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22 settembre 2003

Non è passato un mese che ci si ritrova a dover commentare un ennesimo episodio di occultamento di fanghi industriali sotto le mentite spoglie di concime, compost o ammendante. Sono tutti segnali di una deriva nella gestione di sostanze di rifiuto dal potenziale inquinante elevato visto che chi le produce si convince sempre più spesso a contrattarne il relativo smaltimento con soggetti che, nella migliore delle ipotesi, non hanno neanche uno straccio di sede. Di nuovo i fatti accadono in terra pugliese e anche questo vorrà dire qualcosa, senza tuttavia che si debbano ritenere esenti altre regioni, è solo questione di tempo.

Questa volta la contaminazione ha riguardato circa 300 ettari complessivamente, un’area di 270 ettari in località Cervoni, nelle campagne di Altamura, e un’ altra di 30 ettari in località Finocchio, nel territorio di Gravina in Puglia. Le due aree sono state sottoposte a sequestro dal sostituto procuratore della Repubblica di Bari Renato Nitti nell’ambito delle indagini condotte dalla Polizia Municipale di Altamura (Bari). Nei campi sono stati ritrovati rifiuti speciali, plastica, farmaci, batterie esauste, scarti della lavorazione della pelle. I ritrovamenti hanno fatto seguito a controlli disposti dopo le numerose denunce pervenute dalla Coldiretti insieme a CIA, Legambiente, WWF e Centro Studi Torrenebbia di Altamura. L'ultimo allarme in ordine di tempo è stato quello dell’11 luglio 2003 nel quale venivano rappresentati dubbi ed interrogativi relativamente allo spandimento di fanghi sul terreno agrario della Murgia. Nei 300 ettari di terreno contaminato sono presenti elevate concentrazioni di matelli pesanti quali cromo, rame, zinco e cadmio. Dalle cronache nazionali (La Repubblica) è trapelato il dato relativo al cromo: tra i 2228 e i 5074 mg/kg. La presenza di scarti di lavorazione pelli fa propendere per un traffico di rifiuti costituito da fanghi industriali di provenienza conciaria. Non è la prima volta, né probabilmente sarà l'ultima, che si aggira la pur severa normativa sui rifiuti grazie alle possibilità offerte dalla disciplina sui fertilizzanti.

Dopo le analisi dei terreni l'attenzione si è concentrata sulle coltivazioni e i prodotti di origine animale come il latte. I primi esiti hanno spinto la Procura ad effettuare un nuovo sequestro, questa volta di 40.000 quintali di grano gravemente inquinato dagli stessi metalli pesanti. Ma cosa ancora più grave è che i prodotti coltivati sui terreni inquinati appartengono al settore dell'agricoltura biologica. Il danno d'immagine è pesante e rischia di colpire anche chi non c'entra per niente. Si è infatti scatenata la solita caccia ai colpevoli ritardi o alle croniche deficienze del sistema dei controlli, innestandosi su immancabili riferimenti a collusioni amministrative e a comportamenti omissivi, fino a includere nel quadro delle associazioni a delinquere gli stessi agricoltori rei di non aver rigettato le offerte più che scontate di concimi di "ultima generazione", diciamo così. Sia ben chiaro, c'è in effetti di tutto un po’ anche in questa vicenda, ma il peccato originale è da un'altra parte, quella che rimane sempre un poco più in ombra.

Ne abbiamo già parlato. Riassumendo. Si tratta di una "leggerezza" normativa, quella che ha permesso facilitazioni semplificatorie in un delicatissimo campo, quello appunto dei fertilizzanti organici ottenuti per miscelazione di componenti diversi, tra i quali l'elemento più a rischio è rappresentato appunto dei fanghi di depurazione, senza distinzione tra urbani e industriali. Le tutele che le norme offrono per garantire la salubrità di questo particolare prodotto finito sono irrisorie. Tra le tante "deficienze" due in particolare: nessun obbligo di pianificare controlli analitici dei materiali in ingresso, né in uscita, né tantomeno di renderne conto all'autorità competente. Elevatissima vulnerabilità su strada grazie alla possibilità di trasportare il prodotto allo stato sfuso accompagnato da documenti di viaggio le cui indicazioni obbligatorie sono assai poco cogenti: denominazione, titolo per singolo elemento fertilizzante, peso netto o lordo, il nome o la ragione sociale o il marchio depositato nonché la sede dello stabilimento di fabbricazione o di confezionamento o del deposito. Naturalmente non si richiede di documentarne i contenuti in metalli pesanti. E tanto per non deludere, la legge sui fertilizzanti non stabilisce alcun limite per quanto riguarda il cromo trivalente, nonostante le quantità industriali prodotte dalle concerie italiane.

