leggi
e sentenze
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11
ottobre 2000
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OVVERO, IN ALTERNATIVA, IL DEPOSITO TEMPORANEO
Tra le sentenze che meritano menzione quella che segue, relativa ad una ennesima lettura della lettera m) del comma 1, dell'art.6 del Decreto Legislativo 5 febbraio 1997 n.22 (alias Ronchi), spicca tra le altre. Si tratta di una sentenza della Sezione III della Corte di Cassazione (n.4857 del 21 gennaio 2000) nella quale viene affrontata una questione dibattuta fino dalla prima stesura dell'art.6 del Dleg n. 22, il significato da darsi alla congiunzione "ovvero" che pone due condizioni tra loro variabilmente compatibili, entrambi riguardanti il modo di condurre un deposito temporaneo di rifiuti (presso il luogo dove sono stati prodotti).
Ricordiamo brevemente che nella costruzione dell'articolato relativo alla fattispecie del deposito temporaneo i nostri parlamentari hanno optato per una semplificazione procedurale basata sostanzialmente su due postulati: che il deposito fosse di limitata estensione e che rispettasse le norme tecniche di sicurezza per i depositi di sostanze. I quali postulati, e qui sta la semplificazione, dovevano essere i presupposti per permettere a tutte le imprese di svolgere le operazioni di accumulo senza per questo dover essere in possesso di autorizzazioni o altri atti analoghi, ritenendo evidentemente questo adempimento non indispensabile o, più probabilmente, troppo "burocratico".
Se sia stata una buona idea ancora non vi sono elementi per sostenerlo, nè per dire il contrario. Tuttavia, se si deve giudicare dalla comprensibilità del testo e della sua praticità, certo non si può dire che la partenza sia stata delle migliori. La querelle si è infatti subito soffermata su un punto fondamentale: cosa significhi "ovvero" nel contesto della frase.
A seconda delle pericolosità o meno dei rifiuti l'art.6 stabilisce un limite volumetrico, 10 o 20 mc, che parrebbe, in un primo tempo, un vincolo finito, al di là del quale scatta cioè l'onere dell'autorizzazione. Così non è perchè quell'"ovvero" che prima si diceva viene intepretato come alternativa alla condizione di tipo volumetrico, cioè, qualora l'impresa intenda adottare una gestione del cumulo tale per cui ogni bimestre (o trimestre) effettui un conferimento a terzi per smaltimento o recupero, non è soggetta al vincolo dei 10 o 20 mc, ma può eccedere tale valore senza sostanzialmente trovarsi alcun altro limite superiore "...indipendentemente dalle quantita' in deposito".
"... i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno trimestrale indipendentemente dalle quantita' in deposito, ovvero, in alternativa, quando il quantitativo di rifiuti pericolosi in deposito raggiunge i 20 metri cubi; il termine di durata del deposito temporaneo e' di un anno se il quantitativo di rifiuti in deposito non supera i 20 metri cubi nell'anno o se, indipendentemente dalle quantita', il deposito temporaneo e' effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori.....
Che questa fosse la versione originale, almeno nell'idea di chi ha redatto il testo, viene confermato con una postilla all'"ovvero..." quell'aggiunta di " ...in alternativa,.."che vuole sottolineare la subordinazione dell'una rispetto all'altra, e viceversa. Questa conclusione era quindi pacifica. Ora la sentenza in esame arriva a sconvolgere la serena quiescenza della maggioranza dei commentatori.
Vediamo cosa dice la massima.
"La disciplina dettata per il deposito temporaneo dei rifiuti non pericolosi dall'art.6 , comma 1, lett.m), punto 3, del D.Lgv.5 febbraio 1997 n.22, va intesa ( privilegiando doverosamente, fra le varie interpretazioni possibili, quella che risulta piu' aderente alla direttiva comunitaria di cui il citato decreto legislativo costituisce attuazione ), nel senso che il deposito temporaneo potra' essere mantenuto fino al termine di durata di un anno solo se in tutto il detto arco temporale, e cioe' complessivamente, non venga superato il limite di 20 metri cubi, assumendo autonomo rilievo la cadenza almeno trimestrale prevista nella prima parte della suddetta disposizione per l'avvio del materiale alle operazioni di recupero o di smaltimento solo quando i vari conferimenti siano tutti inferiori ai venti metri cubi e siano avviati alle suddette operazioni prima del raggiungimento del summenzionato limite quantitativo mentre, in ogni caso, l'avviamento dev'essere effettuato quando il medesimo limite viene raggiunto."
