interventi
4 luglio 2003

Poco più di un anno fa in questo sito è stato trattato lo stesso argomento. Per chi volesse rileggersi l'intervento: il DM 5 febbraio sul recupero dei rifiuti, qualche considerazione a quattro anni dall'emanazione. Tra le diverse riflessioni e osservazioni presenti ve n'è una sempre attuale o più attuale delle altre: "..il fatto, incontrovertibile, è che si ritiene possa essere raggiunto un medesimo livello di tutela dell'ambiente senza sottoporre la domanda del richiedente ad un vero e proprio esame di conformità rispetto ai requisiti di legge, ma abbozzando una sorta di riconoscimento (la trascrizione nel registro imprese) basato quasi esclusivamente sulla veridicità delle dichiarazioni fornite, salvo appunto il contrario."

Torna utile riprendere questa osservazione come premessa ad una nuova analisi del fenomeno "recupero" richiamata dalle notizie dell'uso illecito che se ne sta facendo. Lo spunto viene dalle note manifestazioni di tipo "associazionistico" interrotte dall'attività investigativa svolta dalle forze di polizia. Tra le caratteristiche che ritornano in tutte le operazioni condotte efficacemente per reprimere i traffici di rifiuti c'è anche quella della pseudoconformità alle norme sul recupero dettate dal Decreto Ministeriale 5 febbraio 1998.

Lo spunto concreto per riuscire a leggere quello che sta succedendo si trova nel primo ordine di custodia cautelare emesso per un gruppo di soggetti in associazione tra loro dal Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Bari sulla base del reato di traffico di rifiuti previsto dall’art. 53/bis del decreto Ronchi n. 22/97. Il testo integrale si trova sul sito del Dr.Maurizio Santoloci www.dirittoambiente.com al quale vi rimando per il download. Qui se ne estrarranno solo alcune parti per la discussione.

Come introduzione serve un breve ripasso della materia. Il recupero di rifiuti può essere svolto in regime c.d. semplificato, decorsi cioè di novanta giorni dalla comunicazione alla provincia ove si tratti di rifiuti rientranti per tipi e quantità nella previsione del secondo comma dell’art. 31 del D.M. richiamato anche dall’art. 33, e cioè rientranti nella previsione del D.M. 5.2.1998. L’art. 31 ribadisce che il regime c.d. semplificato si applica soltanto nei casi espressamente previsti.

Come per l’autorizzazione, anche per la comunicazione è previsto dalle disposizioni di cui agli artt. 31 e ss. e dalla normativa di attuazione un contenuto obbligatorio.

Ai sensi dell’art. 33 comma terzo D.lgs.22/97:

3. La provincia iscrive in un apposito registro le imprese che effettuano la comunicazione di inizio di attività ed entro il termine di cui al comma 1 verifica d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti. A tal fine alla comunicazione di inizio di attività è allegata una relazione dalla quale deve risultare:

a) il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni specifiche di cui al comma 1;

b) il possesso dei requisiti soggettivi richiesti per la gestione dei rifiuti;

c) le attività di recupero che si intendono svolgere;

d) stabilimento, capacità di recupero e ciclo di trattamento o di combustione nel quale i rifiuti stessi sono destinati ad essere recuperati;

e) le caratteristiche merceologiche dei prodotti derivanti dai cicli di recupero.

Il GIP nella sua ordinanza sostiene che " Dovendo la Provincia valutare se l’impianto sia in condizione di rispettare le norme tecniche e le condizioni previste dal DM citato e dai suoi allegati, evidentemente il contenuto della relazione non può limitarsi a indicare genericamente tipologia dell’impianto, tipologia di rifiuti e di operazione di recupero, dovendo invece riportare dati che consentano di valutare se la specifica tipologia di impianto possa in concreto recuperare la specifica tipologia di rifiuto indicata. L’eventuale dichiarazione mendace da parte di colui che effettua la comunicazione è sanzionata, in forza del richiamo che l’art. 31 comma settimo del d.lgs.22/97 fa all’art. 21 della legge 7 agosto 1990, n.241. Quest’ultimo prevede che "In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi ed il dichiarante è punito con la sanzione prevista dall’art. 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato""

Applicare la deregulation al delicato settore della tutela ambientale significa firmare una cambiale che difficilmente verrà riscossa.

