Da Via Campobello e Via
Garibaldi, si arriva a Piazza Garibaldi nella quale si erge la Chiesa
Madre (XVI secolo) con un ricco portale sulla facciata. All'interno,
stucchi di Ferraro e di Serpotta e nell'abside di sinistra, una statua
della Madonna della scuola dei Gagini. Sul fianco sinistro della chiesa,
il campanile davanti al quale si vede un'elegante fontana dell 615. Sulla
stessa piazza si trova il Municipio (ingresso da Piazza Umberto, 4) che
accoglie un piccolo museo (aperto soltanto il giovedì dalle ore 9.00 alle
ore 13.00). Esso è stato privato del suo pezzo torte: l'Efebo dl
Selinunte. Quest'opera eccezionale, riesumata all'epoca dei primi scavi e
affidata al comune di Castelvetrano, è stata rubata nell 962. Ritrovata
è stata depositata nelle casseforti dei Banco di Sicilia. Ci auguriamo
che essa riprenda al più presto il suo posto, poiché questo bronzo del V
secolo a.c., figura tra i capolavori di quest'epoca. Sul lato destro della
Chiesa Madre imboccate Via Bonsignore che vi conduce alla Chiesa di 5.
Domenico (1470), più volte ri-maneggiata. All'interno, ricca decorazione
di stucchi. A destra dell'edificio, in Piazza Regina Margherita, la Chiesa
di 5. Giovanni, rifatta nel periodo barocco, contiene alcune pitture del
XVII secolo ed una statua di 5. Giovanni Battista di A. Gagini (1522).
Molto più interessante è la visita della Chiesa della 5. Trinità di
Della, a 3,5 Km. dal centro della città. Come la Martorana di Palermo, è
un edificio a croce greca con tre absidi. La sua massa quadrata è
sormontata da una cupola di tipo arabo poggiante su quattro colonne.
Questa costruzione normanna del Xli secolo è stata restaurata alla fine
del secolo scorso. Nei pressi della casa del guardiano, belvedere sul Lago
Trinità.
MARINELLA
Per raggiungere Selinunte,
uscite da Castelvetrano per Via Selinunte e seguite la statale n. 115. A
8,4Km., al bivio di Selinunte lasciate a sinistra la statale n. lì 5, che
continua verso Agrigento per prendere la stessa strada, ma a destra, che
conduce in 5 Km. a Marinella ed alla zona Archeologica di Selinunte.
Marinella non è che una piccola stazione balneare attorno ad un roodesto
villaggio di pescatori, ma la vicinanza delle rovine ed una bella spiaggia
hanno contribuito da poco al suo sviluppo turistico.
SELINUNTE
La visita di Selinunte è
certamente una delle più commoventi di tutta la Sicilia. L'abbondanza
delle rovine, la maestà del luogo e la bellezza del paesaggio, fanno in
modo che qui tutto ricordi la Grecia. Qccorre almeno mezza giornata per
visitare bene le tre zone archeologiche, ma è possibile, se non disponete
che di poco tempo, visitare l'Acropoli e l'Altopiano di Marinella in due
ore.
SELINUNTE
NELLA STORIA
Selinunte, come uno dei fiumi
che la bagna, trae il suo nome dalla pianta sellnon, una specie di
prezzemolo selvaggio o di sedano, scelto come emblema della città e
inciso sulle monete. La città sarebbe stata fondata attorno al 650 a.c.
dagli abitanti di Megara Hyblaea che, stretti fra le colonie calcidinesi e
Siracusa, cercavano un rifugio per vivere in pace. Selinunte diventò
molto prospera rapidamente e la sua popolazione cerco di sottomettere gli
Elimi, sopra~utto quelli di Segesta, per acquistare nuovi possedimenti ed
estendersi fino al Mar Tirreno. Le sue pretese territoriali avrebbero, però,
provocato l'intervento dei Cartaginesi e degli Ateniesi. Nel 409 a.c.
Annibale assedia Selinunte che resiste eroicamente per nove giorni; ma
infine la città è presa e saccheggiata con singolare crudeltà, se si
presta fede a Diodoro Siculo: "i barbari saccheggiavano le ricchezze
delle case e abbandonavano alle fiamme le persone che vi erano rimaste;
altri, addentrandosi nelle strade, sgozzavano spietatamente, senza
distinzione di età e di sesso, i bambini, i neonati, le donne e i vecchi.
