Ludovico Geymonat: l'impegno per un nuovo
razionalismo
Tenendo Geymonat sempre in primo piano, si
rischia di mettere sullo
sfondo contributi
affatto secondari. Il neorazionalismo
fu
un movimento composito
cui diedero apporti
protagonisti quali Antonio
Banfi, Giulio
Preti, Nicola Abbagnano
e Norberto Bobbio,
ma anche studiosi trascurati,
o parzialmente
trascurati, dalla storiografia
filosofica
come Giuseppe Vaccarino
e Silvio Ceccato.
Va da sé che i pensieri
e le convinzioni
che maturano nella testa
di un filosofo sono
anche (e, forse, soprattutto)
reazioni, da
un lato a qualche sollecitazione
e, dall'altro
a qualche dimenticanza
del pensiero altrui,
oltre che ad uno stringente
confronto con
la realtà sociale e culturale
del momento
e del passato. Sicché,
ragionando di questo
e di quello, sarebbe molto
sensato, prima
trovare e poi verificare,
quali influenze
e stimoli giocarono un
ruolo decisivo nell'evoluzione
del pensiero di Geymonat,
partendo dal presupposto
che nell'immediato dopo
guerra, a Torino
e nei centri collegati,
era in atto un vivace
dibattito in quella che
è stata definita
l'"area laica"
della filosofia
italiana, ove si intenda,
con qualche imprecisione,
tutto ciò che non era direttamente
ispirato
dalla filosofia cattolica
e da quella marxista.
Nel capitolo precedente
si è accarezzata
l'ipotesi, sostenuta con
forza nel saggio
di Marcello Pera (1), di
un impatto reattivo di Ludovico Geymonat con le «tecniche
della ragione» presentate da Nicola
Abbagnano. Tuttavia, non si dovrebbe trascurare
tutto il contesto della discussione allora
in corso. I candidati che ambivano al magistero
definitivo del neorazioanalismo erano molti,
e ciascuno recava un punto di vista molto
caratterizzato, nonchè dotato di validi argomenti.
E nemmeno tutti tenevano in modo particolare
ad autodefinirsi "neorazionalisti".
Giulio Preti, ad esempio, usava il termine
con cautela e senza eccessivi sbandieramenti.
Nel 1946 Preti aveva pubblicato un saggio
dal titolo significativo: Limiti del nuovo empirismo. (2) Uno dei limiti si poteva trovare nella
costruzione metodica della scienza matematica,
non tenendo conto sufficiente del rapporto
tra gli enunciati protocollari di una scienza
e l'esperienza - il che per un neoempirista
suonava come una barzelletta sul "colmo
del neopositivista standard". In realtà,
si trattava di una critica al convenzionalismo.
Scrisse che in fisica, per esempio: «[...]
è necessario che ai concetti che si usano
corrispondano in qualche modo delle cose
reali e che gli assiomi che definiscono logicamente
i concetti e fungono da premesse generali
esprimano in qualche modo dei comportamenti
reali di queste stesse cose.» Rimproverava
inoltre a Geymonat una frettolosa liquidazione
del trascendentalismo kantiano, esplicitata
soprattutto nel saggio Pensiero di Kant alla luce della critica
neoempiristica. (3) In esso Geymonat era arrivato a dire
che le categorie kantiane avevano in ultimo
un carattere psicologico, mentre le proposizioni
primitive delle scienze esatte, come pure
gli enuciati della logica, avevano soltanto
carattere convenzionale. Una posizione che,
come si è già visto nell'articolo precedente,
Geymonat, da un lato, aveva già cominciato
ad abbandonare ma, dall'altro riappariva
con forza. Per un logico matematico lasciare
il convenzionalismo dev'essere una perdita
dolorosa, una specie di certezza abbandonata
alle ortiche.
