Ludovico Geymonat: attualità del materialismo
dialettico - prima parte
Attualità del materialismo dialettico fu il risultato di una collaborazione tra
Geymonat ed alcuni dei
suoi allievi più promettenti.
Il saggio più articolato
e ambizioso risultò
quello di Silvano Tagliagambe:
I presupposti materialistici del marxismo. Sarebbe stato il caso di occuparsene -
e non è detto che, prima
o poi, qualcuno
decida di scriverne un
riassunto ed un commento
- ma, in questa sede ci
si limiterà al solo
intervento di Geymonat,
centrato sul problema
della conoscenza, della
conoscenza scientifica
e sulla dialettica della scoperta scientifica. La tesi di partenza
del materialismo dialettico
è l'esistenza
della realtà indipendente
dai soggetti conoscenti.
Una forma di realismo, dunque, ma emancipato dalla sottomissione
alla staticità delle idee
e delle teorie,
nonché dal fatto che l'impresa
scientifica
è considerata il risultato
di relazioni sociali
determinate storicamente,
quindi non solo
una forma di intersoggettività,
od un accumulo
di esperienze e di protocolli.
Dunque, parola chiave:
realismo - termine che ricorreva più di una volta
nel saggio di Enrico Bellone
citato sotto.
A differenza del realismo metafisico, il materialismo dialettico non pose fondamenti
ultimi alla realtà stessa.
Rifiutò di compiere
quel salto osato da Aristotele
nella Metafisica, ipotizzando che era inutile continuare
la ricerca di cause all'infinito
e che sarebbe
stato più opportuno riconoscere
l'esistenza
di un dio quale "motore
immobile"
delle dinamiche fisiche
e biologiche. Ovviamente,
il materialismo dialettico
rifiutava la soluzione
aristotelica, non solo
per partito preso
(fu ricerca filosofica
di gente che non credeva
nella mitologia biblica
e nemmeno nella limitata
"razionalità"
dei filosofi greci),
ma in ragione delle concrete
conquiste delle
scienze moderne. Il loro
sviluppo aveva ulteriormente
spostato i confini della
conoscibilità e,
se si vuole ricorrere ad
un'espressione estrema
e provocatoria, anche quelli
della realtà.
Ogni livello di realtà
poteva e può essere
indagato in dimensioni
più penetranti. Per
la fisica contemporanea
un bosone è altrettanto
reale che un frigorifero
o un elefante, un
buco nero e un ammasso
di galassie. La scoperta
del bosone è in un certo
senso anche una
sconfitta dell'empiriocriticismo
di Mach.
Se esistessero ancora materialisti
dialettici,
potrebbero andare fieri
dei successi dell'investigazione
scientifica secondo le
loro concezioni. Purtroppo,
a prescindere da quanto
seminato da Geymonat
in Italia, esistono solo
più degli scolastici
del marxismo capaci di
citare Mao, o perfino
Stalin, ma che sicuramente
non hanno mai
messo piede in un laboratorio
e non hanno
mai fatto realmente ricerca
pratica e teorica.
La crisi del marxismo determinò
anche la
scomparsa del materialismo
dialettico, che
era stranamente considerato
l'anello debole
della catena, quando, per
la verità, avrebbe
meritato di essere considerato
il più forte.
Si potrebbe, in sostanza,
e non per amore
del paradosso, professare
una forma ragionevole
di realismo dialettico, senza aderire necessariamente alla dottrina
marxista della storia ed
all'inevitabilità
del comunismo come tappa
finale dello sviluppo
umano.
Tutto sta ad accordarsi
sul significato delle
parole: realtà e materia.
Tutti gli enti
considerati dalla fisica
e dalla metafisica
aristotelica, quella che
Heidegger voleva
"distruggere",
sono fatti di materia.
Si è certi dell'esistenza
di qualcosa di
esterno se è fatto di materia.
Se è un ente,
se prende forma e dimensione,
come suggerì
Aristotele, secondo un
dettato universale.
Sicché potrebbe essere
ancora sensato insistere
sul termine "materialismo",
almeno
fino a quando non si adotterà
un concetto
meno generico nei confronti
della realtà
fisica, e più rispettoso
nei confronti di
chi crede che gli esseri
umani non siano
solo "materia e materiali".