Secondo l'uso della loro patria, i cartaginesi mutilavano i cadaveri:
alcuni portavano una cintura di mani alla vita, altri portavano teste
sulla punta delle loro picche...". 16.000 persone perirono così' e
si contarono 5.000 prigionieri circa. I templi furono saccheggiati e
abbattuti; la città non era che un cumulo di rovine. lì proscritto
siracusano Ermocrate tentò, di ridarle vita ricostruendone le mura. I
Cartaginesi se ne impadronirono nuovamente nel 250 a.c., al tempo della
prima guerra punica, e la distrussero dopo averne trasferito gli abitanti
a Liiibeo. Poi questa fiorente città, divenuta un misero villaggio, fu
invasa da acque paludose e decimata dalla malaria. Un terremoto distrusse
gli ultimi templi ed essa cadde nell'oblio; il suo nome scomparve poiché
gli Arabi la chiamarono il "villaggio dai pilastri" o ancora
"sobborgo degli idoli". L'antica Selinunte è formata da tre
zone archeologiche ben distinte: l'aftopiano di Marinella, l'Acropoll e il
Santuario di Malophoros, ad ovest di Selinos.
L'ALTOPIANO
DI MARINELLA
Arrivando a Marinella Sellnunte, la strada costeggia la ferr~ via. Bisogna attraversarla dal
passaggio a livello sulla destra, per raggiungere la zona detta dei templi
orientali. Questo "sobborgo sacro" si compone di tre templi
separati dalla strada e disposti parallelamente all'ingresso della zona
archeologica. I templi di Selinunte sono indicati tradizionalmente con
lettere dell'alfabeto. Sulla sinistra i templi E ed F; sulla destra, il
tempio G. Il Tempio E, il più lontano, si distingue chiaramente, essendo
state le sue colonne ricostruite. Costruito nel V secolo a.c. nel più
puro stile dorico, questo edificio era senza dubbio dedicato a Era
(Giunone) secondo l'iscrizione di una stele votiva scoperta nel 1865.
Misura 68 m x 25. Le sue 38 colonne (6 sulle facciate e 15 sui lati)
sostengono ancora una parte della trabeazione. Una scala di otto gradini
conduce al peristilio ed alla cella sopraelevata i cui muri erano ornati
di una cornice dorica. Da questo tempio provengono le quattro metope del
museo di Palermo. Ritornando sui propri passi, verso la strada, si vedono
sulla destra i resti del Tempio F, il più piccolo e il più danneggiato
dei tre. Di stile arcaico, fu costruito probabilmente tra il 560 e il 540
a.c. Questo periptero, di 62 m. x 24, era circondato da 36 colonne (6
sulle facciate e 14 sui lati) che si innalzano per più di 9 metri. Il
vestibolo aveva una seconda fila di colonne e il peristilio era chiuso,
nella sua parte inferiore, da un muro. Il Tempio G, dall'altro lato della
strada, si presenta come un gigantesco ammasso di pietre, al centro del
quale emerge una colonna restaurata nel 1832. Questo tempio, senza dubbio
consacrato~ad Apollo, era annoverato con quello di Agrigento dedicato a
Zeus Olimpico, tra i più grandi del mondo antico. Iniziato verso il 550
a.c. la sua costruzione continuò fino al 480, ma non fu mai portata a
termine. L'edificio, con il suo basamento, copre una superficie di oltre
6.000 m2. Si innalzava per più di 30 m. dal suolo, dominando
cosi tutti gli altri, era lungo 113 m. e largo 54 ed era circondato da 46
colonne (8 sulle facciate e 17 sui lati). Queste colonne, il cui diametro
medio alla base era di 3,41 m., raggiungevano 16,27 m. di altezza e
sostenevano capitelli aventi una superficie dii 6m2. I tamburi
di queste colonne pesano circa 100 t. ciascuno. Alcuni, incompiuti e senza
scalanature, dimostrano cosi' che la costruzione del tempio fu interrotta
durante la distruzione di Selinunte. Questi blocchi di pietra provenienti
dalle rocche di Cusa erano ricoperti di stucchi colorati i cui resti sono
stati ritrova-ti. La cella del tempio era preceduta da un vasto peristilio
con la facciata sostenuta da quattro colonne, mentre i lati non ne
comprendevano che due. La cella, di forma oblunga si componeva di tre
parti: il pronao, la cella propriamente detta e l'Adito o Santuario. Si può
avere un'idea della grandiosità di questo monumento arrampicandosi sui
blocchi di pietra per penetrare all'interno di questo ammasso di rovine
titaniche, dove ogni elemento stupisce per le sue dimensioni. La strada
detta "dei Templl" circonda il Tempio E e scende verso il mare
per risalire in seguito verso l'acropoli, sulla collina occidentale.
