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LA FINE DEL PETROLIO

Due minacce, assolutamente nuove nella storia dell'umanità, incombono sulla prosecuzione dello sviluppo economico e sociale del pianeta: il cambiamento del clima e l'avvicinarsi del momento in cui la produzione del petrolio e del gas naturale raggiungerà il picco massimo per poi diminuire.

La quasi totalità della comunità scientifica manifesta preoccupazioni per l'incremento dell'effetto serra. Per evitare conseguenze catastrofiche, l'aumento della temperatura non deve superare i due gradi rispetto all'era preindustriale, il che implica che la concentrazione di CO, non raggiunga la soglia di 450 parti per milione (ppm), mentre attualmente siamo già a 377 ppm, contro le circa 320 ppm dei primi anni sessanta. Il limite può essere rispettato solo con tagli delle emissioni di gas serra del 15 50 per cento su scala globale entro il 2050 (60 - 80 per cento per i paesi industrializzati). Ma le attuali tendenze sembrano muoversi in tutt'altra direzione. Secondo l'Intemational Energy Agency (IEA), le emissioni mondiali di CO, al 2030 cresceranno del 35 60 per cento.

Analizzando poi la situazione dei mercati petroliferi, le stime sul momento in cui la produzione mondiale raggiungerà il suo massimo per poi progressivamente diminuire sono molto differenziate, con i più pessimisti che ritengono che il picco verrà raggiunto entro il 2010. Altre fonti, come il Department of Energy (DOE) degli Stati Uniti, spostano il picco tra il 2016 (con le ipotesi più realistiche) e il 2037 (DOE, 2000). E le valutazioni saudite sull'impossibilità di aumentare la produzione ai livelli che sarebbero necessari nei prossimi 10 20 anni accrescono l'incertezza.

Ma come attrezzarsi in vista del picco di produzione? Secondo un recente rapporto dei DOE, occorre che i governi si attivino almeno vent'anni prima del declino dell'offerta di greggio. Se il picco venisse raggiunto entro il 2020 saremmo dunque già in ritardo. Va sottolineato inoltre come gli stessi rischi di approvvigionamento del greggio si riscontreranno, sia pure con un certo sfasamento, anche per il gas naturale.

Come è ormai evidente, la crescita delle emissioni di gas serra e l'andamento della produzione di petrolio e gas naturale sono in palese contraddizione con i vincoli ambientali e la relativa disponibilità di risorse naturali. Eppure, malgrado l'ampiezza delle sfide da affrontare siamo ancora in tempo a predisporre efficaci strategie di intervento. Lo dimostrano le risposte dopo i primi shock petroliferi degli anni settanta, e il recente impegno di alcuni paesi. Siamo però molto lontani dall'avvio della risposta incisiva e concertata che sarebbe necessaria per ridurre i rischi potenziali.

Analizzando le tipologie d'intervento, possiamo raggrupparle in tre classi: gli interventi di base, sempre necessari (come le misure per migliorare l'efficienza energetica, illustrate nell'articolo Più profitto, meno carbonio); quelli di transizione, che possono rappresentare un polmone in grado di preparare la rivoluzione energetica necessaria, dal cambiamento del mix dei combustibili alla forestazione; e quelle "strategiche" di lungo periodo (energia nucleare, fonti rinnovabili, sequestro dell'anidride carbonica).

Migliorare l'efficienza degli usi finali o della produzione di energia è la strategia di base per contenere la domanda. I risultati possono essere molto superiori rispetto alle tendenze attuali. E per di più possono essere raggiunti con un vantaggio economico netto per la collettività. Dopo le crisi petrolifere degli anni settanta si è avviato un disaccoppiamento tra le dinamiche dello sviluppo e quelle dei consumi di energia. In Europa l'effetto del calo dell'intensità energetica (consumo di energia per unità di PIL) ha consentito di ridurre la domanda di energia del 3,5 per cento. E per il futuro si ritiene possibile ridurre i consumi europei di un quinto entro il 2020 con interventi economicamente convenienti.

