CORSO DI STORIA


Le origini

La divisione del tempo terrestre in ere geologiche e la comparsa della specie umana

Cinque miliardi di anni circa prima della comparsa dell'uomo, la terra era costituita da una grande massa incandescente di gas liquido, senza alcuna forma di vita. Con il tempo questa massa si raffreddò e si ricoprì di una crosta, in gran parte solida. Per molto tempo questa crosta costituì un unico blocco circondato da acqua (la pangea), che poi con il passare degli anni si divise formando i continenti che abbiamo oggi. Questo periodo di trasformazione è stato suddiviso dagli scienziati in 5 ere geologiche:

- l'era archeozoica (archaios, primitivo) o precambriana, che durò circa 4 o 5 miliardi di anni;
- l'era paleozoica (palaios, antico), o primaria, che durò circa 280 milioni di anni;
- l'era mesozoica (mesos, mezzo), o secondaria, che durò circa 150 milioni di anni;
- l'era cenozoica (kainos, recente), o ternaria, che durò circa 55 milioni di anni;
- l'era neozoica (neos, nuovo), o quaternaria, che iniziò 5 milioni di anni fa, ed è adesso in atto.

In quest'ultima era geologica comparve l'uomo che poi si sarebbe evoluto in homo sapiens, cioè intelligente.
Sull'evoluzione dell'uomo e della terra sono state elaborate nell'ottocento alcune importanti teorie: Charles Lyell dimostrò che la vita della terra non poteva essere misurata in migliaia di anni, ma in milioni, e che la presenza dell'uomo risaliva a una data molto anteriore a quello che si ricava dalla Bibbia, secondo cui l'uomo sarebbe comparso circa 4000 anni prima di Cristo; il naturalista inglese Charles Darwin espose la teoria dell'evoluzione, sostenendo che l'uomo e le altre specie umane e vegetali non sono stati creati da Dio, ma si sono evoluti nel corso di milioni di anni fino a raggiungere la forma attuale. Applicando allo studio dello sviluppo delle forme di vita i principi dell'evoluzione, molti scienziati sostennero che a un certo momento si determinò una differenziazione da cui trassero origine differenti specie genealogiche: una di queste è la specie delle scimmie, dette anche ominidi, in quanto simili all'uomo, ma con caratteristiche ancora molto differenti. Tracce di ominidi, detti anche australopitechi (ossia “scimmie del sud”), risalgono a circa 5 milioni di anni fa in Africa, precisamente in Etiopia, Kenya, Tanzania e nella Repubblica Sudafricana.
Dall'australopiteco si passò tramite l'evoluzione della specie al cosiddetto homo abilis, la cui comparsa risale a circa tre milioni di anni fa: si distingue per avere una mano robusta e un pollice in grado di ruotare su se stesso, garantendo una presa sicura; era in grado di tenere in mano con molta sicurezza un sasso o un bastone ed evidenzia capacità embrionali di scheggiatura della pietra. Vive di raccolta e di sciacallaggio, nutrendosi delle carcasse di animali sbranati da altri carnivori.
Dopo duecentomila anni l'homo abilis si evolve in homo erectus, così chiamato perché capace di camminare su due piedi senza aiutarsi con le braccia: era dotato di un'intelligenza superiore ed era capace di comunicare con i suoi simili in maniera più estesa. Lavora la pietra in maniera e forme più complesse; è in grado di costruire trappole per cacciare. In questa fase gli uomini iniziarono a spostarsi dal continente africano verso l'Europa e l'Asia.
L'ulteriore tappa dell'evoluzione umana è costituita dall'homo sapiens, di cui una variante è il cosiddetto uomo di Neanderthal, le cui terstimonianze sono state rinvenute in Germania, nella valle del fiume Neander: la nuova specie è capace di fabbricare alcuni attrezzi e dipingere le pareti delle caverne dove abitava, per fini magico-propiziatori o archivistici. Sembra sviluppare una prima forma di rito funebre. L'uomo di Cro-Magnon testimonia uno stadio più avanzato dell'evoluzione e viene definito come homo sapiens sapiens: si è diffuso tra quarantamila e diecimila anni fa e costituisce l'ultima fase dell'evoluzione che precede l'uomo attuale. Testimonianze di homo sapiens sapiens si trovano in Europa (Monte Circeo, Gibilterra, Yugoslavia, Inghilterra, Crimea), Africa del sud, Palestina, Siberia, Giava, America e Australia.



La suddivisione fra storia e preistoria: significato e criteri

L'homo sapiens sapiens impara a comunicare attraverso la lingua e la scrittura. Il passaggio dalla preistoria alla storia è definito, secondo un'interpretazione molto diffusa, proprio dall'introduzione della scrittura, che avviene verso la fine del quarto millennio. Alcuni studiosi ritengono, tuttavia, che tale criterio distintivo sia inappropriato perché disomogeneo, in quanto l'introduzione della scrittura non è avvenuta nello stesso periodo di tempo per tutti i popoli: ad esempio, in Egitto si verificò verso la fine del quarto millennio, in Grecia fu introdotta con lo sviluppo della civiltà micenea, verso il XV secolo, sul suolo italico ancora più in là, tra i secoli nono e ottavo. Si è perciò proposto di assumere quali elementi discriminatori fra cultura preistorica e cultura storica altri fenomeni di grande importanza, quali la rivoluzione agricola e la formazione dei primi insediamenti, che conducono alla costituzione delle prime organizzazioni sociali. In questa prospettiva la preistoria permane sempre come periodo caratterizzato in gran parte dall'assenza della scrittura, ma la sua dissoluzione nella storia pu˜ essere anticipata di molto rispetto all'introduzione della scrittura stessa.
Come si può ricostruire la storia anche in assenza di documenti scritti, intendendo qui documento nel più vasto significato di fonte? Diverse sono le scienze che concorrono a formare la conoscenza del passato.

L'archeologia ricostruisce il passato indagando sugli insediamenti e sui prodotti delle civiltà
La geologia dal greco ghe (terra) e logos (studio), analizza e studia le trasformazioni della terra dalle sue origini a oggi e i diversi strati della crosta terrestre.
La paleontologia dal greco palaios (antico) e ontes (esseri)studia animali, piante, fossili
L'antropologia dal greco anthropos (uomo), studia le organizzazioni sociali e anche le caratteristiche fisiche dei loro membri.
La paletnografia dal greco ethnos (popolo) e graphia (scrittura, studio), si occupa dei resti delle età più antiche adatti per conoscere usi, costumi e tradizioni quali armi, utensili, oggetti vari.
L'etnologia stabilisce confronti tra i sistemi e i metodi di vita delle popolazioni preistoriche e quelli di alcune tribù primitive attuali, che vivono in Australia, America meridionale e Africa equatoriale.

La storia beneficia della collaborazione di queste scienze, ma si distingue da queste proprio perché utilizza in particolare documenti scritti. La scrittura da sola non è forse in grado di segnare il confine tra preistoria e storia, perché a questo cambiamento concorrono anche l'introduzione della coltivazione e la scelta stanziale, ma contraddistingue senz'altro la storia come scienza dell'uomo, che si dedica in particolare allo studio di civiltà organizzate e dotate di scrittura.



L'età della pietra

La preistoria si suddivide in quattro età: della pietra, del rame o eneolitica, del bronzo e del ferro.

L'età della pietra a sua volta si suddivide in tre periodi:

paleolitico  (della pietra antica) dalla comparsa dell'homo habilis a 10 mila anni a.C. circa.
mesolitico (della pietra di mezzo) dai 10 mila agli 8 mila anni a.C. circa.
neolitico (della pietra nuova) dagli 8 mila ai 3 mila anni a.C.



Il Paleolitico

Durante il Paleolitico, periodo nel quale si verifica l'evoluzione da ominide a sapiens sapiens gli uomini permangono per lunghissimo tempo in uno stato di vita selvaggia: non conoscono il fuoco (almeno all'inizio) e sono nomadi, ossia vagano continuamente alla ricerca di cibo, trovando rifugio in caverne, dalle quali escono per cacciare, pescare o raccogliere qualunque cibo commestibile che trovino. In un secondo momento apprendono l'uso della selce e riescono così a fabbricare coltelli, asce, scuri, punte di frecce e raschiatoi. Viene inoltre inventato l'arco, la prima arma da getto a propulsione che svolgerà un ruolo bellico fondamentale fino all'invenzione della polvere da sparo.
Vige il matriarcato: è la donna a guidare la famiglia, perché l'uomo é impegnato a cercare sostentamento. Si sviluppa inoltre la capacità> di comunicare attraverso prime forme di linguaggio e si hanno le prime attestazioni del culto dei morti. Nel Paleolitico la terra subisce il fenomeno delle glaciazioni, caratterizzate da un rilevante abbassamento della temperatura, dal conseguente clima freddissimo e dall'avanzata dei ghiacci. Nello stesso periodo si verifica però la scoperta del fuoco, che comporta un enorme progresso nella civiltà, con la possibilità di riscaldare gli ambienti e di cucinare gli alimenti. A questa età risalgono le prime manifestazioni di comunicazione scritta e di arte, testimoniate da graffiti e disegni rupestri (trovati ad Altamira in Spagna, a Lascaux in Francia, nelle isole Egadi in Italia) e statuette di calcare. Nei disegni si crede di individuare sia una volontà di comunicazione, nell'intento di raccontare, ma anche di registrare fatti accaduti, sia la necessità magico-rituale di propiziarsi il futuro, immaginando esiti favorevoli di eventi ancora da verificarsi




Il Mesolitico

Durante questa fase di transizione, dai confini cronologici incerti, diviene meno consistente la grossa selvaggina, costituita da mammuth, renne, bisonti, orsi, e l'uomo inizia a praticare l'allevamento, all'inizio solo di capre, poi di pecore, maiali, buoi, e a mietere il grano selvatico.



Il Neolitico

La più importante scoperta di questa era è costituita dall'agricoltura, favorita dall'invenzione di vanghe e zappe in pietra e dei primi aratri in legno. L'agricoltura induce l'uomo del neolitico ad abbandonare la vita nomade in favore dell'esistenza sedentaria e, quindi, a costruire le prime capanne in legno: l'uomo inizia così a unirsi ai propri simili per affrontare i pericoli e le necessità quotidiane, formando i primi embrioni di vita sociale, le prime comunit&agrave. Si sviluppano i clan, ossia l'unione di gruppi di famiglie che eleggono come capo l'uomo più anziano.
Si sviluppa ulteriormente l'allevamento del bestiame e la lavorazione della ceramica, con la produzione di vasellame di argilla modellata a mano e cotta al fuoco. Si diffonde anche l'arte della filatura e della tessitura. La produzione in eccesso di beni e oggetti causa l'introduzione delle prime forme di commercio attraverso il baratto. A favorire gli scambi attraverso vie fluviali e lacustri contribuisce la costruzione delle prime barche.
Alla pratica della sepoltura in grotte comincia ad affiancarsi l'inumazione in tombe allo scoperto, riunite in necropoli. A questo periodo appartengono alcuni monumenti megalitici: i dolmen, i menhir, i trulli, i cromlech. Il dolmen è formato da due grosse pietre verticali che reggono una pietra poggiata in orizzontale ed era probabilmente legato a culti funerari. Il menhir è una grossa lastra di pietra, alta anche più di due metri, conficcata nel terreno e disposta in lunghissime file affiancate. Per cromlech si intende un circolo o, comunque, una disposizione complessa di pietre disposte in verticale e in orizzontale, ad architrave, a formare strutture che sono state interpretate come luoghi di osservazione astronomica: l'esempio pi� famoso � costituito dal circolo di Stonehenge.
Tutti questi elementi costituiscono la cosiddetta rivoluzione neolitica, che consiste, essenzialmente, nel passaggio dal nomadismo alla stanzialità, intesa quale conseguenza dello sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento, che vengono praticati in luogo di caccia, pesca e raccolta. L'insediarsi stabilmente in un luogo, con il relativo miglioramento delle condizioni di vita, causa un consistente aumento di popolazione, che per la prima volta si riunisce in comunità con un primo nucleo di organizzazione sociale e amministrativa.

 

L'età dei metalli

Il primo metallo conosciuto e utilizzato dagli uomini è il rame (da cui l'età eneolitica, che si situa tra neolitico e bronzo), che viene trasformato, fin dalla fine del quarto millennio in Egitto e nel Vicino Oriente, non solo in oggetti di lusso, ma anche in utensili quali falci, zappe e aratri.
Nella successiva età del bronzo, inaugurata dalla scoperta della lega fra rame e stagno, si stabilì una salda comunicazione fra popoli lontani, anche attraverso il commercio dei metalli e l'utilizzazione di asini e cavalli quali mezzi di trasporto.
La donna perde sempre più di importanza e al matriarcato succede il patriarcato. Nei riti funebri all'inumazione si sostituisce spesso l'incinerazione: le ceneri del defunto vengono raccolte in urne, che vengono poi interrate e ricoperte da pietre.
Si assiste a un ulteriore e importante aumento di popolazione con il conseguente ingrandimento delle comunità e il necessario ampliamento della produzione agricola, che richiede il potenziamento delle risorse idriche. Per svolgere questi lavori, i clan si uniscono tra loro formando i primi centri abitati di rilievo, città e villaggi.
Con un organizzazione tribale insufficiente, il territorio divenne troppo ampio e la popolazione subisce continui conflitti con le tribù vicine: in questa situazione le persone più importanti cominciano ad esigere dal loro capo maggiore rispetto e più ampi riconoscimenti politici, al punto da mettere in dubbio la sua capacità di comando. Viene così a formarsi lo Stato, inizialmente nella forma di citt&agrave-Stato, attraverso l'ampliamento della comunità dotata di diritti e provvista di una organizzazione strutturale. Dalla complessità dell'organizzazione sociale deriva la suddivisione della popolazione in classi, ossia in gruppi separati tra loro per condizioni economiche e sociali. Già nel Neolitico si era verificata una prima specializzazione delle funzioni: chi si occupava della terra andò a costituire la classe degli agricoltori; chi si occupava del bestiame formò la classe degli allevatori. Nel tempo questa suddivisione si definisce meglio, con la formazione di altre classi, quelle dei mercanti e degli artigiani. Con la scoperta dei metalli la suddivisione del lavoro sempre pi� approfondita fece nascere la classe di chi estraeva e lavorava il metallo. La nuova società che si andava così formando era basata sulle differenze economiche e sulla separazione in classi sociali. Con la diffusione di guerre, sempre pi� sanguinose per l'uso di armi in metallo, si introdusse l'uso della schiavitù attraverso l'asservimento delle popolazioni vinte.

Nel secondo millennio a.C., viene scoperto il ferro, che viene adoperato per la fabbricazione sia di utensili, sia di armi. Il ferro non solo favosce l'agricoltura e l'edilizia, ma anche lo sviluppo della tecnologia. L'introduzione della ruota da vasaio determina l'inizio della prima produzione in serie di oggetti e, quindi, la formazione della prima industria dell'umanit&agrave.

APPROFONDIMENTI
PROTOSTORIA EUROPEA (.pdf file)
quadro generale sulle età del bronzo e del ferro in Europa
ESERCIZI
TEST MULTIPLO sulle ORIGINI
quiz a risposta multipla, associazioni, integrazioni, vero/falso




EGITTO

Cenni di geografia storica: valore e funzione del Nilo

Erodoto, storico greco del V secolo a.C., definisce l'Egitto "dono del Nilo", perché dal fiume è dipeso lo sviluppo dell'economia e della civiltà egiziana, che, senza il suo apporto, non avrebbe potuto neanche sorgere. Il fiume è costituito dalla confluenza, nel Sudan, di due rami principali, chiamati l'uno Nilo bianco, che nasce in Uganda, dalle cascate Vittoria, l'altro Nilo azzurro, che trae origine in terra etiopica; dopo aver attraversato tutto l'Egitto sfocia a nord nel Mar Mediterraneo, ramificandosi in un ampio delta. Per millenni le acque del fiume hanno garantito la fertilità dei terreni e, quindi, lo sviluppo agricolo: le piene periodiche, tra giugno e settembre di ogni anno, inondavano i terreni e, quando l'acqua si ritirava, sulla terra restava fango di colore scuro, il limo, che rendeva fertile il terreno. Per sfruttare le inondazioni gli Egizi impararono a controllare la distribuzione delle acque e inventarono vasti sistemi di canalizzazione, che permisero di irrigare estensivamente le terre.
L'idrografia stessa del paese indusse gli abitanti a distinguere all'interno di questo due regioni: l'Alto Egitto, corrispondente alla valle del Nilo, e il Basso Egitto, ossia la zona del delta, la regione più popolosa. Nel corso della storia, le due regioni si identificarono con il centro pi� importante del settore, che acquisì il rango di capitale del regno: intorno al 3.000 a.C. la cittˆ di Menfi, nei pressi del delta, divenne la guida del paese; verso il 1600 a.C.la capitale fu trasferita a Tebe, nell'Alto Egitto.

Organizzazione politico amministrativa e struttura sociale

L'essenza della civiltà egiziana è permeata dalla concezione mitico-religiosa del mondo, senza la quale non è possibile comprendere alcun elemento nè della storia, nè della cultura del paese: il nome stesso di Egitto deriva, attraverso la traslitterazione fonetica greca “Aighyptos”, dalla locuzione Hut-ka-Ptah, che significa “tempio del ka di Ptah”, dove ka è la forza vitale, elemento indispensabile sia degli uomini sia degli dei, e Ptah la divinità principale di Menfi; il regno di Menfi si presenta già dal nome, come naturale sede degli dei e una divinità è considerato dagli Egizi il Faraone (da perao,“palazzo”), identificato come figlio della figura sincretica di Osiride-Ra, dio del sole, che assume su di sé il compito di garantire la realizzazione della giustizia divina sulla terra.
L'organizzazione del potere è articolata su un modello gerarchico e la sua struttura si fonda sulla distinzione della società in un sistema di caste: al vertice si colloca il Faraone, a cui sono sottoposte le schiere dei funzionari. La forma di governo viene definita come teocrazia (dal greco theos = “dio” e kratos = “potere”) in quanto si riteneva che dal supremo potere del faraone, di carattere divino, tutto dipendessse: pace, guerra, vita e morte. Al Faraone spetta il diritto di emanare le leggi; dalla volontà del Faraone dipende lo scorrere del tempo e il corso del sole.
Il primo ministro, detto visir, controlla tutto l'apparato amministrativo.
Il nucleo centrale della burocrazia è costituito dalla classe degli scribi, che erano quindi indispensabili per il funzionamento dello stato. Thot, inventore della scrittura, era il loro dio protettore.
Parallelamente all gerarchia amministrativa facente capo al faraone, fin dall'inizio andò struttrandosi il potere della classe sacerdotale, che rivestì sempre notevole importanza, non solo in campo religioso, ma anche nel settore politico, economico, amministrativo e culturale, tanto che quando l'autorità del faraone iniziò a diminuire, furono proprio i sacerdoti a mantenere viva la cultura e l'identità del popolo egizio. Anche la classe sacerdotale si articola gerarchicamente, avendo al vertice il primo servitore del dio Amon: in alcuni momenti cruciali della storia egiziana i due centri di potere, faraonico e sacerdotale, entrano in deflagrante conflitto.
La classe dei nobili era responsabile dell'apparato burocratico e dell'esercito, che era composto da mercenari e contadini.
Gli artigiani erano divisi in scuole, guidate da uno o più maestri: godevano di buona reputazione e di un dignitoso trattamento economico.
Alla base della piramide sociale vi erano i contadini, gli operai, molti dei quali provenienti dalla Nubia, e gli schiavi, spesso divenuti tali perché prigionieri di guerra.

 

L'evoluzione storica

L'epoca predinastica (4.000 - 3.200 a.C.) e l'età protodinastica o tinita (3.200 - 2.700 a.C. circa)

Il periodo di formazione della civiltà egiziana è detto epoca predinastica. Nel periodo tra i 30.000 e i 10.000 anni fa, quindi ancora nel Paleolitico, l'area settentrionale dell'Africa, che doveva assomigliare a una savana frequentata da elefanti e gazzelle, cominciò a inaridirsi (la zona del Sahara) e le popolazioni che vi abitavano si spostarono nelle uniche regioni abitabili, vale a dire nel delta e lungo la valle del Nilo, dando inizio a un processo di insediamento che avrebbe condotto con l'inizio dell'età del Bronzo, stimato dagli archeologi verso il 4.000 a.C., alla formazione dei primi villaggi lungo il fiume e alla suddivisione del paese in due parti, il Basso Egitto a nord, nella zona del delta, e l'Alto Egitto a sud lungo la valle del Nilo.
Antichi documenti attestano che l'unificazione dell'Alto e del Basso Egitto avvenne per volontà del re dell'Alto Egitto Menes, che occupò il nord del paese, attratto dalla fertilità del terreno, e fece della città di Tinis la capitale del nuovo Stato, intorno al 3.200: in una stele il faraone è rappresentato con i simboli dei due regni, ossia con una corona rossa (come il papiro, simbolo del Basso Egitto) e una tiara bianca (come il loto, simbolo dell'Alto Egitto). Per questo motivo l'epoca è detta tinita . Un secolo più tardi la capitale fu spostata a Menfi, città che avrebbe mantenuto il ruolo di guida del paese per più di un millennio.


L'Antico Regno

Durante l'Antico Regno (2.700 - 2200 a.C.) vennero intraprese alcune vittoriose spedizioni militari verso la Nubia, il Sinai e la Libia.
A questo periodo risale anche la costruzione delle piramidi: la prima fu elevata dall'architetto Imhotep in onore di Djoser (2700 - 2640 a.C.), faraone della III dinastia con cui solitamente si fa iniziare l'Antico regno. Altre piramidi tuttora in piedi sono quelle di el-Ghiza, appartenenti ai faraoni della IV dinastia, i cui nomi sono tramandati da Erodoto nella forma grecizzata di Cheope, Chefren e Micerino (i nomi originari sono rispettivamente Khufu, Khafra e Menkaure): per la piramide di Cheope vennero utilizzati circa 2,3 milioni di blocchi di pietra. Qui sorge anche la Sfinge, che ha le sembianze di Chefren. Nel nuovo regno la costruzione delle piramidi cessa e i faraoni vengono sepolti nella Valle dei Re, presso Tebe.
Alla fine della V dinastia (2400 a.C.) il potere dei faraoni comincia a indebolirsi a causa della corruzione che dilaga in tutti i livelli dell'amministrazione. Molte città si ribellano al faraone e si rendono indipendenti e al potere centrale del faraone si sovrappongono i poteri particolaritici dei governatori locali: è questo il primo periodo intermedio (2.200 - 2.050 a.C.).


Il Medio Regno

Nel Medio Regno (2055 - 1786 a.C.) l'Egitto recupera l'unità politica con il faraone della XI dinastia Mentuhotep II, che inizialmente fissa la residenza regale a Tebe, ma fonda anche una nuova capitale a Lisht, poco a sud di Menfi. Le maestose piramidi dei faraoni della XII dinastia Sesostri II e Amenemhat III testimoniano la ritrovata ricchezza del paese. Con Sesostri III (1880 a.C.) vengono riprese le spedizioni militari in Palestina, Siria, Nubia (il cui nome deriva forse dal termine egizio nub, che vuol dire oro) e forse fino in Somalia.
L'invasione degli Hyksos, popolo di origine asiatica, comprommette verso la fine del XVIII secolo la stabilità del paese: gli invasori si stanziano nella regione del delta verso il 1700 a.C., dando inizio al secondo periodo intermedio (1786 - 1567 a.C.). Gli Hyksos introducono nel paese l'uso del cavallo e del carro da guerra.


Il Nuovo Regno

Con il Nuovo Regno (1567 - 1069 a.C.) ritornano gli splendori dell'Antico Regno. Verso il 1600 a.C. l'Egitto si ritrova diviso in tre stati: uno a nord, guidato dagli Hyksos, uno al centro popolato dagli Egizi, infine la Nubia, indipendente, a sud. In questo periodo il principe tebano Kamose intraprende la riunificazione del regno e la sua opera viene continuata dal faraone Ahmose, sovrano della XVIII dinastia, che caccia gli Hyksos e trasferisce la capitale a Tebe. L'Egitto ricomincia a espandersi nella regione siro-palestinese e per lunghi periodi centri assiri, babilonesi e hittiti diventano tributari del faraone.
Verso il 1350 sale al potere Amenofi (o Amenhotep) IV, il faraone rivoluzionario, che, volendo annientare il potere dei sacerdoti di Tebe, annulla il pantheon egizio, sostituendolo con il dio Aton, divinizzazione del disco solare, e dando così alla religione la forma del monoteismo. Assume il nome di Akhenaton (“benvoluto da Aton”) e trasferisce la capitale da Tebe nella nuova città di Akhetaton (“orizzonte di Aten”). Durante il suo regno gli Hittiti conquistano la Siria, minacciando l'Egitto. Alla sua morte, nel 1336 a.C., Tutankhamon annulla le riforme di Amenofi IV. Gli Ittiti continuano a costituire una minaccia e nel 1285 a.C. si arriva alla battaglia di Qadesh, sul fiume Oronte, tra il faraone Ramses II e il re ittita Muwatallis, che si risolve in un nulla di fatto e porta a un trattato di non aggressione reciproca. Il regno di Ramses II rappresenta l'ultima fase di splendore della civiltà egizia, perché verso il 1200 a.C., sotto Ramses III, avviene nel Mediterraneo l'invasione dei popoli del mare, che arrecando disordine e instabilità in tutta l'area, decretano anche l'irreversibile declino dell'Egitto. Approfittarono della condizione di debolezza degli altri popoli soprattutto gli Assiri, che imposero agli Egizi di rimanere all'interno dei propri confini. Il potere centrale si inoltra in uno sgretolamento irrefrenabile: verso il 1075 il capostipite della ventunesima dinastia, Smendes I, fa della sua città natale, Tanis , la nuova capitale del regno; intorno al 1.000 a.C. i Libici si impadroniscono della zona del delta, fissando la capitale a Bubasti, e verso il 900, l'Egitto, ormai indebolito e diviso in diversi piccoli potentati, cade sotto il governo di una dinastia di principi nubiani, fino alla conquista degli Assiri che nel 667 a.C., con Assurbanipal si impadroniscono del paese, stabilendo il centro del potere in un'altra città del delta, a Sais. A loro succederà, nel 525 a.C. un'altra dinastia straniera, rappresentata dai Persiani di Cambise, a loro volta destinati a essere scalzati da Alessandro Magno nel 332 a.C.


