga ciò procurato per divorarci ogni cosa con più quiete? Una delle speranze si è che l’imperatore abbia fatto un stocco in abbandonando le nostre Provincie per saziar le pretese che i Francesi avevano di soldo, e viveri, e che lacere e misere gli saranno restituite. V’è ancora la posizione geografica che pare addattata per dividere queste gran nazioni. Ma niuno conosce le vere mire di Bonaparte, né l’interesse vero di tutte le potenze, sicché tutto è possibile. Per me la Francia mi farà sempre timore, sinché sussiste com’è: mentre delle paci separate, raggirate, illusorie e fragili conducono certamente ad una guerra, e quando questa succede la Francia ha vinto: troppe cose favoriscono le sue armate, e con simili suste qualsisia nazione arriverebbe sino alle estremità del mondo.
24
[gennaro
1801]
Si
preparano
e
contrattano
le
immense
requisizioni.
Il
pubblico
paga
i
pranzi
dei
primari
Generali;
le
famiglie
si
esauriscono
per
il
resto
della
truppa.
Venezia
è
bloccata,
e
niente
si
penetra
del
suo
destino,
né
del
nostro.
Una
sorda
voce
si
sente
che
ai
14.
del
venturo
ritorneranno
gli
Austriaci.
Ancora
il
paese
non
rinviene
dal
suo
timore;
le
botteghe
restano
chiuse,
e
pochi
vanno
per
le
strade:
sembra
un
deserto
la
nostra
città,
e
si
legge
in
volto
d’ognuno
un
vero
lutto.
I Patriotti stan zitti, parte per esser stati rovinati nelle loro campagne dalla gran nazione, parte per timore; e in gran numero per non venir eccitati dai Francesi, i quali son meno rivoluzionari dei soldati Tedeschi stessi. Per altro i loro piccoli discorsi girano a far credere che alla perfine saremo democratici. Quei che si chiamano aristocratici vedono realizzate le rovine che pronosticavano, sperano assai, ed esultano che resti almeno il provvisorio governo attuale.
25
[gennaro
1801]
Passa
di
qui
la
guarnigione
di
Peschiera
cogli
onori
militari,
e
l’alloro.
Questi
poveri
Tedeschi
son
ben
dissimili
dai
loro
nemici
nel
contegno:
ma
l’avvilimento
loro
è
estremo:
dissero
che
si
vergognano
di
passar
per
le
nostre
piazze,
quantunque
sappiano
ch’essi
vinsero
per
valore,
i
nemici
invece
coll’arte.
Dissero
di
ritornare
tra
15
giorni
con
la
guerra,
mentre
200.
milla
Russi
vengono
in
loro
soccorso,
di
che
li
pregammo
a
non
incommodarsi.
Questa
gente
chiusa
in
Peschiera,
e
in
mezzo
ai
Francesi
nulla
può
sapere.
Si
dice
accommodate
le
cose
con
Venezia
per
le
comunicazioni
ad
onta
del
blocco,
ma
si
teme
che
verrà
ancor
essa
visitata.
L’ala
sinistra
dell’armata
Francese
si
trova
tra
Castelfranco,
Bassano,
e
Vicenza:
l’ala
dritta
nel
Padovano,
e
la
risserva
a
Verona.
È
arrivata
della
nuova
truppa
a
Milano:
ancora
non
si
sà
di
preciso
se
Brune
sia
a
Verona,
o
a
Milano.
Niente
si
traspira,
e
si
consuma
sino
alla
radice
tutte
le
nostre
sostanze.
La tristezza e la solitudine è universale, e ciò vien rimarcato dai Francesi stessi in confronto dell’altra volta. Essi accusano Brune, si vergognano, ma continuano a far lo stesso.
26
[gennaro
1801]
Brune
vuol
un
incaricato
di
ciaschedun
dipartimento
per
rimettere
più
specificatamente
i
suoi
ordini:
si
cercò
un
soggetto
che
potesse
far
onore
alla
patria,
e
non
si
trovò
alcuno
sia
per
le
passate
peripezie
democratiche,
sia
per
capacità,
e
volontà
che
accettasse.
I
deputati
cavarono
dunque
a
sorte,
ma
l’egregio
Lorenzo
Tornieri
si
esibì
ad
esentare
i
più
pusillanimi,
e
fece
con
ciò
un’azione
che
lo
ricolma
di
gloria
quanto
i
suoi
veraci
talenti,
e
cara
moralità.
Si
principia
oggi
a
discernere
i
Francesi
un
po’
più
quieti:
i
passati
giorni
sembravano
tutti
dei
diavoli
usciti
dall’Inferno,
perché
violenza,
furia,
e
incontentabilità
indescrivibile:
ma
le
ruberie
non
cessano
gran
fatto.
Oggi
si
spera
che
le
truppe
andranno
in
caserme,
ma
si
teme
che
quel
poco
territorio
ch’è
rimasto
salvo
avrà
dei
soldati.
Il
terrore
e
lo
smarrimento
del
paese
non
cessa,
né
cesserà
mai.
L’uomo
rovinato
non
cura
più
nulla.
Moncei
promise
troppo
per
mantenere
quello
che
sarebbe
necessario
di
disciplina.
L’orrore
che
fà
in
Francesi
è
sommo,
e
le
loro
maniere
stesse
inarrivabili
sono
conosciute
in
adesso
per
una
parola
datasi
per
arrivare
ai
loro
fini
d’interesse
e
di
capriccio.
Non
v’è
più
nulla
che
seduca
neppure
i
loro
stessi
partitanti:
questi
sono
offesi
di
non
venir
per
niente
curati:
gli
aristocratici
nelle
loro
pene
esultano
di
aver
indovinati
gli
eccessi
che
doveva
comettere
la
nazion
francese:
il
popolo
poi
e
i
contadini
sono
esacerbati
a
segno
dei
tempi
dei
Vesperi
Siciliani.
Si
dice
in
Toscana
una
gran
sollevazione.
Dio
ci
guardi
da
tutti
gli
orrori
che
si
presentano
alle
volte
nella
nostra
testa.
Veramente
la
barbarie
francese
supera
la
naturale
che
hanno
i
Russi.
La
nequizia
loro
è
ben
più
grande
di
Attila
stesso
che
annunziava
la
demolizione
delle
città,
viceversa
di
loro
che
promettono
una
perfida
amicizia.
Lo
Stato
Veneto
solo
ne
forma
una
prova.
Alimentati
nelle
loro
miserie
e
debolezze,
accolti
con
gran
riguardi,
mai
si
saziavano
anche
di
far
vedere
che
ancor
essi
lo
conoscevano,
e
particolarmente
Vicenza
che
fu
funestata
per
genio
e
sevizie
ha
provato
il
carattere
della
loro
ingratitudine.
Si
ha
un
bel
incolparne
Brune,
la
perfidia
è
troppo
sistemata,
e
troppo
evidente,
e
non
v’è
che
l’italica
debolezza
per
sostenere
con
pazienza
l’orrore.
Li disordini oltre i svaliggi sono estremi, non v’è più sicurezza personale. Bertapelle dice, quando nacque il Redentore una stella si fece scorgere ai Re Magi; quando io vedo la prima stella corro a chiudermi in casa per salvarmi da questi Redentori.
27
[gennaro
1801]
I
Francesi
stessi
ci
ricercano
se
avremo
pace
o
guerra.
Il
mistero
è
sommo.
Le
comunicazioni
per
Milano
e
altro
sono
incerte
e
rare.
Il
blocco
di
Venezia
sussiste
in
maggior
vigore.
Alcune
voci
di
guerra
si
fanno
sentire,
ma
noi
siamo
ridotti
a
bramar
solo
del
formento
per
vivere,
senza
di
cui
tutte
le
conclusioni
ci
divengono
inutili.
Pare
per
verità
che
i
Francesi
stessi
abbiano
voluto
conservare
la
Casa
d’Austria,
mentre
Moreau
al
Reno
poteva
spinger
le
cose
assai,
e
con
ciò
chiuder
la
ritirata
dell’armata
d’Italia,
dunque
convien
concludere
che
si
farà
la
pace
di
Campo
Formido.
Ma
il
caos
delle
cose
è
grande
che
ne
sopravvanza
anche
per
le
gran
chimere.
Io credo che tutto dipenda da Bonaparte e da Pitt, il primo spiega in Francia un’autorità sovrana, ma niuno conosce il suo piano, chi sa quali circostanze si frapporranno al suo genio, e Dio sa come egli saprà impiegare li sommi talenti che niuno gli niega, ma che l’Italia per la propria esperienza riguarderà sempre con del sospetto. Pitt poi gli è un emolo eguale se non superiore. Questi uomini immensi attirano gli sguardi di tutta l’Europa. Pitt salvò sin’ora l’Inghilterra colle rovine del continente: vedremo all’appressarsi della gran lotta cosa saprà fare. Io temo che il continente servirà di bersaglio sino all’ultimo fiato, se la fortuna, e la grandezza della Francia, e il suo raggiro non minor dell’Inglese non vi si opporranno. Le basi di Pitt sono più oneste della Francia, ma le azioni degli uni e degli altri sono intieramente Macchiavelliche.
28
[gennaro
1801]
Si
dice
passato
Zach
da
Brune:
nulla
si
rileva:
si
vuol
certa
la
pace,
ma
si
teme
un
nuovo
armistizio
col
sagrifizio
di
Venezia
e
Mantova.
Oggi
San
Rocco
e
Santa
Croce
furono
in
ballo.
Si
vuol
distrugger
tutto
senza
utilità,
e
niente
basta
se
non
cadono
tutte
le
istituzioni
religiose.
Moncey
mandò
alla
deputazione
municipale
a
dirci
che
non
vuol
conventi
ad
onta
delle
suppliche
che
vengono
fatte,
e
si
dovette
decretare
il
Seminario
per
caserma.
I
Francesi
si
lagnano
del
poco
concorso
a
teatro,
ma
tutto
il
mondo
è
dolente
ed
inviperito,
fingono
di
non
vedere
quel
che
non
può
sfuggir
certo
alla
loro
sagacità,
ma
ci
vuol
altro
che
parole
quando
la
disperazione
giunge
quasi
all’estremo.
Nelle valli succedono delle sollevazioni per la penuria delle biade, e nelle basse si sentono dei lamenti giusti, ma anche disperati. Dio ci salvi, mentre se le cose non terminano presto, non si sà quello che potrà succedere.
29
[gennaro
1801]
Non
bastando
alla
lealtà
francese
di
saccheggiare
la
maggior
parte
del
nostro
territorio
di
farsi
mantenere
giornalmente
colla
spesa
un
giorno
per
l’altro
di
60.
mille
lire,
di
svaliggiare,
di
non
far
più
conoscere
cosa
sia
sicurezza
personale,
vivendo
capricciosamente
spesati
da
tutte
le
famiglie
dove
sono
alloggiati,
cominciando
dal
generale
sino
al
fantaciotto,
hanno
requisizionato
in
generi
introvabili
per
300.
mille
lire;
oggi
per
colmo
di
generosità
hanno
ordinata
la
contribuzione
di
circa
3.
millioni,
e
600.
mille
lire.
Si
ha
spedito
Testa
e
Milana
per
far
minorare
quel
che
per
il
contesto
delle
cose
la
Francia
e
Brune
non
minoreranno.