Per due motivi: il primo riguarda le condizioni. Se le condizioni poste per la firma sono generiche, insufficienti o del tutto assenti allora stiamo firmando una cambiale in bianco. Per uscire dalla metafora questo vuole dire che il senso di autoresponsabilità da solo non può bastare se non è accompagnato dalla sottoscrizione delle regole di comportamento che, nella materia ambientale, sono a dir poco evanescenti. E' del tutto inutile acquisire dichiarazioni di assoluta conformità alle norme se queste si limitano a richiedere il rispetto di poche indicazioni, senza scendere nel merito delle modalità applicative, senza descrivere esattamente quali siano i requisiti che garantiscono effettivamente la protezione delle risorse.

Il secondo riguarda i controlli. E' una illusione che con la deregulation si liberino potenzialità da destinare alle verifiche in campo. Si sostiene che il personale impegnato nelle istruttorie, liberato dal gravame delle "scartoffie", potrà così dedicarsi a tempo pieno all'effettuazione di accertamenti. Non è così. L'attività d'ufficio rimane, semplicemente si ridistribuisce il carico di lavoro.

Questa breve digressione ci serve per comprendere quello che è accaduto nelle amministrazioni delle province italiane con l'entrata in vigore del DM 5 febbraio 2002. Per quelle realtà in cui prevale l'iniziativa e il senso dell'istituzione il primo approccio ha riguardato la predisposizione del modulo per la comunicazione ex-art.33 D.Lvo 22/97. Analizzando alcuni di questi moduli si evidenziano: il frontespizio della comunicazione (continuazione, nuova attività variazione, rinnovo), le generalità del richiedente, i requisiti soggettivi, le dichiarazioni di sussistenza di tutte le autorizzazioni richieste per l'esercizio dell'impianto industriale.

Per entrare infine nel merito dei "presupposti e dei requisiti" dobbiamo invece servirci di un esempio. All'art.1, comma 3, il DM 5 febbraio 1998 prevede che:" Le attività, i procedimenti e i metodi di recupero di ogni tipologia di rifiuto, disciplinati dal presente decreto, devono rispettare le norme vigenti in materia di tutela della salute dell'uomo e dell'ambiente, nonché di sicurezza sul lavoro."

Vediamo quali sono le condizioni per il recupero del rame dagli spezzoni di cavo.

 5.8 Tipologia: spezzoni di cavo di rame ricoperto [170401] [170408] [160199] [160208]

5.8.1 Provenienza: scarti industriali o da demolizione e manutenzione di linee elettriche, di telecomunicazioni e di apparati elettrici, elettrotecnici e elettronici; riparazione veicoli; attività demolizione veicoli autorizzata ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche e integrazioni; industria automobilistica

5.8.2 Caratteristiche del rifiuto: spezzoni di cavo, anche in traccia, rivestiti da isolanti costituiti da materiali termoplastici, elastomeri, carta impregnata con olio, piombo e Piomboplasto; costituiti da Cu fino al 75% e Pb fino al 72%.

5.8.3 Attività di recupero:

  • messa in riserva di rifiuti [R13] con lavorazione meccanica (cesoiatura, triturazione, separazione magnetica, vibrovagliatura e separazione densimetrica) per asportazione del rivestimento, macinazione e granulazione della gomma e della frazione plastica, granulazione della frazione metallica per sottoporla all'operazione di recupero nell'industria metallurgica [R4] e recupero della frazione plastica e in gomma nell'industria delle materie plastiche [R3].
  • pirotrattamento per asportazione del rivestimento e successivo recupero nell'industria metallurgica [R4].

5.8.4 Caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti: rame e piombo nelle forme usualmente commercializzate; prodotti plastici e in gomma nelle forme usualmente commercializzate.

