Cinque miliardi di anni circa prima della comparsa dell'uomo, la terra era costituita da una grande massa incandescente di gas liquido, senza alcuna forma di vita. Con il tempo questa massa si raffreddò e si ricoprì di una crosta, in gran parte solida. Per molto tempo questa crosta costituì un unico blocco circondato da acqua (la pangea), che poi con il passare degli anni si divise formando i continenti che abbiamo oggi. Questo periodo di trasformazione è stato suddiviso dagli scienziati in 5 ere geologiche:
In quest'ultima era
geologica comparve l'uomo che poi si sarebbe evoluto in homo
sapiens, cioè intelligente.
Sull'evoluzione dell'uomo e della terra sono state elaborate
nell'ottocento alcune importanti teorie: Charles Lyell
dimostrò che la vita della terra non poteva essere misurata
in migliaia di anni, ma in milioni, e che la presenza dell'uomo
risaliva a una data molto anteriore a quello che si ricava dalla
Bibbia, secondo cui l'uomo sarebbe comparso circa 4000 anni prima di
Cristo; il naturalista inglese Charles Darwin espose la teoria
dell'evoluzione, sostenendo che l'uomo e le altre specie umane e
vegetali non sono stati creati da Dio, ma si sono evoluti nel corso di
milioni di anni fino a raggiungere la forma attuale.
Applicando allo studio dello sviluppo delle forme di vita i principi
dell'evoluzione, molti scienziati sostennero che a un certo momento si
determinò una differenziazione da cui trassero origine
differenti specie genealogiche: una di queste è la specie
delle scimmie, dette anche ominidi, in quanto
simili all'uomo, ma con caratteristiche ancora molto differenti. Tracce
di ominidi, detti anche australopitechi (ossia “scimmie del
sud”), risalgono a circa 5 milioni di anni fa in Africa,
precisamente in Etiopia, Kenya, Tanzania e nella Repubblica
Sudafricana.
Dall'australopiteco si passò tramite l'evoluzione della
specie al cosiddetto homo abilis,
la cui comparsa risale a circa tre milioni di anni fa: si distingue per
avere una mano robusta e un pollice in grado di ruotare su se stesso,
garantendo una presa sicura; era in grado di tenere in mano con molta
sicurezza un sasso o un bastone ed evidenzia capacità
embrionali di scheggiatura della pietra. Vive di raccolta e di
sciacallaggio, nutrendosi delle carcasse di animali sbranati da altri
carnivori.
Dopo duecentomila anni l'homo abilis si evolve in homo
erectus, così chiamato perché
capace di camminare su due piedi senza aiutarsi con le braccia: era
dotato di un'intelligenza superiore ed era capace di comunicare con i
suoi simili in maniera più estesa. Lavora la pietra in
maniera e forme più complesse; è in grado di
costruire trappole per
cacciare. In questa fase gli uomini iniziarono a spostarsi dal
continente africano verso l'Europa e l'Asia.
L'ulteriore tappa dell'evoluzione umana è costituita dall'homo
sapiens, di cui una variante è il
cosiddetto uomo di Neanderthal, le cui
terstimonianze sono state rinvenute in Germania, nella valle del fiume
Neander: la nuova specie è capace di fabbricare alcuni
attrezzi e dipingere le pareti delle caverne dove abitava, per fini
magico-propiziatori o archivistici. Sembra sviluppare una prima forma
di rito funebre. L'uomo di Cro-Magnon testimonia uno stadio
più
avanzato dell'evoluzione e viene definito come homo
sapiens sapiens: si è diffuso tra
quarantamila e diecimila anni fa e costituisce l'ultima fase
dell'evoluzione che precede l'uomo attuale. Testimonianze di homo
sapiens sapiens si trovano in Europa (Monte Circeo,
Gibilterra, Yugoslavia, Inghilterra, Crimea), Africa del sud,
Palestina, Siberia, Giava, America e Australia.
L'homo sapiens
sapiens impara a comunicare attraverso la lingua e la
scrittura. Il passaggio dalla preistoria alla storia è
definito, secondo un'interpretazione molto diffusa, proprio
dall'introduzione della scrittura, che avviene verso la fine del quarto
millennio. Alcuni studiosi ritengono, tuttavia, che tale criterio
distintivo sia inappropriato perché disomogeneo, in quanto
l'introduzione della scrittura non è avvenuta nello stesso
periodo di tempo per tutti i popoli: ad esempio, in Egitto si
verificò verso la fine del quarto millennio, in Grecia fu
introdotta con lo sviluppo della civiltà micenea, verso il
XV secolo, sul suolo italico ancora più in là,
tra i secoli nono e ottavo.