Punto di partenza sono
le sensazioni. Ma
a differenza dell'empirista
radicale, il
realista dialettico non
si basa solo su di
esse. Per Lenin le sensazioni
sono "copie"
della realtà, ma non sono
un assoluto. Nei
Quaderni filosofici (1), ricordava Geymonat, sono sviluppati
due principi: 1) nell'estensione
della teoria
del riflesso dalle sensazioni
all'intera
conoscenza; 2) nell'esplicita
affermazione
del carattere attivo del riflesso. «Il primo punto è di
particolare interesse perché
esclude qualsiasi
privilegiamento delle sensazioni;
in altri
termini: se l'intera conoscenza
"è il
rispecchiamento della natura
da parte dell'uomo",
ciò significa che la capacità
di rispecchiare
non è attribuita ai soli
dati percettivi
(nel quale caso essi assumerebbero
un carattere
di autentica assolutezza),
ma ai processi
conoscitivi che sono qualcosa
di molto più
complesso, anzi di essenzialmente
fluido
in quanto articolantisi
in più atti percettivi
e in elaborazioni teoriche
che spingono a
nuove osservazioni. Il
secondo punto è direttamente
collegato al primo: se
il rispecchiamento
non è attribuibile alle
sole percezioni ma
ai processi conoscitivi
nella loro interezza,
ne segue che esso "non
è un rispecchiamento
semplice, immediato, totale,
bensì è il processo
di un serie di astrazioni,
di formulazioni,
della formulazione di concetti,
leggi, ecc.,
i quali concetti, leggi
ecc. abbracciano
anche condizionatamente,
approssimativamente,
le leggi universali della
natura eternamente
in movimento, in sviluppo".»
Chiarito il punto, si può
passare alla critica
delle filosofie insufficienti
a dar conto
del pensiero umano rivolto
all'indagine scientifica.
«Chi suole considerare
l'idealismo
di Fichte come una delle
principali forme
moderne di filosofia idealistica,
resterà
forse stupito dal fatto
che i materialisti
dialettici non abbiano
provato e non provino
la necessità di dirigere
in particolare contro
di esso le proprie critiche;
così ad esempio
i marxisti italiani non
si fermarono in modo
specifico a confutare la
teoria della conoscenza
elaborata da Giovanni Gentile
e dai suoi
seguaci.»
Ecco come Geymonat introduceva
il suo saggio
Primi lineamenti di una teoria della conoscenza
materialistico-dialettica. Motivo principale: la nozione fichtiana
di "Io puro"
distinto dagli "io
empirici" non trova
corrispondenza nei
processi conoscitivi concretamente
esistenti.
Polemizzare con una filosofia
così distante
dalla realtà sarebbe una
perdita di tempo.
«Il vero pericolo
idealistico va cercato
invece, secondo il materialismo
dialettico,
nel fenomenismo erede di
Hume e nell'agnosticismo
di marca kantiana. Possiamo
anzi aggiungere
che quest'ultima forma
di idealismo - assai
diffusa negli stessi ambienti
scientifici
all'inizio del secolo e
perciò fatta oggetto
di vivaci critiche da parte
di Lenin - ha
perso, essa pure, oggi,
pressoché ogni peso...»
Al contrario, è cresciuto
il fenomenismo.
«Il fatto è che le
sue forme più raffinate
- solitamente note col
nome di empirismo
logico o neopositivismo
- sembrano trovare
una rispondenza pressoché
perfetta in certi
settori particolarmente
avanzati della conoscenza
scientifica odierna. E'
quindi ben comprensibile
che il nostro primo compito
debba consistere
nel prendere le dovute
distanze proprio da
esso.»
