Gli anni della
inquietudine
Le uova e i pomodori
lanciati dai contestatori contro i visoni e gli sparati della <<bella
gente>> che, quell'8 dicembre 1968, si avvia allo spettacolo d'apertura
di stagione al teatro alla Scala di Milano chiudono un periodo e ne
aprono un altro. L'episodio ha ancora il sapore di una goliardata (a
capitanare la manifestazione è uno studente espulso dalla Cattolica e
ora iscritto alla Statale, si chiama Mario Capanna), dopo ne verranno
altri più crudi e inquietanti. Gli anni che sono seguiti alla recessione
del '64 lasciano fermentare un malessere che esploderà a cavallo fra
questo decennio e quello successivo. Eppure sono gli anni del
centrosinistra, la formula di governo sulla quale molti italiani avevano
riposto molte speranze. Moro è in sella nel suo secondo e terzo
ministero, i socialisti nel '66 provvedono a unificarsi e
forniscono al governo i loro uomini più prestigiosi. Tutto questo, pare,
evidentemente non basta per un paese che ha conosciuto una crescita
convulsa della sua economia, alla quale non hanno saputo però adeguarsi
le strutture statali, sociali, amministrative. La prova viene anche
dalle elezioni politiche del 18 giugno 1968. Se è vero che la Democrazia
cristiana registra un lieve aumento, è anche vero che i comunisti
conseguono un notevole passo avanti. E, cosa più importante ancora, i
socialisti unificati perdono circa la quarta parte dei voti ottenuti
cinque anni prima a liste separate. Al governo, come cinque anni prima,
va Giovanni Leone. E' chiaramente un incarico di transizione, durerà
infatti sei mesi, il tempo perchè i partiti di centrosinistra raccolgano
le idee e si ripresentino con il primo di quelli che saranno cinque
ministeri di Mariano Rumor. Rumor entra in carica quattro giorni dopo
che Capanna e i suoi compagni hanno bersagliato a Milano gli agghindati
signori che si avviano ad assistere al Don Carlos.
La contestazione
studentesca è in pieno svolgimento, inevitabile prodotto del
malgoverno che aveva retto la nostra scuola e al quale si era cercato di
porre rimedio, ma soltanto per una fascia di età, con l'istituzione, nel
gennaio 1963, della scuola media unica che portava l'obbligo scolastico
a quattordici anni. In questi anni, il mondo del lavoro registra l'opera
paziente per ricucire l'unita delle forze sindacali. Il 1965 vede la
fase più acuta della recessione e anche le più caute iniziative da parte
delle organizzazioni dei lavoratori. Le ore di sciopero sono tra le più
basse degli ultimi cinque anni; avranno una spinta nel 1966, poi di
nuovo un calo nel 1967. Nel complesso il costo del lavoro — per
contenere il quale si battono non soltanto, ovvio, gli industriali ma
anche, per questioni di superiore economia, il governatore della Banca
d'Italia Guido Carli — non subisce grosse lievitazioni nonostante il
pesante rincaro del costo della vita (in due anni l'indice passa da 140
a 150 punti). Se questo facilita la ripresa economica dopo la
congiuntura ammonitrice del 1964, induce anche le tre confederazioni
sindacali ad avviare un discorso unitario che renda più incisiva la loro
azione. Formalmente non si giungerà a risultati concreti fino al 1972,
ma già nel 1968 si può raccogliere qualche frutto. Il 7 marzo c'e uno
sciopero generale proclamato dalla Cgil per le pensioni, sciopero al
quale, in diversi gradi, aderiscono anche Cisl e Uil. Di questa
iniziativa dovevano beneficiare milioni di italiani. La conquista
avveniva tuttavia attraverso penose, incertezze. La stessa Cgil doveva
rivedere un accordo cui aveva già dato, in un primo tempo, il proprio
benestare Migliaia di telegrammi di disapprovazione da parte di
pensionati insoddisfatti avevano contribuito a determinare il
ripensamento. Ci volevano due altri scioperi per giungere alla
definizione dell'accordo (che costava al paese dieci lire d'aumento sul
prezzo della benzina). Il punto più significativo a favore dei
pensionati era l'istituzione di un congegno di scala mobile che
aggiornava, sia pure limitatamente, l'ammontare delle pensioni in
rapporto al progressivo scadimento del potere d'acquisto della lira. Era
poi ripristinata la pensione di anzianità, indipendentemente raggiunta,
per chi avesse almeno trentacinque anni di contributi versati. Infine
era costituita la cosiddetta <<pensione sociale>>: dodicimila lire
mensili, per tredici mesi all'anno, di cui avrebbero beneficiato coloro
che, per il mancato versamento dei contributi necessari, non avevano
diritto al normale pensionamento.