Con questi "buchi neri" chi credesse possibile garantire per l'avvenire che non si ripetano altre contraffazioni grazie alle maglie strette delle leggi e dei controlli deve essere annoverato tra gli illusi. Qui urge mettere mano alle norme e chiudere in fretta le falle più pericolose. Una volta corrette le impostazioni a "monte", per le difettosità a valle non ci saranno più giustificazioni.

Per quello che riguarda questo episodio si tratta di capire come possono essere finiti fanghi al cromo nelle piane dell'Alta Murgia, quando non esistono concerie nel raggio di centinaia di km. La Commissione Parlamentare d'Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti il 16 settembre ha raccolto la testimonianza di diversi soggetti istituzionali e non, sulla vicenda del rinvenimento dei fanghi ed altri rifiuti speciali. Tra le audizioni effettuate anche quella del titolare di un azienda produttrice di ammendanti con sede nel Comune di Modugno, da parecchi anni oggetto di esposti e denunce riguardanti violazioni alle norme ambientali. I Pubblici Ministeri che stanno conducendo l'inchiesta hanno rivelato come "la prima attività di indagine abbia consentito, sotto il profilo strettamente documentale, il che non comporta un'automatica responsabilità di carattere penale, una correlazione di quei fanghi, attraverso un trasportatore, con uno stabilimento presente nel comune di Modugno" Per ora non ci sono prove dirette di un coinvolgimento dell'azienda pugliese nei fatti accertati.

Le notizie hanno tuttavia acceso i riflettori sull'azienda e il Corriere della Sera se ne è uscito con un articolo inquietante sui trascorsi degli ultimi 4 anni. Dall'articolo emerge un elemento che dovrebbe fare riflettere, il fatto cioè che "il Consorzio di smaltimento di S.Croce all'Arno in Toscana continua imperterrito a inviare i propri fanghi alla ditta in questione, anche dopo che il Ministero dell'Ambiente ha ribadito che i fanghi contenenti cromo non possono andare al compostaggio"

Ora si inizia a comprendere come vi sia un certo carteggio che in questi anni ha riguardato il problema del riutilizzo dei fanghi conciari, che non è ancora terminato e che ha lasciata impregiudicata la questione se permetterne o meno il loro riutilizzo nella mescola degli ammendanti, tanto è vero che né il Ministero né la Regione Puglia o la Provincia di Bari sono intervenuti con provvedimenti inibitori per far cessare i conferimenti del polo conciario verso l'Alta Murgia. Ma perché questa incertezza? Probabilmente i fanghi inviati non contengono cromo III o ne contengono quantità irrisorie. O forse il motivo si deve ricercare nella disciplina dello spandimento in agricoltura dei fanghi di depurazione, D.Lvo n°99 del 27 gennaio 1992 in recepimento della Direttiva 86/278/CEE del 12 giugno 1986.

Vediamo cosa dice la direttiva:

Art.2.

Ai sensi della presente direttiva, si intendono per:

a) "fanghi":

i) i fanghi residui provenienti dagli impianti di depurazione di acque reflue domestiche o urbane e da altri impianti di depurazione delle acque reflue che presentano una composizione analoga a quella delle acque reflue domestiche e urbane;
ii) i fanghi residui delle fosse settiche e da altri dispositivi analoghi per il trattamento delle acque reflue;
iii) i fanghi residui provenienti da impianti di depurazione diversi da quelli di cui ai punti i) e ii);
……..

Art. 3.

I fanghi di cui all'articolo 2, lettera a), punto i), possono essere utilizzati n agricoltura solo conformemente alla presente direttiva.

