interventi
20 agosto 2004

Ormai si corre il rischio di diventare ripetitivi. Finchè il legislatore non porrà mano alle procedure semplificate in materia di recupero rifiuti è destinato a prosperare il fenomeno delle attività illecite che sfruttano il paravento di impianti di compostaggio e simili per miscelare, declassificare, smaltire abusivamente sui terreni agricoli fanghi industriali contenenti sostanze pericolose.

Di nuovo ci si trova a dover commentare l’ennesima operazione delle forze di polizia, NOE e Corpo Forestale dello Stato, che, coordinate dai magistrati e supportate tecnicamente dal personale delle Agenzie di Protezione Ambientale (Arpa), hanno potuto interrompere un pericoloso andirivieni di rifiuti industriali tra la Toscana, Lazio e Campania. Assale lo sconforto di fronte a questo ennesimo episodio di malversazione in campo ambientale.

I risultati di questa iniziativa sono stati portati all’attenzione dei parlamentari attraverso interrogazioni alla Camera e al Senato. Le cronache locali ne hanno ampiamente divulgato i contenuti e grazie alla pubblicazione web dei resoconti della Commissione Bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, sono disponibili sufficienti elementi tali che confermare come sia di una semplicità disarmante inserirsi in un settore così delicato reso ad elevato rischio dalle falle apertesi nella legge sulla base di un malinteso spirito di deregolamentazione. E’ sconcertante che nessun provvedimento sia ancora stato preso a livello governativo per chiudere quei "varchi" della legge che persone prive di scrupoli hanno dimostrato di saper così bene sfruttare per i propri fini. Se proprio non si possono impedire i reati di traffico illecito di rifiuti, almeno si studino i correttivi perché intraprendere un’attività nell’ambito del recupero dei rifiuti risulti almeno più complicato dell’aprire un negozio di alimentari.

La vicenda che si va a commentare offre un ampio ventaglio delle contraddizioni presenti nel sistema delineato dal legislatore intenzionato a favorire il recupero dei rifiuti piuttosto che continuare a ricorrere a discariche ed inceneritori. Se il principio non si discute, evidentemente gli errori stanno nel metodo. E’ purtroppo opinione diffusa tra chi viene eletto nelle istituzioni, senza distinzioni di pensiero in base alla provenienza partitica, che per snellire l’elefantiasi amministrativa il rimedio più efficace sia eliminare tout court la documentazione di prova sulla base della quale la P.A. può ragionevolmente consentire che l’interesse dell’uno non si svolga in contrapposizione con l’interesse collettivo (dove con questo termine si intende rappresentare anche la tutela dell’ambiente). Relazioni ed elaborati sono sostituiti dall’autocertificazione dell’imprenditore, anche quando lo stesso si dimostra non possedere la minima nozione delle regole alle quali deve ottemperare. I frutti sono quelli che oggi vediamo.

Le prime notizie in cronaca a proposito delle attività dell’impianto di compostaggio sito a Magliano Sabina, in provincia di Rieti, sono del 2002 ed hanno a che fare con i miasmi prodotti durante la fermentazione dei rifiuti di natura organica che entrano come componenti del futuro compost. La Procura, alla quale i cittadini di Magliano si rivolgono, apre un fascicolo e demanda per gli accertamenti il Corpo forestale dello Stato il quale si rivolge ad Arpa Lazio per un supporto di tipo tecnico-analitico sia nell’effettuazione dell’attività ispettiva che di raccolta di campioni all’ingresso e all’uscita dall’impianto.

Sull’insediamento dell’impianto la Commissione ha svolto tre audizioni in data 21/07/04 sentendo in proposito:

  1. il Vicepresidente della Provincia di Rieti, in quanto rappresentante dell’amministrazione che detiene le competenze in materia di controlli sulla gestione dei rifiuti sulla base dell’art.20 del D.Lvo 22/97 (c.d. Ronchi);
  2. il Sindaco di Magliano Sabina in quanto rappresentante dell’istituzione alla quale è demandato il governo del territorio comunale nella sua accezione più generale;
  3. il Direttore dell’Arpa Lazio in quanto rappresentante dell’ente al quale sono demandati i controlli ambientali riguardanti l’applicazione delle diverse discipline nell’ambito dei confini regionali.

Per sgombrare il campo da equivoci che ci sono tuttora sulla materia dei controlli, in particolare riguardanti la materia rifiuti, si riporta quanto dispone il D.Lvo 5 febbraio 1997 n°22.