La scrittura

Si è visto, studiando la formazione delle civiltà, che le prime forme di scrittura possono essere identificate nei graffiti disegnati, con cui si comunicavano messaggi o raccontavano eventi: da questo tipo di comunicazione nasce la pittografia, che, utilizzata in ambito celebrativo o amministrativo, comunica azioni ed eventi tramite disegni dai tratti realistici. Con il tempo i pittogrammi si sviluppano in ideogrammi o logogrammi, ossia segni che identificano, stilizzandolo, un concetto o un termine preciso. La scrittura documentale delle origini, che nasce per un complesso di ragioni monumentali, economiche e amministrative, presenta un uso misto di pittogrammi e ideogrammi. A un terzo stadio corrisponde l'applicazione del sistema sillabico, tipico del Vicino Oriente, e del sistema fonetico fonetico, che si sviluppa sia nella regione siro-palestinese, sia in Egitto.
La scrittura egizia sembra nascere per intenti celebrativi nei confronti della figura del faraone prima che per esigenze aaministrative. Le attestazioni della scrittura dell'Antico Egitto risalgono allo stesso periodo delle testimonianze scritte dei Sumeri e degli Elamiti, alla fine del IV millennio. Il documento più importante è costituito dalla cosiddetta stele di Narmer, altro nome del faraone Menes. La prima forma di scrittura è la geroglifica, termine greco che vuol dire “scrittura sacra incisa”, perché si tratta di una scrittura monumentale, su pietra o avorio. La scrittura geoglifica è costituita da pittogrammi, piccole immagini che rappresentano tutte le forme possibili dell'esistenza, ideogrammi e segni fonetici.
Con il tempo alla pietra subentra un materiale scrittorio più adatto agli usi comuni, il papiro, il cui uso trasfoma anche il sistema di scrittura, che diviene più snella e fu chiamata dai greci ieratica, “scrittura sacra”, per la falsa convinzione che si trattasse di una scrittura adoperata unicamente in ambito religioso: si tratta in realtà di un'evoluzione in senso corsivo della geroglifica, che trova applicazione in tutti gli usi, sia amministrativi, sia privati, come testimonia la gran quantità di testi su papiro e altri supporti scrittori, quali legno, terracotta, cuoio, ritrovati sotto la sabbia della valle del Nilo.
Verso il VII secolo a.C. il faraone Psammetico I introdusse, per ragioni oscure, una nuova forma di scrittura, che i greci chiamarono demotico, “scrittura popolare”: deriva dalla ieratica, ma si sviluppa come scrittura indipendente, utilizzata per usi amministrativi, letterari e privati. Così a partire dal VII secolo in Egitto vengono utilizzate contemporaneamente tre forme di scrittura. L'ultima testimonianza del geroglifico risale al 394 d.C., l'ultima del demotico al 470 d.C.
Con la diffusione del cristianesimo in Egitto, nel V secolo fu introdotto il copto, una forma di scrittura che utilizzava l'alfabeto greco con l'aggiunta di nuove lettere.

Per quanto riguarda gli strumenti scrittori, in Egitto si utilizzava, per usi amministrativi e privati soprattutto il papiro, pianta che cresceva soprattutto nella zona del delta, raggiungeva anche i quattro metri di altezza e veniva utilizzata anche per la fabbricazione di corde, reti da pesca, calzature e imbarcazioni. Per costituire il materiale scrittorio, la pianta veniva tagliata in fasce di quaranta centimetri di lunghezza, che venivano stese vicine e battute con una mazza di legno, finché il midollo contenuto nelle foglie fuoriusciva e le incollava le une alle altre: il rotolo che si veniva così a formare veniva steso e scritto per il verso orizzontale.



ESERCIZI
TEST MULTIPLO sulla CIVILTÀ EGIZIA
quiz a risposta multipla, associazioni, integrazioni, vero/falso




IL VICINO ORIENTE ANTICO

 

Cenni di geografia storica: il ruolo delle risorse idriche nello sviluppo delle civiltà le popolazioni

Sotto la denominazione moderna di Vicino Oriente antico ricade lo studio delle civiltà che nacquero e si svilupparono in Anatolia (gli Hittiti, Urartu, i Frigi, i Lidi), in Mesopotamia (dai Sumeri ai Babilonesi), sull'altopiano iranico (gli Elamiti, i Medi, i Persiani), nella regione siro-palestinese (Ebla, Ugarit, Ebrei, Fenici), nella penisola arabica (le genti nomadi, la civiltà di Saba), in uno specchio cronologico che parte dalla metà del IV millennio a.C., quando la rivoluzione urbana si esplica con molta evidenza nella Bassa Mesopotamia, al VI secolo a.C., quando il re persiano Ciro dà inizio alla costituzione dell'impero persiano, aprendo una diversa prospettiva nei rapporti tra Oriente e Occidente e, soprattutto, per quel che riguarda la storia del Mediterraneo, tra Greci e “barbari”.
Anche in questa immensa regione, come in Egitto, l'idrografia influenza non solo la distribuzione della popolazione, ma anche, e soprattutto, l'evolversi della cultura: all'egiziano Nilo corrispondono per importanza in Mesopotamia (nome significativo che in greco significa “in mezzo ai fiumi”), due fiumi, il Tigri e l'Eufrate, che, nascendo sui monti armeni e sfociando un tempo separati nel golfo persico, costituiscono il nucleo attorno al quale ruotano tutte le civiltà che si sviluppano nella regione babilonese; nella regione siro-palestinese è l'Oronte a svolgere un ruolo significativo, mentre in Anatolia si evidenziano soprattutto il Meandro e l'Ermo. È tipico degli studi relativi a questo settore definire il complesso del territorio costituito da Egitto e Vicino Oriente come “mezzaluna fertile”, associando in un'unica definizione l'elemento geometrico della conformazione del territorio e il fattore agricolo-economico, dipendente dall'apporto delle risorse idriche, regolate dall'intervento dell'uomo: come lungo il corso del Nilo, anche nella Mesopotamia l'uomo è intervenuto con opere di canalizzazione per sfruttare in maniera estensiva le acque dei fiumi finalizzandole all'irrigazione dei campi, ma qui ha dovuto adoperarsi anche con la costruzione di dighe e bacini di raccolta per ovviare all'inconveniente dell'irregolaritˆ delle piene dei due fiumi, dipendenti non dalle piogge, come in Egitto, ma dallo scioglimento, alla sorgente, di nevi e ghiacciai.
IGli studiosi dividono le popolazioni del Vicino Oriente antico in indoeuropee e semitiche. Il termine semitico deriva da Sem, uno dei figli di Noè, e si usa per riferirsi a popolazioni quali Assiri, Babilonesi, Fenici, Ebrei. La Bibbia chiamava, invece, i popoli indoeuropei Giapeti, perché discendenti da un altro figlio di Noè, Jafet, mentre da un terzo figlio, Cam, sarebbero discese le popolazioni africane. Nel Vicino Oriente gli Hittiti sono di origine indoeuropea. Non è comunque la stirpe, ma la lingua a costituire la vera e più importante differenza tra i popoli indoeuropei e quelli semitici, tanto che correttamente bisognerebbe parlare di popoli parlanti lingue indoeuropee e popoli parlanti lingue semitiche. Le lingue indoeuropee, pur nella loro diversità, presentano elementi comuni nella fonetica, nel lessico e nella grammatica. I popoli parlanti le lingue indoeuropee si sarebbero mossi a più riprese dalle terre di origine nell'Asia centrale verso l'altopiano iranico, l'Anatolia, la Grecia e il resto d'Europa alla ricerca di regioni fertili. I popoli parlanti lingue semitiche si stabilirono, invece, nella Mesopotamia, nella regione siro-palestinese e nella penisola arabica, sostituendosi a popolazioni precedenti, tra cui i Sumeri, gli Elamiti e gli Hurriti, che non sono semiti.



La nascita della civiltà urbana: l'organizzazione amministrativa e la scrittura

Si è già analizzato il fenomeno di carattere sociale ed economico che condusse alla costituzione della forma di vita urbana, che nasce nel Neolitico e introduce l'uomo nell'età dei mtalli, e si è visto che gli antichi villaggi erano piccole comunità costituite da famiglie che vivevano di un'economia molto semplice. L'aumento della produzione agricola, l'estensione dell'allevamento, lo sviluppo dell'artigianato, della lavorazione dei metalli e del commercio, in sintesi il progredire della struttura economica richiese e produsse la divisione del lavoro tra i membri della comunitˆ. Si crearono in tal modo le condizioni per una prima forma di articolazione sociale di differenziazione delle forme abitative: nei villaggi alle case semplici dei contadini si aggiunsero le belle case appartenenti alle famiglie di mercanti e funzionari; i villaggi stessi si ampliarono con edifici che ospitavano le nuove attivit&agrave. L'organizzazione della città ebbe ora bisogno anche di templi e palazzi per amministrare l'ampliamento delle esigenze della comunit&agrave. Così parte degli antichi villaggi cambiarono completamente e divennero veri e propri centri urbani, parte rimasero invece villaggi alle dipendenze delle nuove città: in particolare la coltivazione della terra e la produzione alimentare rimasero attività tipiche dei villaggi, mentre la proprietà della terra apparteneva al tempio o al palazzo reale o alle potenti famiglie cittadine e nelle città si concentravano le ricchezze derivanti dalle industrie e dai commerci.
Nel Vicino Oriente antico la regione dove sorsero le prime città fu la Bassa Mesopotamia, dove nacque e si sviluppò la civiltà dei Sumeri, di cui si parlerà tra poco.

Lo sviluppo dell'organizzazione urbana comportò come immediata conseguenza l'evoluzione della pratica della scrittura, necessaria per registrare gli eventi dell'amministrazione, dalle piccole transizioni commerciali, ai rapporti tra cittadino e potere, ai grandi trattati fra centri di governo. I documenti scritti del Vicino Oriente Antico che sono arrivati fino a noi coprono questi vari aspetti della vita sociale e possono essere distinti in testi religiosi e mitici, scientifici, giuridici, storici, letterari, privati. Per quanto riguarda gli strumenti scrittori, viene usata soprattutto l'argilla (in forma di tavolette o di sigilli cilindrici), ma anche avorio e pietra (prima piatti, poi di forma cilindrica). Si trovano inoltre epigrafi su statue e stele.
Il tipo di scrittura utilizzata nel Vicino Oriente � di tipo cuneiforme e fu adottata da popoli di lingue differenti. Tra le più antiche scritture cuneiformi usate per esprimere lingue semitiche troviamo quella eblaita, utilizzata appunto nella città di Ebla, in Siria, fin dal 2.300 a.C.: Ebla ha restituito una grande quantità di tavolette di argilla contenenti testi amministrativi, politici, privati, medici. Posteriore alla scrittura eblaita è la scrittura delle città di Mari (2.000-1.800 a.C.). Intorno al 1.800 si diffonde il babilonese, la scrittura di Babilonia, la città più importante della Mesopotamia. Più tardi, verso il 1.700 a.C., nell'Alta Mesopotamia si diffonde l'assiro, dal nome della capitale dello stato Assur.
La prima scrittura cuneiforme esprimente una lingua indoeuropea è quella ittita, documentata in Anatolia fin dal 1.500 a.C.. Solo nel VI secolo a.C., nell'altopiano iranico, si diffuse il persiano antico.
Con lo sviluppo della lingua, anche il sistema di scrittura si modifica: dalla pittografia si passa all'uso degli ideogrammi, quindi si arriva alla creazione di segni sillabici, che andavano a costituire le parole. Per un lungo periodo il sistema sillabico si affianca ma non sostituisce il sistema degli ideogrammi, quindi, ad esempio, per esprimere la parola casa si poteva ricorrere al'ideogramma, ossia al disegno schematizzato, della casa, oppure utilizzare i segni rappresentanti le sillabe della parola. Grazie alle popolazioni della zona siro-palestinese fu avviata una semplificazione della scrittura che avrebbe finito per condurre all'alfabeto: si iniziò con l'eliminazione degli ideogrammi e dei segni sillabici e l'introduzione di segni consonantici. Ad ogni segno corrisponde un fonema: nasce l'alfabeto fonetico, le cui prime testimonianze provengono dal Sinai (1.600 - 1.500 a.C.) e vengono perciò dette proto-sinaitiche.



I Sumeri e gli Accadi

sconosciuta è l'origine della prima rilevante civiltà che si sviluppò in Mesopotamia: il popolo dei Sumeri, di origine non semitica, come ha dimostrato lo studio della lingua, si stanziò nella parte meridionale della pianura tra Tigri ed Eufrate probasbilmente già verso il 4.000 a.C., proveniento dai monti armeni. Chiamarono il nuovo territorio Kenger, termine che probabilmente voleva dire, nella loro lingua, “canna” o “signore della canna” (con esplicito riferimento alla morfologia del terreno paludoso della Bassa Mesopotamia) e che dal successivo popolo degli Accadi fu tradotto con Shumer, da cui il termine correntemente usato per identificarli.
Applicandosi allo sviluppo dell'ingegneria idraulica, i Sumeri furono i primi a irregimentare il corso e la portata dei fiumi ai fini dell'irrigazione e, verso il 3.500, iniziano a costituire quei centri urbani che sempre rimarranno nella storia sumera come citt&agrave-Stato autonome e distinte, sostanzialmente refrattarie a tentativi di costruire forme di organizzazione statale sovraordinate: sono le città di Ur, Uruk, Umma, Lagash, Kish, Nippur, queste ultime quasi ai confini settentrionali della Bassa Mesopotamia..
Tra il 2850 e il 2450 si estende il cosiddetto periodo protodinastico, durante il quale le diverse città si contendono la supremazia sul paese, essendo ognuna guidata da un re-sacerdote che, ricevuta l'investitura dalla divinità, governa in suo nome e si presenta come tramite tra la popolazione e gli dei. Solo in un secondo tempo inizieranno a distinguersi il re quale lugal (“signore” e lo shangu, ossia il sacerdote, amministratore del tempio.
A partire dal 2.450 a.C. inizia ad affermarsi la dinastia della città di Lagash, che, con il re Eannatum, arriva a estendere il proprio potere fino alla città di Mari: un'impresa del re di Lagash, ossia la conquista della città di Umma, è rappresentata nella cosiddetta stele degli avvoltoi.
La civiltà sumera si sta avviando alla conclusione, fiaccata dai contrasti tra i diversi centri di potere e dalla rivalitˆ tra i re e la classe sacerdotale: nel momento dell'agonia, prima del 2.350 a.C., due re si scontrano, proponendo ognuno una via d'uscita dalla decadenza. Il re di Lagash Urukagina individua il principale motivo della crisi nella corruzione dell'amministrazione e nello strapotere dei sacerdoti e in questo senso muove la propria azione, sostenendo una politica di riforme sociali, a vantaggio delle classi povere, e amministrative, a sostegno della propria guida centrale. L'opposizione dei sacerdoti a Urukagina si concretizza nel sostegno fornito al re di Umma, Lugalzaggisi, il cui nome vuol dire significativamente “Signore dei paesi”, che, in accordo proprio con l'apparato di potere dei templi, avvia per la prima volta nella storia sumera una politica imperialista, volta a unificare in un unico corpo statale i vari particolarismi della Bassa Mesopotamia. Il tentativo unificatore sarà però stroncato dall'invasione di un popolo proveniente dai monti Zagros, che separano a nord-est la Mesopotamia dall'altopiano iranico: gli Accadi del re Sargon occupano tutto il territorio dei Sumeri, spingendosi fino a nord nella regione siriana, e introducono una nuova forma istituzionale, riprendendo e approfondendo l'esperimento di Lugalzaggisi. Per la prima volta si diffonde in Oriente quello che diventerà, soprattutto agli occhi dei Greci, il suo tratto distintivo: l'idea di impero universale, ossia di quella forma di governo che, scavalcando i limiti particolaristici delle citt&agrave-Stato, ingloba popoli diversi per lingua e stirpe in un'unica struttura politico-amministrativa. Sargon è il primo nella storia a introdurre la struttura e la forma di impero sovranazionale, governato dal centro della nuova capitale Akkad: Sargon stesso si fece chiamare “Signore delle quattro parti del mondo”, perché il suo potere si estendeva sui sumeri a sud, sugli Elamiti a est, su Mari a nord, su Ebla, a ovest. Anche la civiltà accadica fu scardinata da un'invasione, questa volta operata dalla popolazione nomade dei Gutei, che, a partire dal 2.150 a.C., dominarono sulla popolazione sumerico-accadica, senza lasciare però tracce significative. Verso il 2.050 a.C., per iniziativa della sumerica Lagash, i gutei furono cacciati e la civiltà sumerica benefici˜ di un ultimo, effimero, periodo di relativo splendore.



L'organizzazione politico-sociale dei Sumeri. La religione. Il sapere

Si è detto della figura del re sumerico, che nasce come unica figura di capo politico-religioso detto En, “Signore”, per poi sottostare alla distinzione fra lugal e shangu, con la prevalenza del primo sul secondo, anche se, come visto, non mancano nella storia sumerica, come in quella egizia, momenti di aperto contrasto fra potere regale e potere sacerdotale, che si materializzava architettonicamente nelle ziqqurat, enorme edificio a più livelli concentrici, che fungeva sia da luogo sacro, sia da centro amministrativo della classe sacerdotale ed economico, quale luogo di commercio.
Nelle fasi in cui una città estende il proprio potere sulle altre, emergono le figure dei governatori locali, gli ensi.
Ai nobili spettavano i compiti di alta amministrazione: erano esenti da imposte, che invece ricadevano sui lavoratori. È attestata con sicurezza l'esistenza di schiavi, che diventavano tali come prigionieri di guerra o come debitori insolventi, che avevano offerto in garanzia del prestito la propria persona.

La mitologia sumerica ospita divinità antropomorfe, inserite in una precisa gerarchia, che però differiva da città a città: a Uruk a capo del pantheon era Anu, dio rappresentante i fenomeni celesti; la divinità principale di Nippur era, invece, Enlil, dio del vento e della tempesta; a Eridu era venerato particolarmente Enki, dio delle acque.
Tra i diversi testi in cuneiforme pervenuti sino a noi è degna di nota la storia di Gilgamesh, che conosciamo attraverso la versione assira del VII secolo a.C., ritrovata su dodici tavolette di argilla: Gilgamesh, re di Uruk, addolorato per la morte dell'amico Enkidu, abbandona il potere e inizia una serie di peregrinazioni alla ricerca della pianta dell'immortalità, allo scopo di riportare in vita l'amico; la trova in fondo al mare, ma la pianta viene distrutta da un serpente. a gilgamesh non rimane che accogliere l'effimero dono del dio degli inferi, che gli concede di incontrare per l'ultima volta, l'anima di Enkidu, il quale parla in tono afflitto della trisste condizione dei morti.

La saga di Gilgamesh è solamente uno dei numerosi testi ritrovati, che testimoniano della cultura sumerica, non solo nel campo del sacro, ma anche in diversi settori scientifici: possiamo, ad esempio, attribuire ai Sumeri l'introduzione del sistema sessagesimale, l'utilizzazione delle frazioni, l'estrazione delle radici quadrate e cubiche, nonchŽ la conoscenza di principi di geometria piana e solida e di astronomia.



I Babilonesi: il periodo del primo impero

Tra il III e il II millennio a.C. emerge, nella Media Mesopotamia, la popolazione semita degli Amorrei, che, fra le altre città, fonda Babel, destinata a diventare la potente Babilonia.
Nel 1768 a.C. sale al trono di Babilonia il terzo re della dinastia amorrea, Hammurabi, il cui nome significa “Ammu è guaritore”, che estende il controllo della città su tutta la Mesopotamia, creando così il cosiddetto primo impero babilonese. Dopo la conquista Hammurabi si dedica all'organizzazione del nuovo organismo allo scopo di creare un organismo multiforme, ma omogeneo: pone a capo delle province propri governatori, innalza al vertice del pantheon il dio Marduk, pubblica un codice di leggi che regola il diritto penale, fissando regole severe, ma stabili: la certezza del diritto è ricercata attraverso l'applicazione del principio della rivalsa, valido tra persone della stessa classe sociale. Se un nobile procurava una ferita a un altro nobile, la vittima aveva per legge il diritto di procurare all'agggressore la stessa ferita; se un nobile feriva un uomo di condizione inferiore, era condannato al pagamento di un'indennità.
Il codice è pervenuto su alcune frammentarie tavolette di argilla, ma è anche conservato, nella sua interezza, su na stele di basalto, oggi al Louvre.
Fu un invasione violenta ad abbattere il primo impero babilonese: nel 1.600 a.C. i nomadi Cassiti, provenienti dal Caucaso, invasero la Mesopotamia e vi si stanziarono, condannandola a secoli di regresso e stagnazione. Verso il 1.160 gli Elamiti, di origine iranica presero e saccheggiarono Babilonia, consentendo che un altro popolo, già presente in Alta Mesopotamia fin dall'inizio del II millennio, si innalzasse verso il controllo della regione: gli Assiri.

 

Gli Assiri

Il popolo degli Assiri, di origine semitica, emerge come entità distinguibile già verso la metà del III millennio a.C., mentre nella Mesopotamia prevale la cultura sumerica. È con la caduta dei Sumeri che gli Assiri riescono a ritagliarsi un proprio spazio e danno inizio a un'evoluzione storico-istituzionale che si suole suddividere in tre periodi: durante l'Antico Impero (1950 - 1365 a.C.) gli Assiri sono concentrati attorno alle città di Assur, la cui economia si basava essenzialmente sui commerci, e Ninive, che traeva le proprie risorse prevalentemente dall'agricoltura. Minimi sono i tentativi di espansione a sud, verso la Mesopotamia, e a nord-est, verso la Siria e il Mediterraneo, settori controllati dagli Hittiti.
Il Medio impero (1365 - 932 a.C.) vede concretizzarsi l'evoluzione della potenza assira in senso militare: l'esercito, in cui spiccava la forza della cavalleria, l'uso dei carri da guerra e la potenza degli arcieri, viene strutturato come devastante macchina da guerra guidata da generali che si specializzano nella strategia militare. Le conquiste territoriali effettuate, nella regione siriane e nel settore di Babilonia, ormai in decadenza, vengono rese maggiormente stabili con la tecnica dello svuotamento territoriale: le popolazioni vinte vengono in parte distrutte, in parte deportate in Assiria in condizioni schiavili. Il terrore fu dunque lo strumento scelto dagli Assiri per tenere soggiogate le popolazioni cnquistate, ma si rivelò anche un'arma ostile agli Assiri stessi, perché le genti conquistate, mai né assimilate né integrate nella compagine statale del vincitore, si sentirono sempre estranee all'impero assiro e mai poterono essere utilizzati dagli Assiri come validi aiuti militari per la difesa del territorio
Durante il Nuovo Impero (932 - 612 a.C.) gli Assiri raggiungono la massima espansione territoriale. Con Assurnasirpal II (884 - 859 a.C.) conquistano la Siria, la Fenicia e l'Urartu, nella regione armena. Con Tiglatpileser III (745 - 727 a.C.) e (727 a.C. - 722) annientano l'ultima resistenza di Damasco e dissolvono il regno di Israele. Assurbanipal (669 - 626 a.C.) assoggetta a est l'Elam e a ovest l'Egitto, facendo dell'impero assiro l'entità sovranazionale pi&u vasta mai costituita. di Assurbanipal si ricorda, inoltre, l'edificazione e l'allestimento della grande biblioteca di Ninive, che conteneva almeno 30.000 tavolette di argilla (tra queste, come visto, la redazione assira del mito di Gilgamesh).
Alla morte di Assurbanipal la coesione interna viene rapidamente dissolta da contrasti e rivalità di potere che lasciano gli Assiri, come detto incapaci di utilizzare a loro vantaggio il sostegno dei popoli sottomessi in balia dei Medi, i quali, guidati da Ciassare, assediano e conquistano Ninive nel 612 a.C., dividendosi con i rinati Babilonesi i territori di Assur.



Il periodo del secondo impero babilonese (612 - 539 a.C.)

Il rinato splendore di Babilonia fu opera soprattutto del re Nebukadnezar, conosciuto come Nabuccodonosor, che governò dal 604 al 562 a.C. e port˜ le truppe babilonesi a occupare la Siria e l'Egitto. Nella regione siro-palestinese i Babilonesi urtarono contro la resistenza del regno di Giuda, guidato da Gerusalemme, che fu conquistata: distrutto il tempio, parte della popolazione venne deportata a Babilonia. Sotto il suo regno la città di Babilonia raggiunse le dimensioni e la ricchezza che avrebbero stupito i visitatori dei secoli successivi. Tuttavia, il nuovo impero non sopravvisse molto alla morte del sovrano, perché nel 539 a.C. cadde sotto i colpi di Ciro, re dei Persiani, i quali, preso il posto dei Medi, andavano costituendo la nuova forza destinata a dominare sull'Oriente.



Gli Hittiti

Popolo di origine indoeuropea sono gli HIttiti, dal toponimo anatolico Hatti, che intorno al 1.800 a.C. si stabiliscono lungo il fiume Halys, in Anatolia, quando il re Anitta tenta di unificare tutto il territorio sotto il suo potere. Circa due secoli dopo, il tentativo di vincere i poteri particolaristici dei vari signori fu ripetuto e si creò uno stato unitario grazie all'iniziativa del re Khattusilis I, dal quale prese nome la città di Khattusa. Con il regno ittita convive in Anatolia un altro regno, quello di Mitanni, abitato dai Khurriti: la coesistenza dura fino alla fondazione dell'impero ittita ad opera del re Suppiluliumas I (1380 - 1346), il quale avvia una politica espansionistica che porta gli Ittiti fino a Qadesh, città della Siria nordoccidentale. Qui nel 1285 gli Ittiti, guidati da Muwatallis, sconfiggono gli Egizi di Ramses II e impongono loro un trattato di non espansione nella regione siro-palestinese.
Uno dei motivi dei successi militari ittiti va ricercato nella lavorazione del ferro per le armi da guerra e nell'uso del carro falcato da guerra: queste caratteristiche, tuttavia, non valsero a preservare l'impero, che fu sempre minato dai tentativi particolaristici dei governatori locali che si muovevano in un sistema quasi feudale, dall'invasione devastante dei cosiddetti Popoli del mare, i quali causarono uno scompiglio generale nel bacino orientale del Mediterraneo tra XIII e XII secolo a.C., causando, tra l'altro, la dissoluzione della potenza ittita.