Tutti
i
Democrati
che
nel
1797
non
sospiravano
che
per
la
patria,
ora
che
la
vedono
vicina
ad
annichilarsi
dimostrano
di
quai
sentimenti
erano
animati.
Un
amor
proprio
che
viene
appagato,
e
compensato
nel
solo
conoscer
e
ricercar
di
essi,
non
è
nemmen
bastante
a
scuoterli
da
un
letargo
indegno.
Veramente
vien
compreso
che
i
talenti
veri
e
pratici
si
trovano
nella
loro
classe,
ma
vengono
assai
contrabilanciati
dal
loro
mal
genio.
Ricercato
un
Francese
perché
sieno
essi
molto
diversi
dall’altra
volta
rispose,
noi
siamo
sempre
stati
quelli
che
ci
vedete,
ma
avevamo
un
tal
timore
degl’Italiani,
che
sul
principio
dubitavamo
di
tutto,
e
la
prima
cosa
era
di
disarmarli,
ora
che
vi
conosciamo
giochiamo
a
carte
aperte.
Dio
ci
ajuti
nel
conoscere
che
fa
gl’Italiani
dei
Francesi.
O
pace,
o
cangiamento
di
tono,
mentre
la
disperazione
non
ragiona
altro.
Il generale Moncey, si lagna che non si si diverti; è degno della crudeltà e leggerezza francese un tal riflesso.
30
[gennaro
1801]
Oggi
si
dice
la
pace
fatta
ai
8
del
corrente,
e
sarà
quella
di
Campo
Formido:
noi
avremo
in
conseguenza
la
stazione
attuale
sino
ai
8
di
aprile
tempo
assai
lungo
per
tutti
i
rapporti.
S’incomincia
a
veder
gente
per
le
strade.
Vicenza
non
s’è
più
veduta
tanto
deserta,
e
così
giustamente
dolente,
timorosa,
e
irritata.
Non
cessano
però
le
rubarie,
e
un
continuo
mercato
delle
nostre
spoglie.
I
Francesi
vestono
magnificamente:
son
ripieni
d’oro,
ma
non
spendono,
come
facevano
l’altra
volta.
Si vive molto male, quantunque una bella invernata soleggi le nostre disgrazie.
31
[gennaro
1801]
Oggi
si
assolse
il
famoso
Collin
comandante
di
piazza
perché
protetto
da
Brune.
In
Consiglio
di
guerra
furono
Loschi
e Tornieri
[Lorenzo]
della
Deputazione,
i
quali
ebbero
un
compenso
che
non
eguagliò
la
paura
avuta.
Monzey
si
portò
assai
bene.
Venne
in
oggi
i
battaglioni
della
[strada]
Camisana
dove
fecero
rovine
a
segno
che
se
ne
depose
il
loro
generale.
A
Vicenza
fecero
fuggire
il
magistrato
degli
alloggi,
furono
nel
Salone
[della
Basilica]
indiavolati
a
segno
che
per
gastigo
ancora
nella
notte
si
volle
che
partissero.
Non
si
trovavano
i
loro
comandanti,
ma
trovati
che
furono
fecero
la
partenza
con
tal
disordine
e
grida
che
vennero
accompagnati
alla
misera
Cologna
[oggi
Cologna
Veneta]
dove
erano
diretti
dai
nostri
granatieri.
Se
ne
dice
arrestati
alcuni
Uffiziali.
Non
si
sa
comprendere
come
saziata
all’eccesso
la
loro
ingordigia
sieno
impastati
ancora
di
tanta
cattiveria.
S’incomincierà
a
pagar
un
a
conto
per
la
contribuzione,
ma
le
spese,
i
ritrovati
sono
eccessive
e
continui.
Bastian
Bologna
dice
che
presto
partiranno
da
noi
i
Francesi,
che
saremo
imperiali,
che
colla
pace
l’Imperatore
verrà
posto
in
istato
di
non
nuocere;
che
l’Impero
sarà
disciolto,
che
non
esisterà
più
la
Cisalpina,
mentre
l’Italia
è
destinata
agl’immensi
compensi
che
si
deve
dare.
Disse
poi
che
i
torbidi
di
Parigi
sono
estremi,
e
che
non
si
vuole
tanta
autorità
in
Bonaparte.
Primo
[febraro
1801]
I
600.
soldati
della
Camisana
tumultuarono
agli
alloggi,
poi
si
misero
nel
salone
aspettando
tranquillamente
la
mezza
notte
per
saccheggiar
la
città,
come
era
ciò
stato
promesso
dal
loro
comandante:
insospettitasi
la
deputazione
ne
fece
una
rappresentazione
a Moncey,
il
quale
in
un
batter
d’occhio
fece
metter
2000
uomini
in
ordine
di
battaglia,
col
comando
di
barricar,
e
far
fuoco
sugli
ammutinati,
ordinando
a
questi
la
subitanea
partenza.
Ciò
si
fece
con
qualche
tranquillità,
e
ne
siamo
obbligati
al
Gen.l
Moncey.
Quali
pericoli
gravi
ad
ogni
momenti
ci
sovrastano!
Testa
e
Milana
son
ritornati
per
la
contribuzione,
e
non
ottennero
nulla,
ma
decantano
assai.
Si
vive
in
un
disordine,
in
un
sospetto,
in
una
paura,
in
una
profusione
di
tutto
insopportabile.
Muoiono
gli
animali
ritornati,
e
come
salvarsi
da
tante
disgrazie?
i
Giacobini
stessi
si
chiamano
ex-Giacobini:
la
malvagità
supera
l’altra.
Vanno
e
vengono
dal
Quartier
generale
dei
generali
Tedeschi,
i
quali
come
gli
altri
dicono
pace,
e
nulla
più:
la
guerra
che
vien
fatta
ai
popoli
non
si
calcola
mai,
e
questa
guerra
si
fà
più
senza
l’armi
che
con
esse.
Si
pensa
di
beatificar
Attila
almeno
per
la
sua
sincerità.
La guarnigion nostra in città è un poco migliorata, ma i passaggi, le ubbriacature, il ladroneccio nel sangue, i ritrovati di nuovo conio ci fanno vivere come nei deserti dell’Affrica.
2
[febraro
1801]
È arrivato il tesoriere per raccogliere in 10 giorni la contribuzione. Questa sollecitudine, la pace che generalmente si vocifera, la niuna truppa spedita in territorio, una gran porzione della nostra divisione mandata a Cologna, la venuta continua di truppe da Treviso, e dirette per Verona, Vicentini, Zorzi, e Breganze con gran bauli passati senza speranze costì a Milano, fanno credere la vicina evacuazione di questi paesi. Venezia sta intangibile: ciò conferma la pace di Campoformido. La Provvidenza ci assisterà negli ultimi sorsi di questo calice amaro. Continua nel paese un tal abbattimento che sembra insuperabile.
3
[febraro
1801]
M.
Picoteau
mi
partecipò
la
pace
conclusa
li
22
dello
scorso
gennaro,
così
alcuni
espressi
da
Roveredo,
e
al
Todero:
gli
articoli
non
si
penetrano,
ma
noi
sospiriamo
il
termine
di
tante
calamità.
Si
calcola
la
spesa
d’un
millione
per
mese
detratta
la
contribuzione
straordinarissima.
Si
langue
si
anela
il
minor
male,
mentre
per
i
beni
l’affare
è
finito.
Si
assaltò
certo
Pavan
agente,
e
gli
venne
anche
date
delle
palossate,
non
termina
mai
la
nera
iniquità,
che
ci
circonda,
cosa
sarà
ognun
dice
tremando?
Anche
un
addio
di
simil
genìa
diventa
riflessivo,
ma
convien
sperare
nella
Provvidenza.
Si teme l’epizozia degli animali: cosa non si teme, e non si prova?
4
[febraro
1801]
Oggi
dopo
molti
dibattimenti
fu
presa
per
norma
la
contribuzione
a
pagarsi
la
scala
democratica.
Sembra
che
tutto
collimi
alla
distruzione,
e
ai
metodi
per
arrivarvi.
Neppur
l’aristocrazia
stessa
non
conosce
altre
strade,
né
altri
uomini,
che
quelli
che
professano
il
genio
francese.
A
me
sembra
un
gran
riflesso.
Si
continua
a
rubar
tabarri,
e
orologi,
e
tutte
le
strade
sono
quasi
deserte.
Abbiamo
la
pace,
ma
siamo
circondati
da
un
gran
mistero,
da
un
gran
timore
e
da
dei
gran
pericoli.
Moncey vive solitario come faceva Joubert, e si dice che suol dire: non voglio che si dica ch’io vivo coi partigiani degli Austriaci; mentre pare che sia tenuto nell’armata per aristocratico. Vicenza poi non declina né può declinare dal suo terrore, e malcontentamento. Ciò dispiace ai Francesi, e ciò irrita maggiormente.
5
[febraro
1801]
Gran
giro,
e
raggiro
dei
commissari,
e
gran
minaccie
per
riscuotere
del
soldo
della
contribuzione
in
24
ore:
come
si
farà,
e
cosa
succederà?
Nulla
si
traspira
della
pace,
e
si
vive
tremando.
I
giorni
son
belli:
gran
passeggio
a
Monte,
dove
si
fa
vedere
il
mondo
galante,
ma
tanto
questo,
quanto
gli
Uffiziali
non
si
danno
confidenza.
Ma
se
ciò
continua
si
cederà.
I
Francesi
paiono
tutti
qui
per
farsi
uno
stato:
sono
avidi,
avari,
barbari,
e
truci,
se
però
parlano,
la
lingua
e
il
talento
loro
proprio
forma
ancora
qualche
illusione,
e
ciò
non
è
poco.
Oggi
si
ha
fucilato
il
Francese
che
ha
assaltato
Pavan
agente
con
gran
sforzo
d’esemplarità.
Muoiono molti animali, e tutte le disgrazie si offrono a vicenda alla nostra mente. Gran vita!
6
[febraro
1801]
Oggi
si
ha
cominciato
termine
24.
ore
a
pagare
l’esorbitante
contribuzione.
Le
minaccie,
e
l’esibizione
della
forza
armata
hanno
incusso
del
terrore.
Mai
più
la
camera
fiscale
ha
veduto
tanto
soldo
in
una
volta;
e
il
tesoriere
che
lo
ricevé
disse
tre
belle
serate
come
questa
voi
mi
troverete
buono.
Gran
sussurro
nei
medi
possidenti,
e
nei
sempre
torbidi
mercanti
per
non
aver
preso
il
metodo
democratico
del
50
per
100
sui
ricchi
per
i
primi;
e
i
secondi
per
esservi
inclusi
protestando
ch’essi
non
guadagnano
che
il
6
per
100
dei
loro
negozi.
I
democratici
inviperiti
della
loro
esclusione
da
tutti
i
governi
possibili
cominciano
a
dir
bestialità.
Dissero
che
i
Francesi
non
diedero
il
sacco
al
territorio,
ma
che
fu
una
conseguenza
di
guerra,
che
i
deputati
non
sanno
trattarli,
che
converrebbe
lasciarli
saccheggiar
la
città,
mentre
i
Francesi
si
sfogherebbero
sui
ricchi,
e
la
popolazione
verrebbe
salvata,
e
che
per
salvar
14
bricconi
si
pesa
sui
minimi
contribuenti,
e
mille
altre
invettive
personali
degni
della
rabbia
di
una
tigre,
che
Dio
voglia
tenere
inceppata.