Si è perciò proposto di assumere quali elementi
discriminatori fra cultura preistorica e cultura storica altri fenomeni
di grande importanza, quali la rivoluzione agricola e la formazione dei
primi insediamenti, che conducono alla costituzione delle prime
organizzazioni sociali. In questa prospettiva la preistoria permane
sempre come periodo caratterizzato in gran parte dall'assenza della
scrittura, ma la sua dissoluzione nella storia pu˜ essere
anticipata di molto rispetto all'introduzione della scrittura stessa.
Come si può ricostruire la storia anche in assenza di
documenti scritti, intendendo qui documento nel più vasto
significato di fonte? Diverse sono le scienze che concorrono a formare
la conoscenza del passato.
L'archeologia | ricostruisce il passato indagando sugli insediamenti e sui prodotti delle civiltà |
La geologia | dal greco ghe (terra) e logos (studio), analizza e studia le trasformazioni della terra dalle sue origini a oggi e i diversi strati della crosta terrestre. |
La paleontologia | dal greco palaios (antico) e ontes (esseri)studia animali, piante, fossili |
L'antropologia | dal greco anthropos (uomo), studia le organizzazioni sociali e anche le caratteristiche fisiche dei loro membri. |
La paletnografia | dal greco ethnos (popolo) e graphia (scrittura, studio), si occupa dei resti delle età più antiche adatti per conoscere usi, costumi e tradizioni quali armi, utensili, oggetti vari. |
L'etnologia | stabilisce confronti tra i sistemi e i metodi di vita delle popolazioni preistoriche e quelli di alcune tribù primitive attuali, che vivono in Australia, America meridionale e Africa equatoriale. |
La storia beneficia della collaborazione di queste scienze, ma si distingue da queste proprio perché utilizza in particolare documenti scritti. La scrittura da sola non è forse in grado di segnare il confine tra preistoria e storia, perché a questo cambiamento concorrono anche l'introduzione della coltivazione e la scelta stanziale, ma contraddistingue senz'altro la storia come scienza dell'uomo, che si dedica in particolare allo studio di civiltà organizzate e dotate di scrittura.
paleolitico (della pietra antica) | dalla comparsa dell'homo habilis a 10 mila anni a.C. circa. |
mesolitico (della pietra di mezzo) | dai 10 mila agli 8 mila anni a.C. circa. |
neolitico (della pietra nuova) | dagli 8 mila ai 3 mila anni a.C. |
Il Paleolitico
Durante il Paleolitico, periodo nel quale si verifica l'evoluzione da
ominide a sapiens sapiens gli uomini permangono per
lunghissimo tempo in uno stato di vita selvaggia: non conoscono il
fuoco (almeno all'inizio) e sono nomadi, ossia vagano continuamente
alla ricerca di cibo, trovando rifugio in caverne, dalle quali escono
per cacciare, pescare o raccogliere qualunque cibo commestibile che
trovino. In un secondo momento apprendono l'uso della selce e riescono
così a fabbricare coltelli, asce, scuri, punte di frecce e
raschiatoi. Viene inoltre inventato l'arco, la prima arma da getto a
propulsione che svolgerà un ruolo bellico fondamentale fino
all'invenzione della polvere da sparo.
Vige il matriarcato: è la donna a guidare la famiglia,
perché l'uomo é impegnato a cercare
sostentamento. Si sviluppa inoltre la capacità> di
comunicare attraverso prime forme di linguaggio e si hanno le prime
attestazioni del culto dei morti.
Nel Paleolitico la terra subisce il fenomeno delle glaciazioni,
caratterizzate da un rilevante abbassamento della temperatura, dal
conseguente clima freddissimo e dall'avanzata dei ghiacci. Nello stesso
periodo si verifica però la scoperta del fuoco, che comporta
un enorme progresso nella civiltà, con la
possibilità di riscaldare gli ambienti e di cucinare gli
alimenti.