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Gli Ebrei

L'esistenza degli Ebrei è documentata già nei testi sumerici con il nome di Haribu. Verso il 2.000 si muovono da Ur verso Harran, nell'alto Eufrate e dopo qualche tempo raggiungono quella regione meridionale della Siria, che sarà chiamata dai Greci Palestina e dagli Ebrei stessi terra di Canaan. Nel 1.800 a.C. subirono l'invasione degli Hyksos e, verosimilmente, si spostarono insieme a loro in Egitto. Secondo la Bibbia, verso il 1.250 sotto la guida di Mosè si sollevarono contro gli Egizi e scapparono dall'Egitto attraverso Mar Rosso e il deserto del Sinai, dove Mosè abituò il popolo a praticare una religione monoteista. Mosè, dopo aver preso le tavole della legge, condusse gli Ebrei alla conquista di Gerico e della Terra di Canaan, verso il 1.200 a.C., contemporaneamente all'arrivo dei Popoli del Mare che, in questo regione, si identificano con i Peleset, ossia con i Filistei, con cui gli Ebrei iniziarono una lunghissima contesa per il controllo del territorio.
Gli Ebrei conservarono per molto tempo la divisione in dodici trib&ugrave: solo in caso di emergenza e grave pericolo eleggevano un giudice come capo comune e guida dell'esercito. Per questo motivo il periodo successivo all'arrivo nella terra di Canaan viene definito età dei giudici (1.200 - 1.030 a.C.).
Per meglio resistere ai nemici e rafforzare l'unità politica nel 1.020 a.C. elessero un re: il primo re fu Saul, che rafforzò il controllo del territorio sconfiggendo a pi&u riprese le popolazioni che si opponevano all'insediamento e alla penetrazione ebraica, soprattutto Filistei e Moabiti. Morì combattendo con i Filistei. Il suo successore, , unificò tutto il territorio, scegliendo Gerusalemme come capitale. A David succedette il figlio Salomone, che diventò famoso per la costruzione del tempio di Gerusalemme, in cui venne collocata l'Arca dell'Alleanza.
In seguito la popolazione si ribellò al potere del re e all'ingente tassazione per le opere pubbliche e la frattura portò nel 932 alla costituzione di due regni: il regno di Israele a nord, con capitale Samaria, e il regno di Giuda a sud, con capitale Gerusalemme. La divisione rese deboli i due piccoli regni: prima il regno di Israele cadde sotto i colpi degli Assiri, nel 722 a.C., Samaria fu distrutta e gran parte della popolazione deportata; poi il regno di Giuda viene conquistato e Gerusalemme distrutta dai Babilonesi, che nel 587 a.C. deportano gli Ebrei come prigionieri a Babilonia. Il re dei Persiani Ciro, dopo aver conquistato Babilonia, liberò gli Ebrei e consentì loro di tornare in Palestina nel 538 a.C.. Dopo varie vicissitudini, gli Ebrei finiranno sotto il controllo dei Romani che reprimeranno violentemente la loro rivolta verso il 70 d.C. distruggendo Gerusalemme e dando inizio alla cosiddetta diaspora ebraica.



I Fenici

I Fenici (dal greco phoinikos = “rosso”) erano così chiamati dai Greci probabilmente perchè erano produttori di porpora. Biblo, Tiro, Sidone e altre città fenice si distinsero come empori tra secondo e primo millennio a.C.: il periodo di maggiore espansione dei Fenici si colloca infatti tra il 1.200 e il 600 a.C. circa, quando vengono fondate nel Mediterraneo le colonie di Cadice e Malaga in Spagna, Marsiglia, Cagliari e Palermo in Italia, Cartagine, mentre la scomparsa della cultura fenicia può essere individuata nella conquista della città di Tiro da parte di Alessandro Magno nel 332 a.C.. Mai nella storia fenicia è possibile parlare di unità statale che superasse i confini delle singole città, in quanto furono i singoli centri a prevalere come organismi autonomi, intessendo una vasta rete di commerci e di scambi per tutto il Mediterraneo. Frutto di questa trama di comunicazione fu anche l'introduzione in Grecia della principale invenzione linguistica fenicia, l'alfabeto.
I Fenici entrarono innanzi tutto in contatto con genti che iniziavano a utilizzare un sistema fonetico, in cui ad ogni segno scrittorio veniva associato un suono, non più una sillaba, e modificarono a loro volta questo nuovo sistema alfabetico, usato già a Ugarit (odierna Ras Shamra), adattando e modificando i segni fonetici; quindi lo trasmisero ai Greci, con cui erano in comunicazione commerciale, tra IX e VIII. Si ipotizza che il luogo del passaggio possa essere stato Creta. Nacque così l'alfabeto greco, con l'aggiunta di nuovi segni tramite i quali i Greci riuscirono a esprimere le vocali, che nell'alfabeto consonantico fenicio non venivano segnate. Nello stesso periodo i Greci dell'Italia meridionale a loro volta trasmisero l'alfabeto agli Etruschi, i quali lo introdussero in Italia e in Europa.







LA CIVILTÀ CRETESE

Nell'isola di Creta si sviluppa, in particolare nel periodo tra 2.000 e 1.400 a.C. una civiltà dalle origini misteriose, che si esprimeva in una lingua ancora sconosciuta dato che i sistemi di scrittura non sono stati decifrati. I suoi centri principali sono costituiti dai palazzi di Cnosso, Festo e Mallia; viene definita minoica dal nome del mitico re di Cnosso, sotto il cui comando, secondo gli storici antichi, l'isola acquisì il controllo sul Mediterraneo orientale.
La ricerca storica individua tre fasi dell'evoluzione storica cretese, così denominati:

    periodo protopalaziale o dei primi palazzi, dal 2.000 al 1700 a.C. circa, originariamente la costruzione dei palazzi si faceva coincidere con l'inizio dell'età del bronzo, ma l'indagine più recente tende a innalzare la fine del Neolitico nell'isola al 2.500 o anche al 3.000 a.C.. È questa la fase in cui emergono i singoli centri di potere, che sembrano svolgere vita autonoma.


    periodo palaziale, dal 1.700 al 1450 a.C., che coincide con la fase di maggior splendore nell'isola, dominata dal centro di Cnosso, di cui è re Minosse. A questa fase corrisponde la descrizione che lo storico ateniese Tucidide (I, IV) abbozza relativamente alla talassocrazia minoica: “Minosse [...] fu il più antico tra quelli che conosciamo a possedere una flotta, a dominare sulla maggior parte del mare che ora si chiama greco, a governare sulle isole Cicladi e a colonizzarne la maggior parte, dopo averne scacciato i Cari e avervi insediato i figli come capi. Per quanto poté, cercò naturalmente di eliminare dal mare la pirateria, perché gli arrivassero i tributi con maggiore facilità”. La fase palaziale termina rovinosamente per le devastazioni del terremoto conseguente all'esplosione del vulcano di Santorini


    periodo neopalaziale, dal 1450 al 1.100 circa: nei palazzi distrutti si insediano i Micenei provenienti dalla Grecia, che spostano il centro del potere da Cnosso a Kydonia, corrispondente all'odierna Chanià, e mantengono il controllo dell'isola fino all'arrivo dei Dori.

Cnosso si presenta dunque come il centro principale dell'isola, capace di governare su un territorio unificato per oltre tre secolo e di controllare i traffici marittimi e commerciali nel Mediterraneo orientale, entrando in contatto anche con gli Egizi, che conoscono i Cretesi con il nome di Keftiu. La figura di Minosse, di cui Tucidide accetta l'esistenza, rifiutata invece da Erodoto, rappresenta comunque il simbolo del potere cretese sui mari, un potere che viene interpretato come prevalenza economica, più che politica: anche il mito del Minotauro e del labirinto rientrano in questo contesto di supremazia. Il Minotauro, mostro dal corspo umano e dalla testa di Toro, nato dall'unione tra la moglie di Minosse, Pasifae, e un toro uscito dal mare, viene rinchiuso in una struttura a labirinto, costruita per Minosse da Dedalo: al Minotauro vengono sacrificati ogni anno quindici giovani provenienti da Atene. Se la figura centrale del toro nel mito trova corrispondenze nei culti cretesi, nel contesto di riti di iniziazione e della fertilità, il tributo di sangue pagato annualmente da Atene simboleggia la sottomissione dei centri dell'Egeo a Creta durante il regno di Minosse. Secondo il mito è l'eroe Teseo, figlio del re ateniese Egeo, a penetrare nel labirinto, con l'aiuto della figlia di Minosse Arianna e a uccidere il mostro.
Il palazzo di Cnosso, scavato dall'archeologo inglese Arthur Evans agli inizi del Novecento, e quello di Festo, indagato dall'italiano Halbherr nello stesso periodo, hanno restituito molta parte di sè, presentandosi come vasti centri polivalenti, che si sviluppavano attorno a un cortile centrale e si estendevano su terreni pianeggianti, inglobando le sale del potere e dell-amministrazione, recinti sacri, magazzini, senza essere dotati di particolari sistemi difensivi, perché il dominio sui mari garantiva gli abitanti nei confronti di asalti esterni. Molto di più potremmo sapere della civiltà cretese, se riuscissimo a decifrarne i due tipi di scrittura utilizzati dai minoici a partire dal periodo protopalaziale, la geroglifica, i cui esempi sono stati rinvenuti soprattutto a Cnosso e Mallia, e la lineare A, attestata a Festo, e a costituirci un idea su quale lingua, o quali lingue, esprimessero. Entrambe le scritture, sillabiche, sembrano convivere nel periodo protopalaziale, mentre la lineare A, che sembra essere una scrittura indipendente e non derivata dalla geroglifica, come spesso supposto, prende il sopravvento nella Cnosso del periodo palaziale. Una terza scrittura è attestata dal cosiddetto disco di Festo, un manufatto in argilla ritrovato negli scavi di Halbherr nel 1908 e riportante un'iscrizione ad andamento circolare costituita da 45 segni, che non appartengono né alla geroglifica, né alla lineare A, ma sembrano comunque avere valore sillabico.
Nel periodo della dominazione micenea alle due precedenti scritture si sostituisce la scrittura dei vincitori, la cosiddetta lineare B, sistema di tipo sillabico che esprimeva la lingua micenea, che altro non è se non la forma del Greco arcaico.



LA CIVILTÀ MICENEA

La popolazione che darà vita alla civiltà micenea arriva nella penisola greca verso l'inizio del II millennio a.C., ma è solo verso il 1.500 che i tratti della nuova cultura si rendono evidenti, attorno ai centri di Micene e Tirinto in Argolide, Pilo in Messenia, Tebe in Beozia, Iolco in Tessaglia.
Gli insediamenti micenei si presentano molto diversi dagli ampi e distesi palazzi minoici e testimoniano di una realtà politica frammentata e gravida di minacce esterne, che impongono la predisposizione di un saldo sistema difensivo: i palazzi micenei, costruiti attorno a una sala centrale ad accesso controllato (il megaron), sono infatti rocche fortificate, racchiuse in mura che la storia dell'arte, riprendendo definizioni antiche, chiama “ciclopiche”, con scarse aperture verso l'esterno: soprattutto i resti di Micene e Tirinto costituiscono evidenti esempi di tale modello abitativo e conoscienza che ne abbiamo dipende dagli scavi effettuati a partire dal 1876 dall'archeologo dilettante Heinrich Schliemann, assistito dall'archeologo profennionista Doerpfeld: dopo aver scoperto sul colle di Hissarlik i resti di Troia, sempre lasciandosi guidare dai poemi omerici, in particolare a Micene scavò complessi funerari che attribuì, falsamente, alla famiglia degli Atridi.
Gran parte della conoscenza della struttura politica e sociale della società micenea la dobbiamo, invece, alla decifrazione della scrittura definita lineare B, operata a partire dalle intuizioni di un architetto che si dilettava in filologia, Michael Ventris, che, dopo alcuni tentativi, nel 1952 capì che dietro i segni sillabici della scrittura si nascondeva una forma di lingua greca. La lineare B è attestata su migliaia di tavolette di argilla, ritrovate soprattutto a Micene, Tirinto, Pilo, Tebe e Cnosso, che venne occupata dai Micenei dopo la catastrofe dei palazzi minoici del 1450 a.C.: si tratta di documenti di archivio contenenti vari tipi di registrazioni collegate alle attività amministrative dei palazzi. Lo studio delle tavolette restituisce l'immagine di una società strutturata in senso gerarchico, guidata da un monarca assoluto, il wanaka, coadiuvato dal capo militare, il lawagheta, e da tre funzionari maggiori, i tereta: dal re supremo dipendeva qualunque decisione politica, amministrativa o militare; il palazzo controllava verticisticamente tutta l'economia micenea, gestendo la produzione agricola, la principale risorsa della società, le attività artigianali, le risorse schiavili. Alcuni aspetti della societ&amicenea sono testimoniati dall'Iliade e dall'Odissea, attraverso però il filtro di un autore che compone circa quattro secoli dopo la scomparsa della civiltà e descrive un mondo composito, costituito da elementi tratti dalla civiltà di Micene e da elementi desunti dalla società greca del nono od ottavo secolo, a lui contemporanea.
La produzione micenea trovava sbocco anche nei commerci che i Micenei intessero con tutto il Mediterraneo, sia occidentale che orientale, come attestano i relativi manufatti rinvenuti sulle coste spagnole, in Sicilia, Sardegna, nel vicino Oriente, a Cipro, a Creta. Nell'Asia minore occupata dagli Hittiti i Micenei crearono, invece, degli insediamenti stabili, come sembra si debba ricavare dai testi ittiti, che li chiamano Ahhijawa, termine che ricorda quello usato da Omero per identificarli, ossia Achei. Nel contesto dell'espansione a oriente si deve collocare la decennale guerra portata da tutti i centri micenei tra loro alleati contro la città di Troia, forse per eliminare un centro che, posto nei pressi dello stretto dei Dardanelli, costituiva una minaccia per i commerci, potento controllare la via di comunicazione tra Mediterraneo e Mar Nero. La guerra, vinta, sembra non aver prodotto alcun durevole beneficio, dato che poco tempo dopo, a partire dall'inizio del XII secolo a.C, la civiltà micenea si dissolse, travolta dallo sconvolgimento di tutto il Mediterraneo orientale causato dall'arrivo dei cosiddetti Popoli del Mare e, in particolare, dall'invasione del territorio greco da parte della popolazione dei Dori. Alcune tavolette in lineare B rinvenute a Pilo testimoniano la necessità di predisporre guarnigioni militari permanenti sulla costa, come se incombesse sulla civiltà un imminente pericolo di invasione. È tuttavia probabile che tali sconvolgimenti si iscrivessero in una situazione di crisi interna già costituitasi come conseguenza di guerre tra centri micenei o di rivolte intestine ai singoli centri. In ogni caso, la fine dei palazzi micenei è violenta, come attestano archeologicamente le tracce di distruzione rinvenute.
La tradizione letteraria individua comunque nell'invasione dei Dori, popolazione parlante greco e proveniente dal nord e associata mitologicamente agli Eraclidi, il punto di discontinuità tra la civiltà di micene in dissolvimento e quanto viene lentamente a costituirsi in quei secoli successivi che la tradizione della critica storica definisce “secoli bui” o “medioevo ellenico”.



APPROFONDIMENTI
ARTE MINOICA E MICENEA
sintesi di storia dell'arte e dell'architettura della civiltà minoica e della civiltà micenea
CARTOGRAFIA
CRETA
carta con siti di età minoica e classica
ESERCIZI
TEST MULTIPLO
sul VICINO ORIENTE
quiz a risposta multipla, associazioni, integrazioni, vero/falso
ESERCIZI
TEST MULTIPLO
sulle CIVILTÀ CRETESE e MICENEA
quiz a risposta multipla, associazioni, integrazioni, vero/falso




La Grecia

L'età arcaica

La discesa dei Dori

Le fonti antiche sono concordi nell'individuare un importante elemento di discontinuità all'interno della storia greca nella discesa dei Dori, che lo storico Tucidide colloca ottanta anni dopo la fine della guerra di Troia, datata dallo scienziato ellenistico Eratostene al decennio 1194-1184. I Dori, che indicheranno sempre come madrepatria la Doride, piccola regione della parte meridionale della Grecia continentale, tra Focide e Locride, invadono il Peloponneso suddividendosi in tre correnti: una, con a capo Temeno, si stanzia nella regione dell'Argolide, ponendo fine al dominio di Micene; un'altra, guidata da Cresfonte, occupa la Messenia, nella parte sudoccidentale della penisola; la terza, condotta da Euristene e Procle, si insedia nel territorio di Sparta. Diverse saranno, come si vedrà, le modalità di controllo del territorio da parte dei nuovi venuti, ma comune a tutte sarˆ una netta separazione tra l'elemento dorico e l'elemento indigeno, che, sull'esempio di Omero, potremmo chiamare acheo.




La trasformazione delle forme politiche: il basileus e l'aristocrazia

I Dori, che si iscrivono in un quadro politico-sociale già destabilizzato dall'arrivo dei cosiddetti popoli del mare e da contrasti interni allo stesso mondo miceneo, decretano con la loro discesa, la fine dei precedenti rapporti di potere, innescando un processo di trasformazione che riguarderà tutta la Grecia e anche quelle regioni, come l'Attica e l'Arcadia, che non vengono interessate direttamente dall'invasione e che, per questo, rivendicheranno sempre la propria autoctonia, ossia il fatto che la propria popolazione ha sempre mantenuto un carattere indigeno, non essendosi mai mischiata con altri popoli.
La modificazione sociale e politica è, tuttavia, un fatto generale che investe tutta la Grecia e si sostanzia, soprattutto, nella mutazione della gerarchia e delle forme del potere: al dominio assoluto del wanaka miceneo (che il greco successivo chiama anax) si sostituisce il potere ridotto del re, il basileus, che viene limitato e controllato nella sua azione dalla classe aristocratica, i cui esponenti maggiori costituiscono un consiglio all'interno del quale il re deve confrontarsi quale primus inter pares. Si è quindi dissolta la preminenza del wanaka che, nello stato miceneo, era al vertice della società rigidamente gerarchizzata, mentre inizia un processo di allargamento della sfera del potere in primo luogo in favore delle famiglie più ricche, che detengono le sostanze necessarie per sostenere l'economia e la difesa della società. Nel contesto di crisi della società micenea, mentre il wanaka inizia a perdere il controllo del territorio, emerge la figura del qasireu, il fabbro di corte, vale a dire colui che disponeva della materia prima per costruire le armi, prima il bronzo, ora il ferro: è intorno al qasireu, e non più intorno al wanaka, che verso la fine del XII secolo, si stringono i componenti della società micenea, che individuano nel costruttore dei mezzi di difesa una nuova figura di capo.
Il qasireu della società micenea diventa così il basileus di cui inizia già a parlare Omero: è il re della società greca arcaica, che condivide il potere con la nuova aristocrazia.




La gestazione della polis quale nuovo organismo politico-sociale

La costruzione di una nuova forma politica e sociale passa anche attraverso altre modificazioni. I centri del potere miceneo vengono abbandonati: il nuovo consorzio sociale, in cui un numero maggiore di persone condivide il diritto di governare, ha bisogno di spazi più larghi e con una facilità di movimento sul territorio più estesa di quella che poteva offrire la rocca di Micene. Le nuove comunità abbandonano le roccaforti difese dalle mura poligonali e tendono a espandersi in pianura, alla ricerca di più agevoli vie di comunicazione.
Simbolo della nuova dislocazione urbana è la nascita dell'agorà, che da quel momento diventerà l'emblema della società greca, quale luogo di scambio commerciale e di partecipazione politica: il potere diffuso in una cerchia più larga di persone ha bisogno di esplicarsi al di fuori del megaron dei palazzi micenei, in un luogo che possa ospitare la sede di un consiglio, di una boulé, dove gli aristocratici possano far sentire il peso dei propri pareri e gravare sulle decisioni del basileus. È in questo contesto di allargamento della sfera del potere che nasce il concetto di polis, quale comunità di cittadini che, in quanto tali, godono del diritto inalienabile di prendere parte alle decisioni collettive, dato che il potere non è più appannaggio di una sola persona, ma ricade sui membri del consorzio sociale: proprio il numero dei partecipanti alla vita politica e il criterio della loro individuazione sarà alla base della distinzione tra forme di potere aristocratico, oligarchico e democratico, che attraverseranno tutta la storia greca nella loro diversità e reciproca rivalità, essendo però tutte unificate dall'idea della polis. Se dunque è il Vicino Oriente Antico ad aver visto la nascita delle prime città quali conurbazioni sociali e centri di potere, è in Grecia che nasce l'idea di città quale organismo politico, costituito da membri con il diritto di partecipare alla costruzione della vita della collettivit&agrave: è questo il vero senso del termine polis.
Molto tempo ha impiegato per consolidarsi una trasformazione politico-sociale di così grande portata, che si manifestava e articolava nelle varie parti del suolo greco in un periodo di regressione materiale e culturale che la critica storica ha amato definire, con analogia semplificativa, “medioevo ellenico” o periodo dei “secoli bui”, intendendo con ciò i secoli dal dodicesimo all'ottavo. Effettivamente alcune conquiste della società micenea scompaiono, in primis la scrittura, che viene dimenticata per quasi quattro secoli, finché tra nono e ottavo secolo a.C. I rifiorenti contatti commerciali con l'Oriente consentiranno l'introduzione in Grecia dell'alfabeto fenicio modificato secondo le esigenze indigene; regrediscono le forme di conoscenza tecnica e artistica, la cui involuzione è accompagnata da un generale indebolimento di tutte le capacità produttive, che spinge parte della popolazione a incrementare pratiche di brigantaggio e pirateria. Abbandonata la pietra, si torna a costruire case consistenti in graticci di paglia e fango, radunate in villaggi privi di fortificazioni, i cui abitanti sono costretti a girare armati quale unica forma di difesa.



APPROFONDIMENTI
l'alfabeto greco (.zip file)
storia della nascita e dello sviluppo dell'alfabeto



La prima colonizzazione e le prime forme di relazioni interstatali

In tale contesto di crisi una soluzione è individuata nell'emigrazione verso mete più produttive: la struttura statale che gli Ahhiyawa avevano intessuto nell'Asia Minore ittita funziona da richiamo e a partire dalla metà dell'undicesimo secolo a.C. larghi flussi di persone lasciano la Grecia e, guidati da diversi ecisti, vanno a occupare tutta la costa egea dell'Anatolia, distinguendosi per la prima volta in tre tribù che prendono il nome di Eoli, Ioni e Dori. È la cosiddetta prima colonizzazione, che vede la stirpe degli Eoli, provenienti dalla Tessaglia, dalla Beozia e dall'isola di Eubea, occupare la parte nord della penisola anatolica e insediarsi in particolare nell'isola di Lesbo; gli Ioni, il gruppo senz'altro più folto, provenienti a più ondate in parte da Pilo in Messenia, in parte da Atene, fondano nella parte centrale dodici città, tra cui si distinguono Colofone e Mileto; i Dori controllano la parte meridionale intorno ad Alicarnasso e l'isola di Rodi.
Ioni e Dori sviluppano, inoltre, una originale forma di relazione interstatale costituendo, per un complesso di ragioni economiche e difensive, due federazioni di città incentrate su santuari di rilevanza interstatale: le città ioniche si riuniscono intorno al santuario di Posidone Eliconio, a capo Micale, in una lega che viene chiamata Panionion, ossia capace di stringere insieme tutti gli Ioni; le città doriche fissano invece la sede delle riunioni al santuario di Apollo Trioprio. Tali federazioni, che gli antichi chiamavano anfizionie in quanto costituite da chi abitava intorno al luogo scelto come punto di incontro,avevano il compito di uniformare le decisioni dei singoli stati membri relativamente alla politica estera e alla difesa, garantendo al tempo stesso un regime di accordo e di pace tra i partecipanti; nel tempo tale struttura si diffonde nel resto della Grecia a mitigare gli eccessi particolaristici delle singole poleis, basandosi sull'idea che esitano leggi generali che travalicano i confini delle città e possono costituire il fondamento di azioni comuni.
Mentre i coloni danno vita, in Asia Minore, a città che svolgeranno ruoli significativi nella storia greca futura, nel Peloponneso inizia a d articolarsi un processo, anche violento, di confronto tra i Dori e la popolazione achea residente.