Fatte salve le direttive 75/442/CEE e 78/319/CEE:

- i fanghi di cui all'articolo 2, lettera a), punto ii), possono essere utilizzati in agricoltura nel rispetto delle condizioni che lo Stato membro interessato può ritenere necessarie per garantire la tutela della salute dell'uomo e dell'ambiente;
- i fanghi di cui all'articolo 2, lettera a), punto iii), possono essere utilizzati in agricoltura solo se la loro utilizzazione è regolamentata dallo Stato membro interessato.

Dunque la Comunità Europea regolamenta lo spandimento in agricoltura dei soli fanghi provenienti dalla depurazione di acque reflue domestiche od urbane e da altri impianti le cui acque reflue hanno un composizione analoga a quella delle domestiche o delle urbane. Per quanto riguarda i fanghi che provengono da impianti di trattamento di acque industriali la regolamentazione viene demandata allo Stato Membro. Così la tabella dell'allegato I B alla direttiva, nella quale sono riportati i valori limite per quanto riguarda la concentrazione dei metalli pesanti nei fanghi di depurazione urbana, non può essere utilizzata anche per riconoscere la medesima conformità dei fanghi di provenienza industriali allo spandimento, per i quali lo Stato Membro dovrà dettare invece una regolamentazione a sé che necessariamente deve basarsi su un maggior numero di parametri, viste la variabili in gioco quando si tratta di cicli produttivi nei quali le sostanze pericolose sono utilizzate in grandi quantità, vedi appunto il caso delle concerie.

E' successo invece che nella trasposizione nel Decreto Legislativo n° 99 questa differenziazione è saltata, si è ricorsi alla solita semplicistica teoria dell'assimibilità, che si è già visto produrre danni in altre sedi.

1. Ai sensi del presente decreto, si intendono per:

a) Fanghi: i residui derivanti dai processi di depurazione:

1) delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili come definiti dalla lettera b), art. 1-quater, legge 8 ottobre 1976, n. 670

2) delle acque reflue provenienti da insediamenti civili e produttivi: tali fanghi devono possedere caratteristiche sostanzialmente non diverse da quelle possedute dai fanghi di cui al punto a.1.

3) delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti produttivi, come definiti dalla legge 319/76 e successive modificazioni ed integrazioni: tali fanghi devono essere assimilabili per qualità a quelli di cui al punto a.1. sulla base di quanto disposto nel successivo articolo 3.1.

Secondo il nostro ordinamento dunque anche i fanghi industriali possono essere utilizzati in agricoltura se rispettano gli stessi limiti in concentrazione previsti per i fanghi urbani. L'errore sta tutto qua, nell'aver voluto ignorare il fatto che la contaminazione di un fango industriale possa spingersi ben più in là dei 6 parametri presi in considerazione dalla direttiva.

ALLEGATO I B.
VALORI LIMITE DELLA CONCENTRAZIONE DI METALLI PESANTI NEI FANGHI UTILIZZATI IN AGRICOLTURA

Parametri (mg/kg di sostanza secca)
Valori  limite CEE                   
Valori limite Italia
Cadmio 
Rame 
Nichel 
Piombo 
Zinco 
Mercurio 
Cromo(1)
da 20 a 40
da 1000 a 1750
 da 30 a 75
 da 50 a 300 
da 2500 a 4000
da 16 a 25
---
 20
1000
300
750
2500
10

(1) CEE: non è possibile per il momento fissare valori limite per il cromo. Il Consiglio li stabilirà in un secondo tempo in base alle proposte presentate dalla Commissione entro l'anno successivo alla notifica della presente direttiva.

 Che la nostra traduzione della direttiva sia stata sciatta, se non pericolosa, ce lo conferma la sig.ra Wallström a nome della Commissione UE in risposta ad una interrogazione al Parlamento Europeo dell'anno scorso (5 agosto 2002):

La direttiva 86/278/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1986, concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura definisce i fanghi come "i fanghi residui provenienti dagli impianti di depurazione di acque reflue domestiche o urbane e da altri impianti di depurazione delle acque reflue che presentano una composizione analoga a quella delle acque reflue domestiche e urbane" (articolo 2(a)(i) della direttiva).

Le acque reflue industriali, come quelle prodotte dalle concerie, non possono essere considerate acque reflue domestiche o urbane né si può ritenere che presentino una composizione analoga a quelle delle acque reflue domestiche e urbane. Le disposizioni della direttiva 86/278/CEE non possono pertanto applicarsi alle acque reflue di origine industriale.