Per colmo di conforto ora si vocifera che la pace non è certa, ma che v’è un armistizio colla cessione di Mantova e di Venezia.
7
[febraro
1801]
Si
va
pagando
tesori,
e
questi
costano
sospiri,
e
stocchi
infiniti:
tutto
va
al
diavolo
senza
riserva.
I
Francesi
paiono
raddolciti,
ma
Dio
sà
cosa
meditano
di
nuovo
per
distruggerci.
Oggi
si
dice
che
saremo
imperiali,
poi
Veneziani,
poi
alleanze,
e
cose
romanzesche,
tutto
è
possibile
pur
troppo.
Da
Venezia
chi
scrive
tranquillità,
chi
burrasca.
Mantova
si
dice
già
ceduta,
ma
non
si
ha
riscontri.
Si
vive
assai
male,
tormentati,
esauriti,
incerti
di
tutto.
I
passi
sono
aperti,
ma
le
lettere
rare.
L’epizozia
si
estende
assai,
e
con
ciò
vediamo
tolte
le
nostre
speranze
sino
dalla
radice.
Cosa
che
consoli
non
sembra
immaginabile,
neppur
per
l’avvenire.
I Patriotti collimano ad accertarci che amerebbero ancora delle disgrazie maggiori se fosse possibile, ma in ciò i Francesi li castigano bene per loro tormento.
8
[febraro
1801]
Se
i
Francesi
affrettano
il
biscotto,
i
frugoni,
e
fanno
partire
i
loro
ammalati,
ciò
indica
del
movimento.
Si
dice
ai
6.
ceduta
Mantova
atteso
un
armistizio
di
30
giorni
foriere
di
pace
da
Luneville.
Di
Venezia
se
ne
sente
come
piace
a
tutti
i
partiti,
ma
sembra
che
attesa
la
pace
di
Campo
Formido
rimarrà
illesa.
Quì intanto non se ne può più, e si teme persin il scioglimento che deve decidere.
9
[febraro
1801]
Oggi
una
minacciosa
lettera
di
Brune
incombe
il
total
pagamento
della
contribuzione
in
5
giorni:
non
si
ha
raccolto
che
un
terzo,
e
la
città
di
Vicenza
si
vede
a
proporzione
aggravata
più
di
Padova,
di
Bassano
etc.
oltre
la
rovina
particolar
del
suo
territorio.
Lorenzo
Tornieri
scrive
da
Milano
feste
e
balli,
ma
dice
che
i
bisogni
dell’Armata
francese
sono
estremi,
e
che
teme
i
gran
disastri
che
ne
potrebbero
derivare.
Da
Venezia
si
scrive:
c’è
la
pace,
ma
il
blocco
si
stringe;
c’è
la
pace,
ma
manca
la
polenta;
c’è
la
pace,
ma
si
vive
in
angustie.
Non è descrivibile la nostra situazione. Ogni giorno siamo il bersaglio di pericoli, e di buone nuove che non si sostengono. Non v’è più né generi, né danari, ma Brune comanda, i commissari esigono, si fa dei contratti diabolici: uno punge, l’altro unge, ma si termina col ricavare il possibile. Muojono gli animali, il territorio è desolato e pauroso, la città vive tremando, non c’è sicurezza né personale né di proprietà: vi sono i Patriotti che si sfogano sempre col danno del proprio paese, c’è la mancanza di talenti, e di mezzi, gli alloggi, gli andrivieni, e non c’è che la leggerezza che ci faccia passar il tempo men male.
10
[febraro
1801]
Questa
notte
arrivò
altra
lettera
furibonda
di
Brune
che
intimò
il
pagamento
in
10
ore:
lo
smarrimento
fu
estremo:
i
considerati
ricchi,
che
fuori
di
due
tutti
han
avuto
bisogno
di
prender
a
prestito,
si
tassarono
al
malizioso
grido
comune
del
50
per
100,
non
arrivando
però
a
contentar
la
rabbiosa
invidia.
Si
mandò
per
le
ville
dei
gentiluomini,
e
dei
soldati
a
riscuotere.
Aurelio
Todero
si
espresse
fra
i
mercanti
alla
minaccia
del
saccheggio
con
gran
gelido
che
lo
diano,
espressione
imprudente,
e
senza
riflesso
alla
rovina
che
una
tal
disgrazia
apporterebbe.
In
quest’oggi
si
ha
contato
ai
Francesi
400.
mille
lire.
Il
solo
rimorso
è
di
aver
perduti
8
giorni
nella
facitura
del
piano.
Gran
raffinatezza
nei
Francesi
per
non
minorare
un
così
esorbitante
carico.
Si
dice
fatta
la
pace,
e
che
i
Francesi
partiranno
ai
8
di
marzo.
La
cession
di
Mantova
non
è
sicura.
Par
che
Venezia
debba
restar
com’è.
Niente di uffiziale si sente mai, e sembra la diplomazia Francese eguale agli altri gabinetti.
11
[febraro
1801]
Oggi
si
vuol
una
gulia
in
Campo
Marzo
per
i
soldati
morti:
il
Francese
deve
costare
ai
popoli
anche
morto.
Si
paga
e
si
affoga
di
danaro
i
commissari,
ma
non
cessano
le
requisizioni
più
per
ladrerie
che
per
bisogni.
Si vive nella più perfetta inscienza di tutto, fuori della propria rovina: si sostiene però la pace, ma nulla d’ufficiale. Il Carnovale s’è convertito in una luttuosa quaresima, la qual Dio sà quanto si estenderà, mentre non v’è finanze che bastino a tante e così immense spese.
12
[febraro
1801]
Moncey
vuol
villeggiare
a
Montecchio
Maggiore:
questi
moderni
Democrati
hanno
tutti
i
cappricci
del
lusso,
e
sempre
opprimono
il
popolo
che
vantano
di
sollevare.
Non
si
parla
di
pace
che
vagamente,
ma
l’armistizio
è
certo
sino
ai
15
di
marzo.
Noi
rifondiamo
tutto
a
questi
irrequieti
conquistatori,
e
non
si
vive
mai
in
quiete.
Il paese è deserto, tetro, e rovinato, e ogni possidente è desolato. I Patriotti tacciono, e i Francesi mangiano: però non osano di ricercar né feste, né balli, pensano solo all’interesse, e capiscono tutto, la rovina è troppo decisa. Vi sono alcuni Uffiziali che non sortono di casa per non arrossire di appartenere a una tal armata.
13
[febraro
1801]
Si
paga
le
600,
le
400,
le
200
milla
lire
al
giorno
per
la
contribuzione,
e
i
Francesi
non
sono
contenti
quando
la
somma
non
è
grande.
I Veneti sono restii per calcolo. È venuta una mezza brigata da Cittadella, e quella di Cologna va a Peschiera. Si vuole che l’imperatore non cedi Mantova che al momento che i Francesi evacueranno lo Stato Veneto. Niente d’uffiziale però si traspira in nessun rapporto.
14
[febraro
1801]
Oggi
s’è
fatta
la
festa
funeraria
in
Campo
Marzo,
volendo
un
catafalco
e
non
una
gulia.
La
comparsa
fu
bella
e
magnifica,
ma
il
popolo
la
riguardò
con
quell’occhio
che
si
rimira
dei
distruttori
trionfanti.
Essi
onorano
i
morti,
e
strappazzano
sempre
i
vivi,
e
non
si
curano
di
nulla,
purché
si
ricavi
utilità,
e
denaro.
Si
grida
assai
della
Commissione
che
ha
fatto
il
piano
dell’imprestito
fruttante
al
5
per
cento,
riguardando
più
alla
fisonomia
dinarosa
che
ad
altro:
esentando
ingiustamente
alcuni,
e
tassando
poco
degli
altri
secondo
le
passioni
di
cui
alcuni
furono
animati.
Si
grida:
adesso
si
conosce
che
i
democratici
erano
galantuomini;
ma
convien
riflettere
che
qualunque
piano
che
ricerchi
denari
sarà
sempre
odioso,
che
la
spesa
di
una
guerra
democratica
è
insostenibile
senza
le
leggi
democratiche
di
sciogliere
i fideicommissi,
e
di
tassare
i
supposti
ricchi.
Per
quanto
riguarda
alla
Municipalità
del
1797
convien
riflettere
quanto
le
esigenze
Francesi
furon
minori,
quanta
abbondanza
regnava:
non
ci
fu
contribuzione,
non
saccheggio
di
territorio,
e
non
progressivi
anni
scorsi,
e
onerosi
come
adesso.
Gran
ragioni
che
le
passioni
esaltate
non
vogliono
concedere.
Miollis disse che ai 5 di marzo si pubblicherà la pace, ma intanto cosa si farà?
15
[febraro
1801]
Si
ha
pagata
più
della
metà
della
contribuzione,
come
ne
fece
moto
Brune
col
Tornieri.
Moncey
gli
scrisse
una
bella
lettera
dicendo
che
Vicenza
ha
fatto
più
degli
altri
paesi,
ch’è
esausta,
che
di
San
Marco].
Corner
venuto
da
Parigi
dice
che
non
si
traspira
nulla:
pare
però
che
prevalga
il
sistema
russo,
ma
lo
statu
quo
non
sembra
più
possibile.
Domani
parte
l’artiglieria,
ma
il
resto
pare
immobile.
Il
deputato
grasso
Tornieri
scrive
delle
belle
lusinghe
per
la
minorazione
della
contribuzione,
ma
dice
che
i
commissari
diconon
[sic]
spesso
che
l’erario
dell’armata
è
vuoto.
Noi viviamo malamente alla giornata, e le dicerie cittadinesche non collimano a cercar il sollievo in parte del nostro attual civico governo. Pare che i Francesi abbiano posto nel crociuolo tutti gli uomini per farli conoscere ed ammattire, ed essi o per la malizia o per l’imperizia approfittar di tutto, e spogliar l’universo.
19
[febraro
1801]
Sempreppiù
s’imbrogliano
le
idee
del
nostro
destino.
Ora
non
si
vuole
che
sia
conchiusa
la
pace;
ma
corre
l’armistizio
di
30
giorni:
è
partita
dell’artiglieria.
Domani
arriva
6000.
uomini
della
guarnigione
di
Mantova,
alcuni
Francesi
dicono
vedrete
i
vostri
futuri
padroni,
ma
si
va
discorrendo
di
Repubblica
Veneta
del
400.
Si
si
consuma,
non
si
vede
alcun
termine,
e
ogni
giorno
si
fà
dei
nuovi
castelli
in
aria.
Si
ha
stampato
l’imprestito
volontario
e
non
sforzato:
le
summe
necessarie
sono
immense,
non
v’è
più
né
soldo,
né
modi,
ma
però
si
va
questionando
anche
sui
epiteti.
Venezia
stà
soda,
ma
quei
signori
fremono
pei
loro
pesi
in
terraferma,
e
tardamente
suppliscono,
ma
non
è
più
il
tempo
che
Berta
filava.
È deciso che la guarnigione di Mantova resterà nella città per non funestare maggiormente il territorio coi tagli delle piante.