La dinamica politico-sociale nel Peloponneso

In Laconia, nella parte sudorientale del Peloponneso, la fase iniziale di convivenza tra Dori e Achei viene d'un tratto cancellata dalla svolta autoritaria dei nuovi Spartani che, sotto la guida dei re Agide ed Euriponte, decidono di escludere dalla cittadinanza gli indigeni, riservando solo a se stessi i diritti politici. Secondo le fonti, la popolazione achea accetta la nuova condizione, che garantisce comunque il godimento dei diritti civili e forme di autogoverno, ad eccezione degli abitanti di Helos, che si ribellano: la reazione dei Dori di Sparta è violenta, il re Agide assalta i rivoltosi, li sconfigge e li rende schiavi per sempre. Nasce così la tripartizione della società laconica in tre classi, quella degli Spartiati, che si identifica con i Dori, gli unici a godere dei pieni diritti di cittadinanza; quella dei perieci, gli abitanti dei dintorni, ossia gli Achei che hanno accettato la perdita dei diritti politici; infine quella degli Iloti (etnico da Helos?), destinati perennemente alla condizione servile.
In Messenia e in Argolide sembra svolgersi un processo analogo, con la sola assenza della regressione di una parte della popolazione alla condizione di servi. In Messenia, ad una prima fase di parificazione tra Dori e Achei, subentra una fase di predominio dei Dori, che si chiudono nelle loro roccaforti ed escludono la popolazione indigena dalla pienezza dei diritti. In Argolide i Dori paiono condividere il potere con l'aristocrazia achea, mentre gli strati inferiori della popolazione vengono relegati nel territorio ed esclusi dalla vita politica. Diversi sono i nomi con cui sono identificati questi achei costretti ad una condizione di minorità: ad Argo sono conosciuti come Gymnetes, i “nudi”; a Sicione come Katonakophoroi, “portatori di bastoni”, a Megara come “quelli che si vestono con pelli di capra”. Tali appellativi sono significativi perché esprimono con immediatezza l'idea di esclusione: si tratta di gente separata dall'ambiente cittadino, con il quale non condivide nulla, neanche il modo di vestire. La riflessione storico-culturale successiva collocherà questi strati della popolazione a metˆ strada tra la libertà e la schiavit&ugrave.




La formazione della società spartana

Gli Spartani concepivano la loro costituzione come organismo creato in un unico momento da un solo uomo, il legislatore Licurgo, che avrebbe affidato la pubblicazione della struttura politico-amministrativa ad una rhetra, una comunicazione orale.
I cittadini di pieno diritto, gli Spartiati, dovevano consacrare la propria esistenza alla difesa dello Stato: a tale scopo era necessario che su di loro non pendessero obblighi economici o lavorativi. Fondamentale era la funzione degli iloti, gli schiavi pubblici dello stato spartano: proprietà della comunità, e non dei singoli cittadini, gli iloti venivano assegnati dallo stato ad ogni Spartiata perché lavorassero sul lotto di terra, il kleros, che ogni cittadino riceveva in usufrutto al momento della nascita: così lo spartiata, libero da vincoli di sostentamento, a partire dai sei anni di età poteva iniziare l'educazione politico-militare che lo avrebbe condotto a diventare un cittadino-soldato modello, fino ai sessant'anni. Compiuti i trent'anni, lo Spartiata aveva il diritto di partecipare all'assemblea generale di tutti i cittadini, l'apella, che si svolgeva fuori della città, in campagna, perché i suoi membri non fossero distratti dall'estetica dei palazzi e si concentrassero sugli obblighi politici: poche e limitate erano le prerogative dell'apella, che, in ambito legislativo, poteva solamente approvare o respingere i decreti emanati dal consiglio degli anziani, la gherusia. Alla gherusia si aveva accesso solo a partire dai sessant'anni: composta da 28 anziani, scelti dall'apella, e dai due re, la gherusia aveva il pieno potere legislativo e decideva della pace e della guerra.
Unica tra le cittˆ greche, Sparta conserva la diarchia regale, di cui si ignorano le origini, ma si comprende l'utilità, dato che un re poteva limitare il potere dell'altro: ai due re spettava la guida dell'esercito e la celebrazione dei sacrifici.
Al centro della costituzione spartana si colloca l'eforato, un collegio di cinque magistrati con funzioni di controllo e garanzia della legalità: sotto la vigilanza degli efori ricadeva in particolare l'operato dei re, dato che gli Spartani, in tutta la loro storia, mostreranno di temere soprattutto l'insorgere di poteri assoluti e tirannici, mentre esalteranno pi� di ogni altra cosa l'homonoia, ossia la concordia e l'uguaglianza. Gli Spartiati si definivano infatti come homoioi, gli “uguali”, dato che la costituzione imponeva a tutti di mantenersi nella condizione economica e politica che doveva rimanere sempre la stessa per tutti. A tal fine Sparta non coni˜ mai la moneta, dato che la condizione degli Spartiati non doveva mai incrociare gli interessi economici: come detto, lo Spartiata era mantenuto dagli iloti che lavoravano sul kleros a lui assegnato e non doveva avere altro scopo nella vita che perfezionare l'educazione politico-militare, l'agogŽ, a cui era sottoposto dai sei ai sessant'anni, tantomeno poteva avere il diritto di accumulare ricchezze e potere.




La seconda colonizzazione

La situazione sociale e politica della Grecia nell'età arcaica mostra diversi aspetti di precarietà e instabilità: forte è il divario economico tra le classi sociali, limitata la sfera di gestione del potere, amministrato dall'aristocrazia dorica nel Peloponneso e da una ristretta cerchia di famiglie in città non toccate dall'invasione come Atene. Larghi strati della popolazione rimangono esclusi dalla distribuzione delle risorse e non hanno alcuno strumento per avanzare rivendicazioni: tra VIII e VI secolo molteplici sono i modi in cui le città greche nel loro complesso affrontano le questioni più delicate, praticando differenti soluzioni.
Un modo tipico di qualunque società per eliminare il pericolo di rivolte sociali connesse alla povertà e generate dalla condizione di esclusione è liberarsi della fonte di rischio attraverso l'emigrazione: nasce così, a partire dalla metà del secolo ottavo, la spinta a quella che gli storici definiscono come seconda colonizzazione greca, che differisce dalla prima per le motivazioni, la durata e l'ampio raggio dei territori di destinazione.
Le città euboiche di Calcide ed Eretria, Corinto, Megara, le poleis dell'Acaia costituiscono le prime e principali fonti della colonizzazione che si volge a occidente, verso le coste dell'Italia meridionale e della Sicilia. I coloni euboici sono i primi a insediarsi, verso il 750 a.C., nel Tirreno, sull'isola di Ischia, in località Lacco Ameno, dove fondano la colonia di Pythecussa, da cui si muoveranno verso la terraferma antistante a creare Cuma e, in seguito, Neapolis. Coloni della stessa provenienza, rinforzati dai cicladici di Nasso si stabiliscono nel 735 a.C. nella sicula Nasso, che fonderà le subcolonie di Catana e Leontini, e sullo stretto, prima a Zancle (ribattezzata qualche decennio dopo Messana), poi a Reggio. La colonia siciliana destinata a diventare la città più ricca e potente dell'intera isola � la corinzia Siracusa, fondata sull'isola di Ortigia nel 734 a.C. I Corinzi si muovono verso occidente secondo un piano preordinato e finalizzato a creare un canale commerciale, attraverso il golfo di Corinto, lo Ionio e l'Adriatico, tra la madrepatria e le sue colonie: prima di fondare Siracusa, i Corinzi si insediano sulla penisola di Leucade, a controllo dell'imboccatura del golfo, e sull'isola di Kerkyra (Corf�), da cui partono altri coloni a occupare la costa epirotica ad Ambracia e la costa illirica presso e Apollonia: l'aristocrazia delle famiglie dei Bacchiadi, che dal 747 governano Corinto, si assicura in questo modo il controllo di un flusso commerciale destinato a perpetuarsi nel tempo.
Un gruppo misto di coloni provenienti da Rodi e da Creta si ferma sulle coste meridionali dell'isola, verso il 600, fondando Gela, che genererà di lì a poco la subcolonia di Selinunte, e Agrigento.
Dalla regione costiera del Peloponneso settentrionale partono i coloni achei che si stabiliscono su tutto l'arco del golfo ionico, fondando le città di Caulonia, Crotone, Sibari, Siri e Metaponto, mentre Taranto � fondazione degli Spartani, che si liberano così di un pericoloso nucleo di rivolta connesso alle guerre messeniche. Di Sibari è la subcolonia di Posidonia, alla foce del Sele, che i Romani ribattezzeranno Paestum. È in questo settore che nasce la definizione di Megale Hellas, Magna Grecia, in relazione all'estensione del territorio occupato, mentre i Greci di queste città saranno chiamati Italioti e quelli delle colonie siciliane Sicelioti. In Sicilia, al di fuori del controllo greco rimangono i settori nordoccidentali e centrali dell'isola, abitati rispettivamente dai Fenici, che si incentrano a Panormo e Trapani, e da Siculi e Sicani. In Magna Grecia i più grandi pericoli proverranno dagli indigeni Lucani e Sanniti, contro i quali la città di Taranto in particolare chiederà aiuto a più riprese alla madrepatria Sparta e al continente greco.




Legislatori e tiranni

La seconda modalità con cui le città affrontano la questione politico-sociale inerisce al campo giuridico e legislativo e sfocia, talvolta attraverso scelte concordate, in alcuni casi per mezzo dell'imposizione violenta di una parte sull'altra, alla riforma istituzionale di tutto il complesso statale e alla trasformazione della legislazione dall'ambito delle tradizioni orali alla codificazione scritta. È proprio del pensiero e della forma di governo aristocratica avvalersi di leggi non scritte, custodite dalla memoria degli ieromnemoni, i “sacri custodi della memoria”, che rispondono a principi di diritto risalenti agli antenati: l'omerica themis, il diritto orale della tradizione, ordina le poleis dell'alto arcaismo. Ma è proprio nell'ambiente aristocratico allargato, quando la sfera del potere si amplia con l'ingresso di nuovi ghene, che sorge l'esigenza di passare dalla themis alla dike, dal diritto orale alla codificazione scritta, che garantisce con maggior sicurezza la certezza della norma e sottrae la legge all'arbitrio di pochi. La polis aristocratica di Gortina, nell'isola di Creta, fornisce il primo esempio di codificazione scritta, restituito da una famosa iscrizione.
Vi sono casi in cui la polis affida il compito della legiferazione scritta, che comporta anche una profonda revisione costituzionale, a una specifica persona, un sapiente che mette a disposizione della comunità la propria conoscenza: a Sparta, secondo la tradizione, svolse questa funzione Licurgo, ma casi accertati storicamente sono quelli di Caronda a Catana e di Zaleuco a Locri. Le leggi ateniesi di Dracone e di Solone, di cui si parlerà in seguito, si iscrivono in questo quadro.
Quando una città affida volontariamente a un singolo importanti compiti di revisione costituzionale, attribuendogli temporaneamente poteri straordinari, si crea la figura istituzionale dell'esimnete, “colui che distribuisce in parti uguali”: si tratta di un magistrato creato al di fuori dell'ordinamento vigente, a cui la polis assegna il compito di riformare lo Stato, creando o modificando il complesso dei diritti politici e civili che spettano alla popolazione. Quando questa assunzione di poteri avviene non sulla base di un accordo generale, ma attraverso una presa violenta del potere, le fonti parlano di tirannia: originariamente, tuttavia, il termine tiranno non riveste quella connotazione dispregiativa, che gli viene assegnata dalle fonti letterarie aristocratiche avverse. Il tiranno greco non è colui che esegue un colpo di Stato per desiderio di potere e governa dispoticamente, è invece l'esponente di una fazione che, conquistato il governo della città con la forza, si comporta come esimnete, trasformando e ridistribuendo il potere. La differenza con l'esimnete consiste nella modalità con cui il tiranno acquista il potere e lo mantiene, detenendolo a vita e trasmettendolo, dove gli riesce, ai discendenti. Altra differenza è che il tiranno, che in alcuni casi è un aristocratico, si muove esplicitamente contro l'aristocrazia, scardinandone i privilegi: per questo motivo la storiografia moderna ha spesso definito la tirannia greca come l'anticamera della democrazia.
Nel Peloponneso il tiranno agisce in particolare contro l'aristocrazia dorica, in quanto esclude tutti i cittadini dai diritti politici, allontanando dal potere innanzi tutto i ghene aristocratici e assegnando solo a sé stesso la funzione di governo, ma al tempo stesso estende il campo dei diritti civili, introducendo nella cittadinanza quello strato dell'antica popolazione achea che i Dori avevano relegato nelle campagne: è evidente e altamente significativo il caso di Sicione governata dal tiranno Clistene, nonno del Clistene riformatore ateniese, che crea, accanto alle tre tribù doriche di Ilei, Dimani e Panfili, a cui fra l'altro cambia nome, una quarta tribù, gli Archelaoi, nella quale iscrive la popolazione del territorio. Lo stesso fenomeno giuridico avviene a Megara, a quanto si deduce dalle lamentele del poeta lirico Teagene, che si scaglia contro “quelli che indossano pelli di capra”, ossia i contadini, i quali frequentano ormai non sono più esclusi dagli ambienti cittadini. Il tiranno scardina il potere aristocratico parificando tutti i cittadini con l'esclusione dai diritti politici, da una parte, e con l'inclusione nei diritti civili, dall'altra: egli non governa attraverso il consiglio e i magistrati tradizionali, non frequenta i luoghi politici dell'agorà, stravolge profondamente l'istituzione della polis esercitando il potere da solo al di fuori degli ambienti canonici; sotto il suo potere nessun cittadino gode di diritti politici, non può essere eletto a cariche né può esercitare il diritto di voto, ma tutti sono inclusi nella cittadinanza e possono far valere la difesa di sé e dei propri beni contro gli altri. Dal punto di vista economico, il tiranno viene incontro alle esigenze dei piccoli agricoltori, favorendone la produzione e garantendone la difesa dai grandi possessori, e incrementa soprattutto il commercio, intessendo una fitta rete di importazioni ed esportazioni.
Il sistema economico può essere studiato prendendo in esame il caso di Corinto: qui, la monarchia dell'alto arcaismo aveva ceduto il posto, nel 744 a.C., al governo aristocratico dei ghene dei Bacchiadi, sotto i quali si era sviluppato il fenomeno coloniale che, come si è visto, aveva creato una rete di centri votati al commercio lungo l'asse del golfo di Corinto in connessione con l'Adriatico e l'Occidente. All'interno dei Bacchiadi era sorto colui che ne avrebbe disintegrato il potere, il futuro tiranno Cipselo: sfruttando i contrasti all'interno dei al potere e la crisi generata dalla sconfitta corinzia nella prima battaglia navale che la storia greca ricordi, quella del 668 a.C. presso le isole Sibota, che aveva visto prevalere la colonia Corcira, nel 657 a.C. Cipselo prende il potere con la forza e lo mantiene circondandosi da una protezione armata. Una volta conquistato il potere, non modifica l'impostazione commerciale della cittˆ, anzi ne incrementa le risorse, fondando nuove colonie e sostenendo la produzione artigianale: la ceramica corinzia, diffusa in tutto il Mediterraneo, rimane a testimoniare tale impostazione. L'economia non è comunque tutta basata sul commercio: va ascritta al tiranno l'introduzione di una politica fiscale capace di garantire una pi� equa ridistribuzione della ricchezza e di fornire un valido sostegno ai lavori pubblici. L'imposizione di tasse dirette sul reddito, che il pensiero aristocratico percepisce come una delle pi� grandi violenze alla cittadinanza, ani come la violenza specificamente tirannica, serve a finanziare forme di sussidio per i più poveri e l'esecuzione; e la creazione della fontana Peirene; a Samo, sotto il governo di Policrate, nella seconda metˆ del VI secolo, si costruisce l'acquedotto e si completano i lavori dell'Heraion, uno tra i templi più grandi della grecità, dedicato ad Era; all'ateniese Pisistrato si attribuisce l'inizio dei lavori del gigantesco tempio di Zeus Olimpio, che, ampliato nel II secolo a.C., sarà portato a compimento da Adriano nel II secolo d.C.. In questo modo la popolazione, non potendo frequentare la sfera del potere, oltre a godere della pienezza dei diritti civili, poteva ricavare benefici dalla politica del lavoro e del commercio. A Corinto in particolare il tiranno cura anche l'aspetto culturale e artistico: sotto il governo del figlio di Cipselo, Periandro, viene ospitato in cittˆ il poeta Arione di Metimna, che, secondo Plutarco e Aristotele, metterˆ qui in scena il primo ditirambo, dando inizio alla tragedia.




Aspetti del fenomeno della tirannide

Vi sono alcuni aspetti della tirannia che vanno sottolineati: non si tratta di un fenomeno duraturo, ma di transizione. A causa della modalità in cui il tiranno prende il potere e lo conserva, nella maggior parte dei casi la forma di governo creata muore con lui e la popolazione, da lui introdotta nella pienezza dei diritti civili, inizierà un percorso di avvicinamento alla democrazia. Rari sono i casi in cui il tiranno riesce a creare una piccola dinastia, come a Corinto e Atene, e anche qui il trasferimento del potere è molto limitato nel tempo, fermandosi alla terza generazione a Corinto, dove il nipote di Cipselo, Psammetico, regna solo cinque anni e viene ucciso, o alla seconda generazione ad Atene, dove i figli di Pisistrato vengono l'uno ucciso e l'altro cacciato.
La storiografia moderna ha spesso connesso l'istituzione della tirannide con la riforma oplitica dell'esercito. Tra ottavo e settimo secolo si verifica una trasformazione nel modo di combattere, nell'armatura e, conseguentemente, anche nella tipologia del soldato. Nasce il soldato oplita, armato di piccolo scudo rotondo, elmo, spada, corazza leggera, che non combatte più isolato dagli altri, in singoli duelli con il nemico, come nelle descrizioni omeriche della guerra di Troia, ma si muove quale elemento inserito nel contesto della falange. Gli opliti si muovono in schiere compatte, organizzati fila per fila, proteggendosi il fianco sinistro con lo scudo, offrendo protezione anche al fianco destro del compagno e librando la spada con la destra.
Due sono le conseguenze di questa innovazione: da un punto di vista tattico e strategico, le battaglie si trasformano da un insieme caotico di scontri singoli a uno scontro delimitato spazialmente tra due fronti compatti, che tendono ad avanzare in maniera omogenea, facendo affidamento sulla propria forza d'urto: vi è poco spazio per cambi improvvisi di strategia, la capacità del generale consiste nella scelta del terreno migliore per lo scontro; una volta che le due falangi hanno impattato l'una contro l'altra, si inizia un movimento di tipo circolare verso destra, creato dallo slancio dei soldati che si difendono con lo scudo nella sinistra e colpiscono il nemico con la destra. Tutta la fatica della battaglia ricade sulle prime file degli schieramenti: nel momento in cui cade un soldato della prima fila, il soldato dietro di lui deve essere pronto a prenderne il posto, per evitare l'arretramento delle posizioni.
L'altra conseguenza è di tipo sociale: un tale tipo di combattimento richiede un alto numero di soldati preparati atleticamente e disciplinati, capaci di muoversi all'unisono e forti di uno specifico addestramento. é ormai lontana l'epoca della massa omerica dei laoi che si slanciavano a combattere intorno agli eroi a duello. Il soldato che va a combattere deve aver ricevuto come cittadino un'ampia educaione militare. Molti storici hanno connesso l'emergere dei tiranni con la creazione degli opliti, quasi che il tiranno stesso fosse l'ispiratore della riforma. In realtà la nascita dell'oplitismo è connessa, cronologicamente e logicamente, con l'ambiente aristocratico: le fonti letterarie e archeologiche inquadrano la nascita degli opliti in un tempo precedente alla comparsa dei tiranni e anche in luoghi che non hanno mai conosciuto la tirannide. In secondo luogo, la creazione della falange oplitica si produce nel contesto del potere aristocratico allargato al di fuori dei membri originari: non deve essere interpretata come l'espressione di una forza antiaristocratica, ma come il frutto della partecipazione politica di nuovi ghene comunque legati alla sfera del potere.
Un ultimo aspetto della tirannide riguarda la sua assenza a Sparta, che nella storia si presenta come la cittˆ antitirannica per eccellenza. Tale fenomeno trova spiegazione nelle motivazioni sociali della tirannide, che non si verificano nella Sparta organizzata secondo il sistema licurgheo: in età arcaica, nell'ambiente militarizzato degli Spartiati, dove tutti gli homoioi sono parificati in un'esistenza votata alla guerra, non vi sono i presupposti perchŽ si crei una spinta sociale alla riforma istituzionale. Sparta è invece un ottimo banco di prova per l'introduzione della tattica oplitica, che richiede, per esplicarsi al meglio, un alto grado di omogeneitˆ dei soldati e nessuno meglio degli Spartiati poteva vantare, per educazione e addestramento, tale capacità di agire come corpo unico.




Atene: i rapporti di potere e l'evoluzione politico-sociale

Ad Atene l'evoluzione politica dall'età micenea all'alto arcaismo si svolge secondo linee comuni ad altre città. Benché non toccata dalla discesa dei Dori -e per questo gli Ateniesi rivendicheranno sempre la propria autoctonia-, anche qui la comunità vide scardinarsi la struttura del potere miceneo a favore delle famiglie aristocratiche.
Secondo la tradizione, la città partecipa alla migrazione in Ionia, mentre la figura dell'anax miceneo si trasforma nel più debole basileus a vita, che, nell'ottavo secolo, si trasforma in carica elettiva dotata di potere per soli dieci anni. A fianco di questo basileus, che vede restringersi il potere sia cronologicamente che nella sostanza, compare un magistrato supremo, l'arconte, che assume prerogative tipiche di un capo civile e giudiziario, e un generale supremo, il polemarco, a cui viene assegnata la guida dell'esercito. Quando nella prima metˆ del VII secolo il re si trasforma in magistratura annuale con competenze relegate essenzialmente alla sfera religiosa, la sua figura istituzionale, fissata nella denominazione di basileus, quella dell'arconte e quella del polemarco vanno a costituire il collegio degli arconti, integrato con sei magistrati minori, i tesmoteti, che gestisce l'amministrazione della comunità e viene rinnovato anno per anno.
Un secolo prima di questa trasformazione, si era verificata una importantissima modificazione di natura politico-territoriale che le fonti definiscono sinecismo a attribuiscono falsamente al re Teseo: tutte le comunità sparse sul territorio dell'Attica, da Capo Sunio a Maratona si erano unificate costituendo uno stesso complesso cittadino, che riconosceva i medesimi magistrati e il medesimo Consiglio. Il sinecismo attico non comporta, quindi, un trasferimento di popolazione nel centro cittadino, secondo un fenomeno di urbanizzazione che si verificherà in altri e successivi casi della storia greca, ma si manifesta quale unificazione politica del territorio, che, nella nuova forma, presenta notevoli differenze al suo interno di natura economica e sociale. All'interno, nella fascia montuosa a nord dell'Attica, la maggiorparte della popolazione è scarsa di mezzi e vive del frutto dei propri campi o del proprio lavoro di operaio; al centro, nella cosiddetta mesogea, il territorio è occupato dalle grandi proprietà terriere dell'aristocrazia, mentre sulla costa si distingue la classe media dei commercianti: questa tripartizione, già evidente nel settimo secolo, svolgerà un ruolo determinante nella dinamica politico-sociale del periodo immediatamente successivo.




Atene: la legislazione di Dracone

Nella seconda metà del VII secolo il potere deighene aristocratici non è stabile e diffuso è il malcontento sociale, forte appare il divario tra ricchi e poveri e sempre più persone, indebitatesi avendo prestato a garanzia la propria persona, sono ridotte in schiavitù. In questo contesto, verso il 630 a.C., un gruppo di persone guidate da Cilone tenta di prendere il potere con la forza, sull'esempio dei tiranni diffusi in parecchie città greche, e occupa l'acropoli, ma fallisce nel tentativo: circondati dai cittadini guidati dal ghenos degli Alcmeonidi, i Ciloniani, vedendosi perduti, sono indotti ad abbandonare la roccaforte e a trattare la resa. Nonostante la promessa di risparmiare loro la vita e benché alcuni di loro riuscissero a rifugiarsi presso gli altari delle divinità, che ne avrebbero dovuto garantire l'incolumità, gli Alcmeonidi li uccidono uno per uno, violando anche i luoghi sacri. Per questo sacrilegio gli Alcmeonidi, che avranno illustri discendenti quali Clistene e Pericle, saranno nel corso del tempo più volte condannati all'esilio come sacrileghi.
Eliminato il tentativo tirannico, permangono ad Atene le condizioni di instabilità e si ritiene necessario un intervento complessivo di riforma legislativa e istituzionale: l'arconte Dracone viene investito di poteri straordinari nel 624 a.C. e il suo lavoro produce l'emanazione di un codice legislativo, civile e penale, rimasto famoso per la sua severità. Le fonti attribuiscono anche a Dracone l'istituzione di una boulé, un consiglio rappresentativo con poteri legislativi, ma gli storici tendono a negare l'esistenza di un organo simile, ritenendolo una anticipazione di situazioni posteriori. Potrebbe invece già essere funzionante il Consiglio dell'Areopago, costituito dagli arconti usciti di carica, sul quale ricadeva l'incombenza delle funzioni legislative e giudiziarie.
Tuttavia, neanche l'intervento di Dracone serve a tranquillizzare la comunità, perché lascia irrisolti i nodi relativi alla partecipazione politica e alle questioni economiche e sociali.