Sono affermazioni che modificano sensibilmente
il primo quadro teorico assimilato da Geymonat,
frequentando i testi del neopositivismo,
ma, se ne intende facilmente la straordinaria
importanza. Fenomenismo e idealismo, assolutizzando il proprio punto di vista concorrono a costruire
dogmatismi. Distanziandosi
progressivamente
dal neopositivismo, Geymonat
fu dunque convinto
di essersi strappato dalla
signoria di una
corrente ideologica che
aveva giocato un
ruolo importante nella
sua formazione. «Se
è un fatto storico incontestabile
che il
fenomenismo sorse e si
affermò nella filosofia
moderna in diretta opposizione
al dogmatismo
dei metafisici, vero è
però che un esame
critico spregiudicato delle
tesi fenomenistiche
dimostra la loro stretta
analogia con quelle
dei loro avversari. Non
si può negare infatti
che l'attribuire ai dati
percettivi un carattere
di assolutezza e definitività,
come appunto
pretendono i fenomenisti,
sia farne qualcosa
di molto simile alle presunte
"realtà
ultime" dogmaticamente
postulate dai
metafisici.» I materialisti
dialettici
- secondo Geymonat - vedono
nell'empirismo
estremizzato, come pure
nel meccanicismo,
il pericolo di dichiarare
l'esistenza di
conoscenze assolute, con
il conseguente rischio
di «un'autentica
frattura tra i dati
osservativi e una qualsiasi
elaborazione
teorica di essi.»
Il secondo bersaglio di
Geymonat era la fenomenologia husserliana. «E' risaputo che Husserl
attribuisce una funzione
primaria, nei processi
conoscitivi, a ciò che
egli chiama il "fiume
eracliteo" delle intuizioni
correnti,
ove il termine "fiume
eracliteo"
vale a distinguere la concezione
husserliana
dell'esperienza da quella
fenomenistica,
che pretenderebbe ridurla
a un insieme di
"dati percettivi"
atomicamente
intesi. Quanto al significato
che il nostro
autore attribuisce all'espressione
"intuizioni
concrete", basti sottolineare
che egli
intende riferirsi con essa
alle percezioni
prese nella loro purezza,
a prescindere da
quello che ne dicon la
fisiologia e la stessa
psicologia; intende cioè
riferirisi a ciò
che l'esperienza pone immediatamente
e genuinamente
inanzi a noi quando la
si liberi da ogni
sovrastruttura di cui siamo
abituati a rivestirla.
La tesi centrale che, una
volta fatte le
debite differenze, avvicina
la filosofia
husserliana a quella fenomenistica
è la seguente:
il "fiume eracliteo"
delle intuizioni
concrete (ossia il precategoriale) antecede qualsiasi tipo di concettualizzazione
(ossia il categoriale) e ne costituisce il fondamento. Da questo
punto di vista le così
dette conoscenze scientifiche,
ottenute mediante l'applicazione
di categorie
sempre più astratte, non
possono che risultare
fatalmente ingannatrici,
perché si allontanano
dal precategoriale. L'unica
vera scienza
sarà la "fenomenologia"
che ci
insegna a ritrovarlo al
di sotto di ogni
consapevole o inconsapevole
concettualizzazione».
Il materialista dialettico
- prosegue Geymonat
- contesta alla fenomenologia
husserliana
il valore supremo dell'intuizione
immediata.
Sarà vero sul serio che,
scavando nella memoria
e nei processi mentali,
si pervien all'esperire
puro proposto da Husserl?
Esso ci appare
immediato perché ricorre
a categorie ingenue
e persino rozze. Tuttavia,
sono anch'esse
categorie come le altre.
Allora, si dovrà
concludere «che tutte
le conoscenze,
dalle più semplici alle
più complesse, risultano
dalla intima fusione di
elementi precategoriali
e di elementi categoriali,
non separabili
fra loro se non con un
atto di artificiosa
astrazione.»
Occorre, tuttavia, ricordare
che anche il
materialista dialettico
muove dalle sensazioni,
ma d'accordo con gli scienziati
di tutti
i tempi, ossia per sottolineare
che «sarebbe
illecito qualificare come
"scientifica"
una teoria contraddetta
dalle nostre osservazioni
(in perenne sviluppo).»
«Di qui - prosegue
Geymonat - il peso
essenziale, costantemente
attribuito dal
materialismo dialettico
alla riflessione
critica sulle conoscenze
scientifiche. E'
un peso che non deriva
affatto da una fede
cieca in tali conoscenze,
ma dalla constatazione
che esse sono in grado
di mostrarci in concreto,
con particolare chiarezza,
sia l'effettivo
coordinamento del categoriale
con il precategoriale,
sia la natura autenticamente
progressiva
del trapasso dal livello
ingenuo del conoscere
a livelli più elaborati.