20
[febraro
1801]
Arriva
la
guarnigione
di
Mantova
lorda
dalle
strade,
e
taciturna.
Gran
spettacoli
compassionevoli
a
noi
si
presenta
tutti
i
giorni.
Si
sente
sollevazioni
e
inquietudini
per
la
mancanza
di
pane
e
sorgo.
I
Francesi
guazzano,
le
rissorse
mancano,
e
se
Dio
non
provvede
il
male
si
fa
estremo.
Si
vuol
l’intero
della
contribuzione
con
minaccie
e
fretta
tale
che
indica
la
crudeltà
Francese,
e
forse
una
vicina
partenza.
Pagar
i
Francesi,
supplir
all’immensità
dei
pesi
della
cassa
nazionale,
sentir
le
miserie,
e
la
povertà
universale,
e
non
veder
un
raggio
di
prosperità
futura,
non
esser
sicuri
né
di
vita
né
di
robba,
formano
l’infelicità
del
viver
nostro.
Partono dei Francesi, e ne vengono: nulla si può capire.
21
[febraro
1801]
Questa
mattina
si
fece
una
bella
parata
dai
Francesi
per
i
Tedeschi,
i
quali
vi
affluirono:
questi
non
sanno
né
dicono
alcuna
nuova,
ma
sul
finire
della
parata
arrivò
staffette
al
generale
Moncey
colla
notizia
della
pace
sottoscritta
a
Luneville
li
20
piovoso.
Questa
da
all’imperatore
questi
Stati:
Verona
bipartita
colla
Cisalpina,
e
Parma
inclusa
a
questa.
Faccia
la
Provvidenza
che
questa
possa
durar
e
sussistere,
e
ci
sia
tutti
quei
beni
che
ci
sono
e
ci
diventano
necessari.
I
Francesi
e
i
Tedeschi
brillavano
d’una
tal
notizia.
Moncey
per
la
prima
volta
si
portò
al
teatro.
Si
vocifera
che
in
30
giorni
evacueranno.
Si
dice
arrivati
a
Venezia
6
bastimenti
di
biada
mandati
dall’imperatore.
Siamo
ridotti
a
non
desiderare
che
del
pane,
mentre
l’affare
va
all’estremo.
Si và cercando un imprestito volontario, le esigenze sono violente, e non potendo esser violenti i mezzi per sodisfarle si vive smaniosamente.
22
[febraro
1801]
Gran
inquietudine
per
l’intero
della
contribuzione:
il
ribasso
è
tenue:
le
requisizioni
continue.
Si
dice
che
i
Francesi
ad
onta
della
pace
si
fermeranno
un
mese.
Non
è
descrivibile
la
noja
e
la
smania
della
nostra
situazione,
e
nemmeno
il
termine
consola,
mentre
la
vicinanza
della
Cisalpina,
e
le
variazioni
del
tempo
che
viviamo
sono
riflessibili
e
facili.
Si
sente
sollevazione
continue
per
mancanza
di
pane:
tutto
è
all’estremo
moralmente,
e
fisicamente.
Adesso
Moncey
vuole
andar
ad
abitar
la
Rotonda:
dice
delle
belle
parole
assai,
ma
è
Francese
come
gli
altri.
Oggi
termina
di
passare
la
guarnigion
di
Mantova
benissimo
trattata
dai
Francesi
a
nostre
spese.
Questa
si
lagna
che
dovendo
i
Tedeschi
tornare,
loro
si
faccia
fare
tanti
viaggi.
Misera
e
poi
misera
Italia
finché
sarà
dominata
dai
stranieri.
L’uomo
ragionevole
non
scorge
in
essi
che
il
più
e
il
meno,
ma
in
fondo
son
tutti
sanguisughe,
né
simpatizzeranno
mai
di
carattere
con
noi.
Ma
la
miseria
dei
tempi
ha
sin
prodotto
il
desiderio
del
meno
male.
I democratici sono storditi di una pace che li fa star lontani 30 miglia dal loro desiderio. Gli aristocratici paurosi che un sì debole spazio possa renderli tranquilli. Il popolo incerto se il pane sarà concesso alla sua fame, e se fia possibile che la tranquillità debba una volta regnar sopra la terra.
23
[febraro
1801]
Il
commissario
regolatore
du
Bar
ha
minorato
la
contribuzione
di
600..
milla
franchi
col
regalo
per
averla
ottenuta
da
Brune
di
100
mille
franchi,
e
colla
certezza
che
saranno
commutate
in
generi
di
nuove
requisizioni,
che
attesa
la
pace
più
non
si
potrebbero
fare.
Tale
è
sempre
la
generosità
della
gran
nazione.
Giovedì
a
teatro
illuminato
si
pubblicherà
la
pace.
Lettera
di
Udine
porta
che
Bonaparte
regali
in
particolar
suo
dominio
Mantova
e
Verona
all’arciduca
Carlo.
Tutto
è
possibile,
ma
non
par
ragionevole.
Gli
Uffiziali
Francesi
dicono:
se
Bonaparte
è
repubblicano
viva
Bonaparte:
se
Bonaparte
vuol
esser
Cesare
viva
Bruto.
Credo
che
i
Giacobini
lo
facciano
dire
ai
Francesi.
Il
mondo
sospira
solo
la
tranquillità,
e
la
fortuna
e
il
genio
sanno
creare
delle
cose
incredibili.
I
Tedeschi
in
Mantova
non
ebbero
che
2.
ore
prima
l’ordine
di
cederla,
e
di
evacuarla.
Si
può
immaginare
l’universale
sorpresa.
Invitati
i
Mantovani
si
diedero
a
desiderare
e
festeggiare
i
Francesi,
ma
appena
giunti
questi,
l’ordine
d’una
illuminazione
della
città,
trattamenti
ai
generali,
e
6.
millioni
commutarono
tutta
la
gioia
in
un
immenso
lutto.
Belle
lezioni,
le
quali
per
non
si
sa
qual
destino
riescono
sempre
nuove
ad
onta
della
più
trista
esperienza.
Si dice che presentatosi l’arciduca Carlo all’imperatrice dopo concluso l’armistizio; questa lo guardò appena, e andò subito al cembalo a sonargli il ça irà Francese.
24
[febraro
1801]
Questa
mattina
si
seppelì
un
uffiziale
in
Duomo
accompagnato
da
tutto
lo
Stato
Maggiore.
Si
vede
tutto,
e
le
contradizioni
sono
all’ordine
del
giorno.
Si
sente
gran
insurrezioni
a
Barbaran,
Marostica
etc.
La
necessità
è
estrema,
ma
la
malizia
è
maggiore,
mentre
non
contenti
di
biada
si
spoglia
di
tutto.
Converrebbe
che
i
Francesi
sollecitassero
a
dar
alcuni
esempi
necessari,
mentre
il
cambiamento
e
la
venuta
dei
tardigradi
e
indolenti
Austriaci
fa
tremare.
Si
sente
da
alcune
lettere
che
in
Verona
c’è
una
vera
contaminazione
per
il
suo
destino,
e
per
la
divisione
della
sua
città
e
territorio.
Si
dice
che
ciò
non
sussisterà,
ma
il
male
è
sempre
durato.
Disse
Moncey:
dopo
la
pace
voi
siete
Austriaci,
e
noi
non
siamo
più
qui
che
con
un
viglietto
d’alloggio.
Solite
frasi
e
soliti
fatti
con
l’aggiunta
dell’insulto.
Si
dice
che
domani
arriverà
una
brigata
da
Treviso,
ciò
indica
un
utile
movimento.
Sono
stata
a
vedere
il
consiglio
di
guerra:
gran
decenza,
grandi
talenti,
e
veramente
si
può
dire
che
il
Francese
è
un
fenomeno
in
tutti
i
generi.
La
bottega
[da
caffè]
di
Pigozzo
è
chiusa
per
gli
orrori
uffizialeschi.
Il
paese
è
ancora
tramortito,
e
non
sanno
sortir
dalla
paura
nemmeno
i
più
celebri
Panegiristi.
Il governo è oppresso da requisizioni, e profitti continui: non si può aver idea della furberia e della raffinatezza della gran nazione.
25
[febraro
1801]
Il
territorio
muore
da
fame,
e
qui
si
fa
baldoria,
e
diversi
preparativi
per
festeggiar
domani
la
pace.
È
arrivata
una
brigata
che
alloggia
nelle
case,
e
domani
se
ne
attende
un’altra,
che
riceverà
30
soldi
a
testa
invece
di
doppia
razione,
attesa
la
pace,
come
pure
li
5000.
soldati
stazionati
qui.
Tutto
ricade
sopra
di
noi.
Si
pone
una
tassa
sulle
norme
del
campatico:
niente
basta
per
una
tal
voragine.
Si
crede
che
ai
10
del
venturo
i
Francesi
partiranno.
Si
vocifera
un’insurrezione
in
Piemonte.
Dimani vi sarà un gran cannonamento, tutta la truppa in Campo Marzo per annunziargli la pace. Un pranzo da Moncey di 70. coperte, e teatro illuminato. Gran neutralità, guerre, armistizi, e paci per noi! tutto ci riuscì fatale sin’ora.
26
[febraro
1801]
Bella
funzione
di
pace
in
Campo
Marzo
e
in
Duomo.
I
Francesi
brillanti
e
magnifici,
gran
ulivi,
quantità
di
donne
a
vederli,
ma
gran
tristezza
generale.
Moncey
pubblicò
la
pace,
e
nel
legger
gli
articoli
fece
con
preventivo
concerto
batter
i
tamburi,
e
con
ciò
tutti
gridarono
Vive
la
paix,
Vive
la
Republique,
e
fu
finita.
Questa
pace
forma
il
soggetto
del
discorso,
non
si
vuol
crederla
che
momentanea,
né
quale:
fu
solo
letta
nel
foglio
di
Milano.
Altri
dettagli
non
s’ebbe
giammai.
Ma
a
me
sembra
certa
e
tale
come
se
ne
ha
permessa
la
stampa,
e
non
vorrei
altri
cangiamenti
calcolandoli
fatali.
Il
pranzo
del
generale
Moncey
fu
veramente
magnifico
nella
Sala
Palladiana
del
conte
Orazio
Porto,
con
tutte
le
nostre
cariche:
si
passò
indi
al
teatro,
in
cui
riuscì
penoso
l’ingresso:
si
cantò
una
cattiva
Merope
di
lungo
duol.
Berlendis
suonò
l’oboè,
ma
più
di
tutto
i
nostri
soldati
gustarono
la
ça
ira.
La
nostra
divisione
felice
di
veder
dame
disse:
noi
abbiamo
a
Vicenza
diviso
la
tristezza
di
cui
fu
oppresso
il
generale
Moncey,
il
quale
sia
per
la
malattia
o
altro
sembra
un
Young.
La
brigata
partita
questa
mattina
ebbe
30
soldi
per
testa
come
il
resto
della
truppa.
Questa
festività
ci
costa
più
di
30
mille
lire.
Pare
che
ci
sia
un
gran
movimento:
si
vuol
che
sopra
Bassano
ci
siano
i
Tedeschi,
e
che
qui
si
andrà
scemando
insensibilmente
ed
evacuando.