Art. 20 - Competenze delle Province

1. In attuazione dell'articolo 14 della legge 8 giugno 1990, n. 142 , alle Province competono, in particolare:

a) le funzioni amministrative concernenti la programmazione e l'organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale;

b) il controllo e la verifica degli interventi di bonifica e del monitoraggio ad essi conseguenti;

c) il controllo periodico su tutte le attività di gestione, di intermediazione e di commercio dei rifiuti, ivi compreso l'accertamento delle violazioni del presente decreto;

d) la verifica ed il controllo dei requisiti previsti per l'applicazione delle procedure semplificate di cui agli articoli 31, 32 e 33;

e) l'individuazione, sulla base delle previsioni del piano territoriale di coordinamento di cui all'articolo 15, comma 2, della legge 8 giugno 1990, n. 142 , ove già adottato, e delle previsioni di cui all'articolo 22, comma 3, lettere c) ed e), sentiti i Comuni, delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti urbani, con indicazioni plurime per ogni tipo di impianto, nonché delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti;

f) l'iscrizione delle imprese e degli Enti sottoposti alle procedure semplificate di cui agli articoli 31, 32 e 33 ed i relativi controlli;

g) l'organizzazione delle attività di raccolta differenziata dei rifiuti urbani e assimilati sulla base di ambiti territoriali ottimali delimitati ai sensi dell'articolo 23.

2. Per l'esercizio delle attività di controllo sulla gestione dei rifiuti le Province possono avvalersi anche delle strutture di cui all'articolo 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 come sostituito dall'articolo 8 del decreto legislativo 7 dicembre 1993 n. 517, con le modalità di cui al comma 3, nonché degli organismi individuati ai sensi del decreto legge 4 dicembre 1993, n. 496, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 1994, n. 61 .

3. Ai fini dell'esercizio delle proprie funzioni le Province possono altresì avvalersi di organismi pubblici con specifiche esperienze e competenze tecniche in materia, con i quali stipulano apposite convenzioni.

Come è evidente la responsabilità prima dei controlli è dell’amministrazione provinciale alla quale la legge ha affidato le competenze. Sta a questa amministrazione pianificarne modi e termini nell’ambito della propria autonomia organizzativa utilizzando le proprie risorse. L’alternativa è rivolgersi all’Arpa, sempre se istituita dalla regione ai sensi della Legge 21 gennaio 1994 n°21, o ad altri organismi pubblici con specifiche esperienze stipulando apposite convenzioni. Un punto dovrebbe essere chiaro per tutti: senza un programma annuale delle attività di controllo non si raggiungono grandi risultati.

Dall’audizione del Vicepresidente della Provincia si apprende che per lo svolgimento di attività di recupero in regime di procedura semplificata ai sensi degli artt.31 e 33 del decreto la proprietà dell’impianto ha presentato comunicazione di inizio attività in data 6 luglio 2001. La Provincia in data 26 ottobre comunica alla stessa l'iscrizione nel registro delle imprese di recupero rifiuti e, tra l'altro, le tipologie di rifiuti per le quali la stessa impresa può operare.

La prima evidente contraddizione nella procedura delineata dal legislatore sta nell’assenza degli altri interlocutori istituzionali, tipicamente le altre amministrazioni preposte alla tutela dei diversi vincoli (ambientali, idraulici, paesistici, ecc), tra le quali la più importante è quella comunale. Le province non sono tenute a rapportarsi con altri che con sé stesse per quello che riguarda il contesto all’interno del quale si inserirà l’impianto di recupero rifiuti in procedura semplificata. Altre invece, sorrette da uno spirito di collaborazione per il fine comune del buon governo che le spinge a promuovere la condivisione delle informazioni con gli altri soggetti istituzionali, promuovono ogni necessaria consultazione prima di decidere. In un frangente storico nel corso del quale si ricorre alla conferenza dei servizi (ex art.14 L.241/90) al fine di poter superare le resistenze più strenue in ordine all’approvazione di qualsiasi tipo di progetto, dalla casetta degli attrezzi al ponte sullo stretto, è veramente singolare come questa sia l’unica procedura che sembra ignorare gli indubbi meriti dell’innovazione amministrativa ed in particolare della contestualizzazione di tutti i procedimenti in un’unica soluzione attraverso l’istituzione dei c.d. sportelli unici.