Preti - come spiegava Mario Dal Pra (4)-
teneva in maggior conto la logica trascendentale
e i concetti di "causa", "sostanza",
"numero" che svolgono una funzione
fondamentale di tutte le scienze. Tali concetti
non sono nozioni empiriche e nemmeno ipostasi
metafisiche; ancor meno sono assimilabili
a concetti primitivi il cui uso nel linguaggio
delle scienze «possa essere regolato
da un sistema di assiomi.» Cosa sono
allora le categorie? Per il Preti del 1946,
sono «concetti puri a priori che regolano
la trasformazione dei dati empirici in tautologie
logiche in seno ad un dato sistema», ovvero
«forme di traduzione dell'esperienza in pensiero.»
Seguendo tale impostazione, abbiamo che «la
mancanza di una dialettica trascendentale
come legge generale della deduzione e dello
sviluppo fenomenologico delle categorie della
scienza rende impossibile al neopositivismo
di poter impostare molti problemi autenticamente
epistemologici che ci sono stati trasmessi
dalla tradizione filosofica avvolti in un
velo metafisico.»
Restando all'interpretazione
di Geymonat,
sostiene Preti, la filosofia
tutta intera
rischia di essere travolta.
Ovvero, non si
capisce, con Geymonat,
come sia ancora possibile
elevarsi dal piano dell'intelletto
a quello
del pensiero di idee. Non
si tratta solo
di distinguere tra problemi
metafisici da
eliminare e problemi metafisici
da convertire
in un linguaggio logico
con significanza
epistemologica, ad esempio
il problema del
"mondo reale".
Si tratta, semmai,
di considerare che nel
convenzionalismo non
si reperiscono i mezzi
per andar oltre i
confini da esso stesso
tracciati. La mosca
non può uscire dalla bottiglia.
Tra l'approccio razionale
che Preti sente
doveroso difendere e "il
nuovo razionalismo"
di Geymonat c'è dunque
lo scarto che intercorre
tra una teoria filosofica
momentaneamente
completa ed una posizione
ancora momentaneamente
campata per aria, anche
se, bisogna ricordarlo,
sono tante le teorie campate
per aria ad
aver funzionato per lungo
tempo. Questo Preti
non lo disse. Si limitò
ad osservare che
una posizione che non si
accorge della propria
parzialità, «crede anzi
di coprire tutta
quanta l'estensione possibile
del razionalismo.»
In proposito, commentava Mario Dal Pra: «Preti,
dunque, non contesta che si possa discorrere
di razionalismo, ma afferma che esso non
può coincidere con la teoria convenzionalistica
e che, mentre questa si propone come dottrina
esplicativa e costitutiva del metodo delle
scienze matematiche, esso deve venir elaborato
come una completa teoria del sapere, con
un maggiore raggio di generalità e con uno
sforzo maggiore di unificazione. E' comunque
abbastanza significativo che Preti, il quale
alle posizioni dell'empirismo logico doveva
accostarsi anche in forma più accentuata,
sia stato sollecitato a mantenere un distacco
da esso, fin dall'inizio, per esempio nella
controversia con Geymonat, rispetto alle
funzioni critiche più ampie della ragione.»
Da ciò si può facilmente
evincere che le
osservazioni di Preti non
passarono invano.
Geymonat era un sistema
aperto alle sollecitazioni,
non un ottuso testardo.
Sicché, quando nel
1952 apparve il saggio
di Nicola Abbagnano
L'appello alla ragione e le tecniche della
ragione (5), si trovava già nelle migliori condizioni
per cogliere l'assist. Abbagnano aveva distinto due significati
di ragione: 1) «una
qualsiasi ricerca,
in quanto tende a liberarsi
da presupposti,
pregiudizi e incerti di
ogni genere che tendono
a vincolarla». 2)
«una particolare
tecnica di ricerca».
Geymonat, oltrepassò
la "lettera"
e forse le intenzioni
dell'amico e collega, elaborando
il concetto
di "tecniche della
ragione" ed
estendendolo alle teorie
scientifiche. Osservava
Marcello Pera: «Per
la filosofia, ciò
aveva come conseguenza
il rifiuto del canone
storiografico idealistico
del "superamento":
in quanto tecniche, le
teorie filosofiche
non potevano più essere
pensate come filiazioni
concettuali l'una dell'altra
o come stadi
di un unico sviluppo dell'Idea
o dell'Io
o della Ragione. Per la
scienza, la conseguenza
era anche più dirompente:
una concezione
discontinuista dello sviluppo
scientifico;
interpretate come tecniche,
le teorie scientifiche
non avevano più alcuna
necessità di disporsi
linearmente e cumulativamente.