Mai
non
si
parla
degli
articoli
della
pace,
sicché
se
ne
dice
assai,
ma
quelli
che
furono
impressi
a
Milano
si
effettueranno.
Si conta sussurri in Francia e mille cose, ma già questi svaniranno al solito. Vicenza può contare che non si può stabilire una pace senza che le truppe Francesi la rodano. Preghiamo il Cielo a far finalmente cessare un tal flagello, finito il quale si vivrà come si potrà, ma si sarà tranquilli. Tutto si accomoda colla pace, ma con la guerra tutto si funesta, tutto si distrugge, e non si crea mai nulla.
27
[febraro
1801]
Dai
più
non
si
vuol
creder
gli
articoli
della
pace,
mentre
né
da
Parigi
né
da
Vienna
vengon
scritti
uffizialmente.
Ma
la
modalità
della
Pace
di
Campo
Formio
non
si
seppe
che
dal
foglio
di
Milano
come
questa
volta,
e
per
gli
articoli
segreti,
che
dovevano
esser
vantaggiosi,
ci
volle
una
guerra
accanita
che
ci
condusse
alle
calamità
in
cui
siamo.
Per
i
posteriori
cangiamenti
non
so
come
giudiziosamente
sperarli
buoni.
Questo
è
il
secolo
delle
variazioni,
e
fin
che
non
si
conosce
appieno
i
piani
di
Bonaparte
o
della
Francia
si
deve
tremare.
L’andamento
delle
cose
è
totalmente
nuovo,
l’acquietare
sulle
traccie
antiche
le
passioni
moderne
mi
pare
impossibile.
La
Francia
è
vero
non
è
più
Republica
che
di
nome:
Bonaparte
è
il
maggior
sovrano
che
abbia
esistito:
lo
spirito
pubblico
si
và
moderando
nei
suoi
entusiasmi:
si
rispetta
la
religione,
si
esercita
con
atti
pubblici,
si
tolera
dei
rè,
ma
le
paci
sono
separate,
e
fatte
in
modo
da
poter
romperle
con
vantaggio.
Si
ha
la
guerra
con
l’Inghilterra,
dei
progetti
sul
Turco,
chi
sà
come
le
cose
termineranno?
Credo
moralmente
impossibile
che
si
possa
giudicarlo.
Moncey
ha
insinuato
di
far
poner
sul
foglio
la
giornata
di
ieri:
il
pranzo
che
diede
fu
superbo.
Il
primo
brindisi
con
entusiasmo
lo
fece
egli
all’ospitalità,
e
urbanità
vicentina.
Sembrava
che
i
Francesi
a
gara
si
levassero
la
sopraveste
per
noi,
tanto
dolci,
obbliganti,
e
gentili
furono
le
loro
maniere;
ma
non
poterono
far
dimenticare
che
ci
rosero
fin
sull’osso,
e
che
le
loro
maniere
stesse
non
sono
che
un’impostura,
e
un
assassinio
di
più.
Arrivarono delle brigate, e si attende la divisione Delmas. Il movimento è sensibile, ma la total partenza oscura.
28
[febraro
1801]
Le
insurrezioni
per
la
fame
continuano.
Si
formano
a
truppe
di
300,
e
minacciano
i
villaggi,
prendono
le
biade,
e
saccheggiano:
i
maliziosi
s’uniscono
agl’indigenti,
però
fu
necessario
che
50.
o
60.
Francesi
si
portino
a
Schio,
Thiene,
Arzignano
ec.
Si
dice
che
venghino
ora
demolite
tutte
le
fortificazioni,
i
castelli
di
Verona,
e
anche
i
bastioni
di
Padova;
se
in
Francia
si
facesse
egualmente
la
cosa
non
sarebbe
tanto
umiliante.
Ecco
terminato
il
mese,
e
non
si
spera
la
partenza
che
ai
20
del
venturo:
gran
giorni
eterni!
A Verona i Francesi han voluto formar il Consiglio per riscuoter la contribuzione, e l’affar terminò col chiuder tutti in arresto.
Primo
[marzo
1801]
I
birri
hanno
condotto
6.
insorgenti
tutti
ben
vestiti,
i
quali
provano
la
malizia
col
pretesto
della
fame.
Moncey
va
alla
Rotonda,
e
si
fa
sin
la
requisizione
di
lepri
vivi.
Lorenzo Tornieri ritornato oggi da Milano dice che i Francesi lo riguardarono con distinzione e non si finiva di lodare la nostra misera città e per la sollecitudine delle riscossioni, e per non esservi mai stato alcun motivo di reclamo.
2
[marzo
1801]
Arrivano
200
uffiziali
francesi
ch’erano
prigionieri
in
Ungheria
per
il
cambio.
Il
Trattato
di
pace
dei
9
febbraro
a
Luneville
si
va
ponendo
in
perfetta
esecuzione.
Prima
dei
40
giorni
si
deve
veder
evacuati
questi
paesi.
Da
Cologna
è
partita
quella
brigata
in
gran
silenzio
e
senza
il
menomo
disordine.
Si
spedisce
il
conte
Porto
a
Venezia
per
intendersela
col
governo
austriaco
di
vari
articoli,
e
particolarmente
quello
delle
sussistenze.
Dio
voglia
benedire
questi
ultimi
pesanti
momenti,
noi
temiamo
le
nostre
insurrezioni:
la
fame,
e
la
malizia
è
grande.
Si
dice
che
a
Padova
sieno
arrivati
i
commissari
austriaci
coll’ordine
di
far
desistere
la
irragionevole
demolizione
di
quei
bastioni.
Si
vuol
il
Quartier
generale
di
Bellegarde
in
Gorizia.
Oggi
arriva
gli
articoli
uffiziali
della
pace
ugualissimi
a
quelli
del
foglio
di
Milano,
fatti
stampare
in
lingua
francese
fatti
stampare
dal
gen.e
Suchet
a
Padova.
Non v’è più dubbio per essi, ma da Vicenza nulla si penetra. La pace è fatta e in miglior forme di quella di Campo Formio: noi siamo attaccati ad un filo, il qual se non si rompe, noi possiamo sperare almeno quella tranquillità che il nostro pensiero non usava più di lusingarsi. La situazione di Verona è compassionevole, ma la Provvidenza che sa girare gli uomini, e la cose a suo piacere potrà rivogliere in bene quel che agli occhi nostri par inesiguibile.
3
[marzo
1801]
Moncey
volle
espressamente
che
la
Polizia
invitasse
in
suo
nome
il
nostro
Vescovo
a
ritornare
costì
in
prova
di
rispetto
ec.
Non
si
sà
cosa
penserà
di
fare.
Si
crede
sempre
l’arrivo
dei
commissari
austriaci,
ma
non
si
veggono.
I
Francesi
fanno
bagaglio,
e
si
vede
gran
carrette
di
denaro,
e
molte
cose
preziose
in
vendita
per
poco
prezzo,
le
nostre
spoglie
son
dilapidate
del
dominio
militare.
Si
vede
di
già
scemata
la
truppa,
ma
si
teme
il
passaggio
della
division
Delmas
di
Treviso,
e
quella
di
Suchet
di
Padova.
Si
si
lusinga
che
vadino
per
Legnago,
ma
Vicenza
è
troppo
sfortunata.
Si
dice
che
il
Gran
Duca
di
Toscana
verrà
a
governar
i
nostri
stati.
Non
si
sa
più
cosa
desiderarsi
in
tal
proposito,
non
si
trama
in
fondo
che
pane
e
quiete.
Mainoni
è
andato
a
Lonigo
per
gl’insorgenti:
affare
che
da
molta
pena
e
pensiero.
Non
vi
son
biade,
e
quel
ch’è
peggio
non
v’è
più
numerario
per
acquistarne.
Si ha fatto un quadro di millioni spesi per i Francesi. Tuvenel l’ha spedito a Parigi a Taleyrand, che non avrà tempo, né interesse di leggerlo, e noi lo faremo vedere ai Tedeschi, che non lo crederanno, e vi sorpasseranno sopra. Gran destino di queste floride e felici contrade! dopo tante peripezie si cadde da un abisso in l’altro, e la memoria del veneto governo rimarrà indelebile e cara a chiunque è galantuomo.
4
[marzo
1801]
Intanto
oggi
è
sbarcata
della
biada.
Il
Ciel
provvederà
per
il
resto.
Oggi poi gran vociferazioni di guerra. Gli aristocratici malcontenti di un limite tanto vicino dicono che ciò non può stare, e portano per prova il silenzio di Vienna sugli articoli della pace. I democratici certi della vittoria se si fa la guerra la vorrebbero sempre per republicanizzare tutto il mondo. I prigionieri francesi venuti dall’Ungheria al cambio dicono che si rinnoverà la guerra, che si fa dei gran preparativi, e che i Tedeschi hanno abbandonata Palma spogliandola di cannoni etc... Qui si sostiene che si rinserra il blocco a Venezia, che i Francesi non danno segno di partenza, che si vede carriaggi e gente a ritornare a Treviso, e ch’è venuta una requisizione di mille razioni di pane per Montebello per mille Francesi, che refluiscono di nuovo a questa parte. Quanto a me credo che tutto ciò indichi le solite dicerie che si dicevano tra la Pace di Campo-Formio, e la sua esecuzione. La pace è fatta, la Francia ne proclama in faccia dell’universo gli articoli: forse Vienna non li vorrà noti se non dopo l’esecuzione, e avrà altre viste. Osservo un scemamento notabile di Francesi, un certo allestimento di partenza, il cambio dei prigionieri, e la solita studiata moderazione che sogliono aver sempre i Francesi quando sono satolli di numerario e di tutto. Moncey va alla caccia alla Rotonda, o alla Costa.[Costabissara]
Sono
arrivati
due
commissari
che
volevano
l’intero
della
contribuzione
ad
onta
del
rescritto
di
Brune:
questi
birbanti
rimasero
confusi,
ma
il
tentativo
è
del
conio
francese.
Il caos è grande, le lusinghe pajono facili; ma in fatto si perde quasi la tramontana, mentre il movimento generale di opinione, e di bisogni non è saziabile, e questi partaggi, cambi, e impastamenti formano un mosaico in teoria, ma credo che niuno possa calcolarne le conseguenze. La forza è all’ordine del giorno, ma una tal moda può divenir universale.
5
[marzo
1801]
I
1000.
Francesi
arrivati
vanno
a
raggiunger
la
loro
divisione
a
Bassano.
Da
Vienna
si
sentono
uffizialmente
gli
articoli
della
di
già
detta
pace.
Sono
ordinati
dei
collari,
e
4
ne
vuol
di
belli
Moncey.
Non
si
sa
quando
credere
all’evacuazione
francese:
pare
che
40
giorni
dopo
le
ratifiche
debba
al
certo
succedere.
Molti
Uffiziali
partono,
ma
il
solito
anderivieni
confonde
le
spezie.
Qui si tracanna fra i soldati e vino e sussistenze, e numerario, e li nostri poveri muojono di fame.
6
[marzo
1801]
I
1000
Francesi
giunti
da
Verona
per
fallo
di
comando
dovettero
ritrocedervi:
così
si
ha
mangiato
7.
giorni
in
viaggio,
e
si
commise
mille
disordini.
Schio
è
assalito
dai
insorgenti
venuti
dalla
montagna:
vi
si
spedì
50
Francesi.