Pertanto seguendo alla lettera le disposizioni del decreto la Provincia di Rieti effettua la propria istruttoria e comunica all’istante che l’attività è ammesse alle procedure semplificate. Per comprendere cosa sia invece avvenuto a livello comunale poniamo mano alla lettura di alcuni passi estratti dall’audizione del Sindaco di Magliano Sabina, Angelo Lini. Le domande sono poste da Loredana De Petris e Tomaso Sodano, componenti la Commissione Bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, e dal Presidente stesso, Paolo Russo.

LOREDANA DE PETRIS. Signor sindaco, quando è stata presentata la dichiarazione di inizio attività della ( ) alla provincia - il 6 luglio 2001, da quello che mi risulta -, la provincia vi ha interpellati, ha chiesto un parere sulla localizzazione? Le chiedo inoltre se sia vero che l'area sia anche soggetta a vincoli paesaggistici; infatti, era stata oggetto di un'individuazione che era stata ostacolata da tutti gli abitanti del comune stesso.
Quindi, vorrei sapere se voi eravate stati interpellati per esprimere un parere, data la delicatezza della localizzazione e considerato anche che, come lei sa meglio di me, tutta la zona della Sabina ha altre vocazioni, con tutto quello che ciò può comportare e che purtroppo oggi sta comportando.

ANGELO LINI, Sindaco del comune di Magliano Sabina. Per quanto attiene alla genesi di questo impianto, su cui alcuni hanno chiesto notizie, si tratta di un immobile che era destinato in passato ad una fornace. La cubatura era esistente, dunque, e i capannoni erano già destinati ad attività artigianali, tanto che il comune ha ricevuto dal proprietario la comunicazione della cessione in affitto del fabbricato in data 4 ottobre 2001. Quindi, la data di inizio attività non può corrispondere, e infatti questa ci è stata comunicata in data 30 gennaio 2002

TOMMASO SODANO. Lei sapeva che stava nascendo qualcosa sul suo territorio, oppure no? La domanda che le è stata posta è questa: è vero che si è proceduto in deroga con il decreto Ronchi, però lei ci ha detto che le cubature non sono variate, ma è variata sicuramente la destinazione, cioè è sicuramente cambiato il tipo di attività. Quindi, su questo, il comune aveva innanzitutto la possibilità e il diritto-dovere di intervenire eventualmente. Comunque, il comune poteva chiedere, così come ha fatto in sede di ampliamento, un parere all'università, o comunque a tecnici, per capire se vi fossero delle ricadute sul proprio territorio, e quindi avrebbe potuto osteggiare questa attività, qualora lo avesse ritenuto necessario. Non so se lei era sindaco all'epoca, magari non lo era e quindi non può rispondere a questa mia domanda. Per quello che abbiamo potuto leggere in queste settimane, già in sede di inizio attività vi fu una notevole contestazione, vi furono obiezioni sul merito e anche sul metodo che era stato adottato.

ANGELO LINI, Sindaco del comune di Magliano Sabina. Questo ci porta ad un discorso sulla destinazione urbanistica, che in quel caso è destinazione artigianale. La destinazione di quell'immobile non è né a fornace né a magazzino, ma artigianale. Quindi, nella cessione di fabbricato, avvenuta nell'ottobre 2001 - questo è il primo momento in cui il comune è venuto a sapere che qualcuno stava per utilizzare quell'immobile - è scritto che l'immobile è stato trasferito alla società ( ). Dopo di che, al comune non è stato chiesto niente. Il 30 gennaio 2002 c'è stata la comunicazione formale - ne ho una copia agli atti - che la società ( ) iniziava l'attività perché aveva seguito tutta la procedura semplificata presso la provincia (articoli 31 e 33 del citato decreto) per iniziare l'attività. Quindi, il comune non è stato chiamato in causa per dare un giudizio se quella attività poteva essere o non poteva essere autorizzata. Da quel momento noi non potevamo che eccepire qualcosa, come giustamente state dicendo, o comunque andare a verificare di che cosa si trattasse. Vi è stato il sopralluogo dei vigili urbani, subito dopo la comunicazione di inizio attività, che è servita a valutare che tipo di attività si intendeva svolgere in quell'impianto (ai fini della normativa antimafia NDR). C'era il benestare della provincia, anche se si trattava di un silenzio-assenso. La procedura semplificata si basa sul silenzio-assenso, che prevede un progetto che la società presenta alla provincia con la quale le comunica il quantitativo, previsto dalla normativa, che intende trattare nell'impianto, e le tecniche che intende adottare.

