Michele Ferrari (1819-...)

Il nobile capitano della Guardia Nazionale Michelino Ferrari era un uomo valoroso, galatrese purosangue, che non risparmiò sacrifici immensi pur di dare all'Italia e, particolarmente, alla Calabria, al suo e paese, quella serenità politica e sociale che giustamente meritavano, quella pace insidiata a quei tempi da certe attività malavitose che dominavano in tutto il territorio.
E' indiscussa la sua nascita galatrese. Figlio di Gian Francesco, detto Giafra, e di Giulia Sorbilli. Il padre, Giafra, come il nonno, D. Giuseppe Antonio, ricchi possidenti galatresi, si distinsero entrambi in molti moti rivoluzionari, tendenti all'indipendenza d'Italia, capeggiando circa 200 uomini, insieme a D. Giuseppe Albanese di Fabrizia, tanto che dovettero subire non solo il carcere, ma anche il sequestro dei loro beni che un certo Fazzari, consegnatario di questi beni, rubò, delapidando poi molti animali vaccini e pecorini, mobili di casa, legnami, mattoni, ecc.
Da un nonno, quindi, e da un padre di tal fatta, doveva venir fuori un uomo che su quella scia doveva continuare il suo cammino, un uomo di nobili sentimenti, che molto diede della sua vita e dei suoi beni per una santa causa a favore della Patria.
Michelino Ferrari, quindi, è galatrese. Nacque, infatti, a Galatro l'11 maggio 1819. Fin da ragazzo si distinse nello studio e nell'amor patrio. Conseguita la laurea in giurisprudenza col massimo dei voti, non volle darsi alla professione, ma alla carriera politico-militare. Lo vediamo, infatti, ancor giovanissimo, partecipare valorosamente alla guerra d'indipendenza prendendo attiva parte alle due battaglie di Magenta e Montebello svoltesi, rispettivamente, il 20 maggio e il 4 giugno 1859 tanto che, mercè il suo suggerimento, i due rioni galatresi, le due sezioni, che prima venivano denominati "Destro" e "Mancino" oppure "Destro" e "Mancuso", con delibera dell'amministrazione comunale del tempo, vennero chiamate "Magenta" e "Montebello".
La sua attività di valoroso combattente, però, non si ferma qui. Egli contribuì alla santa causa dell'indipendenza italiana con tante altre operazioni di alto valore patrio e non disdegnò, anche se perseguitato dalla polizia, anche se la sua casa fu minacciata d'incendio dall'allora ufficiale borbonico Statella, anche se fu sottoposto a crimine giudizio e condannato a gravi pene che, in parte, dovette scontare.
La sua prodigalità, poi, faceva parte del suo animo nobile curando e mantenendo altri compagni liberali che nella sua casa trovavano fraterno asilo. In seguito allo sbarco di Garibaldi a Marsala, fu sollecitato a formare un comitato e recarsi in Aspromonte per mettersi d'accordo con i liberali di Reggio Calabria e ritirarsi le armi, in quel tempo azione molto difficile. E' stato il primo, in tutto il nostro Mandamento, appena Garibaldi pose piede nel continente, a far inalberare il vessillo tricolore con lo Stemma di Casa Savoia, del quale si era già provveduto. Formò un contingente di trenta volontari, mantenuti a proprie spese, e con essi rese l'importantissimo servizio impossessandosi dello stabilimento di Mongiana. Si rese zelante nel ridare l'ordine e la calma a molti paesi della provincia che erano travagliati dalle continue reazioni e dal flagello del brigantaggio, tanto da far uscire dai petti dei beneficati contadini, un grido che lo appellava "Benemerito della Patria e terrore dei briganti". Si distinse nell'aver sedato la reazione in Maropati, Serrata, con la sola sua compagnia di Guardia Nazionale, per il concorso principale dato a Cinquefrondi, San Giorgio Morgeto, Cittanova, Laureana di Borrello e per la uccisione del celebre Mittica, distruggendone anche la compagnia sempre col solo aiuto della Guardia Nazionale posta sotto il suo comando.
Per le sue brillanti azioni patriottiche, per l'amore che profuse per la rinascita dell'Italia, per il suo filantropismo, dal Gran Comando Militare del tempo, è stato decorato con medaglia d'argento al valor militare.


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