L'ACROPOLI
L'acropoli (aperta dalle ore
9.00 alle 19.00; ingresso a pagamento) occupa un altopiano ripido a
strapiombo sul mare tra due corsi d'acqua: a ovest il Selinos ed a est, il
Gorgo Cotone, i cui sbocchi formavano i due porti della città, oggi
insabbiati. L'Acropoli (450 m. x 350) era circondata da una cerchia le cui
mura formate da blocchi quadrati e da piccole pietre, raggiungevano quasi
3 m. di spessore. Si vede una parte ben
conservata sul lato destro della
strada, dopo il cancello d'ingresso. L'interno dell'acropoli era diviso in
quartieri da due grandi arterie perpendicolari, larghe 9 m., nelle quali
sboccavano numerose strade. La strada sbocca nel parcheggio dietro la casa
del guardiano. Seguendo il viale principale che attraversa gli scavi in
direzione del solo colonnato esistente, si vede sulla destra il Tempio O
di cui non restano che la base e i tamburi scanalati. La sua struttura è
identica a quella del Tempio A che si trova proprio dopo. Questi due
edifici appartenenti allo stesso periodo del Tempio E, sono i più recenti
dell'acropoli. Furono costruiti tra il 490 e il 480 a.c., nell'età d'oro
dello stile dorico, secondo un progetto classico. Misurano 40 m. x 16 e
comprendono 36 colonne (6 sulle facciate e 14 sui lati) di un'altezza di
6,23 m. A una quarantina di metri circa, sulla destra, sono ancora
visibili i resti di un piccolo edificio, probabilmente un propileo
costruito inseguito. Dopo il crocevia, sempre sulla destra, si trova il
Tempio C, il più grande e il più antico dell'Acropoli, innalzato sul
punto più elevato. Dodici colonne complete con capitelli e due incomplete
sono state ricostruite nel 1925. Questo edificio, della metà del VI
secolo a.c. era consacrato a Demetra. Misurava 64 m. x 24 e comprendeva
una cella con pronao, senza colonne e, sul fondo, un santuario. 17 colonne
si innalzavano sui lati e sei sulle facciate. Esse misurano 1,94 di
diametro alla base. Da questo tempio provengono le tre metope esposte nel
museo di Palermo. Tutto il cornicione era rivestito di terrecotte
policrome di cui restano ancora alcune tracce. Davanti al tempio, si
trovava un piccolo mageron destinato a ricevere le offerte di minore
importanza. La terrazza, a destra, era limitata da un portico di ordine
dorico che sormontava il bastione a scalinata. Tra il portico e il tempio
sussistono le basi di un grande aftare di 20,40 mx 7,85.11 Tempio B si
trova a dieci metri sulla destra, davanti al Tempio C. Ellenistico, 8,45
m. x 4,60, vi si accedeva da una scala di otto gradini. La sua costruzione
è attribuita ad Empedocle. Il TempIo D, il più settentrionale
dell'Acropoli, costruito tra il 570 e il ~ a.c., comprendeva 6 colonne
frontali e 13 sui lati, di un'altezza di 7,51 m. Lo stilobate misura 56 m.
x 24. Questo tempio si componeva di un pronao, di una cella e di un
santuario. Intorno ai templi C e D, si possono vedere le rovine di un
villaggio bizantino del V secolo le cui case erano state ricostruite con
materiali antichi. L'arteria principale attraversa i resti della città
ricostruita da Ermocrate dopo la distruzione del 409 a.c. All'epoca del
suo apogeo, tra il VI e il V secolo a.c., Selinunte si estendeva molto più
a nord sull'altopiano di Manuzza, ma in seguito al disastro essa si ritirò
daccapo sull'Acropoli. La via termina all'estremità nord dell'Acropoli,
alla porta principale e alle rovine delle fortificazioni. In questa parte,
si può vedere una lunga galleria, dapprima coperta, e una trincea
sormontata da un ponte e protetta all'estremità da due torri
semicircolari.
SANTUARIO
DI MOLOPHOROS
La maggior parte dei turisti
trascura questa terza zona archeologica, situata a 800 m. circa
dall'Acropoli. Per quanto essa non possieda monumenti notevoli, la sua
visita è tuttavia interessante. Il Santuario si erge in un luogo
selvaggio in mezzo alle dune di sabbia che lo avevano ricoperto fin
dall'antichità. Per accedervi, dalla porta principale, bisogna ritornare
sui propri passi e prendere, sulla destra proprio dopo il Tempio C,
l'arteria trasversale che si snoda da est ad ovest. Percorrete il sentiero
che conduce ad una passerella attraverso la quale si oltrepassa il Modione,
l'antica Selinos, vicino all'ex porto occidentale. Una cinquantina di
metri più lontano, girate a destra per giungere all'arca sacra, vasto
quadrilatero di 60 m. x 50, a fianco della collina. Si entra attraverso
dei proprilei, del V secolo a.c., che davano accesso alla via sacra
fiancheggiata di cipressi. Si passa in seguito davanti ad un piccolo
altare arcaico ed ad un grande altare sacrificale (16,30 m. x 3,15>,
prima di arrivare al Tempio dedicato a Malophoros, divinità che può
essere identificata con la Demetra dei Greci. Questo santuario, sprowisto
di colonne e di basi, è un megaron diviso in pronaos, naos e adyton.