D'altra parte, è provato che una politica di rigore sul versante dell'efficienza energetica può portare a risultati significativi, come indica l'andamento dei consumi elettrici pro capite in California, rimasti costanti negli ultimi trent'anni a fronte di un incremento del 50 per cento nel resto degli Stati Uniti. A seconda della capacità di attivare politiche in grado di ridurre l'intensità energetica, la domanda di energia cambierà in maniera sostanziale. Se il calo annuo passasse dall'1 per cento (media mondiale degli ultimi trent'anni) al 2 per cento (media nel periodo 1980 - 1983) i consumi si ridurrebbero del 60 per cento nel corso di questo secolo.

Progettare l'energia dei futuro

Da più parti, inclusa qualche voce del mondo ambientalista, si propone un rilancio del nucleare. Questa opzione presenta però diversi problemi, che hanno fortemente rallentato la sua diffusione negli ultimi vent'anni. Il primo è di carattere economico. Significativo il fatto che negli Stati Uniti, dove lo stallo è totale dal 1978, sia stata approvata lo scorso agosto una legge che prevede notevoli facilitazioni economiche per stimolare la realizzazione di nuovi impianti, incluso un incentivo di 1,8 centesimi di dollaro per chilowattora. Non va poi dimenticata la variabile del rischio. Le preoccupazioni, che negli anni settanta e ottanta erano legate a possibili incidenti, ora sono centrate soprattutto sull'irrisolto nodo dello smaltimento delle scorie e sui crescenti timori per il terrorismo internazionale e la proliferazione delle armi nucleari. Per tutte queste ragioni l'IEA prevede che il contributo relativo dell'atomo pari al 16 per cento della generazione elettrica mondiale (6 per cento in termini di energia primaria) si riduca nei prossimi 20 30 anni.

Per quanto riguarda la fusione nucleare, da oltre cinquant'anni vi si investono risorse senza che se ne sia ancora appurata la fattibilità. Se le ricerche andassero a buon fine, verso la metà del secolo si potrebbe generare energia commerciale. Ma per ora finché non saranno pronti reattori sperimentali come ITER è troppo presto per azzardare previsioni. Un'altra soluzione su cui si appuntano grandi speranze è il sequestro nel sottosuolo del carbonio contenuto nei combustibili fossili. Questa soluzione potrebbe consentire di proseguire a lungo l'impiego degli idrocarburi, ma anche in questo caso si tratta di una tecnica ancora in fase sperimentale, costosa e con possibili implicazioni ambientali.

Vediamo invece il possibile ruolo delle fonti rinnovabili, in fase di rapido sviluppo. Il tono di sufficienza con cui erano guardate fino a qualche anno fa è fortemente diminuito grazie all'irruzione di alcune nuove tecnologie, che si sono affiancate al consolidato idroelettrico e alla geotermia. Uno scenario elaborato dalla Shell, per esempio, considera fattibile la copertura con le energie verdi di un terzo del fabbisogno mondiale entro il 2050.

La prima tecnologia a registrare un notevole successo è stata quella eolica, la cui crescita tra il 1994 e il 2004 (40.000 megawatt) è stata del 50 per cento più alta dell'incremento netto della potenza nucleare nello stesso periodo. E i prossimi anni dovrebbero vedere un'ulteriore accelerazione della diffusione degli aerogeneratori. Secondo i produttori eolici, nel 2020 si potrebbe coprire il 12 per cento della domanda elettrica mondiale con una potenza installata di 1250 gigawatt.

L'altra tecnologia in grande crescita è il fotovoltaico. Nel 2004 l'incremento è stato del 66 per cento, con 1120 megawatt di picco (MWp) installati, una potenza corrispondente a un'area di 10 chilometri quadrati. La leadership è passata dal Giappone, che pure lo scorso anno ha realizzato 70.000 tetti solari, alla Germania, con 360 MWp. Il potenziale solare è molto superiore alla domanda mondiale di energia, e nella seconda metà del secolo l'abbinata solare - idrogeno (H2 prodotto con l'elettrolisi dell'acqua) potrebbe soddisfare quote crescenti della domanda di energia del pianeta.

Un buon contributo potrà venire anche dal solare termodinamico. Dopo le prime realizzazioni di impianti a concentrazione (354 MW), negli anni ottanta, l'interesse per queste tecnologie è ripreso solo di recente. Passando al solare termico a bassa temperatura, la superficie installata ha raggiunto i 140 milioni di metri quadrati, con la Cina (60 milioni) che domina la scena mondiale grazie a una domanda in forte crescita.