PRESIDENTE. Sindaco, mi perdoni, questo è un caso di specie. Ripeto fino alla noia, ovviamente per me stesso, che a noi non interessa il colpevole (ci pensano altri). A noi interessa capire come questo balletto - e credo che capire sia anche nel suo interesse - a Magliano Sabina o altrove può comportare lo stesso fenomeno. E devo dire che questa vicenda è abbastanza rappresentativa del panorama. Accade che il comune appare formalmente non incidente. …….Una delle sollecitazioni che mi permetterei di fornire ai colleghi è quella che abbiamo già ricevuto in altri momenti. Quando ci sono più comuni, più enti, che devono fare una serie di cose, una vicino all'altra, quando comincia una e finisce l'altra, c'è sempre una sorta di buco nel quale le aziende furbe cercano di inserirsi. Credo che si debba trovare uno strumento in modo che si eviti questo meccanismo dello scaricabarile o della non responsabilità, altrimenti si può dare l'immagine di una scarsa responsabilità dal primo ente, fino all'ultimo. Si dice: tanto, lo deve autorizzare la provincia. La provincia dice: tanto, dal punto di vista urbanistico, è il comune che fa la cubatura; tanto dal punto di vista sanitario è la Asl che deve fare la verifica; tanto c'è l'Arpa e via discorrendo...

Dal che emerge l’indispensabile necessità di ricorrere alla conferenza servizi. Peraltro la modifica della procedura dell’art.33 Dlvo 22/97 attraverso la conferenza servizi era già contenuta nel testo di cosiddetto "restyling" del D.M 5 febbraio 1998 di cui si ha notizia dalle cronache parlamentari a partire dal marzo 2000, ma che evidentemente non è noto ai componenti della Commissione.

Dalle parole del Sindaco si evince anche un altro elemento di "default" territoriale: quando nuove attività si insediano in contenitori esistenti, dalla destinazione urbanistica conforme, per l’amministrazione comunale non sono tenute a notificare alcunché. L’urbanistica fonda infatti le sue regole sugli usi consentiti: industriale, artigianale, commerciale ecc. e non fa alcuna differenza se ad insediarsi è un impianto di smaltimento rifiuti in luogo di un antica fornace, il che naturalmente costituisce un notevole fattore di rischio per lo sviluppo equilibrato delle comunità. Sta alla volontà degli amministratori locali individuare forme di controllo del territorio, quali per es. il regolamento edilizio, che mettano al riparo la collettività da un uso troppo disinvolto dei contenitori vuoti. Una soluzione è già disponibile: istituire i c.d. sportelli unici ed applicare le procedure descritte dal relativo regolamento emanato con D.P.R. 447/98 in modo tale da superare i "default" presenti nelle disposizioni di legge attraverso il migliore coordinamento tra enti.

Un quadro corretto di tutte le contraddizioni conseguenti all’assenza di un coordinamento procedimentale emerge dall’audizione di Rosaria Marino, Direttore generale dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente del Lazio (ARPA).

ROSARIA MARINO, Direttore generale dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente del Lazio (ARPA). L'impianto in questione è un impianto che in sostanza recupera rifiuti biodegradabili non nocivi. Questi rifiuti vengono trattati e vengono trasformati in compost, cioè in prodotti che vengono utilizzati nell'industria agroalimentare. Tutto questo processo è soggetto ad un impianto normativo che deve essere rispettato. Tuttavia, da un punto di vista strettamente formale, autorizzativo, chi impianta questo tipo di attività deve semplicemente fornire una informativa alla provincia, ma non ha necessità di una autorizzazione precisa, ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997. Tuttavia queste attività hanno delle emissioni in atmosfera e anche una quantità di immissioni in corpi idrici. Per queste due attività derivanti dalla prima, c'è necessità dell'autorizzazione della provincia. Questo è il quadro del tipo di attività che si svolge nell'impianto ( ). Per quanto riguarda le emissioni in atmosfera e le immissioni in corpi idrici, i compiti autorizzativi spettano alla provincia. La verifica ed il controllo di quanto dichiarato dal produttore, cioè la trasformazione dei rifiuti non nocivi, e quindi biodegradabili, in compost per l'industria agroalimentare, deve essere sempre verificata dalla provincia. Per quanto riguarda il ruolo dell'Agenzia, essa svolge attività di vigilanza e controllo, ma su questi fatti specifici è a supporto dell'ente autorizzatorio che è, appunto, la provincia.
La regione Lazio sta predisponendo una direttiva che inserisce invece obbligatoriamente l'intervento dell'Agenzia nei processi autorizzativi, anche con compiti di vigilanza specifici. Però, per quanto riguarda i rifiuti, e le attività di discarica, allo stato attuale è compito della provincia sia dare l'autorizzazione sia svolgere attività di vigilanza, chiedendo, quando ritenuto opportuno, l'intervento dell'Agenzia. Nel caso specifico non risulta che la provincia lo abbia mai richiesto a noi, quindi noi non siamo mai intervenuti su richiesta della provincia.