Conteneva una statua per il culto e serviva da stazione per i cortei
funebri diretti alla necmpoll di Manicalunga, situata a 3 Km., in cui sono
stati ritrovati più di 12.000 terrecotte del VI e V secolo a.c.,
raffiguranti soprattutto la dea. Ritornando al ponte e seguendo il corso
del Modione, si giunge ad una bellissima spiaggia sabbiosa. Si raggiunge a
5,2 Km. la statale n. 115 D, che attraversa una regione fertile e
ondulata, si passa per Menfi, a 100 Km. e si arriva a Sciacca (120 Km.).
SCIACCA
Questa città animata, di
31.000 abitanti, situata su un altopiano digradante verso il mare, è il
più importante centro termale della Sicilia ed una stazione balneare
dotata di un porticciuolo turistico. Sciacca già celebre ai tempi dei
Romani che la chiamavano Ex Aqua (da cui il suo nome attuale), possiede
parecchi stabilimenti di cura che utilizzano un'acqua solforosa (56°
ipertonica e radioattiva, un'acqua bromoiodica (36°) ed un'acqua salina
alcalina detta Acqua Santa utilizzata come bibita.
VISITARE
SCIACCA
La strada statale n. 115
conduce alla Porta S. Salvatore (XVI secolo), all'ingresso della Via F.
Incisa dove si innalzano due chiese: S. Margherita a destra, e la Chiesa
del Carmine a sinistra. 5. Margherita, del XIV secolo è stata rinnovata
nel XVI secolo. Il bel portale gotico della facciata risale alla
costruzione primitiva; quello del lato sinistro, di stile
gotico-rinascimentale attribuito al Laurana, rappresenta sul timpano, S.
Margherita tra gli angeli, e sui montanti, da un lato S. Gabriele e
l'Annunciazione, dall'altro S. Calogero e Santa Maddalena. L'interno è
ornato con stucchi di Ferraro (1623). La Chiesa del Carmine possiede una
cupola in maiolica. Sulla facciata incompiuta, resta un bel rosone gotico
che risale alla chiesa originale dedicata a 5. Salvatore. Un po' più
lontano, al n. 48 di Via Incisa, si trova Casa Arone con tre finestre
gotiche e una scalinata interna del XV secolo. Ritornate alla Chiesa del
Carmine per imboccare sulla destra, Via Gerardi che conduce al Palazzo
Steripinto. Questa singolare costruzione del XV secolo di stile catalano,
presenta una facciata bugnosa a punte di diamanti con tre bifore, dei
merli e un elegante portale del Rinascimento. Non si può visitare
l'interno. Seguite il lungo Corso Vittorio Emanuele che conduce a Piazza
Scandallato, centro della città. A sinistra, facciata del Municipio, che
occupa l'edificio di un ex collegio di gesuiti dell 615. All'interno, bel
cortile ad arcate. A destra, terrazza che domina la città bassa e il
porto. Continuando sempre dritto, si giunge al Duomo del XII secolo,
trasformato nel XVIII, ma che ha conservato, all'esterno, le tre absidi
originali. Le statue della facciata sono dei Gagini. Si può completare
questa visita seguendo l'itinerario seguente: continuate per Via Vittorio
Emanuele sino a Piazza Friscia
(giardino pubblico con veduta sul mare).
Prendete subito a sinistra per Via Licata che conduce a Piazza Lazzarini
dove Via S. Caterina, a destra, sale verso la chiesetta di 5. Nicolò, di
stile normanno, costruita all'inizio del XII secolo e incastrata fra le
case. Dietro la chiesa, Via Castello conduce ai resti del Castello Luna
(1380), in restauro. Questa fortezza apparteneva alla famiglia Luna che
contendeva alla famiglia Perollo l'amministrazione della città. La
tragica storia delle loro lotte non è che un succedersi di duelli,
delitti e vendette. L'ultimo atto di questa rivalità sanguinosa ebbe
luogo nel 1529, quando Sigismondo Luna e i suoi 300 mercenari
massacrarono, dentro il Duomo, Giacomo Perollo e i suoi amici, dopo
essersi impadroniti del loro castello. Al di là di Via Castello, la via
Ciaccio conduce a Piazza G. Noceto dove si ergono la Badia grande e la
Chiesa di 5. Michele con i resti di un campanile isolato. Un po' lontano,
a destra, si giunge alla Porta 5. Calogero, al di là della quale si
possono vedere i resti delle mura del XVI secolo. I dintorni dl Sciacca
permettono di effettuare due escursioni: una a S. Calogero e l'altra a
Caltabellotta.