Tipicamente il recupero del rame dai cavi dismessi è sempre stata svolta con sistemi approssimativi e a volte con elevato rischio per la salute. Per chi vuole massimizzare i benefici della vendita del rame si usa infatti dare letteralmente fuoco al cumulo di cavi raccolti, anche se la plastica che li ricopre è PVC e queste condizioni sono quelle ottimali per la formazione di gas corrosivi come l'acido cloridrico o delle pericolose diossine. Inoltre nelle mescole di materiali termoplastici è da molto tempo largamente diffuso l'utilizzo di composti a base di piombo (in genere solfato tribasico di piombo) con la funzione di stabilizzare termicamente il polimero durante i processi di lavorazione. Anche il riutilizzo del granulato plastico che si potrebbe ottenere con processi più soft non è comunque esente da rischi.

Ora immaginiamo debba essere presentata una comunicazione ex art.33 del D.Lvo 22/97 con l'intenzione di svolgere queste operazioni di recupero secondo norma. Proviamo ad utilizzare la modulistica della Provincia di Asti, scelta a caso tra quelle che si trovano effettuando una ricerca con yahoo. Per quanto riguarda la descrizione del punto: c) le attività di recupero che si intendono svolgere, la scheda richiede di "ceccare" quella interessata.

 3) DESCRIZIONE DELLE OPERAZIONI DI RECUPERO

  1. attività posta in essere presso la sede sopra indicata (barrare la casella) :

Operazioni di recupero effettuate:

  • messa in riserva
  • cernita e/o selezione
  • adeguamento volumetrico (separazione, compressione, macinazione)
  • miscelazione
  • filtrazione / centrifugazione
  • rigenerazione fisico / chimica
  • distillazione
  • lavaggio.................................
  • essiccamento
  • pirotrattamento
  • disidratazione / essiccazione
  • devulcanizzazione
  • recupero olio
  • altro _________________

Dovendo effettuare il recupero di rame dagli spezzoni di cavo si potrà barrare:

Per ulteriore completezza nello spazio:

In alternativa alla messa in riserva si opterà per il:

Ma serve conoscere qualcosa in più delle operazioni che si vorrebbe svolgere in regime semplificato. La scheda richiede la compilazione del punto B.

 B) descrizione dettagliata delle operazioni cui sono sottoposti i rifiuti ai fini del recupero, con indicazione dei mezzi e degli impianti utilizzati, della determinazione analitica della potenzialità dell’impianto e del quantitativo annuo trattato:

………………………………………………………………………………………………

Ora, a parte le tre righe messe a disposizione della scheda, che possono essere sostituite da una relazione un po’ più esauriente, le informazioni che vengono rese dovrebbero fornire una garanzia sul fatto che la messa in riserva avvenga all'interno di uno stabilimento, in caso contrario, qualora le lavorazioni si svolgano in un'area posta all'aperto quali problemi potremmo attenderci?

Riguardo invece al pirotrattamento dovremmo come minimo disporre delle informazioni sull'impiantistica utilizzata, dove è dislocata, qual è la max capacità di trattamento, quanti giorni/anno si prevede venga messa in funzione, quale tipo di sistema di abbattimento fumi è utilizzato, che limiti deve garantire ecc. Non si dovrebbe dare per scontato che il pirotrattamento, (letteralmente trattamento a fuoco) avvenga in appositi forni statici dotati di tutte le sicurezze e quindi richiedere una documentazione con le specifiche tecniche dell'impianto.

Ora vedete che se si vuole garantire la compatibilità dell'attività in essere con l'ambiente bisogna approfondire diversi elementi. Una amministrazione attiva predispone un modello per la comunicazione tale da poter raccogliere le informazioni necessarie nella maniera più razionale, tuttavia la mera compilazione raramente sarà sufficiente per fornire tutte le garanzie richieste. Il decreto nulla dice di tutto questo corollario indispensabile, si limita a ricordare che devono rispettate le norme vigenti in materia di tutela della salute dell'uomo e dell'ambiente, nonché di sicurezza sul lavoro.