A questa età
risalgono le prime manifestazioni di comunicazione scritta e di arte,
testimoniate da graffiti e disegni rupestri (trovati ad Altamira in
Spagna, a Lascaux in Francia, nelle isole Egadi in Italia) e statuette
di calcare. Nei disegni si crede di individuare sia una
volontà di comunicazione, nell'intento di raccontare, ma
anche di registrare fatti accaduti, sia la necessità
magico-rituale di propiziarsi il futuro, immaginando esiti favorevoli
di eventi ancora da verificarsi
Durante questa fase di transizione, dai confini cronologici incerti, diviene meno consistente la grossa selvaggina, costituita da mammuth, renne, bisonti, orsi, e l'uomo inizia a praticare l'allevamento, all'inizio solo di capre, poi di pecore, maiali, buoi, e a mietere il grano selvatico.
La più
importante scoperta di questa era è costituita
dall'agricoltura, favorita dall'invenzione di vanghe e zappe in pietra
e dei primi aratri in legno. L'agricoltura induce l'uomo del neolitico
ad abbandonare la vita nomade in favore dell'esistenza sedentaria e,
quindi, a costruire le prime capanne in legno: l'uomo inizia
così a unirsi ai propri simili per affrontare i pericoli e
le necessità quotidiane, formando i primi embrioni di vita
sociale, le prime comunità. Si sviluppano i clan, ossia
l'unione di gruppi di famiglie che eleggono come capo l'uomo
più anziano.
Si sviluppa ulteriormente l'allevamento del bestiame e la lavorazione
della ceramica, con la produzione di vasellame di argilla modellata a
mano e cotta al fuoco. Si diffonde anche l'arte della filatura e della
tessitura.
La produzione in eccesso di beni e oggetti causa l'introduzione delle
prime forme di commercio attraverso il baratto. A favorire gli scambi
attraverso vie fluviali e lacustri contribuisce la costruzione delle
prime barche.
Alla pratica della sepoltura in grotte comincia ad affiancarsi
l'inumazione in tombe allo scoperto, riunite in necropoli.
A questo periodo appartengono alcuni monumenti megalitici: i dolmen,
i menhir, i trulli, i cromlech.
Il dolmen è formato da due grosse pietre
verticali che reggono una pietra poggiata in orizzontale ed era
probabilmente legato a culti funerari. Il menhir
è una grossa lastra di pietra, alta anche più di
due metri, conficcata nel terreno e disposta in lunghissime file
affiancate. Per cromlech si intende un circolo o,
comunque, una disposizione complessa di pietre disposte in verticale e
in orizzontale, ad architrave, a formare strutture che sono state
interpretate come luoghi di osservazione astronomica: l'esempio pi�
famoso � costituito dal circolo di Stonehenge.
Tutti questi elementi costituiscono la cosiddetta rivoluzione
neolitica, che consiste, essenzialmente, nel passaggio dal
nomadismo alla stanzialità, intesa quale conseguenza dello
sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento, che vengono praticati in
luogo di caccia, pesca e raccolta. L'insediarsi stabilmente in un
luogo, con il relativo miglioramento delle condizioni di vita, causa un
consistente aumento di popolazione, che per la prima volta si riunisce
in comunità con un primo nucleo di organizzazione sociale e
amministrativa.
Il primo metallo
conosciuto e utilizzato dagli uomini è il rame (da cui
l'età eneolitica, che si situa tra neolitico e bronzo), che
viene trasformato, fin dalla fine del quarto millennio in Egitto e nel
Vicino Oriente, non solo in oggetti di lusso, ma anche in utensili
quali falci, zappe e aratri.
Nella successiva età del bronzo, inaugurata dalla scoperta
della lega fra rame e stagno, si stabilì una salda
comunicazione fra popoli lontani, anche attraverso il commercio dei
metalli e l'utilizzazione di asini e cavalli quali mezzi di trasporto.
La donna perde sempre più di importanza e al matriarcato
succede il patriarcato.
Nei riti funebri all'inumazione si sostituisce spesso l'incinerazione:
le ceneri del defunto vengono raccolte in urne, che vengono poi
interrate e ricoperte da pietre.
Si assiste a un ulteriore e importante aumento di popolazione con il
conseguente ingrandimento delle comunità e il necessario
ampliamento della produzione agricola, che richiede il potenziamento
delle risorse idriche. Per svolgere questi lavori, i clan si uniscono
tra loro formando i primi centri abitati di rilievo, città e
villaggi.
Con un organizzazione tribale insufficiente, il territorio divenne
troppo ampio e la popolazione subisce continui conflitti con le
tribù vicine: in questa situazione le persone più
importanti cominciano ad esigere dal loro capo maggiore rispetto e
più ampi riconoscimenti politici, al punto da mettere in
dubbio la sua capacità di comando. Viene così a
formarsi lo Stato, inizialmente nella forma di
città-Stato, attraverso l'ampliamento della
comunità dotata di diritti e provvista di una organizzazione
strutturale.