Inquadrata in questa
prospettiva, la riflessione
critica sulle
conoscenze scientifiche
assume un'importanza
rilevantissima non solo
per il metodologo
della scienza, ma anche
per il vero e proprio
filosofo.»
Soddisfatte le ragioni
della critica, si
trattava di passare alla
pars construens. Essa non poteva che prender spunto da una
considerazione dinamica
delle conoscenze
scientifiche, passando
dall'esame di ciò
che accade in un singolo
atto conoscitivo
al trapasso da una conoscenza all'altra. Lo sviluppo
storico della conoscenza
scientifica non
è altro che una serie di
trapassi e oltrepassamenti.
Spetta allo storico del
pensiero scientifico
scrivere un puntuale rendiconto
dei mutamenti,
non dimenticando di richiamarsi
ai fattori
economici e sociali che
li favorirono. «Senza
negare l'interesse di questa
cosiddetta "storia
esterna" della scienza,
ciò che qui
intendiamo rilevare è un'altra
cosa: è l'esistenza,
accanto ad essa, di una
"storia interna"
ossia di una dinamica delle
teorie scientifiche,
in riferimento alla quale
si può asserire
che una teoria ne ha "superato"
un'altra, risolvendo i
problemi che queste
avvano lasciato aperti
e facendoci per di
più capire la natura profonda
delle difficoltà
che avevano fermato la
ricerca.»
Il materialista dialettico
crede sia impossibile
dare un senso a termini
come miglioramento e peggioramento delle conoscenze in mancanza di oggetti da conoscere, ovvero realtà che stanno là
fuori. Come si potrebbe
parlare di contatto
migliore o peggiore con essi, se fossero unicamente costrutti
mentali? Geymonat arrivò
a parlare di tesi
"creazionista",
riferendosi non
al creazionismo dei credenti in Dio, bensì a coloro che "creano"
ipotesi sulla base di intuizioni
rette da
sole altre intuizioni.
La tesi creazionista
era - secondo Geymonat
- sostenuta dai convenzionalisti
più spinti. A loro il materialista
dialettico
obietta che non si potrebbe
parlare di superiorità
di una conoscenza teorica
se tutte le teorie
fossero mere convenzioni.
Solo i giochi regolati da norme precise sono basati su
convenzioni, Una legge
scientifica non è
un gioco. Ovvero è cosa
molto seria.
«Se il metafisico
può ridersi di tale
tipo di argomentazioni,
non ci sembra che
l'empirista sincero abbia
il diritto di fare
altrettanto; appare invero
piuttosto dogmatico,
illudersi di poter prescindere
in modo radicale
dal patrimonio di esperienze
concrete accumulatesi
in millenni di storia entro
il linguaggio
comune.»
Gli indirizzi filosofici
che hanno negato
l'esistenza di un mondo
oggettivo indipendente
da noi hanno sostenuto
la loro tesi perché
si sono limitati ad esaminare
la conoscenza
nelle sue strutture statiche.
senza arrivare
a cogliere l'effettiva
dinamica storica dello
sviluppo della conoscenza.
Nel respingere
questo tipo di analisi,
la ferma convinzione
del materialismo dialettico
è che esse siano
parziali e vadano integrate
con analisi rigorose
di ciò che accade nel trapasso
da un sistema
di conoscenze ad un altro.
Seguendo tale
via, gli studiosi arriveranno
senza dubbio
a trovarsi di fronte a
qualcosa di non creato
dalla mente umana, ma da
essa solo faticosamente
approssimato.
Beninteso che si potrebbero
avanzare obiezioni.
Se è vero che nella realtà
storica del cammino
della scienza esistono
molti esempi di trapasso
da una teoria all'altra,
da una meno valida
ad un altra più valida,
ebbene, ciò dice
soltanto che la seconda
è migliore, ma non
porta automaticamente a
riconoscere che c'è
qualcosa di indipendente
da noi.