Atene: la legislazione di Solone

Nel 594 o nel 591 a.C. viene nominato arconte con poteri straordinari Solone perché, quale “arbitro della costituzione”, come lo definisce Aristotele, riformi alla radice la struttura politica, istituzionale ed economica della città.
Tre sono i campi di intervento di Solone, che riguardano le istituzioni e la distribuzione dei diritti politici, le relazioni economiche e la politica monetaria.
Dal punto di vista politico Solone individua il principale male della città nel sistema bloccato della cittadinanza e introduce il principio della mobilità attraverso l'istituzione delle classi censitarie: divide la popolazione in quattro classi in base al reddito prodotto annualmente e distribuisce i diritti politici tra le classi in relazione al censo. In senso discendente, la prima classe è costituita dai pentacosiomedimni, ossia dai cittadini che ricavano dai propri campi almeno cinquecento medimni di grano o hanno un reddito almeno pari a tale somma; la seconda classe è quella dei cavalieri, ossia dei cittadini che possono mantenere un cavallo e hanno un reddito almeno pari a trecento medimni; la terza classe è costituita dagli zeugiti, coloro che possiedono un campo arabile da una coppia di buoi e dichiarano un reddito almeno pari a duecento medimni; all'ultima classe appartengono i teti, ossia coloro che hanno un reddito inferiore ai duecento medimni, compresi i nullatenenti. Solamente ai pentacosiomedimni è attribuito il diritto elettorale passivo per tutte le magistrature e solo loro possono farsi eleggere quali arconti; ai cavalieri sono aperte le magistrature finanziarie; gli zeugiti possono accedere alle magistrature minori, ad esempio il collegio degli undici, che sovrintendeva a compiti di polizia urbana e alle carceri; ai teti è negato l'accesso a qualsiasi magistratura. Tutte le classi, teti compresi, possono farsi eleggere alla , che è formata sulla base delle antiche classi gentilizie in numero di quattrocento membri, possono partecipare all'assemblea generale, l'ecclesia, e possono costituire le corti del tribunale popolare, l'eliea. Il vero principio innovatore consiste, oltre che nella costituzione delle assemblee legislative e giudiziarie, nella struttura mobile delle classi, basate sul discrimine per censo: chiunque avrebbe avuto la teorica possibilità, arricchendosi, di entrare a far parte dei pentacosiomedimni, accedendo così alla pienezza dei diritti.
Per quanto riguarda l'ambito economico, Solone attua quella che Aristotele chiama lo “scuotimento dei pesi”, ossia l'eliminazione dei debiti contratti sulla garanzia della persona fisica del debitore: come si è detto, era uso comune che il debitore accedesse ai prestiti fornendo come garanzia la propria persona; in caso di insolvenza il debitore diventava possesso personale, quindi schiavo, del creditore. Molti erano i casi di schiavizzazione per debiti diffusi nella cittadinanza ateniese. Solone interviene drasticamente dichiarando nulli tali debiti e restituendo la libertà a questo tipo di schiavi.
In terzo luogo, per facilitare i commerci e dare stimolo agli scambi, decise una riforma monetaria con la quale fu abbandonata la dracma eginetica a favore di quella euboica, più leggera: intento di Solone, che in uno dei suoi componimenti dichiara “Atene madre della Ionia”, � quello di inserire Atene nella trama di commercio delle città ioniche.
Una volta redatto e messo in pratica il piano di riforme, Solone, che ha agito da esimnete, rimette il proprio potere e abbandona temporaneamente Atene, per sottrarsi al tentativo delle parti di attirarlo a s´: ritiene di aver compiuto una buona opera e lo deduce dal fatto che le critiche al suo operato provengono da tutti i lati, quasi che scontentare tutti sia segno di imparzialità. Il complesso di riforme suscitava il malcontento dell'aristocrazia, che si vedeva insidiata nei propri privilegi dalle classi inferiori, ma scontentava i più deboli perché non garantiva loro la piena parificazione dei diritti e, soprattutto, non toccava, se non marginalmente, gli equilibri economici preesistenti: i più poveri rimproveravano in particolare a Solone di non aver proceduto alla ridistribuzione delle terre e non aver attuato una vera e profonda trasformazione nel sistema della proprietà.




Pisistrato: nascita e morte della tirannide ad Atene

Il disordine sociale permane e produce un tentativo tirannico di un tale Damasia, che circa dieci anni dopo Solone cerca di mantenersi all'arcontato per più anni, fino a trovare la morte per mano degli avversari politici. La situazione si mantiene critica per i decenni successivi, mentre si rende sempre più chiara la spaccatura in tre tronconi della popolazione attica, tra quelli della montagna, capeggiati da Pisistrato, quelli della costa legati agli Alcmeonidi, e i ricchi della mesogea stretti intorno al ghenos dei Butadi.
É Pisistrato ad avere la meglio, nel 561 a.C., e, dopo alterne vicende, a vincere la resistenza degli Alcmeonidi e dei Butadi coalizzati insieme e a mantenere il potere fino alla morte nel 528 a.C. Facendo forza sulla fama acquisita come generale, quando aveva condotto gli Ateniesi a conquistare l'isola di Salamina sottraendola ai Megaresi, si fa strada nell'ambiente cittadino come difensore dei più deboli: ottenuta una guardia personale con la scusa di doversi difendere dai nemici, che avevano attentato alla sua vita, se ne serve per prendere il potere con la forza. Scavalcando le istituzioni cittadine, in un discorso pronunciato ai piedi dell'acropoli invita i cittadini a deporre le armi e a non frequentare più, da quel giorno, l'assemblea e il consiglio, ma a dedicarsi ai propri affari, perché da quel momento le questioni pubbliche sarebbero ricadute sotto il suo personale controllo. Secondo Tucidide, negli anni di governo tirannico ad Atene non vennero abolite le istituzioni date alla città da Solone, ma le si svuotarono di contenuto, dato che Pisistrato fece in modo di nominare alle magistrature i suoi uomini.
Pisistrato, che secondo Aristotele fu “umano e molto vicino al popolo”, si dedicò in particolare a risollevare la condizione dei piccoli agricoltori, a cui fornì sussidi economici per sostenerne la produzione, senza tuttavia trascurare né i lavori pubblici, a cui destinava parte dei proventi della tassazione diretta, né i commerci: sotto il suo governo Atene, giovandosi anche dela ristrutturazione della flotta, intraprende spedizioni per assicurarsi l'occupazione di un avamposto commerciale presso i Dardanelli, per controllare e sfruttare il traffico commerciale tra Egeo e Mar Nero.
Diversa fortuna ebbero i figli Ippia e Ipparco, incapaci di proseguire la politica del padre e di mantenere il potere al riparo dal malcontento generale, secondo la tradizione della tirannide. La rivolta contro i Pisistratidi è guidata dagli Alcmeonidi, parte dei quali sono in esilio per il sacrilegio compiuto contro Cilone e hanno stretto forti relazioni con Delfi, dove hanno finanziato il restauro del santuario. Ipparco viene ucciso nel 514 a.C. in un attentato durante la celebrazione delle Panatenaiche da due ateniesi, Armodio e Aristogitone, che saranno celebrati come liberatori, ma che sembra agissero per motivi personali e slegati dal contesto politico. L'uccisione di uno dei figli di Pisistrato mette comunque in moto la rivolta della città contro il superstite Ippia, che irrigidisce i metodi di governo, finché è costretto a rinchiudersi sull'acropoli, nel 510 a.C.. Assediato dagli stessi ateniesi, assistiti dagli Spartani guidati da Cleomene, da sempre ostili ai tiranni, Ippia non ha altra scelta che trattare la resa e inaugura quella che sarà una politica tipica degli esuli ateniesi, passando nel campo persiano.
Ad Atene, libera dalla tirannide, riesplode la contesa politica finora trattenuta, che vede fronteggiarsi Isagora, capo dei conservatori, che l'alcmeonide Clistene per i popolari: il primo sembra avere la meglio e caccia Clistene dalla città, ma, nonostante l'aiuto spartano che ora viene accordato, perchŽ si tratta di evitare l'evoluzione della democrazia, Isagora viene assediato sull'acropoli dalla popolazione che non gli lascia via di fuga. Venuto a patti, ottiene il permesso di andarsene incolume e Clistene rientra da trionfatore in città, dove gli viene assegnato il compito di trasformare le istituzioni e la struttura costituzionale, nel 508/7 a.C.




Atene: la riforma di Clistene

L'intento di Clistene è, secondo Aristotele, quello di “mescolare la popolazione”, perchè nessuno possa più vantare privilegi connessi alla nascita e alla nobiltà: per ottenere questo scopo attua una riforma della cittadinanza in connessione con la distribuzione territoriale della popolazione nei luoghi di residenza che sono anche collegi elettorali.
In luogo delle quattro tribù gentilizie, connesse con il ghenos di appartenenza, vengono create dieci tribù territoriali, che coprono tutto il territorio dell'Attica e sono inserite in una struttura costituzionale che concepisce la tribù come collegio elettorale dal quale vengono prelevati, tramite sorteggio o elezione, i magistrati e, tramite sorteggio, i membri della boulé. Ogni tribù è ripartita al suo interno in tre sezioni, chiamate trittie e ogni trittia è formata da demi, il distretto minore in ordine di grandezza: le tre trittie che formano la tribù sono una della costa, una della mesogea e una della montagna, scelte in maniera tale da non essere contigue territorialmente e da rappresentare tutte le tipologie di popolazione, dato che permane in età clistenica la ripartizione territoriale già considerata nei periodi precedenti, secondo la quale gli abitanti della montagna erano in maggioranza poveri, quelli della costa costituivano la classe media e quelli della mesogea raccoglievano grandi quantità di ricchezza dalle proprietà terriere. In questo modo, quando sulla base della tribù venivano scelti i magistrati e i membri della boulé, per necessaria conseguenza venivano elette persone di tutte le classi sociali, proprio perché la popolazione era mescolata alla base.
Per rendere agevole il sistema elettorale, viene scelto il sistema decimale anche per le magistrature e il consiglio: dove è possibile tutte le magistrature vengono strutturate in collegi di dieci membri, così che da ogni tribù venga eletto o sorteggiato un membro; la boulè viene divisa in dieci sezioni e i suoi membri sono elevati a cinquecento, così che ogni tribù possa sorteggiare cinquanta buleuti che all'incirca ogni mese dirigano a turno, con il nome di pritani, i lavori del consiglio.
Tra le magistrature più importanti si segnalano il collegio degli arconti, che viene portato a dieci con l'aggiunta di un segretario ai sei tesmoteti che assistono l'arconte, il polemarco e il basileus, e il collegio degli strateghi, che assumono la guida dell'esercito a scapito del polemarco.
Per la scelta dei magistrati si preferisce la tecnica del sorteggio, perché si ritiene che solo la sorte, che é intesa come manifestazione della volontà divina, possa garantire l'imparzialità della scelta: per attenuare i possibili inconvenienti, il sorteggio non è tuttavia puro, ma viene effettuato su una lista di candidati scelti dalle tribù. Ad esempio, nel caso della nomina degli arconti, ogni tribù presenta una lista di dieci candidati e il sorteggio dei dieci magistrati viene effettuato su questa lista di cento candidati. Laddove si richiede specifica competenza, nonché risorse economiche personali per rimediare a eventuali errori o malversazioni, come nel caso delle magistrature finanziarie, il sorteggio è sostituito dall'elezione diretta di candidati selezionati.
Clistene mantiene la discriminazione soloniana relativa all'elettorato passivo degli arconti, magistratura che rimane riservata ai pentacosiomedimni, anche se tale limitazione è destinata a cadere con lo sviluppo del principio democratico, tanto che nel 487 a.C. l'arcontato è aperto ai cavalieri, nel 457 a.C. agli zeugiti e dalla metà del V secolo anche i teti potranno concorrervi, anche i assenza di una specifica autorizzazione.
Tutti i cittadini possono candidarsi per l'elezione-sorteggio della boulé e hanno il diritto di partecipare all'assemblea generale, l'ecclesia, e al tribunale popolare, l'eliea, in questo caso entro il limite dei seimila partecipanti per anno, che vengono ripartiti nelle varie corti giudicanti. Per quanto riguarda la procedura legislativa, ogni iniziativa deve partire dalla boulé, che è convocata in permanenza: infatti, quando i cinquecento hanno terminato i lavori, la tribù che detiene la pritania rimane comunque al lavoro. L'ecclesia, che si riunisce quattro volte al mese, non può decidere niente che non sia stato precedentemente discusso dalla boulé, ma ha il pieno diritto di accettare, modificare in tutto o in parte e di respingere il testo presentato dal consiglio.
In tale ripartizione del potere, un ruolo rilevante sembra continuare a svolgerlo il Consiglio dell'Areopago, che, oltre ad agire come corte giudicante (anche se non conosciamo in quali rapporti si ponesse con l'eliea), ha prerogative di incerta definizione, ma che gli consentono di controllare l'operato dei magistrati, della boulé e dell'assemblea. Quando la parte popolare prenderà il sopravvento e Atene virerà verso la democrazia piena, circa cinquanta anni dopo Clistene, l'Areopago sarà la figura istituzionale più colpita dai democratici.
L'intento di Clistene, che si può ritenere raggiunto, era quello di stroncare i privilegi di classe e di garantire la partecipazione di tutta la popolazione alla gestione del potere, garantendo un equilibrio dei poteri: per questo al Consiglio dell'Areopago, organo non elettivo con membri che siedono a vita quali ex arconti, è assegnata la funzione di garante dell'assetto costituzionale, al fine di limitare eventuali eccessi dell'ecclesia.
Al popolo riunito in assemblea Clistene assegna un compito fondamentale, consistente nell'impedire l'insorgere di future tirannidi: a questo fine introduce l'istituto dell'ostracismo, ossia la possibilità conferita all'assemblea popolare, nel sesto mese di ogni anno, di votare, su proposta di un cittadino, l'esilio per un cittadino che si sia reso colpevole di attentato alla democrazia o su cui gravino sospetti di tirannide. Se la proposta viene votata da almeno seimila cittadini (o forse seimila è il quorum dei votanti), che scrivono il nome dell'imputato su un coccio (ostrakon, da cui il nome della procedura), allora l'accusato deve lasciare la città. L'ostracismo, concepito da Clistene come strumento popolare contro la tirannide, diventerà presto un arma della lotta politica all'interno di Atene, sfruttata da quelle che rimangono le due parti in conflitto, i conservatori e i popolari.



APPROFONDIMENTI
le riforme di Solone e Clistene (.pdf file)
schema delle due costituzioni a confronto
CARTOGRAFIA
Grecia e Asia Minore
carta dell'età arcaica e classica



Sparta consolida la supremazia nel Peloponneso

Se Atene, già a partire dall'inizio del VI secolo, guarda verso il mare come possibile linea di espansione, assicurandosi prima il controllo del golfo Saronico, con la presa di Salamina, poi avviandosi a estendere la propria influienza sull'Egeo, già con Poisistrato, gli sforzi di Sparta sono convogliati verso il rafforzamento della propria posizione all'interno del Peloponneso. Con due guerre lunghe e sanguinose, tra VIII e VII secolo, gli Spartani si erano impossessati della Messenia, la regione al di là del Taigeto che confinava a ovest con la Laconia: se dopo la prima guerra messenica, svoltasi nella seconda metà del secolo VIII, gli Spartani si erano assicurati il controllo del territorio, dalla vittoria nella seconda guerra messenica, svoltasi nella prima metà del VII secolo, trassero conseguenze molto pi� profonde e decisero per la schiavizzazione dell'intero popolo messenico, che venne ridotto alla condizione degli iloti: tutti i Greci percepirono con insofferenza questa decisione, tanto che quasi otto secoli dopo il periegeta Pausania sottolineava come i Messeni fossero stati ridotti in schiavitù pur essendo Dori anch'essi, ossia della stessa stirpe degli Spartani; gli Ateniesi in particolare guarderanno sempre con simpatia ai Messeni, anche per convenienza politica, e si troveranno in alcuni casi anche ad assisterli nei loto tentativi di rivolta.
Assicuratasi la Messenia, gli Spartani trassero dalla loro parte l'Elide e, dopo alcuni conflitti armati, anche l'Arcadia, mentre la città di Argo rmase sempre al di fuori della loro influenza, tanto che nel V secolo strinse anche un'alleanza con Atene. Nella seconda metà del VI secolo, per consolidare il controllo del territorio e rafforzare i legami con le poleis amiche, gli Spartani premettero per la costituzione di una federazione fra le città del Peloponneso, che, basandosi su un organo deliberativo comune, inducesse i membri a rendere comuni le decisioni di politica estera, sotto il controllo della città più forte: a giudicare dalle fonti in nostro possesso, dal 525 a.C. è operativa quella che i testi definiscono come lega peloponnesiaca, all'interno della quale, per la forza militare di cui dispone, Sparta gioca un ruolo preponderante.




I Persiani

La formazione dell'impero persiano

Nel Vicino Oriente da circa cinquanta anni i Persiani sono emersi quale forza con cui i Greci sono destinati a confrontarsi. L'etnia dei Persiani nasce nell'Elam, all'interno dei Medi, che sotto la guida dei re Ciassare, il distruttore di Ninive nel 612 a.C., e di Astiage, avevano creato un regno di grandi proporzioni che superava i confini dell'altopiano iranico. Il persiano Ciro sottrae con la forza il potere ad Astiage, occupando la capitale dei Medi Ecbatana nel 550 a.C., e perseguendo una politica di integrazione fra Medi e Persiani, getta le basi per la costituzione di un impero multinazionale, governato sia da Ecbatana, sia dalla sua città di origine, Pasargade.
La prima tappa dell'espansione persiana è costituita dal regno di Lidiaguidato da Creso, che viene sconfitto e catturato nel 546 a.C.: i Persiani entrano nella capitale lidia, Sardi, la trasformano in capoluogo di una satrapia, la ripartizione amministrativa dell'impero, e da qui assumono, nel 545 a.C., anche il controllo delle città greche dell'Asia minore, tra cui si distinguevano i centri di Mileto e Colofone, che da tempo erano divenute tributarie del regno lidio. Nel 539 a.C. Ciro pone fine al secondo impero babilonese conquistando Babilonia e restituendo la libertà agli Ebrei qui deportati da Nebukadnezar: con tale atto, che comporta anche la facoltà di ricostruire il tempio di Gerusalemme, Ciro inaugura quella che sarˆ la politica caratteristica dei Persiani nei confronti dei popoli sottomessi, fatta di rispetto per la cultura delle genti facenti parte dell'impero universale.
Nell'idea dei re persiani, solo tramite la salvaguardia delle leggi, delle usanze, delle lingue dei popoli conquistati si sarebbe potuta costituire una compagine sovranazionale, i cui membri si sentissero non sudditi, ma cittadini guidati dal Gran Re, o Re dei Re, che è la rappresentazione vivente del dio della luce, Ahura Mazda, secondo i principi della teologia di Zarathustra, per i Greci Zoroastro, sapiente persiano del VI secolo a.C.: a lui si deve l'elaborazione di un pensiero religioso incentrato sulla separazione e contrapposizione fra il principio del bene e il principio del male, sostanzializzato in Ahriman, che di Ahura Mazda � eterno rivale: il Re dei Persiani non pu6ograve; che essere il garante dell'ordine e l'impero è lo strumento per mantenere l'ordine e la coesistenza pacifica delle popolazioni.
Il successore di Ciro, (530 - 522 a.C.) estenderà il potere persiano sull'Egitto, conquistato nel 525 a.C., e il terzo re, Dario, si volgerà verso il nord e il Mediterraneo, nell'intento di consolidare i confini. Per rafforzare il controllo sulle città greche dell'Asia minore e sulle isole dell'Egeo, Dario, che persegue la politica persiana di consentire, entro alcuni limiti, l'autogoverno dei popoli, permette alle poleis di mantenere le proprie leggi, ma favorisce il governo dei tiranni, perchŽ pi� facili da controllare, eliminando al tempo stesso personalità troppo indipendenti e pericolose: per questo motivo il tiranno di Samo, Policrate, invitato con l'inganno sulla terraferma, viene assassinato nel 519 a.C. e l'isola cade sotto l'influenza persiana. Nel 513 a.C. Dario avvia campagne militari in Libia, per assicurare i confini occidentali dell'Egitto, dove al tempo stesso affida a una commissione di dotti il compito di raccogliere in un codice la legislazione faraonica, e in , nei territori dell'odierna Ucraina. Mentre la spedizione libica ha successo, l'impresa scitica non produce risultati e l'esercito persiano, attirato in territori sconosciuti, viene sottoposto a continue azioni di guerriglia, che ne fiaccano il morale e costringono il Re a ordinare la ritirata. Alcuni risultati sono però conseguiti nella parte settentrionale del territorio greco: nel 510 a.C. viene conquistata la Tracia, dove Dario lascia un esercito comandato da Megabizo, e ottenuta la sottomissione della Macedonia, governata dal re Alessandro I.
Nel frattempo, nel cuore dell'impero, vengono edificate due nuove città, Susa e Persepoli, grazie all'apporto di maestranze e operai provenienti da tutti i popoli dello Stato multinazionale, che insieme collaborano per l'edificazione dei nuovi centri di potere, come tiene a sottolineare Dario nelle iscrizioni pervenute.




La rivolta ionica

Nelle città greche dell'Asia minore si diffondono intanto segni di insofferenza per il controllo imposto dai Persiani sulle istituzioni cittadine e sul favore da loro concessi a governi di tipo tirannico. È proprio da un tiranno, il governatore di Mileto Aristagora che prende inizio la rivolta delle città ioniche dell'Asia minore contro il satrapo di Sardi, da cui dipendeva il territorio greco.
Aristagora, rendendosi conto della debolezza economica e militare delle poleis, incapaci di allestire una flotta e un esercito in grado di fronteggiare validamente le forze persiane, decise di coinvolgere nella lotta la Grecia e intraprese una iniziativa diplomatica che lo portò a presentarsi davanti alle assemblee di Sparta e di Atene, dove, utilizzando la carta geografica redatta poco tempo prima dallo scienziato e filosofo Anassimandro di Mileto, illustrò ai Greci i rapporti di forza in campo e le possibilità di vittoria e di successivo sfruttamento delle risorse in un Egeo liberato dai Persiani.
Nonostante gli sforzi profusi, scarsi furono i risultati ottenuti: gli Spartani rifiutarono di farsi coinvolgere in slanci politici che non appartenevano loro, solamente Atene ed Eretria accettarono di prestare aiuto, limitandolo però alla fornitura, rispettivamente, di venti e cinque navi. Dal punto di vista della strategia istituzionale, dalle fonti conosciute sembra ricavarsi la decisione da parte delle poleis ioniche di rafforzare i propri legami, seguendo il consiglio fornito da Talete, di trasformare il legame federativo che univa i diversi centri in uno stato federale dotato di una boulé centrale e guidato dalla magistratura comune dei probuli. L'attacco militare, iniziato nel 499 a.C., produsse iniziali successi concretizzatisi nell'assedio di Sardi, sede della satrapia, nella vittoria terrestre di Pedaso, in Caria, e nella defezione di Cipro, una delle basi navali utilizzate dai Persiani, che passò ai ribelli. Tuttavia, le scarse forze dei Greci, private anche della guida di Aristagora, morto in battaglia nel 496 a.C., non riuscirono a opporsi validamente ai rinforzi inviati dal cuore dell'impero, che ripresero rapidamente le posizioni perdute e ottennero la vittoria decisiva nella battaglia navale di Lade, piccola isola di fronte a Mileto, nel 494 a.C. Mileto, quale artefice e guida della rivolta, venne distrutta e data alle fiamme, tutte le poleis furono costrette a rinnovare il giuramento di sottomissione al Gran Re, che appront˜ immediatamente una spedizione militare contro i Greci della madrepatria, concepita come iniziativa punitiva in particolare contro Atene ed Eretria, che avevano prestato aiuto agli Ioni in rivolta.




La prima guerra persiana

Nel 492 a.C. Dario affida il comando della spedizione a Mardonio, che muove la flotta verso l'Egeo del nord, dove riafferma il controllo persiano sulla Tracia e ottiene la conferma della sottomissione alla Persia del regno di Macedonia. Tuttavia questa prima iniziativa viene bloccata dal naufragio di parte della flotta nei pressi della penisola del Monte Athos.
Nel 490 a.C. fu approntata una seconda spedizione il cui comando fu affidato a Dati e Artaferne, che si dedicarono in primo luogo a riaffermare il dominio persiano sulle Cicladi, conquistando Nasso e sbarcando a Delo, dove offrirono sacrifici propiziatori ad Apollo. Quindi si diressero contro Eretria, uno dei due obbiettivi della spedizione, che, priva di aiuto da parte di Atene, preoccupata ad allestire un esercito a propria difesa, è costretta a cedere dopo un assedio di sette giorni e subisce la stessa sorte di Mileto.
Ad Atene l'esercito fu affidato a Milziade, che conosceva da vicino i Persiani per aver governato sul dominio ateniese al promontorio del Sigeo, sui Dardanelli, creato da Pisistrato. I Persiani sbarcarono sulla costa nord-orientale dell'Attica, presso Maratona, dove per circa quindici giorni si fronteggiarono con l'esercito ateniese coadiuvato da mille soldati inviati da Platea. Fu Milziade a ordinare l'attacco frontale contro le schiere persiane, avviando contemporaneamente anche una manovra di aggiramento. Dati, colto di sorpresa e temendo di essere accerchiato, ordinò la ritirata sulle navi. La battaglia terrestre era vinta, ma la flotta persiana rimaneva sostanzialmente intatta e si mosse immediatamente a doppiare Capo Sunio, nell'intento di sbarcare al Pireo e di marciare contro Atene, sguarnita di soldati. Compresa l'idea di Dati, Milziade non concesse riposo alle truppe e le guidò a marcia forzata verso Atene, cos“ che, quando i Persiani arrivarono in vista del Pireo, trovarono ad aspettarla lo stesso esercito che li avevano sconfitti a Maratona e rinunciarono allo sbarco, tornando in patria.
Gli Ateniesi cercarono di sfruttare il momento favorevole, tentando di riottenere il controllo sulle Cicladi, e affidarono allo stesso Milziade il compito di riconquistare Paro. L'assedio si rivelò infruttuoso e l'impresa si risolse in un nulla di fatto, la cui responsabilità fu fatta ricadere su Milziade, accusato di essersi lasciato corrompere dai Persiani. Condannato a una multa di cinquanta talenti, morirà in disgrazia, lasciando al figlio Cimone, futuro protagonista della vita politica ateniese, il perso del debito nei confronti dello Stato.