SAN
CALOGERO
A 8 Km., uscite dalla città
per Via Palermo e poi girate a destra. La strada passa in prossimità di
un cimitero in cui si trova il Monumento ai Morti del
dirigibile francese
Dixmude, affondato il 24-12-1923. Questa stele commemorativa, alta 25 m.,
è stata scoperta il 28 Giugno 1964. Percorso accidentato per raggiungere
la cima del Monte Kronio a 397 m. di altezza. La strada di destra sbocca
su uno spiazzo, davanti al santuario di 5. Calogero. Nell'interno statua
del santo di Gagini (1538). La strada di sinistra conduce allo
stabilimento termale costruito su grotte naturali dette stufe di 5.
Calogero, in cui la temperatura è mantenuta a 38 da una esalazione di
acqua calda. In queste grotte si sono recentemente trovati resti
preistorici e ciò prova che esse, in quell'epoca erano già utilizzate a
finiterapeutici.
CALTABELLOTTA
Si trova a 20 Km., per una
bella strada sinuosa. Uscite da Sciacca per Via dei Cappuccini e per la
statale n. 188 B in direzione di Palermo, poi a 2 Km., girate a destra per
seguire una strada secondaria che sale e passa ai piedi di Rossa Ficuzza
(901).
A Caltabellotta non ci si passa, ci si va.
Adagiata su una lieve montagna, che durante certi rigidi inverni con la
neve schiude al visitatore l'immagine di un lindo fazzoletto di
case-presepe, lo storico paesino era avvolto, un tempo, da una selva di
lecci e di querce assieme a macchie di alberi di carrubo che annotò anche
Goethe nel suo Viaggio in Sicilia considerando quella pianta come uno dei
simboli d'una parte della campagna di quaggiù. In seguito s'è fatta
rigogliosa una vegetazione di mandorli, ulivi, agrumi e vigneti. L'antico
nome arabo Kalat-al-Ballut, ossia rocca delle querce, richiama invece
memorie e suggestioni di un diverso paesaggio. Una natura certamente
benigna e prospera se alla "Decima giornata" del Decamerone
Giovanni Boccaccio narrava di "Pietro d'Aragona, di sua moglie
Costanza, di un nobile e di Elisa assai amata dai sovrani cui il re, oltre
a molte gioje e care che egli e la reina alla giovane donarono, donò
pure
Ceffalù e Caltabellotta, due bonissime terre e di gran frutto".
Situato a 750 metri d'altezza che diventano mille se, compiendo una
salutare arrampicata, si vuol raggiungere la vetta conosciuta come Pizzo
Castello, l'aereo paesino evoca per intero le caratteristiche
inconfondibili di quello che dovette essere un borgo nobile e potente. Una
significativa testimonianza è l'eremo che, con l'annesso convento e la
chiesa, prende il nome di San Pellegrino: questi, in epoca remotissima, fu
a capo della prima sede vescovile dell'isola e, in seguito, elevato agli
onori degli altari, divenne patrono del luogo, assai venerato dai suoi
abitanti che ogni anno, a metà agosto, lo festeggiano con un devoto
pellegrinaggio. Natura, religione e storia costituiscono da secoli la
cifra socio-culturale di questo piccolo comune in provincia di Agrigento
dove si sono costantemente intrecciate e sciolte varie vicende che nel
tempo ne hanno rappresentato il segno distintivo. Pur situata in un luogo
pressoché appartato, che per larga parte l'ha preservata da scempi e
contaminazioni, Caltabellotta non dista dal mare più di una ventina di
chilometri. Dalla sua cresta montana, ripopolata in anni piuttosto recenti
da macchie di pini ed eucalipti, il panorama infonde un senso di pace al
visitatore il cui occhio può spaziare, da una parte, sino alle coste
occidentali trapanesi e, dall'altra, verso il bianco cono dell'Etna.