La semplificazione sta tutta nel non avere materializzato le "complicazioni" che le disposizioni vigenti prevedono a carico di qualsiasi nuova attività di produzione beni e servizi a seconda delle ricadute ambientali che la caratterizza, alle quali si aggiungono le norme in materia di sicurezza sanitaria e antincendio. Tutte queste complicazioni sarebbero in realtà date per acquisite prima dell'invio della comunicazione ex art.33 D.Lvo 22/97, tanto che nella modulistica provinciale questa parte è risolta attraverso una dichiarazione:

Il sottoscritto dichiara, sotto la propria personale responsabilità, che i dati contenuti nella presente comunicazione e nella scheda tecnica allegata sono completi e veritieri, di essere a conoscenza, di rispettare tutte le norme vigenti in materia igienico sanitaria e ambientale e che l’inizio dell’attività sarà subordinata all’acquisizione di tutte le autorizzazioni, visti, pareri e nulla osta necessari.

Quindi, secondo il legislatore, per l'attività di messa in riserva o pirotrattamento di spezzoni di cavo di rame ricoperto PRIMA si deve avere ottenuto, come minimo, il certificato di conformità urbanistica, il permesso di costruire, le varie autorizzazioni all'esercizio per l'attivazione di scarichi, rumori, emissioni e devono essere stati espletati gli obblighi in materia di igiene e sicurezza sul lavoro e ottenuto il via libera dal Comando Provinciale Vigili del Fuoco. DOPO si può presentare la comunicazione ex art.33 del D.Lvo 22/97.

Così le cose possono funzionare, semprechè l'istruttoria comunale riguardante l'insediamento di questa attività abbia effettivamente preso in considerazione tutti gli aspetti descritti e la provincia non debba più ripetere le medesime valutazioni richiedendo informazioni già presenti presso la pubblica amministrazione. In alternativa, in considerazione dei principi stabiliti con DPR 447/98, regolamento sull'istituzione degli sportelli unici, occorrerebbe organizzare la contestualità di tutti i procedimenti in modo di pervenire nello stesso momento alla loro conclusione (positiva).

Come si può capire le cose funzionano solo a queste due condizioni:

  1. L'istruttoria della comunicazione è eseguita in relazione alle norme tecniche previste dal decreto, ma senza limitarsi alla supina accettazione di dichiarazioni, si esaminano il contesto e le caratteristiche di processo per evidenziare possibili rischi o pericoli per l'ambiente;
  2. Viene reso effettivo un coordinamento tra i vari soggetti istituzionali in modo che questi collaborino per ottenere che gli atti di assenso richiesti vengano emessi se non prima, almeno contestualmente alla comunicazione ex art.33 D.Lvo 22/97.

La terza condizione è naturalmente legata all'effettuazione dei controlli ex-post. L'efficacia di questi è proporzionale alle garanzie raccolte in sede istruttoria, completate da relazioni, disegni, elaborati sulla veridicità dei quali verteranno gli accertamenti. Va da sé che il migliore risultato si avrebbe con controlli effettuati dagli stessi tecnici provinciali i quali potrebbere pianificarne il numero secondo le priorità come le dimensioni dell'impianto, la provenienza e i rischi dei rifiuti.

La mancanza di queste tre condizioni e, diciamo, l'assenza di iniziativa che si confonde con la passività (se non con la complicità), sono invece all'origine di errori, contestazioni, o, nella peggiore delle ipotesi, veri e propri reati tra i quali il più grave è quello di traffico illecito.

Ritornando all'ordinanza del GIP possiamo così meglio comprendere perché sia stato possibile una così lunga serie di violazioni al codice penale da parte dei quattro arrestati.

 Estratto

Il fondamento del regime giuridico in cui opera la (… OMISSIS……) è costituito da una serie di atti, o -più esattamente - un coacervo di atti spesso assolutamente stravaganti rispetto alla disciplina dettata dal decreto Ronchi, talora in netto contrasto con la stessa, talaltra, infine, improntati alla chiara intenzione di eluderla. La manifestazione di più evidente illiceità della attività svolta dalla (… OMISSIS……) non rinviene comunque dalla verifica della inadeguatezza in sé dei titoli conseguiti per l’esercizio della attività di gestione ma soprattutto dal sistematico illecito abbandono ed accumulo di rifiuti.