La seconda guerra persiana

Morto Dario, nel 485 a.C., il figlio Serse inizia a elaborare i piani di una nuova spedizione che, questa volta, si ponga come obbiettivo non la semplice punizione del nemico, ma l'espansione del dominio persiano sul suolo greco. Ad Atene questi preparativi non passano inosservati. Il confronto politico all'interno della città è fra Aristide, guida dei conservatori, e Temistocle, capo dei popolari: è di Temistocle la proposta di utilizzare i proventi delle miniere d'argento del Laurio non, come nella tradizione, per effettuare donazioni alla popolazione, ma per incrementare la flotta e trasferire le attrezzature portuali dal Falero al Pireo, ampliandone le fortificazioni. L'assemblea popolare vota a favore della proposta di Temistocle e decide l'ostracizzazione di Aristide, che è costretto a lasciare la città nel 482 a.C.
I numeri dell'esercito persiano impressionarono grandemente i Greci e tracce di questo sbalordimento permangono nella cifra iperbolica che Erodoto raccoglie nelle sue Storie, quando parla di circa sei milioni di uomini. È probabile che il numero vero si aggirasse intorno alle trecentomila unità , compreso il personale di servizio, che costituivano comunque un esercito dalle proporzioni straordinarie rispetto alle forze che i Greci collettivamente erano in grado di schierare.
Mentre i Persiani si avvicinano da nord per terra e per mare, con l'esercito che attraversa la Tracia e la Macedonia e punta verso la Tessaglia e la flotta che procede parallelamente lungo la costa, le città greche decidono di mettere in comune le proprie sorti stringendo un'alleanza difensiva la cui assemblea si riunisce a Corinto. Qui scoppia il contrasto fra le diverse strategie di difesa: gli Spartani, forti della propria fanteria oplitica, premevano per affrontare i Persiani sulla terraferma, dove avrebbero svolto un ruolo preponderante che avrebbe garantito loro prestigio e potere; al contrario gli Ateniesi, che contavano sull'esperienza navale, spingevano per concentrare gli sforzi sulla flotta. Si decise in un primo tempo di intervenire sia per terra che per mare: mentre la flotta greca si muoveva verso il nord dell'Eubea, i contrasti tra i Greci si riproposero sul luogo terrestre dove affrontare il nemico.
 I Tessali esortavano gli alleati a intervenire a nord della propria regione, per impedirne la devastazione, mentre gli Spartani in particolare desideravano un luogo di impatto più a sud: Temistocle, inviato a nord a capo di un esercito, giudicò le posizioni tessale troppo esposte e, quindi, scarsamente difendibili e pericolose, e individuò il sito migliore per tentare di bloccare i Persiani al passo delle Termopili, uno stretto transito tra il golfo Maliaco e i monti, al confine meridionale della Tessaglia. Qui fu lasciato un piccolo esercito in attesa del nemico, mentre Temistocle rientrava ad Atene ad allestire la difesa. I Greci, il cui nucleo era costituito essenzialmente da Spartiati guidati dal re Leonida, riuscirono a resistere ai Persiani, impedendo loro il passaggio delle Termopili, finché il tradimento del focese Efialte, che indicò al nemico l'esistenza di un sentiero per aggirare e circondare gli opliti, consentì ai Persiani di sterminare Leonida e i suoi e di aprirsi la strada verso il Peloponneso e l'Attica. Nello stesso momento la flotta greca e quella persiana si scontravano a Capo Artemisio, a nord dell'Eubea, dove i Greci riuscirono a rallentare l'avanzata persiana senza subire grandi perdite. Senza difese di fronte ai Persiani, tutta la Beozia si arrese e passò al nemico.
Nel frattempo, mentre gli Spartani si accingevano a fortificare le postazioni dell'Istmo, nell'intento di bloccare in queste strettezze l'esercito persiano, ad Atene si discuteva sul modo migliore per fronteggiare il pericolo: prevalse il consiglio di Temistocle, che interpretò a suo favore l'oracolo emanato dala sacerdotessa di Delfi, la quale aveva intimato ai Greci di difendersi con un muro di legno. Temistocle convinse gli Ateniesi che il muro non doveva essere identificato nelle fortificazioni, ma bisognava intenderlo come metafora per le navi: gli Ateniesi avrebbero dovuto abbandonare la città, ormai indifendibile, rifugiandosi nelle isole del golfo Saronico, mentre la flotta avrebbe chiamato allo scontro le navi persiane nello specchio d'acqua tra Salamina e il Pireo, dove le agili triremi greche sarebbero state favorite rispetto alle imbarcazioni persiane, di grande stazza e perciò lente nei movimenti. Il piano di Temistocle fu accolto anche dagli alleati: i Persiani trovarono Atene sguarnita di abitanti e difese, a parte un piccolo numero di irriducibili che non avevano voluto abbandonare l'acropoli, occuparono la città e diedero alle fiamme i templi, mentre Serse, seduto sul trono collocato sul Monte Egaleo di fronte a Salamina, si accingeva ad assistere alla battaglia navale, della cui vittoria era sicuro: lo scontro però si svolse come Temistocle aveva previsto e i Greci ottennero nel 480 a.C. una piena vittoria. Serse decise allora di far rientrare la flotta in patria e di affidare le sorti della guerra all'esercito di terra che, sotto la guida di Mardonio, trascorse l'inverno in Tessaglia. Nel 479 a.C., i Persiani scesero dalla Tessaglia in Beozia, dove si scontrarono con i Greci comandati dallo spartano Pausania a Platea: anche in questo caso, dopo iniziali difficoltà dovute al fatto che i Persiani attaccarono mentre Pausania stava muovendo le truppe, i Greci ottennero una piena vittoria.
La guerra si spostò nell'Egeo orientale, perché i Greci decisero di sfruttare il momento favorevole per liberare l'Asia Minore dal controllo persiano. Qui nel 478 a.C. la flotta greca ottenne un'importante vittoria a Capo Micale, presso Mileto, che allontan˜ momentaneamente la flotta persiana dall'Egeo; nello stesso anno gli Ateniesi assediavano e occupavano la cittˆ di Sesto, che controllava i Dardanelli, assicurando piena sicurezza a tutte le poleis dell'Asia minore.
La guerra era pienamente vinta e nell'immaginario greco viene immediatamente sentita come l'espressione della superiorità della libertà greca contro la schiavit� persiana: se per i Persiani, i greci appaiono come coloro che al centro delle proprie città hanno una piazza, l'agorà, dove tessono reciprocamente inganni, per i Greci proprio l'agorà è il simbolo della propria libertà, intesa come facoltà di piena partecipazione politica in una comunità non sottoposta a strutture di comando sovraordinate, mentre nei Persiani si perpetua l'idea orientale dell'impero, quale organizzazione sovranazionale che nega la libertà alle singole comunità e, per questo, rende schiavi gli uomini.




La Pentecontaetia

La creazione della lega delio-attica

La gloria della vittoria ricade in particolare su Atene quale principale artefice della battaglia di Salamina e la città si muove subito per sfruttare e incrementare questa condizione di superiorità. Dopo l'allontanamento della flotta persiana dall'Egeo, vi è l'esigenza di garantire la sicurezza delle comunicazioni marittime, perché l'Egeo rimanga un mare greco: a questo scopo su iniziativa ateniese viene creta nel 478/77 a.C. una federazione di poleis, conosciuta dagli storici con il nome di lega delio-attica, in quanto la sede dell'organismo era collocata nell'isola di Delo, che ospitava la cassa federale e rappresentava la centralità delle Cicladi, ma Atene svolgeva il ruolo del membro preminente. Tutti i membri della lega, che nasce con uno scopo eminentemente difensivo, sono tenuti a versare un tributo annuale per il mantenimento della flotta, ad eccezione di Chio, Lesbo e Samo che fornivano direttamente navi per la difesa comune. Ben presto, nel corso del V secolo, Atene trasformò questa federazione in un proprio strumento di potere e il rapporto paritario tra i membri si modificò in un rapporto squilibrato tra città dominante e sudditi: secondo l'accusa che sarà rivolta agli Ateniesi dagli Spartani e da alcuni membri della lega, quella che era nata come symmachia si trasforma in breve tempo in arché.




La politica di Sparta e di Atene: le condanne di Pausania e Temistocle. La figura di Cimone

Mentre Atene perseguiva una politica di dominio sull'Egeo e sull'Asia minore, Sparta sceglie, coerentemente con la propria conformazione istituzionale, una politica di conservazione e rafforzamento del proprio potere all'interno del Peloponneso, dove viene mantenuta e consolidata la lega peloponnesiaca e reprimendo tentativi divergenti che avrebbero spinto la città a confliggere apertamente con Atene: in quest'ottica con l'accusa di tradimento viene eliminato Pausania, che proponeva, e cercava di praticare di propria iniziativa, una politica di espansione simile e concorrenziale a quella ateniese. Gli Spartani si accorgono che una delle scelte possibili che hanno di fronte li porterebbe a inasprire immediatamente la rivalità con Atene e scelgono di rimanere nelle retrovie.
Anche ad Atene si manifesta un contrasto interno simile: Temistocle, sostenitore di una politica favorevole ad un accordo con i Persiani che consenta di far convergere tutti gli sforzi verso uno scontro con Sparta per il predominio sulla Grecia, viene accusato di tradimento e intesa con i Persiani e subisce l'ostracismo. Emerge, quale guida del partito conservatore, il figlio di Milziade, Cimone, che sostiene invece la necessità di un accordo con Sparta, nella visione di una Grecia che si regga su due colonne e si opponga alla Persia. Proprio contro i Persiani che cercavano di rientrare nell'Egeo Cimone ottenne una importante vittoria alla foce dell'Eurimedonte, nel 468 a.C..
Coerente con la propria politica di sostegno a Sparta, che considera necessaria una condizione di equilibrio in Grecia, nel 464 a.C. Cimone decise l'invio di aiuti militari agli Spartiati che dovevano fronteggiare la rivolta degli iloti: gli schiavi spartani avevano infatti sfruttato l'evento di un catastrofico terremoto, che aveva fatto crollare anche parti del monte Itome, sollevandosi in massa contro i padroni che, mentre ancora le proprie case crollavano, si erano radunati in armi al centro della città intuendo quello che sarebbe accaduto; dopo i primi momenti di sbandamento gli Spartiati avevano ripreso il sopravvento ed erano riusciti a bloccare gli insorti sull'Itome, senza però venire a capo dell'assedio. L'esercito ateniese venne però rimandato indietro dagli Spartiati che temevano una possibile solidarietà tra gli schiavi e i soldati di Atene e questo rifiuto venne percepito dagli Ateniesi come un'umiliazione, la cui responsabilità ricadde su Cimone, che venne ostracizzato su proposta di Pericle.




Atene verso la piena democrazia

Rimasti senza guida, gli aristocratici dovettero subire l'iniziativa dei popolari che miravano a colpire le prerogative del Collegio dell'Areopago, al quale la costituzione di Clistene aveva riservato un importante ruolo di controllo sulle istituzioni cittadine. Su proposta di Efialte, nel 461 a.C., al Collegio dell'Areopago vennero sottratte alcune funzioni, non ulteriormente specificate da Aristotele, che vennero redistribuite tra la boulé, l'assemblea generale e il tribunale popolare: d'ora in avanti l'Areopago, persa la prostasia, ossia la funzione di controllo sulle altre assemblee, sarebbe stato investito solamente da competenze giudiziarie relative a processi per omicidio, ma gli aristocratici avrebbero sempre continuato a sentirlo come sede del proprio potere.
Efialte venne assassinato poco dopo la riforma a lui attribuita, lasciando spazio a una figura che avrebbe dominato la scena politica ateniese per i successivi trent'anni: l'alcmeonide Pericle, nipote di Clistene. Gli anni tra il 461 e il 448 costituiscono un periodo di transizione, in cui la rivalità interna tra conservatori e popolari � ancora contenuta.
Due sono i momenti decisivi in questo periodo. Il primo è l'anno 456, in cui Atene, impegnata su più fronti in Grecia e nell'Egeo, estende la propria influenza sulla Beozia, ma viene sconfitta in Egitto, dove aveva tentato di rafforzare la presenza greca a scapito dei Persiani: il rovescio comportò una importante trasformazione all'interno della lega delio-attica, in quanto Atene, con la motivazione che l'Egeo non era più sicuro, trasportò la cassa federale da Delo sull'acropoli, rafforzando la posizione di predominio all'interno della federazione. Nel 444/3 Pericle, che era già stato eletto stratego più volte negli anni precedenti, inaugura una serie di quindici anni di strategia continua, che lo porterà a governare con continuitˆ su Atene fino ai primi anni della guerra del Peloponneso, che scoppierà nel 431 a.C.: secondo lo storico Tucidide quelle che fino ad allora erano state venature nel marmo, si trasformarono in profonde spaccature all'interno dell'organismo politico-sociale ateniese fra popolari e conservatori, che persero per ostracismo nello stesso 444/3 a.C. la loro guida, Tucidide di Melesia.
La situazione all'interno della Grecia e nel Mediterraneo è di relativa stabilità: a una tregua quinquennale con Sparta, firmata nel 451 a.C., seguì un trattato di pace di durata trentennale, siglato nel 446 a.C., mentre nel 449 a.C. Pericle aveva affidato a Callia una delicata missione diplomatica presso il Gran Re, che aveva portato a un accordo tra le parti, mai tradotto in un documento ufficiale, secondo il quale gli Ateniesi rinunciavano a espandersi nel Mediterraneo e a replicare imprese come quelle egiziane del 456 e i Persiani si impegnavano a non interferire nei rapporti delle greche dell'Asia Minore.
Questa trama di rapporti interstatali consentì a Pericle di dedicarsi al rafforzamento della parte democratica oltre che all'abbellimento e al rafforzamento delle strutture difensive della città. Era già stata la politica di Efialte quella di retribuire le magistrature e le funzioni di buleuta e di eliasta: il principio della mistoforia era di natura strettamente democratica perché consentiva a chiunque, anche ai poveri, di partecipare attivamente alla vita politica abbandonando temporaneamente il proprio lavoro: per limitare i beneficiari delle retribuzioni, nel 451 a.C. venne emanata una legge sulla cittadinanza, in base alla quale erano cittadini ateniese solamente i figli sia di padre sia di madre cittadini. Si cominciò ad attingere al tesoro della lega delio-attica per proseguire i lavori di costruzione delle fortificazioni del Pireo e delle mura destinate a congiungere il Pireo e il Falero con la città, che sarebbe così stata trasformata in un'immensa fortezza in comunicazione sicura con il proprio porto, che ne garantiva il rifornimento di risorse. Gli stessi fondi vennero utilizzati per l'abbellimento dell'acropoli, che vide l'edificazione dell'ingresso monumentale, i propilei, e il tempio di Atena , il Partenone.
Si consolida in questi anni la fama di Atene quale faro culturale, esempio di democrazia e laboratorio di tutte le possibilità dell'intera Grecia, qualità che vengono riassunte da Tucidide nella formula di “scuola dell'Ellade”. Sono gli anni in cui vengono costruiti gli edifici dell'acropoli, i sofisti introducono e sviluppano l'istruzione superiore a vantaggio dei cittadini in grado di pagarli e chiunque abbia la cittadinanza ha l'effettiva possibilità di rivestire per un giorno la carica di presidente dei pritani della boulé e può comunque partecipare quattro volte al mese all'assemblea generale e farsi sorteggiare per le corti giudiziarie costituite all'interno dell'eliea. Soprattutto, sosterrà Pericle nel discorso pronunciato in commemorazione dei caduti del primo anno della guerra del Peloponneso, ad Atene ognuno � libero di vivere come vuole, sottratto al sospetto e all'invidia altrui, e ha la facoltà di indirizzare la propria vita secondo le proprie capacità, dato che la città mette a disposizione di tutti i mezzi per elevare la propria condizione, perché quello che causa vergogna non � la povertà, ma il non far nulla per vincerla. Da questo insieme di possibilità rimangono escluse le donne, le quali, sia pur dotate di cittadinanza, sono relegate in una condizione di minorità, dato che nei rapporti pubblici sono tenute a essere rappresentate da un tutore e non possono prendere parte attiva alla vita politica; rimangono esclusi, ovviamente, gli schiavi, presenti a migliaia in città e alcuni utilizzati anche in impieghi di servizio pubblico, come gli sciti impiegati come guardie pubbliche, e i cittadini di altre poleis residenti ad Atene, i meteci, ai quali non erano attribuiti i diritti politici, ma non avevano neanche il diritto di possesso.




La guerra del Peloponneso

I presupposti della guerra

Parallelamente allo sviluppo dell'immagine di Atene quale luogo di tutte le possibilità, si diffondono in Grecia anche le accuse nei confronti di Atene quale sfruttatrice delle risorse altrui e potenza imperialista che opprime la libertà delle poleis. La lega delio-attica si era ormai trasformata in una struttura di potere al cui vertice si collocava Atene, che pretendeva di dirigere la politica interna degli Stati membri e faceva convogliare i tributi nella cassa federale che lei stessa controllava.
Nel 440 a.C. la stessa Atene aveva fornito a tutta la Grecia un evidente esempio di questa politica, quando era intervenuta militarmente per imporre a Samo, uno dei principali membri della lega, a cui contribuiva con la fornitura di navi, l'instaurazione di un governo democratico. Fu Sparta a utilizzare queste accuse, insinuando il sospetto che Atene perseguisse una politica espansionista a scapito dell'autonomia e dell'eleutheria delle poleis, laddove con autonomia si intende la facoltà di ogni polis di scegliersi la propria forma di governo e di amministrarsi senza alcun condizionamento esterno e con eleutheria il diritto di stabilire in piena libertà relazioni interstatali con altre poleis e altri Stati. Da parte sua Atene fa poco per difendersi dalle accuse, anzi rivendica a se stessa il diritto di utilizzare le risorse che affluiscono in città secondo i propri piani, perché se le poleis sono libere, devono la loro libertà proprio ad Atene, che le ha difese vittoriosamente contro i Persiani, e quando la lega peloponnesiaca comincia a muoversi nel tentativo di intimare ad Atene di cambiare politica, Pericle accelera tutte le mosse che possano condurre allo scontro, traendo le necessarie conseguenze della politica che aveva intrapreso ormai da decenni: i tempi erano maturi perché si abbandonasse definitivamente qualsiasi illusione relativa a una Grecia a due colonne, secondo la vecchia immagine di Cimone, e Atene spazzasse via ogni resistenza e limitazione del proprio potere. 
Quella che Tucidide chiama guerra dei Peloponnesiaci scoppia per la volontà degli Spartani e dei loro alleati di fermare la crescita della potenza di Atene, ma i pretesti per l'inizio delle ostilità furono forniti dalla stessa Atene che creò due motivi di conflitto con Corinto e uno con Megara, città che erano entrambe membri dela lega peloponnesiaca.
In primo luogo, Atene intervenne nel conflitto che opponeva nel 433 a.C. Corinto alla sua colonia Kerkyra e che era sorto in seguito alle vicende di Epidamno, che era colonia di Kerkyra sulla costa illirica: a Epidamno i democratici avevano effettuato un colpo di stato e avevano espulso dalla città gli aristocratici che si erano rivolti a Kerkyra, mentre i democratici avevano chiesto aiuto a Corinto. Kerkyra, che si preparava allo scontro con la madrepatria Corinto, chiese a sua volta assistenza ad Atene che accordo l'invio di dieci triremi che parteciparono alla battaglia navale presso le isole Sibota. In tal modo Atene entrò in conflitto con una delle principali città della lega peloponnesiaca, con cui in breve tempo sviluppò anche un secondo motivo di attrito, quando intimò a Potidea, che era colonia calcidica di Corinto, ma membro della lega delio-attica, di non accogliere più gli epidamiurghi, i magistrati che annualmente Corinto inviava nella sua colonia per controllarne l'amministrazione, e di abbattere le mura che congiungevano la città al mare. Al rifiuto di Potidea, Atene inviò un contingente per porre l'assedio alla città. Il terzo pretesto utilizzato dai Peloponnesiaci per aprire le ostilità riguardò i cittadini di Megara, città sull'istmo di Corinto che beneficiava di due porti, l'uno sul golfo Saronico, l'altro sul golfo di Corinto, ai quali Atene vietò per decreto di accedere ai porti delle città della lega delio-attica, compreso ovviamente il Pireo.




La fase archidamica

La lega peloponnesiaca, riunita a Corinto, intimò agli Ateniesi di ritornare sulle proprie decisioni, ma Pericle convinse l'assemblea ateniese a non retrocedere, perché sul lungo periodo Atene avrebbe sicuramente vinto la guerra. Il piano di Pericle si basava sull'attendismo e faceva forza sulla struttura a fortezza della città di Atene: ben conoscendo la superiorità spartana sulla terraferma e quella ateniese sui mari, nell'idea di Pericle gli Ateniesi avrebbero rinunciato ad affrontare i nemici sul campo e si sarebbero tutti rinchiusi all'interno delle mura della città, che avrebbe accolto gli abitanti dell'Attica qui trasferitisi e avrebbe beneficiato dei rifornimenti apportati dalla flotta e introdotti tramite il Pireo. Mentre agli Spartani e agli alleati non sarebbe rimasto altro da fare se non devastare inutilmente l'Attica, gli Ateniesi e gli alleati, imbarcati sulle navi, avrebbero condotto azioni di saccheggio lungo le coste del Peloponneso. Alla lunga le risorse dei Peloponnesiaci si sarebbero esaurite e gli Ateniesi avrebbero consolidato la propria supremazia senza aver consumato eccessivi mezzi. Così avvenne nel primo anno di guerra, il 431 a.C., che inaugura la prima fase, decennale, della guerra che viene definita archidamica dal nome del re spartano Archidamo che guida l'esercito a devastare l'Attica, mentre gli Ateniesi si trattengono in città e vengono successivamente guidati dallo stesso Pericle in un periplo di devastazione del Peloponneso.
Ma un fatto imprevisto interviene a sconvolgere i piani predisposti: da una nave approdata al Pireo si diffonde, tra 430 e 429 a.C., il virus di un epidemia solitamente definita di peste, ma in realtà di incerta identificazione, che fa rapidamente strage tra i cittadini che vivevano ammassati e in condizioni igieniche precarie. Muore anche Pericle e alla sua scomparsa gli aristocratici, che non erano mai stati favorevoli alla guerra, rialzano la testa guidati da Nicia, che si oppone al nuovo capo popolare Cleone, il quale esorta invece l'assemblea generale a proseguire le ostilità, abbandonando la tattica attendista di Pericle, e sostiene una politica di repressione verso i membri recalcitranti della lega delio-attica. Quando nel 427 a.C. l'isola di Lesbo, una delle principali forze della federazione, a cui forniva parte della flotta, decide di uscire dalla lega, Atene vota l'invio di un esercito che pone l'assedio alla principale città dell'isola, Mitilene: quando la città viene presa, l'assemblea ateniese vota per l'uccisione dei cittadini maschi e la riduzione in schiavitù di donne e bambini; il giorno seguente, tornando sulla propria decisione, l'ecclesia decide per l'eliminazione dei soli Mitilenesi ritenuti responsabili della rivolta e per la confisca della flotta.
L'anno successivo una flotta greca comandata da Demostene blocca un contingente spartiata sull'isola di Sfacteria, di fronte a Pilo in Messenia. Ad Atene l'assemblea, sollecitata da Cleone, vota l'invio di un esercito per affrontare e debellare i nemici e il comando viene affidato allo stesso Cleone su iniziativa degli aristocratici guidati da Nicia, che intendono così sfidare l'avversario politico, che preme per continuare la guerra al di là di qualsiasi ipotesi di tregua, a far seguire i fatti alle parole. Cleone raccoglie la sfida e guida gli Ateniesi a una netta vittoria sugli Spartiati che perdono un consistente numero di cittadini, tra caduti e prigionieri.
Le sorti di Sparta in grave difficoltà vengono raccolte dal generale Brasida che decide di portare l'attacco al nemico molto al di fuori del Peloponneso, per allontanare la minaccia e colpire gli Ateniesi in uno dei punti significativi della propria rete di risorse: Brasida conduce infatti un esercito in Calcidica, mirando alla conquista di Anfipoli, colonia ateniese che controllava la produzione delle miniere d'oro e il rifornimento di legname nel territorio. L'anno 424 è decisivo per le sorti della prima fase della guerra: Atene vede sgretolarsi la posizione di vantaggio in cui si era collocata dopo la vittoria di Sfacteria, perché Brasida conquista Anfipoli e il vicino porto di Eione e in Beozia l'esercito guidato da Ippocrate, fallito il ricongiungimento con le truppe condotte da Demostene, viene sconfitto presso il santuario beotico di Apollo Delio, vicino Tanagra. Negli anni successivi il luogo delle ostilit6agrave; si mantiene in Calcidica, dove nel 422 trovano la morte sia Brasida, sia Cleone.
Le due città, trovatesi senza i principali condottieri, fiaccate da dieci anni di guerra, decidono di cessare le ostilità e stipulano un trattato di pace conosciuto come pace di Nicia, dal nome di uno dei firmatari da parte ateniese: l'accordo, del 421 a.C., che chiude la fase della guerra archidamica, conferma lo status quo e sembra apparentemente favorevole ad Atene, che si vede riconosciuta la supremazia sull'Egeo che deteneva all'inizio della guerra e contro la quale si era mossa Sparta, rivendicando i principi di autonomia ed eleutheria delle poleis. La politica di Pericle, che mirava ad ottenere per Atene il riconoscimento dello status di potenza, sembra così coronata da successo, ma la città, abbandonata la tattica di attesa e spinta da Cleone a impegnare annualmente eserciti di terra oltre che la flotta, mostra segni di affaticamento e di disomogeneità interna, perché si ampliano i contrasti tra conservatori e popolari, tenuti a freno da Pericle.