Il
commissario
Dal
Bon
disse
ai
deputati
che
fra
10.
giorni
i
Francesi
partiranno;
che
partecipata
la
partenza
tutte
le
requisizioni
verranno
pagate
a
dinaro
sonante.
Tutti
credono
che
la
partenza
verrà
partecipata
dopo
un’ora
che
sarà
eseguita.
Gran
cupidigia,
gran
nequizie,
e
grandi
insulti.
Gran
discorso
su
questa
pace
creduta
da
chi
momentanea,
da
chi
eterna,
da
chi
misteriosa,
da
chi
comandata:
e
mille
garbulgi
per
chi
conosce
che
in
tali
tempi
la
verità
resta
nel
fondo
del
pozzo.
Da
Udine
vien
scritto,
che
Vienna
o
sia
l’Austria
non
si
saprà
al
fin
dei
conti
se
sarà
stata
vincitrice
o
vinta
durante
una
così
fatal
guerra
che
sarà
la
Bosnia,
la
Slesia,
l’intero
Stato
Veneto
e
il
territorio
mantovano.
Da Milano poi si scrive il Velo è squarciato: l’Italia sarà libera: non si lascia ai sovrani che alcuni stati in pegno sinché la conquista della Turchia saziando tutte le potenze farà cedere alla libertà republicana la bella Italia. Gli avvenimenti decideranno.
7
[marzo
1801]
Arriva
2000
uomini
da
Padova,
e
i
1000
che
alternano
sulla
strada
di
Verona
si
dice
che
ci
ritornano
a
favorire
per
Bassano.
Si
teme
anche
la
divisione
di
Treviso,
infine
sino
ai
19
che
si
dice
ch’evacueranno
si
deve
aspettasri
tutto
il
moto
che
sanno
aver
i
Francesi.
Gran
spese!
non
si
conosce
più
i
centinaja,
ma
i
millioni.
Qui
abbiamo
tre
mille
uomini,
ma
i
commissari,
i
sotto
commissari
e
tutte
le
astuzie
del
diavolo
non
lasciano
mai
stare
d’angarie
e
soffismi.
Si spera che i Tedeschi arriveranno qui avanti che partano i Francesi, e avremo il bene d’una salvezza con tal studiata promiscuità. Sarà un bel vedere queste rapaci nazioni a lasciare e gherbire questo recente stato ridotto a desiderar per necessità la loro presenza.
8
[marzo
1801]
Si
fa
esercizi
ogni
giorno
sul
salizà
[=selciato]
dal
Trento,
e
oggi
fu
fatto
a
foco
con
gran
stramberia.
Ogni
giorno
Moncey
va
alla
caccia.
Gran
anderivieni
di
Francesi,
e
sempre
con
danni
e
ruberie.
Deve
arrivar
le
barche
delle
biade,
ma
i
Francesi
le
fermano
ad
ogni
passo,
ed
esigono
del
denaro
per
liberarle,
e
ancor
non
giungono.
Si
vuole
che
anche
i
Francesi
acquistino
biade,
questo
sempre
più
ci
precipita.
I capi delle insurrezioni furono presi, e con ciò si evita i saccheggi, ma la povertà è estrema, e la mancanza di pane visibile.
9
[marzo
1801]
Nel
mentre
che
soddisfando
agl’immensi
pesi
passati
e
presenti
si
viveva
tranquilli
senz’altre
angarie
di
Brune
arriva
il
commissario
Dubar
intavolando
altre
estorsioni.
Veramente
la
nazion
francese
è
unica
per
la
mala
fede,
e
si
potrà
dire
senza
essere
contradetti
che
la
guerra
presente
e
la
politica
hanno
un
genere
di
perfidia,
di
nequizia,
e
di
orrore
per
cui
mancano
e
penne
e
lingue
per
descriverla.
Ora s’intima di abbatter le misere mura di Vicenza. Legge crudele d’una dittatura corsa, per cui il significato mi fa più spezie dell’esecuzione stessa. Gran Dio! a quali catastrofi, a quali vicende, a quali umiliazioni si vediamo il bersaglio. Dove andrà a terminare un tal giro di distruzione. Dio solo lo sa.
10
[marzo
1801]
Gran
cambiamento
di
generali:
Brune
deve
andar
a
Parigi
per
solennizar
la
pace
per
esser
secondo
console.
Il
nostro
Moncey
sarà
Generale
in
capo,
e
ricerca
una
carrozza
inglese
per
la
partenza.
Questi
Francesi
sembrano
dei
miserabili;
a
cui
manca
tutto,
ma
le
sostanze
dei
popoli
non
bastano
a
saziare
la
loro
violenza.
È
arrivato
il
generale
Garzan
da
Treviso,
e
questo
lo
rimpiazzerà
da
noi.
Venne
dunque
in
un
lacero
carrozzino,
assai
sdrucito
di
vestiario:
poveri
noi
tantoppiù
che
la
di
lui
fama
fa
temere.
Fu
ciò
preso
in
sbaglio.
Il
commissario
Dubar
diede
la
cannonata
che
Brune
partendo
da
Milano,
vedendo
i
bisogni
dell’insaziabile
armata
francese
gli
fece
un
rescritto
di
ricercar
da
Vicenza
l’intero
della
contribuzione,
o
altrettanto
con
altri
titoli.
Qui
minacciò,
intrigò,
diede
l’esempio
di
Verona,
di
cui
60
individui
ricchi
che
avevano
pagato
furono
posti
in
vergognoso
arresto,
finalmente
ingiunse
la
somma
di
600
mille
lire
in
soldo,
e
quasi
300
mille
in
panni.
Ma
la
deputazione
esausta
e
impaurita
riccorse
a
Moncey
(che
ora
dimora
alla
Rotonda)
il
quale
come
General
in
capo
si
assunse
di
favorirci,
e
lo
potrebbe,
ma
i
Francesi
son
tutti
d’una
pasta.
Domani arriveranno i guastatori per guastarci la borsa con qualche nuova proposizione, mentre le mura di Vicenza ognuno sa cosa sono. I conventi e altri edifici si dicono che esborsino zecchini per salvarsi. Gran pretesti, gran rovine, e gran durata sin al momento sapremo ogni giorno qualche nuovo raffinamento per ricavar danaro e quiete.
11
[marzo
1801]
Moncey
in
carrozza
con
tutta
la
truppa
sull’armi,
e
in
gran
pompa
fece
partenza
per
Milano.
Egli
si
comportò
colla
deputazione
con
una
gentilezza
estrema,
volle
scritti
i
nomi
del
Losco,
e
dell’Anguissola
per
lo
scrivere
direttamente,
ad
essi
lesse
una
lettera
scritta
al
general
Garzan
che
lo
rimpiazzerà,
in
cui
si
esprime
che
la
città
di
Vicenza
ha
sofferti
saccheggi
e
rovine,
che
s’è
adattate
esemplarmente
a
tutti
i
pesi;
ch’egli
ha
cercato
di
diminuire
la
sua
disgrazia,
e
ch’è
sua
intenzione
che
lui
debba
parimenti
far
lo
stesso,
e
che
lo
saprà.
Circa
poi
al
vertente
esborso
ch’esigeva
Dubar
minorò
egli
140
mille
franchi,
e
promise
di
esserci
favorevole
in
Milano.
Si
fa
male,
si
fa
bene,
e
si
opprime,
e
gabba
l’universo
a
più
potere.
Moncey
che
operò
così
col
pubblico
fu
ingratissimo
al
suo
padron
di
casa
conte
Porto,
non
lo
salutò
prima
di
partire,
non
ricercò
di
lui,
e
il
suo
ajutante
s’infierì
per
essergli
detto
che
mancava
della
robba.
Non
si
sa
precisamente
quando
partano
i
Francesi:
a
Parigi
si
festeggia
la
pace
per
5
o
6
giorni.
12
[marzo
1801]
Si
dice
che
i
Tedeschi
abbiano
passata
la
Livenza,
e
si
dice
che
da
Venezia
verra
la
guarnigione
d’Ancona
col
generale
in
capo
Hoenzollern.
Frattanto
e
generali
e
soldati
francesi
vanno
a
veder
Venezia,
e
si
vuole
un
imbarco
per
Ragun
o
altro
di
costoro.
Qui
consegnerà
la
piazza
Mainoni,
e
saremo
felici
se
schiveremo
Gazan.
Intanto
l’imbroglio
delle
angarie,
dei
pretesi
e
realizzati
esborsi
fanno
impazzire
i
più
saggi,
e
rovinare
all’eccesso
queste
di
già
esauste
contrade.
Contuttociò
la
malvaggità
non
è
sazia,
e
si
vorrebbe
veder
consunti
i
pretesi
ricchi.
Questa
è
la
malattia
anche
incurabile
del
tempo,
e
da
ciò
proviene
le
ciarle
e
gli
orrori
che
già
si
dice
dei
nostri
poveri
deputati.
Si
esagera
la
loro
titubanza,
le
loro
cattive
misure,
il
pessimo
ministero.
Ma
dei
Francesi,
di
cui
si
dovrebbe
esser
esacerbati
non
se
ne
fa
parola.
Se
i
giacobini
avessero
comandato,
povere
sostanze
pubbliche
e
private.
Frattanto
noi
vediamo
anche
dopo
firmata
la
pace
gran
requisizioni,
incertezza
di
vicina
evacuazione,
e
cader
delle
mure
che
indicano
un
vero
strapazzo.
Il
giro
delle
cose
fa
spezie
assai.
Alcuni
uffiziali
dicono
la
[Repubblique
française
n’a
plus
che
l’ecorce].
Bel
tratto
che
proferito
indica
corso,
regime
di
corsi,
e
nome
solo
di
Repubblica.
Brune
che
fu
stampatore
infelice
vien
delineato
[s’il
eut
en
un
bon
caractere,
il
eut
éte
imprimeur].
Abbiamo
qui
anche
il
Pulcinella
francese
molto
buono.
Dalla
Francia
si
scaccia
gl’Italiani
anti-Bonaparte,
questi
vengono
lodati
e
biasimati
dai
Cisalpini,
ma
certo
non
impiegati.
I
Cisalpini
sono
repubblicani
feroci,
ma
odiano
i
Francesi,
e
i
Francesi
li
disprezzano
a
voce,
ma
li
temono
in
fatto.
Dio
non
voglia
che
l’Italia
non
faccia
il
suo
corso
rivoluzionario,
certo
il
lievito
è
più
feroce
di
quello
dei
Francesi.
È
vero
che
attualmente
il
militare
Cisalpino
è
composto
della
maggior
feccia
italiana.
Ma
quali
talenti,
qual
valore,
qual
fermezza?
s’intorbida
troppo
l’acqua,
e
i
Francesi
di
già
discernono
che
l’italico
valor
non
è
ancor
spento.
13
[marzo
1801]
Oggi
si
cominciò
a
batter
le
mura,
e
si
faranno
mine
per
sollecitare.
Hanno
cominciato
a
partire
gli
ospitali,
contrassegno
buono:
dicono
però
i
Francesi
che
staranno
qui
ancora
un
mese:
questo
sarebbe
un
eccidio;
ma
pare
che
ai
20
o
ai
22
saremo
liberati.
Non
v’è
però
nessuna
istruzione
né
tedesca
né
francese.