Nell'ottobre dello
stesso 1968 si registrava un'altra innovazione nel campo del lavoro,
ottenuta a conclusione di tutta una serie di scioperi. Le <<gabbie
salariali>>, cioè la differenza delle retribuzioni minime nelle diverse
zone del paese, erano abbattute. Era un passo avanti nello sforzo di
risollevare il tenore di vita dei lavoratori del Mezzogiorno. Nel 1967
il reddito medio prodotto in Italia era di circa 620 mila lire. Si
passava però dal milione di Milano, dalle 942 mila lire di Torino, dalle
900 mila lire di Genova alle 320 mila di Reggio Calabria, alle 296 di
Agrigento, alle 290 mila di Avellino. Sono squilibri fortissimi, che
denunciano fallimento della politica meridionalistica fin qui seguita.
Un altro settore che versa in grave situazione di disagio è quello
agricolo. Il confronto con le più razionali e redditizie colture di
diversi altri paesi del Mercato comune (la Francia sta diventando il
granaio d'Europa grazie all'opera dei coloni estromessi dall'Algeria)
torna a tutto scapito dei nostri coltivatori. Anche in campo zootecnico,
le mutate abitudini alimentari degli italiani - il nostro consumo di
carne si avvicina sempre più a livelli europei, ne sa qualcosa la nostra
bilancia commerciale — non bastano a ovviare alla crisi degli
allevamenti. L'urbanesimo, il richiamo della fabbrica spopola le
campagne. Secondo un'inchiesta della Federazione dei coltivatori
diretti, nel 59 per cento delle famiglie contadine italiane non esiste
un uomo al di sotto dei cinquant'anni, nel 30 per cento non ve ne sono
sotto i sessant'anni e nel dieci per cento sotto i settanta. Un primo e
un secondo «piano verde» iniettano miliardi, in questi anni, ma danno
risultati limitati e comunque non tali da invertire la tendenza. E' in
questo quadro che nel dicembre 1968 si verifica il sintomatico episodio
di Avola. In questo centro agricolo della Sicilia sud-orientale, la
polizia spara contro un blocco stradale improvvisato da braccianti in
sciopero. Si hanno due morti, iscritti alla Fisba, la federazione di
categoria aderente alla Cisl. Anche nelle zone a più alto reddito
incomincia però a serpeggiare il malessere.
Nelle grandi
fabbriche del Nord il raffinamento delle tecnologie di produzione, la
richiesta comunque di un ritmo che mantenga la produttività a livelli
competitivi — secondo quanto impone l'economia del profitto — si
manifesta massicciamente in quella che viene definita <<disaffezione>>
al lavoro, vale a dire nel fenomeno dell'assenteismo. Nelle aziende
metalmeccaniche, fra il 1963 e il 1968 la media delle assenze
giornaliere aumentata dall'8 al 12 per cento. Manifestazioni di
insofferenza verso la stessa disciplina sindacale si verificano in
diversi grandi stabilimenti; di qui hanno origine i gruppi
spontaneistici che, per quanto mai molto numerosi, dovranno dare un
forte contributo all'estremizzazione della lotta sindacale nell'ormai
imminente "autunno caldo». Il disagio del momento è colto anche in campo
imprenditoriale. Risalgono al 1968 i tentativi di rinnovamento in seno
alla stessa Confindustria (dalla quale nel 1958 si erano staccate le
imprese a partecipazione statale, confluite nell'Intersind). I «giovani
industriali», dei quali sono esponenti Leopoldo Pirelli e Gianni
Agnelli, si fanno promotori di una maggiore dinamica. Gli italiani,
intanto, hanno imparato a utilizzare pienamente il mezzo che tecnologia
e industria hanno messo a loro disposizione per placare le inquietudini
del momento. La vendita di televisori registra in questi anni un
autentico boom. Dai due milioni di abbonamenti del 1960 si passa ai 2
milioni e ottocentomila del 1961, ai tre milioni del 1962 (e l'anno in
cui Dario Fo presenta Canzonissima e interrompe clamorosamente le
trasmissioni per la censura della Rai: che nel '67 uscirà soccombente in
giudizio), nel 1963 siamo a quota tre milioni e mezzo, nel '64 a quattro
milioni, nel '65 si passa il traguardo dei sei milioni, per raggiungere
quello dei sette prima della fine del decennio. Più che la scuola
dell'obbligo (che quindici anni dopo la sua istituzione risulterà aver
licenziato solo il 76,6 per cento della popolazione italiana), è la
televisione che contribuisce a diffondere l'uso dell'italiano, in un
paese che ancora nel '55 aveva soltanto il 18 per cento dei suoi
abitanti che abitualmente parlavano <<in lingua>>.