La spedizione ateniese in Sicilia

Emerge in questi anni la figura di , nipote di Pericle e discepolo di Socrate, giovane ricco appartenente alla nobiltà favorevole alla parte popolare, che sogna grandi imprese per la città: è anche sua l'idea di approntare una spedizione in Sicilia, organizzata con il pretesto di accogliere la richiesta di aiuto di Segesta in guerra con Siracusa, che ha lo scopo di allargare il campo del conflitto, consentendo ad Atene di acquisire risorse e mezzi per la continuazione della guerra. L'assemblea vota l'allestimento della flotta, ma quando nel 415 a.C. la spedizione, perfettamente attrezzata, è pronta a salpare, l'ambiente ateniese è già stato scosso da due scandali, creati ad arte contro Alcibiade dai suoi avversari politici: una notte vengono distrutte le erme, le statuette di Hermes collocate agli incroci cittadini, e la diceria popolare ne attribuisce la responsabilità ad Alcibiade e ai suoi compagni; a questa voce si aggiunge l'accusa che lo stesso Alcibiade avesse a casa propria messo in scena una parodia dei misteri eleusini, il rito sacro celebrato nel santuario di Eleusi in onore di Demetra.
Alcibiade, che rischia una condanna per empietà, non riceve tuttavia alcuna accusa ufficiale prima della partenza: i suoi avversari ritengono che sia troppo pericoloso agire quando la flotta sta per salpare e Alcibiade gode ancora del favore popolare e preferiscono differire l'azione giuridica, che scatta quando le navi sono ormai arrivate in Sicilia. Qui, poco dopo lo sbarco, Alcibiade viene raggiunto dalla nave di Stato, la Salaminia, che ha l'ordine di ricondurlo in patria per il processo che si sta allestendo: Alcibiade, salito a bordo, riesce a fuggire durante uno scalo tecnico e trova rifugio a Sparta, dove mette a disposizione del nemico le proprie conoscenze e la propria abilità.
Nel frattempo gli Ateniesi, guidati dagli altri strateghi Nicia, Lamaco e Demostene, stringono l'assedio a Siracusa, la cui difesa è diretta da Ermocrate, ma non riescono a trarre dalla propria parte nessuna delle altre e rimangono a operare isolati in territorio nemico. Da Sparta giungono a Siracusa rinforzi guidati da Gilippo e la città riesce a condurre una manovra che spezza la linea dell'assedio ateniese. Gli strateghi, giudicando che l'impresa sia ormai infruttuosa per il tempo che richiederebbe in relazione alle risorse da acquisire, ritengono opportuno ritirarsi, ma quando tutto � pronto, un'eclissi di luna induce Nicia a rinviare la partenza di un giorno. La decisione si rivela catastrofica: quella notte, la flotta siracusana blocca in porto le navi ateniesi e le affonda. Gli Ateniesi, rimasti senza imbarcazioni, tentano la fuga mettendosi in marcia nell'entroterra, ma le varie colonne, guidate dagli strateghi, vengono facilmente divise e catturate. Gli strateghi vengono uccisi e i soldati fatti prigionieri e costretti ai lavori forzati nelle latomie, le cave di pietra di Siracusa.




La fase deceleica. Il colpo di stato del 411 e la fine della guerra

È il 413 a.C. e Atene si ritrova quasi senza flotta ad affrontare l'attacco di Sparta, con cui è stato ormai violato il trattato di pace del 421.
Gli Spartani riprendono la tattica della fase archidamica, inviando le truppe a devastare l'Attica, ma questa volta impiantano una base nel territorio ateniese, impadronendosi del forte di Decelea, a nord della città. Ha inizio la terza fase della guerra del Peloponneso, definita deceleica, in cui Sparta, per ovviare alla scarsezza di risorse marinare, decide di coinvolgere nuovamente i Persiani nell'ambito mediterraneo, chiedendo l'alleanza del Gran Re: gli accordi diplomatici della pace di Callia vengono accantonati e il generale spartano Lisandro può muoversi nell'Egeo con le navi fenicie fornite dai Persiani.
Ad Atene i conservatori cominciano a far circolare l'idea che i Persiani potrebbero accordare il loro appoggio agli Ateniesi, anziché agli Spartani, se Atene abbandonasse il regime democratico e assumesse una forma istituzionale più gradita al Gran Re. Un gruppo di conservatori di cui fanno parte Teramene, Peisandro, Frinico, guidati da Antifonte, un uomo secondo Tucidide di grandi capacità, che mai si era esposto pubblicamente nelle assemblee, ma diffondeva il proprio pensiero nell'ombra dei simposi aristocratici, attua nel 411 un colpo di stato oligarchico organizzato nei minimi particolari: a preparare il terreno ci pensa Peisandro che, con un gruppo fidati, parte da Samo, si muove per le Cicladi abbattendo dovunque i governi democratici e instaurando al loro posto regimi oligarchici, arriva ad Atene, dove inizia a spargere il terrore, eliminando fisicamente chiunque manifesti idee a favore della democrazia. I cittadini, temendo che qualunque vicino possa essere un congiurato, vengono riuniti in un'assemblea generale straordinaria a Colono, dove votano il decreto di Pitodoro, che prevede la nomina di venti probuli, che si aggiungono a dieci già nominati, a costituire un collegio legislativo con pieni poteri, con il compito di riformare il corpus legislativo. Con un emendamento al decreto, Clitofonte esorta i probuli a ricercare, nell'opera di riforma, le leggi di Clistene, perché la costituzione di Clistene era sentita come poco democratica e più vicina a quella di Solone: in questa visione, la svolta democratica del V secolo era individuata nell'opera di Efialte, che aveva abbattuto il potere dell'Areopago.
I probuli prendono immediatamente due decisioni decisive che colpiscono al cuore la democrazia: aboliscono la graphè paranomon e la mistoforia. La procedura dellagraph´ paranomon, ossia l'accusa di illegalità, consentiva a qualunque cittadino di presentare una denuncia contro chi, a suo giudizio, avesse avanzato o fatto approvare proposte contrarie alla democrazia. Abolendo tale possibilità, i congiurati si assicuravano ildiritto di modificare la costituzione della città senza che qualcuno potesse opporre ostacoli giudiziari. L'abolizione della retribuzione delle magistrature, dei buleuti e degli eliasti consegnava direttamente il governo nelle mani dei ricchi.
Operati questi cambiamenti preliminari, i probuli fecero approvare il resto del piano degli oligarchici, che prevedeva di limitare i diritti politici a cinquemila cittadini, che dovevano essere scelti da una apposita commissione di cento katalogheis. A un altro collegio di cento membri, gli anagrapheis, viene assegnato il compito di predisporre il nuovo assetto istituzionale della città. Secondo Aristotele, gli anagrapheis preparano due costituzioni, l'una per il futuro, l'altra destinata a trovare applicazione provvisoria e immediata.
La costituzione per il futuro prevedeva la suddivisione dei cinquemila cittadini che avrebbero costituito il corpo civico in quattro gruppi che, secondo una procedura di sorteggio, avrebbero esercitato a turno la funzione di buleuti, con il compito di eleggere le principali magistrature. Per il presente si istituiva una boulé di quattrocento membri, che prendeva immediatamente il posto della boul6eacute; dei cinquecento in carica.
Il governo degli oligarchi, guidato da Antifonte, durò pochi mesi, durante i quali l'amministrazione della città fu in mano dei quattrocento, mentre i cinquemila vennero scelti sulla carta e non esercitarono mai alcuna funzione. Furono i gravi rovesci militari subiti da Atene in questi mesi e il fatto che ugualmente non si riusc6igrave; a procurarsi l'alleanza del Gran Re, a indurre la popolazione a sollevarsi contro i quattrocento: l'oligarca Frinico venne ucciso in un attentato in piazza; uno dei congiurati, Teramene, cominciò a staccarsi dal gruppo, accusandolo di incapacità, e a lavorare per la nuova transizione alla democrazia; quando l'esercito ateniese perse il controllo dell'Eubea, la cittadinanza tolse il potere agli oligarchi, che trovarono scampo nella fuga, tranne Antifonte che rimase volontariamente in città, dove fu processato e condannato a morte.
Per alcuni mesi il govern˜ passò ai cinquemila e fu questo, secondo Tucidide, il periodo durante il quale Atene godette della miglior forma di governo, poi la democrazia venne pienamente restaurata e si prepar6ograve; a raccogliere tra i suoi membri Alcibiade, il quale era già effettivamente tornato sul campo, assistendo l'esercito ateniese in alcuni importanti vittorie nella zona dei Dardanelli. Tuttavia Alcibiade, nominato stratego nel 409/8 a.C., non riuscì a consolidare la posizione ateniese nell'Egeo e a impedire la continua defezione dei membri della lega delio-attica, che approfittarono della debolezza ateniese per lasciare la federazione. Privato della magistratura, morì avvelenato, forse per mano persiana.
Poco dopo, nel 405 a.C. gli Ateniesi riuscirono a conseguire una importante vittoria sulla flotta spartana presso le isole Arginuse, ma furono incapaci di ricavarne vantaggio, perché sottoposero a processo e condannarono a morte gli strateghi artefici della vittoria, accusati di non aver soccorso i naufraghi. Privata di guide valide, l'anno seguente la flotta ateniese venne bloccata e affondata da Lisandro presso Egospotami, in una battaglia che chiuse definitivamente la guerra del Peloponneso: rimasta senza flotta e per questo incapace di resistere a un assedio, senza potersi garantire rifornimenti, Atene si arrese e apr6igrave; le porte alle navi di Lisandro, che entravano al Pireo, mentre un esercito spartano di terra, guidato da Pausania, si avvicinava alle mura. Beoti e Corinzi reclamarono allora l'annientamento della città, ma gli Spartani, che badavano a mantenere gli equilibri all'interno della Grecia, si limitarono a imporre ad Atene l'abbattimento delle mura e l'instaurazione di un governo oligarchico, controllato da una guarnigione spartana che, comandata da un armosta, si insediò sul colle di Munichia, al Pireo.




I trenta tiranni e il ripristino della democrazia

Per la seconda volta in dieci anni la democrazia venne abbattuta e il potere passò, nello stesso 404 a.C. ad un collegio ristretto di trenta magistrati, conosciuti dagli storici con il nome di trenta tiranni, guidati da Crizia, tra cui compariva anche Teramene, il quale però presto entrò in conflitto con Crizia e i suoi metodi repressivi, accusandolo fra l'altro di non ottemperare agli accordi presi, che comportavano la cooptazione nel governo dei tremila cittadini che avrebbero dovuto costituire il corpo civico. Teramene venne isolato e ucciso dai trenta, che, tuttavia, non seppero tenere a freno la rivolta della cittadinanza, guidata dai democratici Trasibulo e Trasillo che, impossessatisi della fortezza di File, a nord della città, si congiunsero con i rivoltosi del Pireo, dove costituirono un governo in opposizione ai trenta. Dopo alcuni tentativi di conciliazione diplomatica, la contesa sfociò in scontri armati durante i quali perse la vita lo stesso Crizia. La guarnigione spartana venne allontanata dalla città e il governo democratico venne ripristinato: ai conflitti interni alla cittadinanza si cercò di rimediare con l'emanazione di una legge di amnistia, che escludeva però i membri dei trenta.
Uno dei primi atti del governo democratico restaurato fu nel 399 a.C. la condanna a morte di Socrate, accusato di empietà e di corruzione dei giovani: il filosofo pagava in realtà il suo atteggiamento di continua critica dei presupposti stessi del governo democratico, che affidava sé stesso a qualunque cittadino partecipasse alla vita politica, e non a professionisti della vita pubblica, nonché il fatto di avere avuto contatti con Crizia, artefice della tirannia dei trenta.


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Dall'egemonia spartana all'emergere della potenza macedone


L'egemonia spartana

La vittoria nella guerra del Peloponneso e il temporaneo annichilimento della potenza ateniese proiettano Sparta a primeggiare in Grecia, addossandole al tempo stesso la responsabilità di difendere gli interessi delle poleis nel Mediterraneo e in particolare in quell'Asia Minore da quasi ottant'anni protettorato ateniese, in cui erano tornati prepotentemente a farsi sentire i Persiani, coinvolti nuovamente nelle vicende greche proprio dagli Spartani nell'ultima fase della guerra peloponnesiaca. Non poteva più essere Atene a garantire la sicurezza di Mileto, Efeso, Colofone e degli altri centri micrasiatici, ormai priva della flotta e controllata da vicino dai nemici che ne avrebbero al momento impedito un rilevante ritorno sulla scena egea; neanche Sparta, tuttavia, aveva la forza numerica e la preparazione politica per sostenere un impegno a lungo termine con il Gran Re, perché troppo ridotti sono i ranghi dei cittadini di pieno diritto, che probabilmente in questi anni si aggirano intorno alle tremila unità, e soprattutto non vi è nella mentalità politica spartiata la predisposizione per sostenere progetti di larga portata, anche se questi sono la necessaria conseguenza della scelta di combattere Atene in difesa dell'eleutheria e dell'autonomia delle poleis
Ora che eleutheria e autonomia delle poleis micrasiatiche tornano a essere minacciate dai Persiani, Sparta, nonostante le difficoltà e le opposizioni interne, non può esimersi dal trarre le conseguenze delle proprie scelte e, almeno inizialmente nei primi anni del IV secolo, si impegna in tre campagne militari a difesa della costa micrasiatica greca, la prima guidata da Tibrone nel 400/399, la seconda da Dercillida nel 398 e la terza da Agesilao nel 396. 
Poco tempo prima altri greci erano stati coinvolti nelle vicende al potere persiano, quando, alla morte di Dario II, avvenuta nel 404, era esplosa la rivalità per la successione tra i figli Artaserse II, a cui era destinato il trono, e Ciro: quest'ultimo, legato da amicizia a Lisandro e a Sparta, cerca di spodestare il fratello con le armi e a tale scopo organizza una propria armata al cui reclutamento concorrono anche migliaia di greci mercenari, tra cui lo storico ateniese Senofonte, che descriverà l'avventura in Persia nell'Anabasi: Ciro viene sconfitto da Artaserse a Cunassa, nel 401, e trova la morte in battaglia; i Greci, rimasti senza guida, si affidano, tra gli altri, proprio a Senofonte che con una lunga marcia li riconduce fuori del territorio persiano, verso la salvezza.

Mentre i mercenari riconquistano la via di casa, il satrapo della Ionia Farnabazo, per ostacolare la campagna micrasiatica di Agesilao, attraverso intermediari suscita in Grecia una coalizione di forze beotiche, argive e corinzie contro Sparta. Scoppia nel 396 la cosiddetta guerra di Corinto, nella cui prima fase trova la morte il generale spartano Lisandro, l'artefice della sconfitta finale di Atene nella guerra del Peloponneso. Poco dopo, nel 395, l'ammiraglio ateniese Conone, al comando di navi persiane, sconfigge una flotta spartana nelle acque di Cnido. 
Sparta è sulla difensiva e si vede costretta a richiamare dall'Asia Agesilao, il quale ottiene una importante vittoria sui Beoti a Coronea, nel 394: Farnabazo ha così ottenuto lo scopo che si era prefissato, essendosi riuscito a liberare di Agesilao e della presenza di un esercito spartano in Asia Minore, ma soprattutto i Persiani comprendono di avere nuovamente un grande potere di controllo sulle vicende greche, come risulta chiaro dalla pace che chiude nel 386 la guerra di Corinto, chiamata pace del Re, perché sancita sotto la garanzia e il controllo della corte persiana, o di Antalcida, dal nome del diplomatico spartano che si è attivamente impegnato per il coinvolgimento della potenza persiana nella politica delle poleis
Gli effetti delle guerre persiane, dopo quasi cento anni, sembrano svaniti, perché Sparta, comprendendo di non essere in grado di sostenere la stessa politica antipersiana condotta da Atene e volendo al tempo stesso mantenere la propria egemonia in Grecia, senza assumersi gli obblighi che da questa deriverebbero, decide di trasformare la Grecia delle poleis in un protettorato persiano: secondo le clausole dell'accordo di pace in Grecia devono essere dissolti tutti i legami di tipo federativo, sia che si configurino come federazioni di stati, sia che assumano la forma di stati federali, con l'esclusione della lea del Peloponneso; le poleis greche dell'Asia Minore tornano sotto il controllo persiano e, in particolare, sotto il governo del satrapo della Ionia; al Gran Re spetta di sovrintendere al rispetto dei termini del trattato. Dopo aver combattuto ventisette anni contro Atene in nome dei principi di eleutheria e autonomia, Sparta, resasi conto di non essere in grado di assumersi tutte le responsabiltà e gli obblighi di cui si era fatta carico la città rivale, decide di sacrificare quegli stessi principi al fine di mantenere l'acquisita condizione di egemonia, che tuttavia appare limitata e precaria. 
La pace di Antalcida ripropone, inoltre, in termini resi in parte diversi dall'emergere del regno di Macedonia, la prospettiva di operare una scelta tra due opzioni che si erano già presentate ai Greci circa cento anni prima, alla conclusione delle guerre persiane: è preferibile continuare a combattere per la supremazia all'interno del mondo greco oppure far convergere le forze e coalizzarsi contro il nemico esterno? Non molto tempo dopo questi fatti ad Atene le due possibilità si confronteranno nelle tesi opposte sostenute dalle due più grandi intelligenze dell'epoca, Isocrate, che sosterrà l'opportunità di una concordia generale tra i Greci al fine di organizzare un fronte comune antipersiano, e Demostene, che sosterrà invece con tutte le forze la necessità di combattere all'interno del mondo greco, per ostacolare la nascente supremazia del regno del nord.



L'egemonia tebana

La garanzia prestata dal Gran Re alla pace di Antalcida avrebbe richiesto, da parte persiana, l'intervento in armi su suolo greco, ove necessario, per far eventualmente rispettare i termini dell'accordo: i Persiani, però, una volta conseguito l'obbiettivo di riportare sotto il proprio controllo l'Asia Minore e le acque antistanti, si astennero dall'impegnarsi ulteriormente e resero in questo modo vuota di contenuti la protezione precedentemente offerta a Sparta, che si ritrovò da sola a fronteggiare l'opposizione dei nemici: innanzi tutto non riuscì a impedire che Atene nel 378 ricostituisse la lega nell'Egeo, anche se in termini inizialmente diversi dall'arché strutturatasi nel corso del V secolo, dato che i legami tra i membri erano questa volta di tipo strettamente economico e commerciale e si estendevano su un piano di parità; in particolare dura si configurò subito l'opposizione dei Beoti, guidati dai Tebani, alle clausole della pace di Antalcida che vietavano la persistenza di strutture federali e avrebbero quindi dovuto comportare lo scioglimento dello stato federale beotico, sulla cui esistenza per questo periodo siamo informati dal resoconto che ne fornisce un'opera storica anonima, le cosiddette Elleniche di Ossirinco, così chiamate dal nome del luogo egiziano che ha restituito il manoscritto. 
Già nel 386 i tebani avevano insistito per firmare la pace non come Tebani, ma come Beoti, volendo con ciò ottenere il riconoscimento dello stato federale, ma avevano dovuto cedere di fronte all'intransigenza spartana, che impose lo scioglimento della federazione secondo i dettami della pace. Dopo essersi liberati della guarnigione spartana che presidiava la rocca della città, nel 379 i Tebani ricostituiscono la struttura federale e nuovamente pretendono di firmare come Beoti l'accordo di pace del 371, che avrebbe dovuto chiudere anni di scontri continui tra Spartani e Beoti. Gli Spartani non cedono e organizzano l'invasione della Beozia con un esercito che si scontra con i nemici nello stesso 371 nella piana di Leuttra, poco distante da Tebe: qui i Tebani guidati dai generali Epaminonda e Pelopida sbaragliano i nemici, infliggendo loro perdite ingentissime da cui lo stato spartano non si risolleverà più, grazie all'applicazione della tattica della falange oplitica, che comportava il rafforzamento dell'ala sinistra dello schieramento, a cui era affidato il compito di slanciare la propria forza d'urto contro le file nemiche. 
La nuova tattica, il cui successo molto doveva all'effetto sorpresa, scardinava la staticità della falange oplitica tradizionale, che prevedeva di mantenere compatti ed equlibrati i ranghi in uno scontro frontale con il nemico lungo tutta la larghezza dello schieramento, in un movimento tendenzialmente rotatorio in senso antiorario: nell'innovazione elaborata da Epaminonda, invece, l'ala sinistra, grandemente rafforzata, si addossava il compito di sbaragliare d'assalto le file nemiche, mentre agli altri reparti spettava la responsabilità di evitare manovre di accerchiamento. 
Gli spartiati perdono circa la metà dei cittadini di pieno diritto schierati sul campo di battaglia e non ebbero più la forza di opporsi agli eventi: sollecitati dai Tebani, che perseguono lo scopo di isolare gli Spartani nella Laconia, i Messeni, dori ridotti alla condizione di iloti nella prima metà del VII secolo che però mai avevano dimenticato usi e tradizioni e mai avevano smarrito la coscienza politica, si ribellano, riconquistando la libertà, e rendono tangibile l'acquisizione della piena cittadinanza con la fondazione della nuova città di Messene. A nord, a completare l'accerchiamento di Sparta, i Tebani sollecitano la costituzione in Arcadia di uno stato federale incentrata nella nuova città di Megalopoli. 
Epaminonda rivela così non solo di essere in possesso di valenti doti militari, ma anche di possedere capacità politiche non comuni, tuttavia da solo non può essere in grado di sostenere il peso delle azioni di uno stato intero, tanto più che nel 364 perde il collega Pelopida, caduto in Tessaglia. Quando nel 362 i Tebani si scontrano nuovamente con gli Spartani, slanciatisi in un ultimo tentativo di rompere l'accerchiamento in cui erano costretti, presso la città arcadica di Mantinea, l'applicazione della tattica della falange obliqua garantisce ai Tebani un'altra chiara vittoria, ma Epaminonda cade sul campo di battaglia e la sua scomparsa condanna Tebe a un rapido dissolvimento del suo ruolo sulla scena politica greca. 
Significativa è l'epigrafe che lo storico Senofonte appone a commento della battaglia di Mantinea e a conclusione della sua opera storica, le Elleniche, che riprendevano le Storie di Tucidide, fermatesi al 411, e si concludevano proprio nel 362, quando “in tutta la Grecia l'incertezza e la confusione erano più gravi di prima”.

La confusa situazione della Sicilia e della Magna Grecia

Mentre il continente greco si dibatte tra i postumi della guerra del Peloponneso, la Sicilia, che nel 413 ha respinto a Siracusa il tentativo egemonico ateniese grazie all'opera congiunta del siracusano Ermocrate e dello spartano Gilippo, vede il tardo emergere del fenomeno della tirannide, che viene instaurata nella sua città più importante, Siracusa, dal genero di Ermocrate, Dionisio: egli riesce a farsi nominare nel 406 strateghos autokrator, stratego, quindi magistrato dotato del potere militare, legislativo ed esecutivo, a cui vengono conferite funzioni e prerogative straordinarie, tra cui una guardia del corpo personale. 
Una funzione non trascurabile fu svolta, nel convincere i Siracusani a spogliarsi dei propri diritti di cittadini per conferirli ad un'unica persona, dal pericolo cartaginese, dato che i punici, dopo la sconfitta inferta loro da Ierone nel 480, nel corso del V secolo erano nuovamente riusciti a consolidare il controllo su tutta la Sicilia occidentale, arrivando anche a saccheggiare Agrigento. Dionisio impiegò quasi tutti i suoi anni di potere a confrontarsi con i Cartaginesi in un alternarsi di vittorie, sconfitte e accordi di pace che alla fine non fecero che riconfermare lo status quo. Nel corso della dittatura Dionisio riuscì però a espandere il potere di Siracusa non solo sulle altre città greche in Sicilia, attraverso il completo ricambio della cittadinanza a Leontini, Nasso e Catana, che divennero appendici siracusane, e la ricostruzione di Messana, distrutta dai Cartaginesi nel 397, ma anche sulle città della Magna Grecia: qui nel 386 Dionisio annientò Reggio che si era opposta al tiranno e ne schiavizzò i cittadini e riunì le altre città, che si erano dimostrate accondiscendenti, in una federazione incentrata su Locri, che facilitasse l'intesa militare contro il pericolo delle popolazioni italiche di Bruttii, Sanniti e Lucani. 
Alla morte di Dionisio, nel 375, Siracusa entrò in un turbine di violenza e cambi di potere che videro confrontarsi innanzi tutto il figlio di Dionisio, Dionisio II, e il cognato di Dionisio, Dione, i quali, dopo un periodo di concordia con Dionisio II nelle vesti di strateghos autokrator e Dione in quelle di consigliere, vennero alle armi. Dione conquistò il potere nel 354, ma venne eliminato in un attentato; Dionisio II, rientrato in città nel 347, non riuscì a recuperarne il pieno controllo, perché la popolazione, ormai stanca della tirannide familiare, invocò contro di lui l'aiuto della città madre, Corinto, la quale inviò una spedizione al comando di Timoleonte
Dionisio II, perse le speranze di conservare il potere, si arrese spontaneamente a Timoleonte e trascorse i suoi ultimi anni a Corinto; il corinzio restaurò la costituzione timocratica a Siracusa, rimanendo in città fino alla morte a controllare l'esito del proprio operato, per otto anni come stratega e poi dal 337 come semplice cittadino. Al di fuori di Siracusa, i Cartaginesi erano destinati a rimanere un pericolo incombente per un altro secolo ancora, quando la Sicilia comincerà a entrare sotto l'interesse romano.


L'esigua possibilità di azione di Atene

Dopo esser stata sconfitta nella guerra del Peloponneso e aver evitato l'annientamento richiesto da Tebani e Corinzi per volontà della stessa Sparta, che non voleva così creare uno squilibrio troppo forte nel panorama delle relazioni interstatali greche, nei primi anni del IV secolo Atene affidò le proprie sorti a Conone, il quale, dopo aver prestato servizio come ammiraglio nella flotta persiana e aver ottenuto sulle navi spartane la brillante vittoria di Cnido, nel 395, riuscì a rimediare sufficienti risorse economiche per dare il via a una parziale ricostruzione delle mura cittadine e del Pireo, che erano state abbattute nel 404.
Nel 378, a un secolo esatto di distanza dalla costituzione della lega delio-attica, Atene riesce a fondare una seconda federazione basata questa volta sul principio della pari dignità dei suoi membri, con finalità più economiche che militari. Anche su questa seconda lega, tuttavia, Atene non tarda a cercare di imprimere il proprio marchio egemonico, suscitando la ribellione dei confederati che sfocerà nella cosiddetta guerra sociale, tra 357 e 355, in cui perderà la vita uno dei generali più valenti del periodo, Cabria, mentre vengono destituiti Timoteo, figlio di Conone, e Ificrate, che pure avevano dimostrato il loro valore, ma non erano riusciti a ristabilire il prestigio della città. 
Alla fine della guerra, nel 354 la lega, o quel che ne rimane, appare ormai sfaldata e inconsistente e quindi priva di avvenire e incapace di fornire un eventuale aiuto contro un pericolo che si sta costituendo a nord, dove la minaccia della Macedonia si fa temibile e consistente.