Dalla complessità dell'organizzazione sociale deriva la
suddivisione della popolazione in classi, ossia in gruppi separati tra
loro per condizioni economiche e sociali. Già nel Neolitico
si era verificata una prima specializzazione delle funzioni: chi si
occupava della terra andò a costituire la classe degli
agricoltori; chi si occupava del bestiame formò la classe
degli allevatori. Nel tempo questa suddivisione si definisce meglio,
con la formazione di altre classi, quelle dei mercanti e degli
artigiani. Con la scoperta dei metalli la suddivisione del lavoro
sempre pi� approfondita fece nascere la classe di chi estraeva e
lavorava il metallo. La nuova società che si andava
così formando era basata sulle differenze economiche e sulla
separazione in classi sociali.
Con la diffusione di guerre, sempre pi� sanguinose per l'uso di armi in
metallo, si introdusse l'uso della schiavitù attraverso
l'asservimento delle popolazioni vinte.
Nel secondo millennio a.C., viene scoperto il ferro, che viene
adoperato per la fabbricazione sia di utensili, sia di armi. Il ferro
non solo favosce l'agricoltura e l'edilizia, ma anche lo sviluppo della
tecnologia. L'introduzione della ruota da vasaio determina l'inizio
della prima produzione in serie di oggetti e, quindi, la formazione
della prima industria dell'umanità.
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Erodoto, storico greco del
V secolo a.C., definisce l'Egitto "dono del Nilo", perché
dal fiume è dipeso lo sviluppo dell'economia e della
civiltà egiziana, che, senza il suo apporto, non avrebbe
potuto neanche sorgere. Il fiume è costituito dalla
confluenza, nel Sudan, di due rami principali, chiamati l'uno Nilo
bianco, che nasce in Uganda, dalle cascate Vittoria, l'altro Nilo
azzurro, che trae origine in terra etiopica; dopo aver attraversato
tutto l'Egitto sfocia a nord nel Mar Mediterraneo, ramificandosi in un
ampio delta. Per millenni le acque del fiume hanno garantito la
fertilità dei terreni e, quindi, lo sviluppo agricolo: le
piene periodiche, tra giugno e settembre di ogni anno, inondavano i
terreni e, quando l'acqua si ritirava, sulla terra restava fango di
colore scuro, il limo, che rendeva fertile il terreno. Per sfruttare le
inondazioni gli Egizi impararono a controllare la distribuzione delle
acque e inventarono vasti sistemi di canalizzazione, che permisero di
irrigare estensivamente le terre.
L'idrografia stessa del paese indusse gli abitanti a distinguere
all'interno di questo due regioni: l'Alto Egitto, corrispondente alla
valle del Nilo, e il Basso Egitto, ossia la zona del delta, la regione
più popolosa. Nel corso della storia, le due regioni si
identificarono
con il centro pi� importante del settore, che acquisì il
rango di capitale del regno: intorno al 3.000 a.C. la cittˆ di
Menfi, nei pressi del delta, divenne la guida del paese; verso il 1600
a.C.la capitale fu trasferita a Tebe, nell'Alto Egitto.
L'essenza della
civiltà egiziana è permeata dalla concezione
mitico-religiosa del mondo, senza la quale non è possibile
comprendere alcun elemento nè della storia, nè
della cultura del paese: il nome stesso di Egitto deriva, attraverso la
traslitterazione fonetica greca “Aighyptos”,
dalla
locuzione Hut-ka-Ptah, che significa
“tempio del ka di Ptah”, dove ka è la
forza vitale, elemento indispensabile sia degli uomini sia degli dei, e
Ptah la divinità principale di Menfi; il regno di Menfi si
presenta già dal nome, come naturale sede degli dei e una
divinità è considerato dagli Egizi il Faraone
(da perao,“palazzo”),
identificato come figlio della figura sincretica di Osiride-Ra, dio del
sole, che assume su di sé il compito di garantire la
realizzazione della giustizia divina sulla terra.