Famosa per le ricchezze delle acque e la fertilità delle terre, come
ricorda l'etimologia del nome Triokala datole in epoca assai precedente
alla presenza musulmana, Caltabellotta ha da sempre puntato sulle risorse
agricole e pastorali tramandate sino ai giorni nostri attraverso la grande
produzione di olio e di miele, oltre agli allevamenti curati in aziende a
carattere familiare. Ma a ripercorrere la storia delle origini di questo
paese resta la disputa scientifica se realmente Caltabellotta sia stata la
primitiva Kamikos. Più di 150 anni fa l'archeologo tedesco Schumbring
compì un'indagine pervenendo, sulla base di alcuni reperti e
sull'esistenza di numerose necropoli sicane, alla conclusione che proprio
in quei luoghi, nell'era pre-ellenica, dovesse sorgere Kamikos fondata dal
mitico re Kocalos. In epoca romana il borgo fu per lungo tempo teatro
della guerra servile allorché gli schiavi ribelli si asserragliarono
all'interno della cinta resistendo all'esercito di Roma sino al 99 avanti
Cristo, capeggiati da Trifone, un uomo che pare leggesse negli astri e che
qui, in seguito, prese dimora con la sua gente. Alle spalle del paese si
ergono ancora i resti di un arcigno castello normanno, in posizione
strategica per scrutare l'orizzonte africano, e talmente protetto dalla
natura da risultare imprendibile. Nella rocca gli storici sostengono si
rifugiasse, nel 1194, la regina Sibilla con il figlioletto Guglielmo III
per sfuggire ad Enrico VI di Svevia. Il quale soltanto con un diabolico
espediente riuscì a farla uscire da quell'invincibile fortezza. Una volta
visitata, Caltabellotta non è più una delle mille città del mondo, ma
un vero luogo dello spirito, se volete anche il rifugio della fantasia. Lo
storico Vittorio Giustolisi nel suo "Vescovo e il drago" scrive:
"Nessuno sa dire in verità cosa aleggi in questo strano e misterioso
paese. Certo è che, anche nella luce abbagliante di una giornata di sole,
l'anima si sente avvolta da un velo di tenebra. Nel formidabile scenario
di forche giganti, sospese su orrendi precipizi, essa vaga tra vasti
silenzi e rovine incantate; l'opprimente, doloroso, l'arcano linguaggio
delle pietre. La mente ritorna ai sortilegi di Klinscher ed a Salvio
Trifone. Ma fu forse il potente e fosco spirito del luogo la vera origine
del sacro timore, del fascino indicibile, che generò nella caverna del
monastero il drago sanguinario, e che attrasse maghi e sacerdoti, la cui
fama si sparse per il mondo". Fu da Caltabellotta che, al termine
della sanguinosa guerra del Vespro, prese il nome la pace tra Angioini e
Aragonesi qui firmata il 31 agosto 1302, e i preliminari della quale erano
ordinati nel paesino palermitano di Caltavuturo e a Sciacca. Roberto,
figlio di Carlo II d'Angiò, da una parte, e Federico d'Aragona
dall'altra, convennero che quest'ultimo si sarebbe tenuto, col titolo di
re di Trinacria, la Sicilia e le isole circostanti, e avrebbe sposato la
sorella di Roberto d'Angiò; ai figli nascituri sarebbe toccato il regno
di Gerusalemme: la Sicilia in quel caso sarebbe ritornata agli Angioini.
Trattativa davvero complicata, che infatti conteneva i germi di una nuova
guerra. Per questo fu in seguito considerata più una tregua che non una
vera pace. Per un certo periodo, comunque, la questione siciliana fu
considerata chiusa. Con il vasto mare africano negli occhi si sale verso
l'interno sulla strada che da Sciacca porta a Caltabellotta, Chiusa
Sclafani e oltre. Il mare non ti lascia mai totalmente e più si inerpica
la strada (a tratti stretta a disagevole) più si fa incredibilmente vasto
l'orizzonte e quel mare. Alla fine ti sembra quasi di volare, tant'è
l'altezza e la vista mozzafiato su picchi di montagne, rocche e altipiani
coltivati con ulivi e mandorli. Alle prime case di Caltabellotta bisogna
già fare la prima fermata: sulla roccia, che si trova a sinistra della
strada, si aprono una serie di grotticelle funebri scavate nella pietra,
rimanenza del periodo sicano. L'abbondanza di queste tombe attorno
Caltabellotta fa supporre l'insediamento di una numerosa comunità fin
dalla preistoria. Appena superate le tombe sicane, sulla destra fra le
prime case si apre la vista su Caltabellotta, raccolta attorno la rocca
del Castello - un arrampicarsi di case, tetti, torri e campanili attorno a
questa rupe che si alza verso il cielo come una scultura con i resti di un
castello, di origine normanna, in cima. Prima di entrare nel centro della
città giriamo a sinistra per visitare uno dei monumenti più interessanti
- un posto denso di storia e di solitaria bellezza. Una strada panoramica
ti porta su verso la monte Pellegrino con il convento e la chiesa di San
Pellegrino. Passiamo accanto uno sperone chiamato Calvario che domina la
città e dove ogni anno, a Pasqua, viene commemorata la crocifissione di
Gesù Cristo. Poco più avanti ci sono le rovine della chiesa e del
convento di S. Benedetto che fu abitato fino al XII secolo. La strada si
inerpica in ripidi ma comodi tornanti fino allo spiazzo antistante il
complesso. Da qui l'ultimo tratto va fatto a piedi su per una vecchia
strada acciottolata. Su questa rupe abitava San Pellegrino, venerato e
leggendario vescovo di Triocala, che liberò la città dal terribile drago
che ogni giorno chiedeva in pasto un bambino. Oggi con il suo miracoloso
bastone, che "chiuse" la bocca al drago, vigila dall'alto
dell'altare nella bella chiesa restaurata. Per una porta laterale si
accede alle due grotte; la prima che ospita un piccolo suggestivo altare,
dove pregava e dormiva il santo, era nella leggenda originariamente la
tana del drago; la seconda più piccola ed adiacente al convento ha degli
affreschi del '700 ormai molto sbiaditi. Oggi non si può accedere al
convento stesso per lo stato di abbandono che rende pericoloso l'accesso.