I Macedoni di Filippo II

I Macedoni, che probabilmente in greco erano intesi come "quelli della montagna", abitavano in origine il territorio compreso tra i fiumi Axios e Haliakmon, erano governati dalla stirpe regale degli Argeadi, che connetteva le proprie origini a Eralce e alla città di Argo, e riconoscevano come centro egemone il sito di Ege, i cui resti vengono attualmente scavati nella città di Verghina. Per lungo tempo vissero ai margini della grecità e vennero sentiti dai Greci come semibarbari, tanto che all'inizio del V secolo, il re Alessandro I ebbe difficoltà a farsi accogliere a Olimpia, nelle cui gare potevano concorrere solamente atleti di stirpe greca riconosciuta. 
Nel corso della guerra del Peloponneso il re Perdicca II si era barcamenato non schierandosi apertamente con nessuno dei contenenti, anche se la situazione lo portava a essere ostile ad Atene, che su territorio macedone aveva fondato la colonia costiera di Anfipoli. Il successore di Perdicca, Archelao, si diede molto da fare, trA 413 e 399 per la modernizzazione del regno in chiave amministrativa, militare e culturale: spostò la capitale da Ege a Pella, perché il centro politico del paese fosse inserito più facilmente nelle vie di comunicazione con la penisola greca e aprì la corte alla cultura del tempo, invitando presso di sé, tra gli altri, i poeti tragici Euripide e Agatone. 
Con Filippo II, salito al potere nel 359, la Macedonia entra stabilmente all'interno del panorama greco, sfruttando inizialmente la confusione politica della Tessaglia e le vicende dell'anfizionia delfica, la federazione di stati incentrata intorno al santuario di Apollo a Delfi, nella Focide. I Tessali, che pochi anni prima aveva visto il tentativo di predominio del tiranno di Fere, Alessandro, respinto nel 363, conferiscono a Filippo la carica di tago, magistrato supremo, e lo rendono proprio rappresentante nel consiglio degli Anfizioni: forte di questi titoli, Filippo interviene nella guerra sacra che è scoppiata nel 356 a causa del tentativo focese di annettersi terreni spettanti all'anfizionia. Filippo non ottiene però la facile vittoria che si era aspettato ed è costretto ad attendere dieci anni prima di sconfiggere i Focesi, aiutati da Spartani e Ateniesi, togliere loro i due voti che detenevano all'interno dell'anfizionia e insediarsi nel consiglio anfizionico, di cui detiene ormai la maggioranza. 
Pochi anni prima, nel 349, era riuscito a debellare la resistenza della federazione delle città della penisola calcidica, capeggiate da Olinto, che invano aveva chiesto aiuto ad Atene: esortata da Demostene, la città aveva solo tardivamente inviato aiuti che si erano rivelati insufficienti e Olinto era stata completamente distrutta. Con la dissoluzione della federazione, a Filippo si aprivano anche i possedimenti della Tracia e, forte della Tessaglia, poteva impiegare gli anni di stasi concessi dalla pace di Filocrate, stipulata con gli Ateniesi nel 346, per organizzare la discesa a sud del valico delle Termopili. 
Da anni ad Atene Demostene sosteneva la necessità di opporsi a Filippo, ritenendo che se Atene avesse deciso di non intervenire nello scacchiere settentrionale, l'eventuale vuoto sarebbe stato immediatamente colmato dai Macedoni, che avrebbero inteso la stasi ateniese come segno di debolezza. Sul fronte opposto, Isocrate, fondatore della più importante scuola di retorica della città, riteneva che i Greci dovessero abbandonare per sempre le rivalità interne al fine di costituire un fronte comune contro il nemico persiano, la cui minaccia si era reintrodotta nell'Egeo. In queste due prospettive che si autoescludono, Filippo è dall'una parte il nemico da eliminare, dall'altra la forza sotto la cui protezione coalizzarsi. 
Quando nel 338 Filippo decide di passare all'azione e valica le Termopili, Demostene convince i Tebani a resistere e a stringere un'alleanza con Atene, ma i due eserciti collegati vengono sconfitti sul campo di battaglia di Cheronea, Tebe è esposta al saccheggio e i Macedoni hanno libertà d'azione in Grecia. Filippo sfrutta il momento favorevole in chiave politica, in vista dell'organizzazione della guerra contro l'impero persiano che ha in mente da tempo per far uscire la Macedonia dai limiti di un regno periferico: costituisce presso Corinto la federazione di tutte le poleis greche, perché il nuovo organismo fornisca dall'una parte la camera di compensazione delle ostilità reciproche e dall'altra, attraverso lo sviluppo di strutture decisionali comuni, riesca a organizzare una forza militare generale che si unisca ai Macedoni nell'impresa antipersiana. La cosiddetta lega di Corinto è lo strumento politico escogitato da Filippo per tenere sotto controllo i Greci e sfruttarne al tempo stesso le risorse, ma il suo progetto sembra destinato a interrompersi perché il re viene assassinato da un certo Pausania a Ege, durante la celebrazione delle nozze della figlia con Alessandro il Molosso, fratello della moglie, nel 336.



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Alessandro Magno

Il figlio di Filippo intraprende la spedizione antipersiana


Alla morte di Filippo molti Greci credono che, come accaduto più volte in passato, la Macedonia sarebbe ricaduta in faide di corte che ne avrebbero ricacciato la minaccia all'interno dei propri confini, ma questa volta la storia prende un corso diverso grazie alla capacità del figlio di Filippo, che, educato da Aristotele, già aveva dato prova di sé come militare conducendo la cavalleria contro il battaglione sacro a Cheronea: Alessandro, nato venti anni prima nel 356 da Filippo e Olimpiade, figlia del re di Epiro, assume immediatamente la corona assicurandosi l'amicizia dei più vlenti generali Antipatro e Parmenione, si sbarazza dei possibili nemici, anche interni alla corte, e riprende la politica del padre senza soluzione di continuità. Fattosi riconoscere dai Greci capo della lega di Corinto, annienta la ribellione di Tebe e riprende l'organizzazione della spedizione antipersiana che, nel 334, dopo una campagna condotta contro i Traci e gli Illiri l'anno precedente per assicurare i confini nord occidentali e orientali del regno, è pronta a partire. Lasciato sul trono di Pella come propirio rappresentante Antipatro, Alessandro sbarca in Asia Minore presso Abido alla testa di un esercito di circa trentacinquemila uomini, costituito sia dai Macedoni, sia dagli uomini delle poleis della lega; a sostegno delle forze di terra stanno circa centosessanta navi.
Dopo aver visitato le rovine di Troia per ritrovarvi con gli occhi quanto conosceva dalla lettura dell'Iliade, il cui testo portava sempre con sé, Alessandro si dispone alla battaglia: Memnone, il greco di Rodi alla guida dei mercenari greci al servizio dei Persiani, consiglia ai satrapi e al re Dario III la strategia della terra bruciata, consistente nell'evitare di affrontare il nemico in campo aperto, distruggendogli intorno tutte le risorse, e di portare la guerra alle sue spalle, in Macedonia, ma la corte rifiuta tale prospettiva e ordina l'attacco, confidando nella migliore posizione sul terreno presso il fiume Granico, nelle vicinanze del Mar di Marmara. La battaglia del Granico, combattuta nella tarda primavera del 334, vede la completa vittoria di Alessandro, che, pur attaccato mentre il suo esercito sta guadando il torrente, riesce a spezzare le linee nemiche, costringendole alla fuga disordinata, dopo aver egli stesso rischiato la vita ed esser stato salvato dal compagno Tolemeo.
La vittoria apre ai Greci tutto il territorio delle poleis micrasiatiche: la principale città, Mileto, viene facilmente occupata, Priene dedica un tempio ad Alessandro e Alicarnasso viene distrutta; anche Sardi, capitale della satrapia ionica, cade nelle mani degli invasori.
Nell'autunno del 333, dopo che Memnone ha trovato la morte combattendo con la flotta, i due eserciti si scontrano nuovamente nella pianura di Isso, che, stretta tra il Monte Tauro e il mare, non consente a Dario III di estendere tutte le forze militari che ha a disposizione: la vittoria macedone è schiacciante, Dario è costretto a una fuga precipitosa e tutto il suo accampamento, con la famiglia reale, cade nelle mani di Alessandro.
Gli anni tra il 332 2 il 331 vengono impiegati da Alessandro ad assicurarsi il controllo sulla Siria e la Fenicia, a distruggere Tiro che non aveva aperto le port al vincitore e aveva sopportato mesi di assedio, a entrare infine in Egitto come nuovo faraone. Agli inizi del 331 raggiunge il santuario di Amon-Ra, identificato dai Greci con Zeus, nell'oasi di Siwa, dove si fa dichiarare dai sacerdoti figlio di Zeus: l'ufficializzazione della genealogia divina gli consente di insediarsi sul trono del paese come prosecutore della linea regale faraonica e garante della giustizia e dell'ordine del mondo secondo l'uso tradizionale egizio. Decide di fondare una città che porti il suo nome e sceglie il sito a occidente del delta del Nilo, dove si apre una baia naturale chiusa dall'isola di Faro, che garntisce la costruzione di un porto sicuro ed efficente. Nasce così Alessandria, la cui pianta urbanista e la collocazione funzionale degli edifici vengono decisi dallo stesso Alessandro, città che è destinata a diventare in poco tempo uno dei centri principali di tutto il Mediterraneo.
Dopo essersi assicurato il controllo di tutta la fascia costiera mediterranea un tempo sotto il governo persiano, nella primavera del 331 Alessandro si dirige verso il cuore dell'impero, dove in ottobre affronta lo scontro decisivo a Gaugamela, nel territorio assiro non lontano da Ninive: anche questa terza battaglia si risolve in un trionfo greco-macedone, che apre ad Alessandro le porte di Babilonia e del cuore dell'impero persiano con le città regali di Susa, Persepoli,  Pasargade, Ecbatana. Alessandro si insedia a Babilonia, elevandola a nuova capitale dell'impero, incendia Persepoli per vendicare l'incendio di Atene durante la seconda guerra Persiana e a Ecbatana ottiene l'omaggio regale di tutte le popolazioni facenti parte dell'impero. Decide a questo punto di esplorare il territorio a oriente, sia per desiderio di avventura, sia per la necessità di consolidare il controllo su un territorio nel quale si nasconde ancora Dario, fuggito dal campo di Gaugamela ed eclissatosi verso la Battriana.



Verso oriente

Inizia nel 330 la spedizione verso oriente che porterà l'esercito macedone a occupare le regioni della Sogdiana, corrispondente al Turkestan, e della Battriana, tra i rilievi dell'Hindukush e il fiume Amudarja e oggi divisa tra Afghanistan, Uzbekistan e Tagikistan, dove verranno fondate diverse città con il nome di Alexandreia, fino a toccare le rive dell'Indo. In Battriana Alessandro scopre che Datio III è stato ucciso dal satrapo della regione, Besso, che intendeva così ingraziarsi l'invasore, ma al macedone non piace il trattamento riservato a una figura reale e mette a morte Besso. Nella stessa Battriana sposa Roxane, una principessa locale e inizia a elaborare il metodo per governare l'impero universale che sta passando sotto il suo controllo: non è evidentemente possibile che un piccolo nucleo di Greci gestiscano da soli gli strumenti del comando e riescano a dirigere una pluralità di genti di lingua, usi e sistemi differenti, che si estendono dal Mediterraneo ai confini con la penisola indiana; è necessario coinvolgere i Persiani nell'amministrazione, ma per ottenere questo scopo i Greci devono abandonare la mentalità discriminatoria verso il barbaro che li aveva contraddistinti specialmente nel corso del V secolo, quando più volte avevano manifestato l'idea che il persiano fosse naturalmente e culturalmente inferiore perché incapace di sviluppare una forma di partecipazione democratica al potere.
Nel 326 i greco-macedoni attraversano l'Indo e si scontrano con il re Poro, presso il fiume Idaspe, ottenendo la vittoria e aprendosi teoicamente la strada per procedere verso l'Oceano Indiano, ma arrivati a questo punto i soldati, stremati da anni di fatiche, battaglie e sofferenze, si ribellano ad Alessandro, rifiutandosi di procedere oltre. Al generale non rimane che organizzare il ritorno, che avviene lungo due direttrici diverse: parte degli uomini si imbarcano sule navi guidate da Nearco per risalire lungo la costa e il Golfo Persico fino alla costa mesopotamica; l'esercito di terra, guidato da Alessandro, attraversa invece le zone desertiche dell'altopiano iranico in direzione di Susa e di Babilonia, dove giunge nel 324.



Il ritorno e la morte

A Babilonia Alessandro mette in atto il suo piano di fusione tra l'elemento greco e l'elemento persiano, sposando Statira, una delle figlie di Dario III, nello stesso giorno in cui trecento ufficilali greci e macedoni sposano altrettante donne indigene. È chiaro il segnale che si vuole dare: tra mondo greco e mondo persiano devono cadere le barriere discriminatorie e i due ambienti devono iniziare a collaborare in un mondo che scavalca enormemente i limiti angusti delle poleis e non può permettersi di limitare lo scambio di esperienze e conoscenze. Per farsi accetare più facilmente come prosecutore del Gran Re, Alessandro ha già accolto, fin dall'occupazione dei centri del potere persiano, i rituali orientali dell'omaggio al sovrano e della proskynesis, ossia dell'obbligo per chiunque di prostrarsi al suo cospetto e questa scelta gli ha procurato molte e violente ostilità, sfociate in diversi tentativi di congiura.
Già nel 330 era stata sventata una congiura forse organizzata dal generale Parmenione, che era stato con questa accusa giustiziato, ma contro Alessandro si erano scagliati anche quelli che erano considerati suoi collaboratori, come lo storico Callistene, nipote di Aristotele, e suoi fedeli amici, come Clito ed entrambi avevano trovato la morte: l'ira che avevano suscitato nel sovrano era stata più forte del coraggio che avevano mostrato nel sostenere apertamente le proprie idee.
Nel 324 sono gli stessi generali più vicini ad Alessandro che si ribellano, temendo di essere scavalcati dai Persiani nelle funzioni di governo, ma il sovrano si dimostra capace di sostenere lo scontro e ne recupera la fiducia.
Nel 323 Alessandro è impegnato a organizzare i progetti futuri che sembrano prevedere spedizioni in Arabia e verso l'occidente mediterraneo e italico, quando, al ritorno da un banchetto in cui, come era solito, ha bevuto a dismisura, viene colto da alte febbri che non lo abbandonano più e lo costingono a letto per alcuni giorni:, l'ultimo dei quali ha appena la forza per passare in rassegna i suoi generali, rivolgendo loro l'estremo saluto. Muore lasciando insoluto l'immenso problema di governare un impero universale che tende a disgregarsi, privo di una guida unitaria.

CARTOGRAFIA impero di Alessandro carta dell'impero con indicazione delle battaglie e delle spedizioni.
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L'età ellenistica


La divisione dell'impero di Alessandro

Alla notizia della morte di Alessandro a Babilonia le città greche rimaste sotto il controllo della Macedonia retta da Antipatro si ribellano e cercano di riconquistare l'autonomia perduta: assediano il reggente macedone nella città tessala di Lamia, ma vengono sconfitti per terra a Crannon, in Tessaglia, e per mare nelle acque dell'isola di Amorgo. Nella repressione macedone seguita alla sconfitta trovano la morte i due ateniesi che più avevano lanciato esortazioni a favore della ribellione armata, ossia Demostene e Iperide: Demostene riesce a fuggire a Calauria dove, però, perse le speranze di salvezza, si suicida per sfuggire ai sicari di Antipatro; Iperide viene catturato e muore tra le torture per volontà del reggente di Macedonia.
Si è nel frattempo aperta la questione della successione di Alessandro, sulla cui legittima spettanza ai discendenti del re non sembrano esservi dubbi: in punto di morte Alessandro ha affidato l'anello regale, simbolo del potere, a Perdicca con l'incarico di custodirlo per consegnarlo al successore per via ereditaria che dovrebbe essere il fratello Filippo Arrideo: questi è però considerato minorato nell'intelletto e, di conseguenza, in attesa della nascita el figlio che Roxane porta in grembo, lo stesso Alessandro ha fatto in tempo a nominare Cratero epimeletes del regno, ossia curatore temporaneo del potere.
Tuttavia, la trasmissione del potere su un impero tanto vasto è destinata prestissimo ad assumere i contorni della rivalità in armi tra i generali che erano stati più vicini ad Alessandro e ora cominciano a ritagliarsi il proprio ambito: tra questi spiccano Eumene, Tolemeo, Seleuco, Lisimaco, Antipatro con il figlio Cassandro, Antigono con il figlio Demetrio detto Poliorcete che nei circa quarantanni intercorsi tra la morte di Alessandro, avvenuta nel 323, e l'ultima grande battaglia che combatterono due di loro, ossia Lisimaco e Seleuco a Curupedio, nel 281 a.C., si scontreranno più volte tra di loro, formando e rompendo alleanze, redistribuendo i territori, strappandosi il controllo di interi regni, finché, già all'inizio del III secolo a.C. si enucleano i centri di potere che caratterizzeranno la vita del Mediterraneo fino all'emergere della potenza romana.
Dalla lotta tra i diadochi, come vengono definiti i successori di Alessandro, si produce la dissoluzione dell'impero unitario, sulle cui ceneri si costituiscono quattro regni indipendenti: il regno di Macedonia perde l'ampliamento dovuto all'impresa di Alessandro e vede insediarsi sul trono di Pella la discendenza di Antigono e Demetrio; l'Egitto tocca a Tolemeo, figlio del generale Lago, che assume la veste del faraone e la cui discendenza governerà il paese da Alessandria fino a Cleopatra; sull'Asia Minore sorge il dominio del regno di Pergamo, controllato da Eumene e poi da Attalo; la parte più consistente dell'impero così disgregato finisce sotto il controllo di Seleuco, e poi di Antioco, che governano il regno di Siria, i cui confini si estendono dal Mediterraneo fino alla Mesopotamia, all'altopiano iranico e all'Indo, ma saranno presto ristretti dall'espansione dei Parti.



La definizione di ellenismo

Il termine ellenismo viene introdotto nella ricerca storica da Droysen che intendeva con ciò individuare quel periodo storico successivo alla morte di Alessandro  in cui la lingua e la cultura greca si ampliano ben al di là dei confini delle poleis, diventanto la matrice comune che unifica tutto il Mediterraneo centro-orientale. In realtà i termini ellenismos e il corrispettivo ellenistes, presenti nei testi greci del periodo considerato, venivano usati più semplicemente per distinguere la cultura greca e coloro che parlavano greco dal mondo non greco. La definizione di ellenismo rimane comunque utile per delimitare una fase dell'evoluzione storica che vede il tramonto dell'ambito politico e culturale ristretto delle poleis, le quali dal punto di vista istituzionale si ritrovano inserite in strutture statali enormemente più vaste e complesse oppure sono obbligate a confrontarsi necessariamente con queste e dal punto di vista culturale sono costrette a mettere indiscussione tutti i presupposti di superiorità della civiltà greca rispetto ai cosiddetti barbari.
Grazie all'impresa di Alessandro e alla trasmissione del potere ai quattro regni sorti dalle sue conquiste, la lingua greca, le strutture politiche della polis, la cultura e il modello di vista di Atene in particolare si diffondono in gran parte dell'oriente mediterraneo e anche dell'interno, creando un sottofondo comune su cui più tardi interverranno i Romani, dando vita a un'unico sistema politico-culturale greco-romano. Se il quinto secolo, forgiato dalle vittorie sui Persiani del decennio 490-480, si era contraddistinto come il periodo della superiorità greca sul barbaro, considerato dal pensiero greco come naturalmente inferiore perché estraneo ai principi dell'agorà, ossia privo della capacità di far valere se stesso come soggetto di diritti, e quindi necessariamente sottomesso al dominio di un tiranno assoluto, l'età ellenistica, che si apre nel 323 e si chiude nel 31 a.C., quando l'ultimo regno alessandrino, l'Egitto, finisce sotto il controllo romano, si configura come la fase storica del confronto e dell'integrazione, in cui la lingua greca, attica in particolare, fuoriesce dai confini delle città ioniche e diventa la lingua comune, koiné dialektos, del Mediterraneo, in cui ad Alessandria, ad Antiochia, fondata da Seleuco in Siria, a Pergamo, in una qualunque città dell'Asia, ad esempio in una delle tante Alexandreia fondate dalla Mesopotamia alla Battriana, si ritrovano le stesse strutture culturali del ginnario e del teatro e politiche dell'agorà e della boulé, in cui un tempio di Zeus si trova a Seleucia sul Tigri, ad Assos in Frigia, ad Alexandreia Eschate in Sogdiana e, nel contempo, per il fenomeno del sincretismo, allo stesso Zeus viene associato Amon in Egitto e Baal in Fenicia. Se fino al IV secolo un cittadino di una polis qualsiasi diventa straniero nel momento in cui varca i confini della propria città, un cittadino di Antiochia, pur rimanendo legato alle proprie istituzioni locali che persistono, è comunque non solo un antiocheno, ma soprattutto un cittadino del regno di Siria, suddito del re Seleuco o Antioco.
Perché qualcosa di nuovo nasca, qualcosa di vecchio deve morire: quello che è destinato alla dissoluzione è il mondo della polis, in cui l'ekklesia e la boulé legiferano per poche migliaia di cittadini e le loro norme valgono entro il ristretto cerchio delle mura cittadine: le poleis della Grecia saranno le ultime ad arrendersi a questa inevitabile evoluzione e per tutto il IIII secolo combatteranno per mantenersi autonome dal re di Macedonia, costituendo e rafforzando anche strutture di tipo federale, come il koinon etolico e acheo, per meglio difendersi, e la loro volontà di perpetuare la tradizione della polis sarà così forte che anche i Romani ne terranno conto in più occasioni. Ma il corso della storia, su cui Alessandro ha impresso una forma decisiva, è ormai segnato e si dirige verso l'ampliamento dei confini mentali e materiali.


Lo sviluppo urbanistico

Una delle caratteristiche principali dell'ellenismo è l'espansione della cultura urbana connessa sia all'ampliamento delle città esistenti, sia alla fondazione di nuovi centri. Di nuova fondazione sono le città di Alessandria in Egitto e Antiochia in Siria, capitali dei rispettivi regni, destinate a diventare, insieme a Roma, i più grandi e importanti centri del mondo antico dominato dai Romani.
I re seleucidi, che dominano sul territorio più vasto tra quelli suddivisi tra i diadochi, sono grandi fondatori di città, quasi tutte di nome Seleucia, tra cui si ricordano Seleucia sull'Oronte e Seleucia sul Tigri, che si troverà a fronteggiare la capitale del regno partico Ctesifonte, costruita sulla sponda opposta del fiume. All'interno del regno seleucide sono anche presenti tutte le Alexandreia fondate da Alessandro, molte delle quali di incerta identificazione archeologica, e la ricostituzione di antichi centri militari e carovanieri come Doura Europos, nata come forte assiro, Gerasa e Palmira. Da Eumene e Attalo vengono fondate e ampliate la capitale del regno, Pergamo, e Assos, di Cassandro è la creazione di Tessalonica, intitolata alla moglie, figlia di Filippo II, in Macedonia.
Quasi tutti gli impianti urbanistici delle nuove fondazioni si ispirano al modello regolare elaborato da Ippodamo di Mileto che nel V secolo aveva sviluppato l'idea di una pianta suddivisa in aree funzionali e caratterizzata da vie incrociantesi ad angolo retto. Su tale modello era stata ricostruita la città di Mileto dopo la distruzione subita dai Persiani nel 494 in seguito alla rivolta ionica, era stata edificata la colonia panelenica di Turi, voluta da Pericle nel  445 in Magna Grecia ed era stata risistemata la città micrasiatica di Priene: ora l'urbanistica ippodamea a pianta regolare, già diffusasi a occidente e in Asia Minore, diventava uno degli elementi comuni ai regni ellenistici, che andavano a caratterizzare le città dei Greci in Egitto e in Asia.


La Biblioteca e il Museo di Alessandria

Un altro fondamentale tratto distintivo dell'ellenismo è l'attenzione per la cultura. è di Tolemeo I Soter l'idea di creare ad Alessandria un centro culturale che si dedicasse sia alla cura dei testi sia alla ricerca scientifica: nascevano così i due poli della biblioteca e del museo, inteso quale luogo dedicato alle muse e devoto all'indagine conoscitiva, al cui sviluppo si dedicherà in particolare il successore Tolemeo II Filadelfo.
La Biblioteca, organizzata inizialmente da Demetrio  Falereo, un disceopolo di Aristotele che aveva governato Atene tra 317 e 307 ed era stato appositamente chiamato ad Alessandria da Tolemeo I nel 297,  si assumerà il compito non solo di conservare tutta la produzione scritta in lingua greca, ma anche di offrire testimonianza della letteratura di ogni genere in qualunque altra lingua conosciuta: all'interno di questo progetto trova spiegazione la norma che obbligava qualunque nave che attraccasse al porto della città di consegnare i testi che si trovassero a bordo perché gli addetti della biblioteca ne traessero copia e il progetto realizzato di invitare ad Alessandria settanta saggi di Gerusalemme perché collaborassero alla redazione del testo biblioco in greco.
Particolarmente attiva fu la sezione degli studiosi che si dedicava alla cura della letteratura: al poeta Callimaco si deve la redazione dei cosiddetti Pinakes, ossia quel che sembra una via di mezzo tra il catalogo e la bibliografia commentata dei testi posseduti dalla biblioteca; a filologi quali Aristofane di Bisanzio, Aristarco di Samotracia e Zenodoto di Efeso si attribuisce la cura del testo delle grandi opere del passato, come i poemi omerici.
Attorno al Museo gravitano invece le ricerce geografiche e astronomiche di Aristarco di Samo, che per primo elabora la teoria eliocentrica, di Ipparco di Nicea, che studia una possibile classificazione delle stelle in base alll'indice di luminosità, di Eratostene di Cirene, che fornisce un dato molto attentibile relativo alla circonferenza della terra; gli studi di matematica e geometria di Euclide e Apollonio di Perge; le ricerche e le applicazioni di fisica e meccanica di Erone; l'indagine medica di Erofilo.


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