«Per rispondere a
questa obiezione
- scriveva Geymonat - faremo
anzitutto presente
che i dati osservativi
[...] non sono, a
rigore, oggetti di conoscenza,
ma strumenti
del conoscere, e che solo
in quanto strumenti
sono qualcosa di soggettivo.
Ma la soggettività
degli strumenti non può
venire attribuita,
se non pr un grave equivoco,
agli oggetti
stessi cui questi strumenti
(cioè i dati
osservativi) mirano a farci
approssimare.
Si rifletta per esempio
su ciò che accade
nella esecuzione di un
esperimento: se è
incontestabile che siamo
noi a programmarlo,
costruendo i dispositivi
concettuali e tecnici
per interrogare la natura
(dispositivi che
possono dirsi soggettivi
proprio in quanto
costruiti da noi), vero
è però che non siamo
certo noi a determinare
la risposta che esso
ci fornirà. Un conto è
riconoscere la relatività
di questa risposta ai mezzi
di osservazione,
e un altro conto è affermare
che i dati da
essa procuratici risulterebero
frutto esclusivo
dell'attività dell'osservatore.»
»
Poi, si tratta di prendere
atto che la "superiorità"
di una teoria rispetto
alle precedenti non
consiste sempre nel fatto
che essa riesca
a ordinare in forma sistematica
tutti i dati
osservativi spiegati i
precedenza. In molti
casi la superiorità emerge
dal modo in cui si articola la spiegazione dei dati.
Ossia mediante la trasformazione
che la nuova
teoria apporta agli aspetti
fondamentali
della loro interpretazione.
Un confronto
tra la teoria ristretta
della relatività
e la precedente teoria
di Lorentz offre la
possibilità di un chiarimento.
La spiegazione
di Einstein all'inizio
non godeva di maggiore
potenza esplicativa. La
sua superiorità emergerà
in seguito. Eppure, già
nel 1905, secondo
Geymonat, era possibile
afferrare la superiorità
della relatività ristretta.
Einstein aveva
evitato il ricorso ad ogni
ipotesi ad hoc per spiegare il famoso esperimento di Michelson.
Semplicemente, aveva fatto
ricorso ad un
radicale rinnovamento dei
più profondi concetti
scientifici. «In
altre parole - concludeva
Geymonat - la superiorità
della teoria einsteiniana
è una superiorità che investe
non solo l'aspetto
tecnico della scienza,
ma, per così dire,
il suo aspetto filosofico-epistemologico.»
Ebbene: stabilito che il
criterio di superiorità
di una teoria non si può
esaurire nella sfera
della soggettività, occorrerà
riconoscere
che è la dialettica storica
della scienza
a spingere verso una soluzione
realistica
del problema della conoscenza.
E' quindi
la stessa storia interna
della scienza, l'attento
esame del processo di formazione
delle teorie
a dimostrare che l'impresa
scientifica "progredisce"
nella conoscenza di oggetti
indipendenti
da noi.
Se è vero che la scienza
progredisce verso
la conoscenza del mondo
reale, tuttavia, rimane anche vero che «essa
non riesce mai a procuracene
una conoscenza
assoluta.» In altri
termini, il materialismo
dialettico «nega
recisamente l'assolutezza
dei risultati dei processi
conoscitivi, così
come negava l'assolutezza
dei presunti punti
iniziali di tali processi.»
L'approccio
più idoneo per spiegare
la preventiva rinuncia
all'assolutezza della conoscenza,
era per
Geymonat, quello di mettere
a confronto il
meccanicismo Seicento e il materialismo dialettico. «Come
è noto, i grandi pensatori
dl Seicento, ai
quali si deve la nascita
della scienza moderna,
espressero apertamente
la convinzione che
l'uomo sarebbe in grado
di raggiungere una
conoscenza completa ("intensivamente"
pari a quella divina, affermava
Galileo)
sia pure su settori limitati
del mondo. Orbene
la prima conseguenza inaccettabile
di questa
tesi è la seguente: che
l'unico tipo di accrescimento
delle nostre conoscenze
dovrebbe consistere
nell'aggiunta, al settore
del mondo così
conosciuto, di altri settori
conosciuti in
modo altrettanto completo.