Guardiamo da fuori l'imponente edificio dello stesso colore della roccia
che circonda Caltabellotta e ci auguriamo che un intervento repentino
possa salvare questo monumento dalla totale rovina. Con spirito più
prammatico pensiamo a quale sede magnifica potrebbe essere per un albergo
o una fondazione artistica con il silenzio rotto soltanto dal richiamo
degli uccelli e l'aria solenne che veglia sopra questo luogo con la sua
ricca storia. Con la macchina giriamo dietro il complesso di San
Pellegrino e ci fermiamo vicino ad una ripida stradina sulla destra che
porta al "Malpertuso" un'apertura naturale nella roccia che
anticamente era l'unico ingresso alla città, talmente stretta che rendeva
la città inespugnabile. Per questa strada si arriva alla piccola chiesa
della Pietà, edificata sopra una grotta e nella sua semplicità una
suggestiva fermata in un percorso rupestre che si apre lungo la strada
sottostante. In un'ampia grotta a sei vani si trova oggi il museo
etno-antropologico, anche questo una fermata obbligata con i resti di
civiltà contadina ormai quasi scomparsa. Il quartiere attorno la chiesa
con le strette, tortuose vie ospita ogni anno un bel presepe vivente,
un'occasione per visitare tutta la città. Sulla cresta poco distante si
aprono una serie di piccole grotte alle quali si accede da scale scavate
nella roccia, possibilmente utilizzate come abitazioni. Tornando alla
macchina si procede oltre e si arriva all'imponente piano della vecchia
matrice che da luglio di quest'anno è stata riaperta al pubblico dopo un
accurato restauro. La chiesa fu fondata attorno a 1100 dal conte Ruggero
dopo la vittoria sugli arabi. La semplice facciata in pietra viva,
interrotta soltanto dagli ornamenti delicati del portale ogivale
d'ingresso, crea insieme al Pizzo Castello delle quinte naturali
suggestive a questa immensa piazza. La torre campanaria squadrata, detta
il "Mortorio", è forse di epoca anteriore e isolata rispetto
alla chiesa, che fu intitolata all'Assunta. Sulla sinistra scorre una
fontana con acqua fresca, deliziosa dopo tanto camminare. La chiesa, che
nel tempo ha subito vari interventi strutturali si apre oggi a tre navate
con grandi archi ogivali su colonne che in origine dovevano essere tutti
affrescate. Sulla sinistra, in contrasto con la semplicità del resto
della chiesa, si trova una capella intitolata alla Madonna della Catena
con una ricchezza policroma di stucchi e pitture, realizzata da Antonino
Ferraro nel '500. Al centro la fine statua della Madonna della Catena di
Giacomo Gagini. Nelle cappelle successive si possono ammirare altre
delicate statue di Madonna con Bambino dei famosi Gagini, padre e figlio.
All'imbocco del piano della matrice vecchia da via Madrice troviamo la
chiesa SS. Salvatore edificata anch'essa in epoca normanna in bella pietra
viva, di semplice architettura e una porta ogivale in stile chiaramontano.