Il cambiamento
scientifico poteva essere
tanto un progresso
quanto un regresso, come
ad esempio - citava
Geymonat - nel caso del
calcolo seicentesco
rispetto al metodo di esaustione
di Archimede,
o dell'ottica dal Due al
Cinquecento rispetto
a quella degli occhialai
e vetrai.»
(6)
Erano soprattutto due i
saggi che davano
nuove motivazioni: 1) La nuova impostazione impostazione razionalistica
della ricerca filosofica; 2)Neorazionalismo e metodologia. Nel primo Geymonat cercò di chiarire la differenza
del neo-razionalismo da altre forme superate
di razionalismo: il razionalismo metafisico,
che «da alcuni principi generali del
sapere intende dedurre logicamente il mondo;
il razionalismo scientista che ritiene di
spiegare integralmente il mondo mediante
un sistema di leggi di tipo scientifico;
il razionalismo critico, che si dà il compito
di analizzare , in modo rigoroso e completo,
le leggi del pensiero umano, a scopo di determinare
con precisa esattezza i limiti di ogni possibile
sapere. Nei confronti del criticismo kantiano
Geymonat faceva valere l'obiezione secondo
cui le strutture del soggetto o lasciano
fuori da sé qualcosa che sfugge loro, e ciò
determina il loro fallimento, oppure non
lasciano nulla, e si ha così che le leggi
del pensiero dovrebbero coincidere con le
leggi dell'essere, tornando dritti dritti
al razionalismo metafisico.
Rispetto a queste superate posizioni, il
nuovo atteggiamento toglie alla razionalità
ogni riferimento a verità prime, assolute,
assiomatiche, autoevidenti. Le effettive
costruzioni razionali dell'uomo sono finite
e limitate e hanno come riferimento una razionalità
ristretta, caratteristica delle costruzioni
del pensiero scientifico. In linea di massima
non si potrebbe nemmeno parlare di un unico
indirizzo razionalistico, identico in tutti
i paesi. E' un nuovo atteggiamento e non
un nuovo sistema. Proprio per questo può
essere riconosciuto da tutte le più moderne
correnti di pensiero, da quelle russe a quelle
europee e d'oltre oceano.
Il neorazionalismo - scriveva
Geymonat -
si può anche retringere
alla metodologia,
ma occorre evitare l'ipostatizzazione
di
una razionalità astratta,
al di fuori dei
procedimenti concretamente
seguiti dalle
diverse costruzioni scientifiche.
D'altro
lato, tuttavia, bisogna
sempre ispirarsi
ad un programma «largamente
filosofico»,
integrando il lavoro dei
metodologi e «valorizzandola
su di un piano non puramente
scientifico».
La razionalità, dunque,
non dovrebbe essere
studiata a sé, come facoltà
« generale
e astratta», ma «studiata
nelle
sue concrete realzzazioni
(cioè attraverso
le conquiste della scienza).»
In queste
righe appare un elemento
nuovo rispetto alle
trattazioni precedenti.
Alla filosofia in
generale tocca sia di avanzare
«altre
esigenze critiche, sfuggite
ai viennesi»
sia di riconoscere «le
sostanziali
deficienze della filosofia
generale entro
cui i viennesi hanno tentato
di inserire
le loro istanze critiche».
Se è ovvio che, per correggere una filosofia
generale, necessiti una nuova filosofia generale,
allora si tratterà di rivolgere le «nuove
tecniche, scoperte e sfruttate con tanto
successo dai metodolgi nell'esame delle teorie
scientifiche, allo studio di altre questioni
della vita e della cultura, portandovi il
medesimo abito di spregiudicatezza ed il
medesimo rigore di analisi e di osservazione.»
Geymonat giungeva alla seguente conclusione:
«... come non si può parlare di lotta
tra il vero e il falso, così non si può parlare
di sviluppo continuo dalle vecchie alle nuove
idee, né si possono presentare queste ultime
come naturale superamento delle antecedenti.