(… OMISSIS……) ha profittato del vuoto lasciato dalla simultanea combinazione della disciplina delle procedure semplificate in tema di rifiuti, da un canto (disciplina che fonda la sua efficacia sul senso di autoresponsabilità dell’imprenditore e sulla puntualità dei controlli e della vigilanza da parte delle Province), e della assenza di controlli da parte della Provincia di (… OMISSIS……), dall’altro.

In data 8.3.1999 (… OMISSIS……) comunicava con nota indirizzata alla Provincia di (… OMISSIS……) e alla sezione regionale albo delle imprese di gestione di rifiuti presso la CCIAA di esercitare l’attività, specificata nella allegata relazione,di messa in riserva (R13) e di trattamento (R13) di rifiuti destinati al riutilizzo. Prescindendo dalla verifica dell’effettività dell’esercizio pregresso ed attuale alla data di entrata in vigore del decreto Ronchi in ordine a rifiuti compresi nell’all.3 DM. Amb. 5.9.94 o nell’all.1 del D.M.Amb.16.1.1995 (oltre che alla già avvenuta decorrenza del termine di "trenta giorni dalla emanazione delle predette norme tecniche" entro cui la dichiarazione di cui al sesto comma dell’art. 57 andava fatta), si sottolinea che detta comunicazione, nella sua laconicità, non consente di desumere quali operazioni debbano essere proseguite (trattamento è espressione del tutto generica), con quali metodologie e rispetto a quali e quanti rifiuti.

Quand’anche si qualifichi la comunicazione (in quanto tardiva) non più ai sensi del sesto comma dell’art.57, ma ai sensi dell’art. 33, ne difettano tutti i requisiti, non consentendo la stessa di svolgere alcuna forma di verifica della stessa e controllo della osservanza. La citata comunicazione non riveste pertanto alcuna rilevanza giuridica. La quasi totalità delle condotte accertate ed oggetto dei capi di imputazione esula anche dagli stessi titoli indicati.

Il 24.3.1999 la (… OMISSIS……) comunicava alla Provincia e alla Regione di effettuare operazioni di recupero di rifiuti di plastica (polietilene), comprendenti il trasporto, lo stoccaggio, il trattamento e la trasformazione del prodotto finito, allegando una relazione sul recupero dei rifiuti, che si occupa molto sinteticamente della trattazione della provenienza, della tipologia e della destinazione materiale dei rifiuti. Anche quest’ultima comunicazione è da ritenersi priva di chiare indicazioni.

Nonostante il rinvio alla "relazione allegata" per quanto attiene alle quantità dei rifiuti, alle misure per la salvaguardia dell’ambiente, nessuna specificazione si evince nella relazione oggetto di rinvio in ordine alle modalità attraverso le quali sia effettuato il trattamento.

Il 15.11.1999 la citata società comunicava di proseguire l’attività di stoccaggio, cernita, trattamento, avvio al riutilizzo di rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate, individuati nell’allegato foglio notizie di cui alla precedente comunicazione datata 23.4.1999, precisando di rispettare nell’esercizio di tale attività le prescrizioni di cui agli artt. 1 e ss. Del D.M. 5.2.98. L’allegato non riporta in realtà una relazione che indichi i rifiuti, specifichi le modalità di recupero in relazione allo stabilimento, ma trascrive l’intero allegato 1 al DM .5.2.1998, così omettendo di fornire qualsiasi indicazione in concreto.

Non risulta quindi indicata la quantità di rifiuti che potranno essere introdotti. Quand’anche si ritenga ammissibile ai fini dell’assolvimento dell’onere di comunicazione gravante sull’esercente l’attività in questione, l’invio dell’intero allegato 1 al D.M. 5.2.1998, la singolare scelta di utilizzare quale relazione l’intero allegato 1 al DM comunque finisce per escludere i casi non contemplati nell’allegato 2 o nell’articolato del D.M., ed in particolare l’attività di recupero, R13, e cioè la "messa in riserva di rifiuti per sottoporli ad una delle operazioni indicate nei punti da R1a R12", intesa come mera messa in riserva, essendo nell’allegato 1 previste soltanto ipotesi di messa in riserva qualificata. Nella descrizione dell’impianto nessun indicazione viene fornita.