Le disposizioni concernenti l'uso dei fanghi provenienti da impianti industriali devono essere stabilite dagli Stati membri ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 86/278/ CEE. Il decreto italiano menzionato dall'onorevole parlamentare nella sua interrogazione scritta (DM 7 dicembre 2001) consente l'uso dei fanghi provenienti dall'industria conciaria in qualità di complementi organici per equilibrare il rapporto azoto/carbonio. La concentrazione di cromo esavalente (Cr VI) non può in ogni caso superare 0,5 ppm.

Se poi ci riferiamo all'elemento cromo, casus belli della vicenda Alta Murgia, vediamo dalla nota (1) CEE all'Allegato I B che vi sono delle evidenti incertezze nello stabilire un limite accettabile nei fanghi da distribuire sui terreni agricoli. Questa incertezza vige tuttora, anche se nella terza versione del documento di riferimento di revisione della direttiva si propone un limite pari a 1000 mg/kg. L'incertezza è legata in particolare alla considerazione che il cromo allo stato trivalente ha una bassa tossicità a causa della sua scarsa solubilità, ma che in atmosfera ossidante può essere trasformato in Cr(IV) o Cr(VI) che sono specie riconosciute come a più alta tossicità.

Nel D.Lvo n°99/92 c'è una nota illuminante a questo proposito, segno che il legislatore italiano conosceva il problema: sui terreni destinati all'utilizzazione dei fanghi deve essere eseguito, prima della somministrazione, un test rapido di Bartlett e James (allegato A, rif. 3) per l'identificazione della capacità del suolo ad ossidare il Cr III a Cr VI. I terreni che, sottoposti a tale test, producono quantità uguali o superiori a 1 µ M di Cr VI non possono ricevere fanghi contenenti cromo.

Tuttavia anche questa minima forma di tutela è destinata a saltare se i fanghi industriali non vengono più utilizzati come tali, ma vanno a costituire uno dei componenti dell' Ammendante Compostato Misto. Cambiando di denominazione cambia infatti anche la disciplina di riferimento, quella sui fertilizzanti, emanata con Legge ordinaria del Parlamento n° 748 del 19/10/1984.

Tra i componenti essenziali dell' Ammendante Compostato Misto è prevista anche l'aggiunta di fanghi come "quelli definiti dal Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, |n. 99, di attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura".

Per quanto riguarda le specifiche dei fanghi utilizzabili e le modalità di preparazione dell'ammendante si dice che:

I fanghi, tranne quelli agroindustriali, non possono superare il 35% (P/P) della miscela iniziale. Sono altresì fissati i seguenti tenori massimi in metalli pesanti, espressi sulla sostanza secca:

- Piombo totale: 140 p.p.m.

- Cadmio totale: 1,5 p.p.m.

- Nichel totale: 50 p.p.m.

- Mercurio totale: 1,5 p.p.m.

Il tenore in Cromo esavalente non deve superare il valore di 0,5 p.p.m. espresso sulla sostanza secca.

Ergo nessun controllo è richiesto per il Cr (III), ma soprattutto saltano tutte le prescrizioni a carico dell'utilizzatore finale riguardanti le analisi periodiche del suolo sul quale avviene lo spandimento di ammendante così preparato, non potendo più rientrare tale prodotto finito nel campo di applicazione dei fanghi di depurazione urbana. Sui terreni di ammendante possiamo darne a volontà senza che vi sia obbligo di valutare eventuali accumuli in metalli pesanti. E oggi si parla solo di cromo, ma quante delle sostanze pericolose utilizzate nei processi produttivi possono trovarsi in un fango industriale?

La spiegazione dei fatti descritti è tutta qua. Si tratta di una sciatteria nella trasposizione della direttiva 86/278/CEE con la quale si è reso possibile trattare i fanghi industriali alla stregua di fanghi urbani senza realizzare le doverose distinzioni di composizione e provenienza. A questa si sono aggiunti altri errori di sottovalutazione che hanno moltiplicato i rischi dal momento in cui il passaggio dei fanghi sotto altro nome, seppur in miscela, li ha fatti fuoriuscire dal campo di applicazione del D.Lvo n°99/92 e rientrare in altra disciplina molto più blanda in particolare sotto il profilo della dotazione di strumenti di prevenzione e controllo.