Alle sue spalle l'ingresso al possente Castello normanno del quale rimane
soltanto parte di una torre con ingresso ogivale e due cameroni
sotterranei che probabilmente servivano come contenitori di derrate
alimentari, pietosamente coperti da alti pini. Riscendiamo in città e
passando davanti alla verde villa comunale ci dirigiamo alle chiese di
San'Agostino e di San Lorenzo - un unico edificio con una torre campanaria
medievale. La chiesa originaria è del 1300 ma successivi interventi
l'hanno in parte modificata, come la facciata che è stato arrichito con
un bel portale barocco. All'interno è custodito un gruppo raffigurante la
Deposizione. L'opera imponente del '500 di Antonino Ferraro è realizzata
in ceramica e le otto figure sono a grandezza naturale. Qui si custodisce
anche la Madonna dei Miracoli che viene festeggiata l'ultima domenica di
luglioassieme al SS. Crocifisso. Oggi la Chiesa di San Lorenzo con un
sobrio portale di ingresso è sconsacrata, e viene utilizzata per fini
religiosi-culturali e sociali. A piedi fra stradine in tortuoso saliscendi
si arriva fino alla chiesa della Madonna dell'Itria con un bel portale
barocco e all'interno il simulacro della Madonna dell'Itria col Bambino.
Risaliamo sempre a piedi verso il cuore di Caltabellotta, piazza Umberto
I, dove si trova il Municipio di recente costruzione e la Matrice nuova,
la Chiesa del Carmine, anch'essa recentemente restaurata, che si trova a
un livello leggermente inferiore (insieme alla biblioteca nella ex-chiesa
di San Michele). Nella Chiesa del Carmine si può ammirare la Madonna
delle Grazie di Antonello Gagini (1534). Prima di uscire dalla città, in
periferia, facciamo una visita alla piccola chiesa dei Capuccini, S.
Francesco d'Assisi. La chiesa apparteneva al convento del quale esiste
oggi soltanto una camera all'ingresso con alcune nicchie che fanno
supporre l'esistenza di catacombe come nel convento dei Capuccini a Savoca.
All'interno si costodisce il crocifisso chiamato "Dio Vivo",
festeggiato la domenica più vicina al 14 settembre. Si racconta che la
statua venne trovata nella cripta del convento dopo che una donna del
paese per tre volte lo aveva sognato che implorava: "Tiratemi fuori
da questo luogo dove mi tengono racchiuso tra le ragnatele. Se mi
festeggerete, prometto che vi faccio la grazia della pioggia." Chi ha
visitato la Sicilia a fine estate, con la campagna arsa da mesi di siccità,
può comprendere con quale sollecitudine il crocifisso venisse tirato
fuori e portato in processione per la città. Al ritorno il cielo si
rabbuiò e scoppiò un temporale. Da allora il paese lo venera e più
volte negli anni al grido "l'acqua e lu pane vulemu" la folla è
stata esaudita. In questa chiesa, in una teca, si trovano anche i resti di
S. Onorato, sotto un altare ligneo finemente scolpito. Nella capella di
fronte, una pala di fra' Felice da Sambuca del XVIII secolo raffigurante
una Madonna col Bambino. Alla fine scendiamo qualche chilometro a valle
lungo la S.P. 115 per visitare la frazione S.
Anna. Fra la città e questa frazione (che si dice sia l'antica
Triocala) c'è una strana rivalità che si presume abbia antiche radici
per i soprannomi di origine greco-latina. Gli abitanti di Caltabellotta
chiamano la gente di S. Anna "chitubbi" da Citus Urbis (abitanti
della città); a S. Anna gli abitanti di Caltabellotta sono "catapani"
da Kata Paini (capitano tiranno). Il centro abitativo fu fondato nel 1622
sotto Francesco Alliata, principe di Villafranca, e 200 anni dopo
aggregato a Caltabellotta. Il sito ha comunque una stora ben più antica
perchè qui è stata appunto localizzata città sicula di Triocala, che fu
distrutta dai romani durante le guerre servili e qui il normanno Ruggero
edificò un monastero basiliano di S. Giorgio di Triocala, anch'esso oggi
scomparso. Rimane invece intatta, un poco fuori dall'abitato, la chiesa di
S. Maria di Montevergine, edificato in periodo normanno e diretta dai
padri agostiniani. In pietra viva con portale gotico sta in solitaria
bellezza contro il cielo rosato che dopo una giornata intensa di visite
volge al tramonto. La chiesa custodisce all'interno la venerata Croce di
Montevergine che in autunno passa nella Matrice del '600, dedicata a S.
Anna, e che si trova nella piazza della Matrice. Poco oltre c'è il
Collegio di Maria, sempre in calda pietra viva, con la piccola chiesa di
S. Maria del Fervore. Qui ai piedi dell'altare (spostando un tappeto che
lo protegge) è possibile vedere un frammento di mosaico romano del III
secolo d.C.
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