Dalla lettura delle conclusioni tratte dalla sentenza della Sez.III si comprende chiaramente come l'alternativa alla delimitazione volumetrica, l'asporto cioè bimestrale, non sia libera da vincoli, ma che invece rimanga sempre e comunque ancorata al regime dei 20 mc. Cioè, in sostanza, anche se viene effettuato un avvio verso terzi con cadenze regolari, non è comunque ammesso esuberare rispetto ai 20 mc fissati dall'art.6, e questo per tutto il periodo dell'anno, e anzi, a questo limite, si subordina anche ogni conferimento.
Ora l'"interpretazione autentica" della Sez.III non si può che leggere come una forzatura del dettato letterale, dettato che, tuttavia, nella sua genericità si può prestare anche a questa variante sul tema. Se analizziamo bene l'art.6 ci accorgeremo, in effetti, che le due condizioni non sono equivalenti in termini di rischio ambientale: un conto è un deposito di volumetria non superiore a 20 mc che difficilmente raggiungerà questo limite nell'arco di un anno di produzione, un altro è invece detenere rifiuti per decine di tonnellate senza che si possa intravedere una loro diminuzione nel tempo, in quanto è sufficiente avviarne al recupero anche una piccola parte, si, ma con il rigoroso rispetto delle cadenze.
In verità, per esprimere una critica serena al nuovo orientamento, dovremmo conoscere tutto il testo della sentenza in modo da chiarire se, effettivamente, dal comportamento dei soggetti in causa non si fosse evidenziato proprio l'eventualità sopradescritta: un incremento esponenziale del deposito, ben oltre i 20 mc, senza, dall'altra parte, un equilibrato avvio degli stessi verso terzi. Quello che si vuole cioè mettere in risalto è la facilità con cui si può condurre in piena legittimità un deposito, senza tuttavia rispondere allo spirito dell'art.6, che è quello di non appesantire di oneri amministrativi il piccolo produttore a condizione che adotti una regola nella gestione dei rifiuti prodotti.
Evidentemente la lettera dell'art.6 permette anche comportamenti del tutto in contrasto con questo spirito, comportamenti i quali possono avvalersi di una grossolana svista del testo dal momento in cui non prevede un bilancio equilibrato tra produzione e avvio allo smaltimento (o recupero), cosicchè, per rimanere nella legge, basta rispettare le cadenze con asporti quantitativamente ininfluenti in rapporto alla totalità del deposito.
Si potrà obiettare che questi comportamenti in contrasto con lo spirito della legge sono facilmente rilevabili dal momento in cui viene effettuato il controllo del registro di carico-scarico, dalla lettura del quale si è in grado di evincere l'età del cumulo, se cioè superiore o inferiore a un anno dalla prima detenzione. Anche in questo caso non faremo che sottolineare il difetto della legge, compresi i decreti che istituiscono i modelli ufficiali del registro e del formulario di trasporto, laddove non prevedono la datazione del rifiuto, ( per es. con l'apposizione di un cartellino di riconoscimento, di un numero di lotto ecc., anche se si potrebbero comunque presentare difficoltà insormontabili in caso di un ammasso alla rinfusa ), rendendo quindi del tutto opinabile ogni conclusione circa i reali tempi di permanenza dei rifiuti nel deposito.
In sostanza non vi sono strumenti di controllo efficaci che possano garantire da comportamenti scorretti. Allora, in quest'ottica, bene ha fatto la Sez. III a prevedere che i rifiuti "...siano avviati alle suddette operazioni prima del raggiungimento del summenzionato limite quantitativo mentre, in ogni caso, l'avviamento dev'essere effettuato quando il medesimo limite viene raggiunto."
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