A questo punto non è più così semplice giustificare quel che accade con una assenza dei controlli. Ma parliamo anche di questo.

Diversamente dall'opinione comune, che non può che essere negativa essendosi formata sull'onda emozionale generata dal risalto dato a questi fatti-reato e che si costruisce giorno dopo giorno sul cattivo costume tipicamente italiano di rimpallarsi colpe e responsabilità, non è affatto vero che nel nostro Paese si sconta un carenza di controlli in campo ambientale (e in quello della sicurezza alimentare o lavorativa). Anzi a ben vedere vi è una ridondanza di soggetti istituzionalmente deputati a questi compiti, e non solo occasionalmente, ma per un preciso mandato del legislatore.

Un rapido escursus sulle cronache nazionali o locali mostra come siano frequenti le iniziative nel campo delle indagini ambientali da parte di numerose"dipendenze" ministeriali come gli ex-NOE (ora CCTA), la Guardia di Finanza, il Corpo Forestale dello Stato, le Capitanerie di Porto, fino all'Aeronautica con l'uso del telerilevamento. Ed anche il livello locale non si fa mancare i propri corpi specializzati: le USL laddove gli effetti del refendum del '93 non sono ancora arrivati, le ARPA dove invece si è imboccata la strada della riforma, le Polizie Provinciali, le Polizie Municipali. E non possiamo dimenticare nel novero dei contributi l'importanza del Volontariato con i raggruppamenti provinciali delle guardie ecologiche in rappresentanza delle diverse istanze ambientaliste, associate o meno. Se poi si esce dalla definizione ristretta di una competenza nella materia ambientale non è che si possano dimenticare le occasioni in cui un supporto altrettanto valido viene dalla Polizia di Stato, dai Comandi dei Carabinieri, dai Vigili del Fuoco ecc.ecc.

Se avessimo un sistema informativo che si rispetti, in grado di quantificare l'entità dei controlli con cadenze sistematiche ed elaborazioni esaustive, i valori finali, in termini assoluti, sarebbero così elevati da risultare sconcertanti. Il fatto è che un elevato numero di controlli non equivale ad un pari efficacia. E l'efficacia dei controlli, che si poi si deve tradurre nell'effetto deterrente a commettere reati, è ridotta ai minimi termini da una nutrita serie di fattori. Vediamo alcuni.

La mancanza di coordinamento. Per quanto numerosi siano i corpi specializzati sulle tematiche ambientali, ognuno soffre delle tipiche ansie dell'apparato pubblico che, carente di risorse e personale, tende all'autoreferenzialità del proprio operato. Infatti solo un'immagine personalizzata e su misura è in grado di garantire la continuità nel tempo, l'arrivo dei rincalzi, l'aggiornamento di strutture e attrezzature. Si preferisce difendere il "campanile", invece che condividire i mezzi ed i successi. Eppure basterrebbe poco. Sarebbe sufficiente quantificare le risorse in gioco e ridistribuirle su una rosa conosciuta di "candidati all'accertamento" in modo che a nessuno venga in mente di ripetere le medesime ispezioni sui medesimi soggetti nel medesimo anno solare. Si risparmierebbero brutte figure e immaginabili considerazioni, ma, in particolare, si amplierebbero le presenze percentuali che molte imprese, ancora oggi, possono documentare come pari a zero ("da noi non si è mai visto nessuno!")

La superficialità dell'accertamento. Ormai tutto converge verso la complessità, anche la legislazione ambientale si evolve in questo senso. E' sbagliato continuare con questa presunzione di regolarità basata sul controllo dei formalismi. Non è più sufficiente, anzi, rischia di diventare fuorviante per chi legge il rispetto delle norme solo in chiave giuridica, secondo massime consolidate, perché l'ha detto la Corte di Cassazione ecc.ecc. Con questa pervasività della professione legale in un campo dove invece si richiedono competenze tecniche sempre più approfondite il minimo che può succedere è che si produca un "accanimento terapeutico" laddove sia semplice accostarsi e, di contro, un "effetto abbandono" quando le troppe complicazioni minacciano di confondere le idee.