Gli impianti a biomassa per la produzione di energia elettrica hanno raggiunto una potenza complessiva di 40.000 megawatt ma, pur in presenza di un potenziale elevato, riscontrano una certa difficoltà di penetrazione nel mercato. Si registra invece un notevole interesse sul versante dei biocarburanti, anche per trovare alternative alla produzione agricola dei paesi industrializzati. Nel 2003 sono stati prodotti 19 milioni di tonnellate di etanolo, prevalentemente in Brasile e negli Stati Uniti (pari rispettivamente al 30 e al 2 per cento dei consumi di benzina), mentre l'Europa rafforza la sua leadership nel biodiesel, con 1,6 milioni di tonnellate. Nella seconda metà del secolo oltre un terzo dei carburanti per trazione potrebbe essere di origine vegetale, grazie anche all'impiego di soluzioni più avanzate come la trasformazione di cellulosa in etanolo.

Le rinnovabili in Europa

Nell'ultimo decennio l'Europa ha guidato il rilancio delle fonti rinnovabili, con risultati significativi, acquisendo una leadership mondiale nelle tecnologie verdi. Il Libro Bianco dell'Unione Europea del 1997 fissava l'obiettivo di raddoppiare la quota di energia verde, dal 6 al 12 per cento dell'energia primaria, entro il 2010. In particolare si ipotizzava di incrementare la produzione di energia elettrica da biomassa, vento e fotovoltaico di 10, 20 e 100 volte rispetto ai valori del 1995. A metà del percorso si può fare un bilancio dei programmi avviati, evidenziando risultati di eccellenza e ritardi che sottolineano una discrepanza tra la volontà di raggiungere obiettivi ambiziosi e la difficoltà di definire programmi nazionali coerenti, oltre a una forte disomogeneità nello sviluppo delle diverse tecnologie e nei risultati conseguiti dai vari paesi.

L'obiettivo della produzione di energia elettrica verde (22 per cento nel 2010) sarà probabilmente raggiunto, ma con un mix di tecnologie diverso rispetto al previsto. Le biomasse, che dovevano garantire circa due terzi dell'incremento complessivo, hanno infatti subito forti ritardi. Situazione inversa per l'eolico, nel 2010 la potenza installata dovrebbe produrre 150 - 180 terawattora all'anno, più del doppio di quanto indicato nel Libro Bianco. E anche per il fotovoltaico l'obiettivo alla fine del decennio dovrebbe essere facilmente sorpassato.

Passando alla produzione di calore, che doveva rappresentare poco meno della metà dell'incremento complessivo di energia verde, si nota invece un forte ritardo, tanto che è in discussione un'apposita Direttiva dell'UE per accelerarne la diffusione. In particolare per il solare termico sono in funzione soltanto 14 milioni di metri quadrati, ben lontani dall'obiettivo di 100 milioni al 2010. E si riscontrano ritardi anche sul fronte dei biocarburanti, che secondo una recente Direttiva dovrebbero consentire di coprire il 5,7 per cento dei consumi dei combustibili per il trasporto nel 2010, paria 18 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio all'anno.

Il dato complessivo va analizzato alla luce dei singoli paesi. Larga parte dei successi sono infatti ascrivibili alla Germania che, pur non avendo un potenziale rinnovabile particolarmente brillante, da sola ha riportato più del 50 per cento dell'aumento europeo di energia verde. Buone prestazioni su singole filiere si sono registrate in Spagna, Danimarca, Austria, Finlandia e Grecia, mentre l'apporto degli altri paesi è stato deludente. Il che sottolinea l'importanza di una decisa volontà politica. La Spagna, per esempio, forte dei successi legati ai 9.000 megawatt eolici installati in pochi anni e ai 30.000 addetti del settore, ha deciso di portare la quota di energia verde dall'attuale 6,9 al 12 per cento nel 2010.

Va sottolineato inoltre che la produzione verde in Europa è stata ottenuta in presenza di incentivi (5,3 miliardi di euro all'anno) pari solo a un sesto di quelli destinati alle altre fonti energetiche. Mentre si fanno i primi bilanci, si sta definendo un nuovo obiettivo di energia verde al 2020, anche sulla base dell'indicazione del Parlamento Europeo della possibilità di raggiungere il 25 per cento.

 

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Ultimo aggiornamento: 25-11-05