Le indagini svolte dai Carabinieri in loco hanno peraltro evidenziato che la (..omissis) non possiede altra attrezzatura, oltre alle presse per compattare le materie plastiche. Inoltre, alla luce delle dichiarazioni dei dipendenti non ha mai ricevuto né materialmente trattato nella sua area rifiuti diversi dalle materie plastiche. Ogni altra tipologia di rifiuto, infatti, non è mai stata "recuperata" in alcun senso dalla (… OMISSIS……), ma semplicemente conferita in discariche improvvisate o ad altri soggetti.

La citata comunicazione non è quindi assimilabile a quella di cui all’art. 33, e, pertanto, è non è pertanto idonea neppure astrattamente a convalidare l’attività di gestione degli stessi, che pertanto va considerata svolta in assenza di comunicazione.

In data 15.11.1999, a seguito di richiesta della società interessata, la Provincia comunicava alla (… OMISSIS……) la avvenuta iscrizione al n. 220 del registro. Il 18.11.1999 il servizio controllo ambiente della Provincia invitava la ditta a inviare la scheda di recupero e la relazione tecnica. In data 9.2.2002 risulta inviata all Provincia (… OMISSIS……) una comunicazione relativa alla indicazione dei materiali da avviare alla combustione con i codici CER, a seguito di contratto stipulato con la (… OMISSIS……) per il conferimento di materiale da avviare alla combustione alla cementeria di (… OMISSIS……). In forza di tale comunicazione da parte della (… OMISSIS……) alla Provincia, è evidente che non possa ritenersi consentito lo svolgimento della attività indicata.

Il 16.2.2000 il dirigente del servizio rifiuti della Provincia di (…omissis..) , inviava alla (… OMISSIS……) e p.c. alla (… OMISSIS……) una ota dal contenuto apparentemente inutile, poiché ivi si rimarca un dato ovvio, e cioè che l’attività di gestione va svolta secondo la disciplina vigente.

Secondo la disciplina iniziale dell’art. 33, la provincia verifica di ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti necessari (comma terzo) e qualora …accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1 dispone con provvedimento motivato il divieto di inizio o di prosecuzione dell’attività, salvo che l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente dette attività ed i suoi effetti entro il termine prefissato dalla amministrazione (comma 4).

La Provincia esamina la richiesta, ne valuta il contenuto, in tutta evidenza non può non accorgersi quanto meno della circostanza che per molti dei rifiuti indicati non è neppure astrattamente possibile la destinazione, in regime di procedura semplificata, alla combustione, rileva detta incompatibilità ed omette di adottare il conseguente provvedimento.

L’unica spiegazione che può darsi a tale singolare missiva è che la Provincia abbia inteso lasciar svolgere la illecita attività, senza intervenire (come già fatto in passato),al contempo prendendo le distanze, attesa la assoluta illiceità della condotta.

Nella relazione del 17.2.2000, si dava atto della precarietà del sito, rispetto alla quale il (… OMISSIS……) aveva dato rassicurazioni di imminente ristrutturazione,e della assenza di attrezzature per il trattamento dei rifiuti all’infuori di tre presse, di cui una di tipo "continuo" e due piccole".

L’attività di recupero, che dovrebbe costituire il fondamento della lecita attività degli indagati, viene quindi esercitata in forza di un carteggio inidoneo a consentire alla (… OMISSIS……) la prosecuzione della attività di recupero in corso di svolgimento.

Come ultimo contributo al perché certe cose possano accadere nel nostro paese è interessante l'articolo che segue, senza commento.