Fra le critiche che
la televisione riceve per il livello di parecchi dei suoi spettacoli,
questa è una nota positiva che tutti le riconoscono. Indubbiamente,
però, attraverso i teleschermi gli italiani imparano a interessarsi
maggiormente alle faccende di casa propria e di casa altrui. Seguono la
visita del papa in Palestina nel 1964, un evento storico se non altro
perchè consacra, a Gerusalemme, il significativo abbraccio, dopo cinque
secoli, tra il pontefice di Roma e il patriarca ortodosso di
Costantinopoli. Seguono anche — è il 1965 — il «pellegrinaggio di pace»
che Paolo VI compie negli Stati Uniti, celebrando la messa allo Yankee
Stadium di New York, di solito occupato dagli arroventati incontri di
baseball o dalle deliranti manifestazioni musicali giovanili. Sono due
dei molti viaggi apostolici che compirà Paolo VI. Nel 1966 gli italiani
si apprestano a seguire con trepidazione la squadra azzurra che
partecipa, in Inghilterra, ai campionati mondiali di calcio.
Ma hanno una cocente delusione. Il 19 luglio sul campo di Middlesbrough,
una rete segnata al 42' del primo tempo dalla mezzala Pak Doo Ik dà alla
Corea del Sud una clamorosa vittoria che elimina l'Italia dal torneo. II
presidente della repubblica, Saragat, telegrafa al <<capitano>> della
nazionale Sandro Salvadore: <<Al vostro ritorno in patria dopo una
sconfitta sportivamente subita giungavi il mio cordiale saluto>>. (Due
anni più tardi, il presidente della repubblica nominerà cavalieri gli
azzurri vittoriosi nel campionato d'Europa). Il 1967 riflette le gravi
tensioni internazionali. E' l'anno del colpo di stato dei «colonnelli"
ad Atene (manifestazioni in tutta Italia in coincidenza con il
successivo 25 aprile, festa della liberazione). E' l'anno della <<guerra
dei sei giorni>>, che vede le truppe israeliane di Moshe Dayan
catapultate sul canale di Suez. E' l'anno dell'ulteriore escalation
americana in Vietnam con l'occupazione della fascia smilitarizzata che
divide il Nord dal Sud (a Milano migliaia di manifestanti bloccano la
partenza del Giro d'Italia).
Ma dall'Estremo
Oriente le notizie si fanno via via più drammatiche. I soldati
statunitensi che combattono su quel fronte sono più di mezzo milione, e
nonostante questo devono subire l'iniziativa dei vietcong, che nel
gennaio 1968 lanciano l'offensiva del Tet, cosi chiamata dal capodanno
locale. A Saigon, l'ambasciata Usa è occupata da un gruppo di
guerriglieri, nel settore nord l'importante città di Hué cade sotto
l'impeto degli attaccanti, a Khe Sahn diecimila americani sono
circondati da grosse forze nemiche e soltanto due mesi dopo saranno
disimpegnati. Il 1968 è l'anno di Song My, anche se l'agghiacciante
strage compiuta da tre plotoni di fanti americani in questa località
vietnamita sarà resa pubblica dalle rivelazioni di un giornalista
soltanto due anni dopo. Dichiarato responsabile dell'uccisione di 102
civili, il tenente William Calley sarà condannato all'ergastolo (ma la
pena verrà poi cornmutata). E' soltanto un episodio del tremendo
conflitto in corso nel Vietnam. La sorte di questo martoriato paese
lacera gli italiani, ma un'altra guerra atroce è scoppiata nel 1968 in
una zona d'Africa. La secessione del Biafra è duramente domata dalla
Nigeria, ma la regione è colpita soprattutto dalla fame, che fa le prime
vittime tra i più deboli e indifesi, i bambini. I servizi fotografici
portano la testimonianza dei piccoli corpi scheletriti, dei ventri
gonfi, degli occhi sbarrati. Sono tempi duri, per molti sono tempi
durissimi.