Un’altra contraddizione nella normativa sul recupero agevolato dei rifiuti è data dalla apparente severità insita nello strumento di carattere provvedimentale del "divieto di prosecuzione" qualora la Provincia accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni adottate ai sensi dei commi 1, 2 e 3 dell'articolo 31, cioè in sostanza di quanto dispongono i due decreti attuativi sul recupero di rifiuti: D.M 5 febbraio 1998 e D.M 12 giugno 2002 n°161. L’accertamento presuppone un’ispezione e pertanto se non è insito nel procedura la predisposizione di un sopralluogo all’interno dei fatidici 90 giorni perché si completi il procedimento attraverso il silenzio-assenso è del tutto evidente che, in termini preventivi, il divieto di prosecuzione non ha molte probabilità di essere utilizzato. E’ pur vero che se la comunicazione ex-art.33 è priva, anche solo in parte, degli elementi informativi richiesti

a) il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni specifiche di cui alle disposizioni attuative;

b) il possesso dei requisiti soggettivi richiesti per la gestione dei rifiuti;

c) le attività di recupero che si intendono svolgere;

d) stabilimento, capacità di recupero e ciclo di trattamento o di combustione nel quale i rifiuti stessi sono destinati ad essere recuperati;

e) le caratteristiche merceologiche dei prodotti derivanti dai cicli di recupero,

questo dovrebbe costituire una motivazione sufficiente per emettere un provvedimento di diniego "salvo che l'interessato non provveda a conformare alla normativa vigente dette attività ed i suoi effetti entro il termine prefissato dall'amministrazione".

Che ciò possa avvenire è tuttavia ben poco probabile da una parte perché il provvedimento risulta sproporzionato nei casi in cui l’informazione mancante può essere facilmente recuperata attraverso una richiesta in tal senso rivolta all’interessato, dall’altra ciò perché ciò che si richiede attraverso i decreti attuativi non è tanto di "dimostrare" il possesso di determinati requisiti, ma di limitarsi a dichiarare quanto le disposizioni prevedono. E’ ciò che è avvenuto in quel di Bari dove le relazioni allegate alle comunicazioni ex art.33 erano ottenute con il copia-incolla delle norme tecniche del D.M 5 febbraio 1998 (se n’è trattato in altro intervento, ved. a piè pagina) . E’ immaginabile quali siano le incertezze che colgono l’amministrazione nel momento in cui deve decidere per il respingimento degli atti e quindi per lo stop all’attività. Qualsiasi provvedimento che non sia sostenuto da "ottime" motivazioni corre il rischio dell’annullamento al T.A.R.. Purtroppo sono noti i problemi che affliggono la P.A. e di questo ne abbiamo esempio anche nella vicenda in esame, come viene raccontata dal Vicepresidente della provincia di Rieti:

MARIO PERILLI, Vicepresidente della provincia di Rieti. Per quello che mi riferiscono gli uffici della provincia del settore ambiente, a me pare che i poteri della provincia in questo momento siano abbastanza limitati. Ogni volta che sorge un dubbio, noi possiamo chiedere ai vari organi preposti di controllare, e penso che lo abbiamo fatto anche in maniera molto assidua. Lo dico anche pensando ai dipendenti della provincia, quando si trovano di fronte a qualcuno che dice loro di fare quello che la legge impone se non vogliono essere denunciati per danni, e tutto diventa più complicato.
L’architetto Zangara, che è dirigente, ha vissuto questo periodo in questo modo. Su questo aspetto vorrei essere molto chiaro: da una parte, vi era l’amministrazione provinciale che premeva perché prendesse provvedimenti non compiacenti e, dall’altra, lui si trovava di fronte al titolare che, in qualche modo, gli intimava di fare altre cose.
Mi pare che il nodo sia questo, poi per quanto riguarda i controlli non spetta a me.