EMERGENZA RIFIUTI

Un trucco addirittura banale. Con l’iscrizione provinciale l’importazione dei rifiuti era ammessa per le sole attività di recupero. Ma grazie all'ottenimento dell'autorizzazione regionale i rifiuti poi si finiva per smaltirli in Campania. Ma da oggi i trafficanti di veleni, casertani in particolare, non avranno più vita facile. Il Commissariato per l’emergenza rifiuti ha messo a punto una dettagliata ordinanza che spezza la spirale dei trucchi e dispone una serie di severi controlli sulle importazioni, vietata di rifiuti da altre regioni e sulla destinazione urbanistica degli impianti di trattamento.

L’ordinanza è stata firmata dal governatore Bassolino, che ha preso carta e penna per scrivere anche una allarmata, decisa lettera al presidente della Provincia di Caserta, Riccardo Ventre. Nel Casertano, infatti, il crocevia del nuovo traffico, le stesse zone considerate ad alto rischio per la diossina nel latte.


Per mesi, ci sono state imprese che hanno gabbato i divieti dettati dall’emergenza e importato fanghi con il trucco delle doppie autorizzazioni, una regionale e l’altra provinciale. La prima non consente l’importanzione di rifiuti. La seconda non cita il divieto. E tanto bastava per convincere le imprese del Nord, che non sapevano come liberarsi dei loro fusti, dei residui di lavorazione anche di rifiuti urbani, di liquami.

Una beffa della burocrazia e delle competenze, guarda un po’, detta procedura semplificata. E così, carte in regola, i trafficanti di veleni, facendosi pagare trasporto e smaltimento, hanno portato giù fanghi di aziende pubbliche e private milanesi, pavesi, venete, toscane. Materiale da trattare e poi smaltire in cave e vecchie discariche.

Ufficialmente, fanghi trasformati in fertilizzanti e inerti, oppure, in compost o quella che i tecnici chiamano Fos, frazione organica stabilizzata, materiale che dovrebbe essere riutilizzabile per le ricomposizioni ambientali. Lo stesso materiale che il Commissariato per l’emergenza, in attesa delle disposizioni di legge, continua a tenere semplicemente in deposito.
Uno scandalo, diffuso soprattutto nel Casertano, più volte denunciato dal subcommissario Giulio Facchi, tornato a insistere sull’argomento in un convegno sabato a Giugliano. Una vicenda, tra l’altro, che ha fatto tornare alla ribalta lo spettro delle ecomafie, che nel Casertano, alla fine degli Anni 80, hanno dato vita a business da milioni di euro devastando l’ambiente, una delle conseguenze più recenti è appunto il latte alla diossina. E sebbene la diossina non venga citata, l’ordinanza è stata ispirata anche da questa vera e propria tragedia ambientale.

Il governatore Bassolino, ieri sera nella sua qualità di Commissario per l’emergenza rifiuti, ha firmato l’ordinanza che riguarda tutte le province campane, ma di fatto blocca da subito i traffici dell’holding casertana. "Mi preme sottolineare - scrive Bassolino a Ventre - che nella tua provincia le comunicazioni di inizio attività, da parte di aziende, sembrano essere particolarmente numerose. Dai dati in possesso del Commissariato, risulta che alcune imprese, attive in forza di autorizzazioni ottenute con procedura semplificata, hanno ricevuto, da fuori regione, tipologie di rifiuti non coerenti con le attività di recupero dichiarate. Appare di dubbia legittimità - conclude Bassolino - che alcune aziende, pur avendo ottenuto autorizzazioni regionali, si sono iscritte al registro di inizio attività di Caserta. Ti invito pertanto, anche con l’ausilio dell’Arpac, a effettuare i dovuti controlli sulla natura dei rifiuti trattati dagli impianti".

Non si è fatta attendere la risposta di Ventre: "Non può essere contestato alla Provincia l’eventuale mancato controllo o l’individuazione delle attività illecite, alla Provincia questo non compete, spetta invece all’Arpac e alle forze dell’ordine. Il compito della Provincia - insiste Ventre - si esaurisce con il rilascio delle autorizzazioni, che sono dovute quando viene avanzata la richiesta e il carteggio è in regola".

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