Oggi
gran
scena
con
Moschini
bergamasco
per
aver
posta
in
saccoccia
la
moneta
per
provvedere
i
muli,
e
invece
si
esige
ancora
i
cavalli
da
carrozza,
e
il
restante
delle
boarie.
Gran
orrori,
gran
monopoli,
e
gran
minaccie.
Due
deputati
cisalpini
vennero
con
un
nota
da
Caloandri
a
perare
per
il
passaggio
di
300
giacobini
che
vengono
dal
Banato
[regione
oggi
della
Romania]per
farli
alloggiare
e
mantenere
a
spese
del
loro
governo:
questi
vengono
chiamati
i
martiri
della
libertà.
Oggi
è
arrivato
il
general
Gazan,
subito
ricercò
tavola
e
altro
dal
pubblico.
Dio
ce
la
mandi
buona.
Quando
mai
terminerà
questo
investimento
di
tutto,
questa
desolazione
pubblica
e
privata,
questo
vivere
cruccioso,
questa
umiliazione,
e
questo
furore
che
non
potrà
ai
nostri
occhi
spegnersi
che
con
altrettanto
furore.
La
mollezza
fa
star
impassibili,
ma
la
costante
tortura,
la
privazione
delle
proprietà
farà
risvegliare
delle
conseguenze
incalcolabili
cui
Dio
solo
potrà
metter
argini.
14
[marzo
1801]
Si
dice
che
in
9
giorni
non
vi
saranno
più
Francesi,
ma
dimani
si
va
a
provveder
panni
a
Schio,
e
venne
ricercata
la
Sala
Bernarda
per
i
sartori.
I
Francesi
che
vanno
a
Venezia
fanno
delle
sugestive
largizioni
per
cui
si
fanno
bramare:
funesta
direzione
che
non
essendo
qui
necessaria
non
si
pone
in
pratica,
mentre
in
tutto
sono
diversi
dall’altra
volta.
Le
spese
per
costoro
sono
immense,
se
si
fermano
qualche
giorno
di
più
non
si
può
sussistere.
Contuttociò
tutti
gridano
più
dei
deputati
che
dei
Francesi:
alcuni
dicono
che
questa
regia
democrazia
è
più
dilapidatoria
dell’altra:
chi
vuol
giustificare
il
passato
col
presente:
chi
grida
senza
conoscenza
di
causa,
chi
per
necessità,
chi
per
malvaggità,
e
chi
per
un
certo
fatalismo
che
sembra
di
raggirare
gli
eventi.
Un
uffiziale
disse
che
l’Italia
è
la
sepoltura
dei
soldati,
la
miseria
degli
uffiziali,
e
il
paradiso
dei
commisari
e
dei
generali.
E
gl’Italiani
cosa
dicono?
che
i
stranieri
formeranno
sempre
la
loro
rovina.
Tutti dicono che Parigi è un paradiso terrestre; ma che il restante della Francia è in un deperimento considerabile. Tutto il mondo è rovinato, ma se sussisterà la pace, le migliori leggi saranno quelle che faranno cambiar faccia alle cose. Certamente né la destruzione, né gli inceppamenti potranno produrre prosperità.
15
[marzo
1801]
Chi
sente
gli
uni
i
Francesi
partono
presto,
hanno
ordinato
sollecita
la
partenza
degli
ospedali,
e
del
biscotto,
e
ai
20
tutto
sarà
finito.
Ma
chi
sente
gli
altri
i
Francesi
destramente
indicano
di
partir
sempre
presto,
ma
si
vede
munizioni,
scarpe,
e
biscotto
ad
andare
a
Treviso,
e
da
quella
parte
vi
sarà
ancora
30
mille
uomini,
che
ci
vuol
il
suo
tempo
a
vederli
in
movimento;
questi
propendono
per
la
partenza
alla
fine
di
marzo
e
ai
primi
di
aprile.
Frattanto
noi
si
roviniamo
all’eccesso
ogni
giorno
ci
costa
verso
10
mille
ducati,
l’altro
giorno
80
mille
lire,
ieri
alle
11
della
mattina
s’aveva
di
già
esborsate
60
mille
lire:
non
si
può
formarsi
un’idea
della
diabolica
direzion
francese
in
materia
d’interesse.
Ci
vorrebbero
dei
reami,
non
delle
provincie
inesauste
per
contentarli.
Si va gettando con lentezza a nostre spese le mura. Tutto dimostra un’aria di distruzione e di disprezzo: contuttociò vivendo in un caos, molti sperano la vendita di Verona, e di Mantova, molti la ressurrezione della veneta Repubblica, molti un Arciduca. Tutto par possibile, e ogni stravagante idea par probabile. Ma in fondo la grandezza della Francia, la dura legge, che apertamente essa da al Continente, il lievito delle opinioni, e il giro fatal delle cose che corrono nella prosperità, e solo prendono fiato nei tempi contrari mi fa credere che le cose difficilmente si sistemeranno all’antico andamento, bensì temo che vedremo delle novità che occasioneranno delle conseguenze incalcolabili.
16
[marzo
1801]
Il
console
Furio
fondò
le
nostre
mura,
il
console
Bonaparte
le
abbatte.
Non
si
sà
quando
partono
i
Francesi,
ma
si
crede
presto;
tutti
temono
l’ultimo
addio.
Lacombe
gran
capitalista
di
Parigi
esibisce
di
mandar
moda.
Sulla
sera
arrivarono
due
brigate
da
Treviso:
tutto
si
dirige
a
Milano,
bella,
grande,
vivace
e
ben
vestita.
Qui
si
fa
800
divise
che
devono
esser
terminate
per
i
20
caso
che
nò,
si
faranno
finire
per
requisizione
nelle
case.
La
truppa
gira
tutta
la
notte:
non
v’è
disciplina
né
di
caserme,
né
di
nulla.
Si
teme
per
il
Monte
[di
Pietà],
la
piazza
trema
di
tutto.
Dal canto tedesco nulla si sa. Passa prigionieri reciproci di cambio, e ambe le nazioni dicono il più vantaggioso per loro. Ma la diplomazia parigina è più misteriosa di tutte le altre.
17
[marzo
1801]
Questa
mattina
Dubar
notificò
che
non
più
la
partenza
era
vicina,
stante
che
Ratisbona
ha
ricercato
quattro
settimane
cominciando
dai
6
di
marzo
per
far
le
ratifiche
della
pace,
poi
fra
il
cambio
e
l’esecuzione
poveri
noi!
ma
i
più
avveduti
dicono
che
la
scena
finirà
ai
8
d’aprile.
Per
colmo
di
disgrazia
si
rinnovò
l’ordine
infame
di
voler
tutto
l’intero
della
contribuzione,
e
fra
i
regali
di
Brune
e
di
Moncey
si
termina
con
tutte
le
doppiezze
e
nequizie
francesi
a
dover
pagare
quel
ch’era
men
male
che
si
avesse
sostenuto
sin
dal
principio,
ma
i
Francesi
amano
di
espilare,
di
raddolcire,
e
di
torturare
in
fondo
l’universo
intero
con
dei
raggiri
indescrivibili.
I
Francesi
sensibilano
per
gli
affamati
Montagnuoli,[abitanti
delle
montagne
dei
7
Comuni]
e
come
ponno
soddisfare
alla
loro
curiosa
umanità
a
spese
altrui;
così
comandano
che
si
dia
52.
milla
franchi
ai
Sette
Comuni.
Convien
considerare
che
la
città
loro
decretò
prima
40.
mille,
ma
che
non
contenti
si
posero
a
far
la
corte
ai
Generali
francesi,
ed
Espital
facendo
a
mezzo
con
essi
li
favorì.
Tutto
si
raggira
così,
e
il
nostro
eccidio
è
imminente.
Devono arrivar Francesi da Verona per completar la Divisione che abbiamo. L’andirivieni è sommo, si mangia e si tracanna, e si leva la pelle, ma non contenti di ciò comprano biade a più potere a soldo vivo, e le mandano altrove, se l’affar non finisce presto, le rissorse sono finite.
18
[marzo
1801]
Oggi
corrono
le
buone
nuove,
solito
ingrediente
francese.
Oggi
cannonate,
domani
raddolcimento.
Si
dice
dunque
che
Trento
è
evacuato,
che
a
Verona
è
sospesa
la
demolizione
dei
castelli,
e
che
l’Imperatore
anderà
al
Mincio
e
all’Adda,
ma
io
credo
che
fra
una
disgrazia
e
l’altra
camperremo
senza
vederla
finita.
Gran
Francesi
vengono
da
Treviso,
e
da
Verona,
e
parimenti
partono,
ne
va
in
territorio,
e
si
sostiene
con
ciò
le
caserme
per
gli
arrivati:
il
consumo
di
tutto,
e
la
mancanza
di
rissorse
è
giunta
all’eccesso.
Il
mercantile
si
distingue
nella
poca
sensibilità
e
sforzi
per
la
patria.
Certo Franco Ferrajo meriterebbe una statua per il suo vero amor patriotico, esempio che commove nei perfidi tempi nostri.
19
[marzo
1801]
Oggi
non
ci
son
nuove;
si
alterna
nel
caos.
Il
generale
Mainoni
comasco
sembra
un
vero
galantuomo,
ed
ha
assicurato
che
s’interesserà
vivamente
al
gran
momento
della
partenza
francese.
Ciò
dà
della
pena,
ma
la
Provvidenza
ci
assisterà.
Gran
alloggi,
gran
inquetudini,
gran
cabale,
gran
requisizioni,
e
gran
privazione
di
rissorse
in
tutto,
si
dura
non
si
sa
come.
Domani partiranno tre mercanti per Lipsia per incagli di commercio, questo sarà un male che ad essi sarà sensibile: per il resto non meritano che i voti del vantaggio del lusso, unico bene che può derivare da loro. La patria e l’umanità li riguardano come degl’individui appartati dalla società.
20
[marzo
1801]
Oggi
tutti
i
generali
concordano
che
ai
7.
del
corrente
Ratisbona
ha
ratificato
la
pace,
e
che
frappoco
evacueranno
da
questi
paesi.
Si
getta
giù
le
nostre
mura
con
delle
picciole
mine.
Siamo
ridotti
alla
noja
dei
Francesi,
alla
tiepidezza
per
gli
Austriaci,
all’impossibilità
per
l’avvenire,
e
non
si
si
agita
che
per
trovar
onde
pagare
le
immense
spese
attuali.
Dal
Bon
commissario
disse
che
l’armistizio
era
fatto
in
decembre,
e
i
confini
fissati
all’Adige,
e
che
se
l’imperatore
avesse
avuto
da
dare
ai
Francesi
10
millioni,
e
dei
viveri
non
avrebbero
essi
oltrepassata
quella
demarcazione,
ma
l’impossibilità
fece
abbandonare
i
nostri
paesi
alla
loro
incursione
per
saziare
simile
compatata.
Bel
regalo!
che
per
saziar
l’ingordigia
si
avrà
avuto
più
di
40
millioni
di
danni.
Tutti i Francesi dicono che la Turchia sazierà l’imperatore, e che queste belle contrade diveniranno Republica, e che fatalmente noi soggiaciamo a quell’adagio politico che vogliono le circostanze: bel conforto! Questo è un indicar spogli e nuove agitazioni.