Naturalmente, se l’atteggiamento del titolare dell’attività era effettivamente quello qui descritto, ciò non può essere considerata una giustificazione per eventuali inerzie né del dirigente né tantomeno dell’amministratore eletto a capo dell’ente. L’esempio comunque rende bene il clima che si crea all’interno di una pubblica amministrazione quando sia in discussione se rilasciare o meno quell’atto che costituisce il presupposto perché possa essere insediata o ampliata un’attività portatrice di conflitti.

Peraltro dall’audizione è emerso che poteva ben sussistere più di un dubbio sulle qualità morali del richiedente, noto pregiudicato. La mancanza dei requisiti soggettivi richiesti per la gestione dei rifiuti è una motivazione più che sufficiente perché si possa divietare l’attività in fieri, prima della scadenza del novantesimo giorno. Anche sotto questo profilo si è compreso tuttavia che il controllo del casellario giudiziario non entra nella procedura istruttoria, almeno non in termini routinari. Nel caso in esame il controllo è stato effettuato solo molto tempo dopo l’avvio dell’attività, nel 2004, alla notizia circa le possibili pendenze giudiziarie del titolare dell’impianto.

MARIO PERILLI, Vicepresidente della provincia di Rieti. Per quanto riguarda la questione dei requisiti, ho con me una nota della polizia provinciale dell'11 febbraio 2004, in cui il responsabile attesta di aver controllato il casellario giudiziario del tribunale e di non aver riscontrato elementi ostativi nei confronti del signor ( ) rispetto ai requisiti per poter svolgere questo tipo di attività.

Le indagini hanno poi dimostrato essere avvenuto un traffico e uno smaltimento illecito di rifiuti speciali costituiti da:
. fanghi industriali dell'industria conciaria, conserviera e tessile, provenienti dalla Toscana, Campania e Lazio;
. lana colorata con sostanze chimiche, proveniente da diverse regioni italiane, prevalentemente dalla Toscana.

Gli accertamenti eseguiti hanno evidenziato che la ( ), attraverso l'attribuzione di codici CER "ad hoc", ha ricevuto rifiuti non utilizzabili per la produzione di compost, destinandoli, a seguito di "giro bolla", a spandimento sui terreni agricoli senza che fossero stati sottoposti ad alcun tipo di trattamento.

Il sistema è ormai ben sperimentato. I Forestali, a seguito di indagini e appostamenti hanno appurato che i camion che trasportavano i materiali tossici all’interno della ( ), ne riuscivano nuovamente nell’arco della giornata con lo stesso carico sommariamente miscelato, senza che questo fosse stato sottoposto al processo di compostaggio che prevede almeno 90 giorni di lavorazione, procedimento comunque non possibile su questo genere di rifiuti. L’"ammendante", a questo punto veniva ceduto ad aziende agricole della provincia di Grosseto che dietro corresponsione di denaro accettavano di smaltire i rifiuti sui propri coltivi. I materiali maleodoranti che venivano sparsi - circa 40.000 tonnellate -erano composti da fanghi organici, frammisti a grossi pezzi di legno, sacchetti di polietilene, sassi, e bottiglie di plastica. Su alcuni siti la Forestale ha rinvenuto anche rifiuti ospedalieri quali siringhe e bende insanguinate. La ( ) rappresentava una stazione intermedia nello smaltimento dei rifiuti, infatti quest’ultima provvedeva, non solo alla miscelazione, ma anche e soprattutto al cambio della classificazione dei materiali da rifiuti pericolosi a compost per mezzo della falsificazione dei codici CER (Catalogo Europeo Rifiuti) ed un semplice giro bolla.

L’iscrizione a registro dell’impianto di compostaggio tra le imprese che effettuano recupero ai sensi dell’art.33 del D.Lvo 22/97 non è altro che uno specchietto per le allodole. Serve unicamente per poter individuare una destinazione finale nei formulari di trasporto dei rifiuti che possano superare eventuali controlli stradali lungo il viaggio tra Toscana, Lazio e Campania. Una volta giunti a destinazione non c’è neppure necessità che gli automezzi transitino all’interno dell’impianto, è sufficiente sostituire il formulario di trasporto con un documento di accompagnamento riportante gli estremi della merce, cioè dell’ammendante, stabiliti dalle norme in materia di fertilizzanti. E chi persegue intenzionalmente comportamenti in violazione delle norme per trarne profitti non può che ringraziare quelle disposizioni che, in virtù di un malinteso principio di semplificazione, attribuiscono una patente di regolarità formale grazie all’applicazione del silenzio-assenso.

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