Ma è lecito ridurre
il "progresso del
conoscere" ad
una semplice addizione di verità a verità? Riteniamo che non lo
sia, perché un semplice
esame della concreta
realtà dei processi conoscitivi
ci insegna
inequivocabilmente che
l'avanzamento del
conoscere (in particolare
l'avanzamento della
scienza) risulta senza
alcun dubbio molto
più ricco ed articolato.»
Gli scienziati del Seicento
facevano ricorso
ad un'ipotesi metafisica
sulla struttura
del mondo. Erano persuasi
che il mondo fosse
fatto di atomi, ovvero
realtà ultime. Questo
era un tipo di conoscenza
che "si pensava
assoluta". Geymonat
non mancò di riconoscere
il merito ed il valore
euristico delle idee
degli scienziati del Seicento,
tuttavia -
scriveva - che il materialismo
dialettico
porta in luce non solo
l'effetto positivo
ma anche quello negativo:
«essa indicava
infatti, negli elementi
ultimi della realtà
(e nelle loro qualità primarie,
una barriera
assoluta che la ricerca
scientifica non avrebbe
mai potuto valicare.»
I progressi conseguiti
dalle scienze avrebbero
potuto portare all'abbandono
del meccanicismo metafisico
già nei primi
anni del Novecento. E'
singolare che ciò
non sia avvenuto. Fu Lenin
ad accorgersi
per primo «del significato
filosofico
della grande svolta in
atto nella fisica.»
Formulò la propria interpretazione
con la
tesi dell'"inesauribilità
dell'elettrone".
Da non prendere, ovviamente
alla lettera.
Tesi utile, che «enuncia
in forma icastica
la necessità di abbandonare
l'idea stessa
di "elemento ultimo"
della realtà.»
A questo punto sorge spontanea
la domanda:
se crolla la convinzione
che la conoscenza
scientifica sia in grado
di raggiungere verità
assolute, quale valore
potremmo mai attribuirle?
Quale obiettività? «E'
il problema
già enunciato da Engels,
il problema cioè
di riuscire a conciliare
la non assolutezza
con la validità obiettiva
delle nostre conoscenze.
Tenendo conto di quanto
si è poco sopra accennato
circa la necessità di abbandonare
la nozione
stessa di elemento ultimo,
possiamo riformularla
così: se togliamo alla
scienza l'ubi consistam costituito dalla conoscenza degli "elementi
ultimi" della realtà,
quale altro fondamento
potremmo darle?
Non è il caso di stupirci
se, di fronte a
una situazione siffatta,
abbiano potuto ottenere
credito varie concezioni
filosofiche, che
riducevano le teorie scientifiche
a mere
costruzioni convenzionali;
costruzioni cui
sarebbe stato lecito attribuire
un qualche
valore, solo finché avessero
rivelato un
effettivo successo pratico,
e nei limiti
di tale successo. Ma è
noto che dal convenzionalismo
al soggettivismo fenomenistico
il passo è
molto breve: e in verità
esso venne compiuto
da parecchi epistemologi,
nonché da alcuni
scienziati, all'inizio
del secolo.»
Tuttavia, come osservò
Lenin, il passo fu
compiuto da alcuni scienziati
in quanto filosofi, non in quanto scienziati. Lo scienziato, infatti, vive - secondo
Lenin e secondo Geymonat
- l'esperienza profonda
della vera dinamica della
scienza: quella
di indagare la realtà.
(continua)
1) Lenin - Quaderni filosofici - Feltrinelli 1958
Bibliografia
Attualità del materialismo dialettico - Editori Riuniti, Roma 1974
contiene i saggi:
Giulio Giorello - Sulla teoria leniniana del riflesso e dell'approfondimento
Enrico Bellone - I presupposti materialistici del realismo
dei fisici
Ludovico Geymonat - Primi lineamenti di una teoria della conoscenza
materialistico-dialettica
Silvano Tagliagambe - I presupposti materialistici del marxismo
Moses - 25 novembre 2012 |
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Karl Popper
Introduzione
Ludovico Geymonat e il Neopositivismo
Ludovico Geymonat: l'impegno per un nuovo
razionalismo
Ludovico Geymonat: dal neorazionalismo alla
filosofia della scienza
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