La storia del pensiero è assai più complicata
di quanto non ci lasciano immaginare questi
schemi: è una storia che si attua per le
vie più diverse, facendo ricorso a tecniche
sempre nuove, che escono fuori da qualsiasi
barriera preconcetta, unificate fra loro
da un solo fatto: dall'essere tutte, attuazioni
del medesimo appello alla ragione.»
(7)
Per Geymonat il nuovo razionalismo dovrà
essere sia estremamente modesto che anche estremamente superbo, nel senso che non dovrebbe render conto
ad alcuna autorità esterna
o trascendente,
e perché «è l'uomo
concreto storicamente
dato, l'uomo finito di
cui hanno parlato
gli esistenzialisti, che
va considerato l'unico
artefice della razionalità.
E' esso, e non
qualcosa di superiore a
lui, la fonte e l'arbitro
del sapere.»
Di Abbagnano, in questa fase, Geymonat raccolse
ed accettò anche alcune idee di Dewey, l'espressione
maggiormente corrispondente a
questo atteggiamento critico e consapevole,
in una parola: si aprì anche al pragmatismo, evitando di considerarlo una semplice manifestazione
della cultura borghese, come farà invece
Cesare Cases. Era certo che il rapporto con
le scienze, tramite il comune ricorso alla
metodologia, evitava ai filosofi di ricadere
in una razionalità astratta.
Geymonat, infine, prese definitivamente congedo
dal convenzionalismo, realizzando un più
convincente collegamento tra l'atteggiamento
filosofico e la storicità e la strumentalità
della ricerca scientifica. Questa dovrebbe
sempre rappresentare per l'uomo «uno
strumento integralmente umano, e perciò in
suo illimitato possesso: qualcosa cioè che
egli domina, non qualcosa da cui è dominato.»
L'impiego delle tecniche vien così a dipendere
dalla loro stessa funzione rispetto alla
finalità per le quali sono state inventate
ed attuate. La scelta rispetto a tali problemi
dovrebbe essere liberamente umana e razionale.
L'uomo «non riconosce l'esistenza di
problemi che sfuggano per loro natura all'indagine
della ragione. La razionalità [...] è qualcosa
che si estende fin dove si estendono le tecniche
razionali, e si amplia all'infinito con il
loro ampliarsi.»
Il ricorso al termine "superbo"
provocherà certamente qualche reazione negativa;
si tratta di capire che a quei tempi non
era del tutto "fuori luogo", avendo
in sé un carattere "provocatorio"
nei confronti di diversi atteggiamenti rinunciatari,
od elusivi. D'altro canto, non bisogna dimenticare
che la consapevolezza di disastro ecologico non era entrata ancora consapevolmente nell'orizzonte
della riflessione. Il traffico automobilistico,
ad esempio, era ancora limitato. L'inquinamento
era dovuto soprattutto all'industrializzazione
ed al consumo del carbone per il riscaldamento
domestico. Si guardava con grande fiducia
all'impiego dell'energia nucleare per uso
civile. Il sistematico dissesto del territorio
non aveva ancora assunto i contorni di quell'autentica
aggressione alla natura verificatasi successivamente.
A distanza di tutti questi anni, pare problematico
sottrarsi all'impulso di "bollare"
il pensiero di Geymonat come "scientistico"
e quindi ottimistico. Eppur si dovrebbe.
Quella di Geymonat era una superba apertura di credito illimitato nei confronti
delle tecniche e dell'uso razionale delle
risorse. Cosa assai diversa dal reale impiego
di esse in una forsennata rincorsa ai profitti
ed agli armamenti. Il concreto sviluppo economico
e civile verificatosi in Italia, in Europa
e nel mondo, seguì vie ben diverse dalla
razionalità perfino in quei paesi nei quali
si era affermato il concetto di pianificazione.