21
[marzo
1801]
Oggi
si
dice
che
sieno
pervenute
le
ratifiche
della
pace
anche
a
Milano,
che
fra
10
giorni
si
evacuerà.
Gran
parata,
e
gran
soldati
in
piazza,
magnifici
brillanti,
e
a
colpo
d’occhio
invincibili,
se
i
doni
di
costoro
fossero
atti
a
renderli
onesti,
qual
gente
sarebbero!
ma
i
talenti,
il
brio,
le
vittorie,
ed
altro
rendono
maggiormente
insoffribili
le
loro
nequizie.
Cadono le mura, e si dice traballino le più importanti di Verona e di Padova. I Tedeschi coll’eco di simili trofei scendono lentamente al nostro acquisto, e noi spogliati, avviliti, e senza tramontana saremo gli umilissimi servitori di chi capiterà.
22
[marzo
1801]
Furiose
requisizioni
di
pane,
di
carrozze,
e
di
tutto,
segno
evidente
che
presto
le
ratifiche
si
pubblicheranno.
Gran
superbia,
e
gran
viltà
francese:
si
disputa
sino
sui
soldi.
Niente
si
sa
dal
canto
tedesco.
I
Francesi
però
vengono
da
Treviso,
ma
c’è
una
confusin
somma,
contuttociò
insensibilmente
si
vede
delle
partenze.
Di Milano, di Verona nulla si sa, gran misteri, e gran tenebre.
23
[marzo
1801]
Tutto
è
in
gran
movimento,
ma
si
teme
che
s’ingojerà
ancora
per
dieci
giorni.
Si
dice
evacuati
Roveredo,
e
dei
reggimenti
a
Mestre,
ma
niente
di
ufficiale.
Si
esige
assai
per
aver
onde
mantenersi
a
nostre
spese
anche
dopo
l’arrivo
delle
ratifiche,
in
cui
non
si
potrà
più
esiger
nulla
senza
denaro
sonante.
Gran
sotterfugi,
violenze,
e
ragirazioni.
Espital fa la figura dell’espilatore. Tutti temono quest’ultimo addio.
24
[marzo
1801]
Oggi
un
nella
sola
città
alloggiamo
7.
mille
Francesi,
oltre
quelli
del
territorio.
Bassano
paga
e
ce
li
regurgita;
in
oggi
si
avrà
speso
da
82.
mille
lire;
si
va
d’un
trotto
che
se
non
cessa,
non
ci
resta
più
nulla.
Oggi
vado
e
doman
resto
è
il
ritornello
che
ci
conforta.
Furor di gente si vede, e non v’è paragone della magnificenza, e bellezza dei Francesi in paragon dell’altra volta. Il mondo galante intimorito non eguaglia la volta passata, ma se il tempo ci fosse, credo che la supererebbe. C’è però un’aria di avarizia che soffoca la galanteria. Ma se il Francese la palliasse come fa in tutto, il Francese sarebbe il galante per eccellenza.
25
[marzo
1801]
Oggi
s’incomincia
a
scorgere
che
le
ratifiche
sono
in
saccoccia,
e
che
ricevute
le
immense
requisizioni
si
vocifera
che
in
tre
giorni
partirà
la
metà
della
nostra
guarnigione,
e
che
forse
nella
ventura
settimana
saremo
liberati.
Espital
volendo
far
a
mezzo
con
una
comunità
esige
soccorsi,
e
minaccia
l’arresto
dei
Deputati,
i
quali
però
resistono.
Alla
bottega
di
Carlo
si
declama
contro
la
deputazione.
Ma
invero
i
Francesi
li
han
costretti
a
tutte
le
tasse
possibili,
sicché
tutti
gli
opinanti
di
finanza
furono
serviti:
ve
ne
fu
sull’estimo
alla
democrazia,
all’aristocratica,
prestazioni,
piaggerie,
a
viso
creduto
ricco,
ma
come
convien
pagare,
così
tutti
sono
arrabbiati,
tanto
più
che
molti
non
possono
far
giornata.
Questo paese non so come regga a tanti esborsi, e a tante inquietudini e angarie. I Francesi prendono generi, mobili, e argenterie, e si vede a mercanteggiare sino i librai. Soldo e robba è un ingrediente della libertà che liberamente inghiotte tutto.
26
[marzo
1801]
Moncey
scrive
che
stante
le
purezza
del
zelo
della
deputazione
e
le
ratifiche
avute,
non
vi
debba
essere
più
espilazioni.
Espital
ha
dovuto
poner
le
pive
in
sacco.
Mainoni
si
fa
un
gran
onere,
e
pare
la
Fenice
dei
Francesi:
la
deputazione
voleva
regalargli
un
carrozzino,
ma
egli
lo
ricusò
dicendo:
L’unico
favore
che
bramerei
sarebbe
che
scriveste
al
quartier
generale
che
non
siete
rimasti
mal
contenti
di
me.
La
vera
arma
dei
Francesi
sarebbe
il
gatto,
il
qual
fa
mille
versi,
ma
graffia
sino
al
sangue.
Si
si
consola
colla
partenza
in
tre
giorni
di
tre
battaglioni,
ma
non
si
sa
ancor
nulla
dei
Tedeschi,
ora
si
confessa
finalmente
che
le
ratifiche
son
giunte,
onde
si
spera.
È creato un Consiglio di guerra di 5. Francesi, e altrettanti di nostri per consultori per giudicare gl’insorgenti nelle ville.
27
[marzo
1801]
Questa
mattina
si
cannonò
un
poco
le
ratifiche,
e
si
ha
assicurato
che
ai
3
del
venturo
verranno
i
Tedeschi.
Ad
onta
di
essersi
avvantaggiati
i
Francesi
prima
delle
ratifiche
non
potendolo
far
dopo,
ragirano
per
farsi
mantenere
ancora
dai
particolari
colla
forza,
dunque
convien
ancora
servirli:
essi
sono
liberi
da
tutte
le
leggi
divine
ed
umane.
Si
getta
giù
le
mure,
credo
più
per
il
comodo
privato
che
per
una
autorità.
Terminerà dunque quest’orrida tragicomedia in cui, e sostanze, e angustie, e chimeriche idee han ribaltato tutte le teste e le fortune. Il Cielo faccia che non si travesti in altra guisa le medesime circostanze, e che possiamo una volta respirar quella tranquillità, che le apparenze non dinotano.
28
[marzo
1801]
Arriverà
1800
uomini
da
Castelfranco:
si
dice
che
ogni
cosa
sarà,
poi
succede.
Dei
Tedeschi
nulla
si
sa.
I
Francesi
però
pajono
tranquilli,
e
si
dice
che
passerà
tutto
con
buon
ordine.
Si mercantizza panni, sete, forniture, e di già i mercanti profittano, ma ce neha voluto a persuaderli che l’estimo della città sarà efficace alla sicurezza: non fu che Schio che si può dichiarare bene merito della patria. Intervenienti e avvocati tutti opinavano diversamente.
29
[marzo
1801]
Mentre si angustiava per le angarie di Espital protette da Gazan, e che si temeva de Suchet verificando i biglietti del Monte, ciò servisse per pretesto d’un spoglio, giunge inaspettatamente il generale Michaud spedito da Moncey espressamente per far avere a questo benemerito paese, e sua onesta deputazione il bene almeno d’una tranquilla partenza. Questo tratto è bello in Moncey, tantoppiù ch’egli ricorda la sua resistenza costì con molta gentilezza e premura.
30
[marzo
1801]
Perché
venga
conturbata
la
più
minima
speranza
nel
mentre
che
contenti
della
venuta
di
Michaud,
perché
questo
poneva
termine
alle
angarie
e
futuri
ragiri,
e
assicurava
della
più
perfetta
tranquillità
in
questi
ultimi
momenti,
ieri
esso
partecipò
che
ai
4
del
venturosi
ritirerebbe
di
qui,
perché
è
ordinato
a
guarnire
le
sponde
dell’Adige,
ch’egli
ha
spedito
due
corrieri
ai
Tedeschi,
ma
che
non
ne
ha
avuta
alcuna
risposta,
però
consiglia
la
deputazione
a
spedirne
un
altro.
Non
si
avrebbe
creduta
una
tal
scena,
ma
tutto
è
fattibile,
e
possibile
nei
nostri
tempi.
Siamo
ridotti
a
pregare
che
ci
prendino,
non
perché
non
siamo
certi
che
tali
bocconi
non
si
trascurino,
ma
perché
la
fame,
e
la
disperazione
ci
minaccia,
e
giacché
siam
destinati
alla
soldatesca,
almeno
sia
qualche
volta
proficua:
vedremo
cosa
sarà.
È
venuta
della
bellissima
cavalleria
da
Castelfranco:
si
attende
ancora
altri
1800
uomini,
poi
si
spera
finito
tutto,
mentre
Suchet
e
Delmas
vanno
da
un’altra
parte.
È
arrivata
la
truppa
del
nostro
territorio,
e
la
nostra
pulizia
dice
gran
disgrazie!
Non
consiglio
alcuno
andare
in
campagna;
i
comuni
però
si
son
tutti
armati
in
difesa
dagl’insorgenti:
gran
miserie,
e
gran
timori!
La
Commission
francese
che
dovea
giudicare
gl’insorgenti
catturati
è
andata
così
lentamente,
che
non
ha
più
il
tempo
per
giudicarli.
Passa
di
continuo
i
prigionieri
d’opinion
politica
liberi
e
salvi.I
Cisalpini
li
vestono
e
pagano
per
essi:
gran
ceffi,
gran
barbe,
gran
capotti,
e
palossoni!
La nostra deputazione ha la compiacenza di veder la sua direzione lodata dai suoi stessi nemici, in confronto di quella dei Padovani, Trevigiani, e Bassanesi, che soffrono assai in tutti i versi.
31
[marzo
1801]
I
Tedeschi
si
dicono
alla
Piave,
e
domani
a
Treviso.
I
Francesi
han
concertato
che
resterà
qui
Mainoni
per
comandante
della
piazza
sino
alla
consegna.
Le
truppe
arrivate
da
Bassano
e
Padova
vennero
per
i
loro
dipartimenti
accompagnate
colla
compana
a
martello
da
tutte
le
ville.
Ora
si
sostien
che
l’armistizio
di
Napoli
è
rotto,
sicché
la
misera
Italia
soggiacerà
ancora
a
mille
rovine
e
incertezze.
I
Francesi
son
giunti
a
un
tal
estremo
che
li
rendono
formidabili,
e
la
gran
lotta
dei
tiranni
del
Continente
e
dei
mari
deciderà
in
grande
il
destino
dell’Europa.
Noi
rovinati
in
tutti
i
sensi,
siamo
balloni,
che
non
conosciano
l’ultima
direzione
che
ci
verrà
data.
Dopo 4 anni che scrivo questo giornale non avrei creduto che ne terminerei il primo libro nell’istessa catastrofe in cui l’ho incominciato. Le illusioni ci fanno passare men male la vita, ma le realità riescono più pesanti, e i presentimenti più non si sostengono in bene per il futuro, mentre tanto si sono avverati funesti sino al presente. Faccia il Cielo mentre e uomini e cose si trovano in un caos che non sarà tanto facile da riordinare.