L'assenza di una pianificazione. In campo ambientale vi sono numerosi enti sovraordinati che si disputano le competenze, dal momento che portano risorse, ma che, quanto a predisporre programmi di controllo, sono largamente deficiatari. C'è questa antica tradizione nel nostro paese di separare i controlli amministrativi dalle attività ispettive. Ministeri, Regioni, Province, Comuni e altre Autorità istituiscono servizi ed uffici ai quali attribuiscono compiti istruttori per il rilascio di autorizzazioni o altri atti di assenso (compreso il silenzio-assenso, purtroppo) il cui obiettivo prioritario sta nella tempistica del rilascio e nella perfezione dell'atto. Non preoccupa invece più di tanto conoscere se l'atto verrà rispettato perché a questo compito sono demandati altri soggetti, quelli sopra sommariamente elencati. Per questo motivo si abdica dal ruolo importante della pianificazione: se e quando ispezionare, chi o che cosa, sono tutte incombenze che vengono lasciate decidere agli organi di controllo, quelli che si muovono sul territorio, i quali, a loro volta, si guardano bene dal mettere in discussione la propria autonomia di scelta e di giudizio.

Il mancato ruolo della prevenzione. Prevenzione fa rima con pianificazione. Perché certi fatti accadano sempre di meno è necessario identificare le possibili e più probabili sorgenti " a rischio" e concentrare le forze su queste. La deterrenza si ottiene anche con una presenza periodica degli organi di controllo che, solo in questo modo, sono in grado di comprendere le dinamiche della formazione di sostanze pericolose e il loro destino in acqua, aria, suolo e, magari, seguirne gli itinerari. Basare l'efficacia delle misure di prevenzione sulla casualità, sulle segnalazioni, sui blitz stagionali, è un errore in cui cadono in molti e dal quale è necessario uscire. Inoltre in questo modo si porta ad sovradimensionare l'aspetto della repressione "mordi e fuggi", il cui unico risultato è identificare il maggior numero dei reati, senza che ci siano poi adeguate garanzie che questi reati non si ripetano. Fare prevenzione è molto più complicato e impegnativo: significa non limitarsi ad evidenziare irregolarità, ma vuol dire giocare un ruolo importante perché il ripristino delle condizioni di legge sia assicurato nel minor tempo possibile, sia effettivo e duraturo, e qusto può avvenire solo quando le soluzioni individuate sono state sottoposte ad un esame critico sia al momento della loro proposizione che all'atto pratico della messa in opera e così via, nel tempo.

Le informazioni non viaggiano. Salvo sporadici casi, il relazionare sugli esiti dei controlli eseguiti è ancora un forma sconosciuta di comunicazione. Le uniche forme di relazioni sono quelle dovute, cioè i rapporti all'Autorità Giudiziaria per i reati penali e le notifiche di una sanzione per quelli amministrativi. L'obbligo di relazionare dovrebbe essere invece esteso a tutte le attività di controllo, e dovrebbe riguardare tutte le ispezioni svolte, a maggior ragione quando queste non hanno dato seguito a riflessi di tipo sanzionatorio. Si tratta cioè di far conoscere al soggetto istituzionale che emana le disposizioni da ottemperare se queste sono andate a buon fine e con quali risultati. Avere nozione dello stato di avanzamento di un processo di adeguamento alle norme e delle modalità attraverso le quali sono stati raggiunti gli obiettivi prefissati ha una importanza strategica perché permette di disporre di infomazioni aggiornate e in grado di "viaggiare", cioè di essere utilizzate grazie alla loro messa in condivisione, al confronto e al ragionamento. Si chiama "catena della regolamentazione" e nel nostro Paese è ancora un UFO, un oggetto non identificato.

Per concludere: come Stato Membro della Comunità Europea possiamo "vantare" un elevato numero di controlli istituzionali in campo ambientale, e questo ci fornisce un interessante primato a fronte di condizioni di maggiore arretratezza presenti in nazioni più titolate della nostra. La teoria dei grandi numeri nasconde purtroppo la loro relativa scarsa efficacia. Perché le cose migliorino c'è ancora molta strada da fare.

 

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