In URSS divenne pianificazione di catastrofi
agricole ed ecologiche come la "scomparsa"
del Mar Caspio. In Occidente si ebbe uno
sviluppo sfrenato dell'anarchia produttiva,
svincolata da ogni considerazione scientifica
sugli equilibri ecologici. Si tratta di questioni
molto complesse, che richiederebbero ben
altri approfondimenti. Comunque sia, come
cercheremo di mostrare nei prossimi articoli,
alligna sicuramente una carenza nel presupposto di ogni storia della filosofia che prescinda
dagli sviluppi concreti delle dinamiche sociali
ed economiche. Geymonat non si sottrarrà
alle sfide dei mutamenti, in parte saprà
rispondervi, in parte lascerà a desiderare.
Note
1) Marcello Pera - Dal neopositivismo alla filosofia della scienza
- in La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi
- a cura di Eugenio Garin - Laterza 1985
2) Giulio Preti - I limiti dell'empirismo - in "Studi filosofici", VII (1946)
3) Ludovico Geymonat -
Pensiero di Kant alla luce della critica
neompiristica - pubblicato originariamente sulla rivista
"Studi filosofici", si può trovare
in "Rivista critica di storia della
filosofia" - vol. 31 - La Nuova Italia
1976
4) Mario Dal Pra - Il razionalismo critico - in La filosofia italiana dal dopoguerra ad oggi - a cura di Eugenio Garin - Laterza 1985
5) Nicola Abbagnano - L'appello alla ragione e le tecniche della
ragione - "Rivista di filosofia" , XLIII
(1952)
6) Marcello Pera, cit.
7) Ludovico Geymonat - Saggi di filosofia neorazionalistica - Einaudi 1953
Bibliografia
Il problema della conoscenza nel positivismo - Bocca - Torino 1931
La nuova filosofia della natura in Germania - Bocca - Torino 1934
Studi per un nuovo razionalismo - Chiantore - Torino 1945
Saggi di filosofia neorazionalistica - Einaudi - Torino 1953
Galileo Galilei - Einaudi - Torino 1957
Filosofia e filosofia della scienza - Feltrinelli 1960
Filosofia e pedagogia nella storia della
civiltà, con Renato Tisato - Garzanti - Milano 1965,
3 voll.
Attualità del materialismo dialettico, con Enrico Bellone, Giulio Giorello e Silvano
Tagliagambe, Editori Riuniti, Roma 1974
Scienza e realismo - Feltrinelli - Milano 1982
Paradossi e rivoluzioni Intervista su scienza e politica - a cura
di Giulio Giorello e Marco Mondadori - Il
Saggiatore, Milano 1979.
Filosofia della probabilità con Domenico Costantini - Feltrinelli -
Milano 1982
Riflessioni critiche su Kuhn e Popper - Dedalo - Bari 1983
Lineamenti di filosofia della scienza, Mondadori, Milano 1985, seguita da una
nuova edizione con una Postfazione e un aggiornamento
della bibliografia di Fabio Minazzi, Utet,
Torino 2006
Le ragioni della scienza con Giulio Giorello e Fabio Minazzi - Laterza,
Roma-Bari 1986
Storia del pensiero filosofico e scientifico - Garzanti - Milano 1970-1976, 7 voll.
La libertà - Rusconi - Milano 1988
La società come milizia, a cura di Fabio Minazzi, Marcos y Marcos
1989
nuova edizione La civiltà come milizia, a cura di Fabio Minazzi - La Città del
Sole - Napoli 2008
I sentimenti - Rusconi - Milano 1989
Filosofia, scienza e verità, con Evandro Agazzi e Fabio Minazzi - Rusconi
- Milano 1989
La Vienna dei paradossi. Controversie filosofiche
e scientifiche nel Wiener Kreis - a cura di Mario Quaranta - il Poligrafo,
Padova 1991
Dialoghi sulla pace e la libertà, con Fabio Minazzi - Cuen - Napoli 1992
La ragione, con Fabio Minazzi e Carlo Sini - Piemme
- Casale Monferrato 1994
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Giuseppe Vaccarino
Silvio Ceccato
Giulio Preti - di Daniele Lo Giudice
Antonio Banfi - di Daniele Lo Giudice
Introduzione a Geymonat
Geymonat e il neopositivismo
Geymonat: dal neorazionalismo alla
filosofia
della scienza
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