L'organizzazione del potere è articolata su un modello
gerarchico e la sua struttura si fonda sulla distinzione della
società in un sistema di caste: al vertice si colloca il
Faraone, a cui sono sottoposte le schiere dei funzionari. La forma di
governo viene definita come teocrazia (dal greco theos
= “dio” e kratos =
“potere”) in quanto si riteneva che dal supremo
potere del faraone, di carattere divino, tutto dipendessse: pace,
guerra, vita e morte. Al Faraone spetta il diritto di emanare le leggi;
dalla volontà del Faraone dipende lo scorrere del tempo e il
corso del sole.
Il primo ministro, detto visir,
controlla tutto l'apparato amministrativo.
Il nucleo centrale della burocrazia è costituito dalla
classe degli scribi, che erano quindi
indispensabili per il funzionamento dello stato. Thot, inventore della
scrittura, era il loro dio protettore.
Parallelamente all gerarchia amministrativa facente capo al faraone,
fin dall'inizio andò struttrandosi il potere della classe
sacerdotale, che rivestì sempre notevole importanza, non
solo in campo religioso, ma anche nel settore politico, economico,
amministrativo e culturale, tanto che quando l'autorità del
faraone iniziò a diminuire, furono proprio i sacerdoti a
mantenere viva la cultura e l'identità del popolo egizio.
Anche la classe sacerdotale si articola gerarchicamente, avendo al
vertice il primo servitore del dio Amon: in alcuni momenti cruciali
della storia egiziana i due centri di potere, faraonico e sacerdotale,
entrano in deflagrante conflitto.
La classe dei nobili era responsabile dell'apparato burocratico e
dell'esercito, che era composto da mercenari e contadini.
Gli artigiani erano divisi in scuole, guidate da uno o più
maestri:
godevano di buona reputazione e di un dignitoso trattamento economico.
Alla base della piramide sociale vi erano i contadini, gli operai,
molti dei quali provenienti dalla Nubia, e gli schiavi, spesso divenuti
tali perché prigionieri di guerra.
L'epoca predinastica (4.000 - 3.200 a.C.) e l'età protodinastica o tinita (3.200 - 2.700 a.C. circa)
Il periodo di formazione della civiltà egiziana è
detto epoca predinastica. Nel periodo tra i 30.000 e i 10.000 anni fa,
quindi ancora nel Paleolitico, l'area settentrionale dell'Africa, che
doveva assomigliare a una savana frequentata da elefanti e gazzelle,
cominciò a inaridirsi (la zona del Sahara) e le popolazioni
che vi abitavano si spostarono nelle uniche regioni abitabili, vale a
dire nel delta e lungo la valle del Nilo, dando inizio a un processo di
insediamento che avrebbe condotto con l'inizio dell'età del
Bronzo, stimato dagli archeologi verso il 4.000 a.C., alla formazione
dei primi villaggi lungo il fiume e alla suddivisione del paese in due
parti, il Basso Egitto a nord, nella zona del delta, e l'Alto Egitto a
sud lungo la valle del Nilo.
Antichi documenti attestano che l'unificazione dell'Alto e del Basso
Egitto avvenne per volontà del re dell'Alto Egitto Menes,
che occupò il nord del paese, attratto dalla
fertilità del terreno, e fece della città di
Tinis la capitale del nuovo Stato, intorno al 3.200: in una stele il
faraone è rappresentato con i simboli dei due regni, ossia
con una corona rossa (come il papiro, simbolo del Basso Egitto) e una
tiara bianca (come il loto, simbolo dell'Alto Egitto). Per questo
motivo l'epoca è detta tinita
.
Un secolo più tardi la capitale fu spostata a Menfi,
città che avrebbe mantenuto il ruolo di guida del paese per
più di un millennio.
Durante l'Antico Regno
(2.700 - 2200 a.C.) vennero intraprese alcune vittoriose spedizioni
militari verso la Nubia, il Sinai e la Libia.
A questo periodo risale anche la costruzione delle piramidi: la prima
fu elevata dall'architetto Imhotep in onore di Djoser (2700 - 2640
a.C.), faraone della III dinastia con cui solitamente si fa iniziare
l'Antico regno. Altre piramidi tuttora in piedi sono quelle di
el-Ghiza, appartenenti ai faraoni della IV dinastia, i cui nomi sono
tramandati da Erodoto nella forma grecizzata di Cheope, Chefren e
Micerino (i nomi originari sono rispettivamente Khufu, Khafra e
Menkaure): per la piramide di Cheope vennero utilizzati circa 2,3
milioni di blocchi di pietra. Qui sorge anche la Sfinge, che ha le
sembianze di Chefren.
Nel nuovo regno la costruzione delle piramidi cessa e i faraoni vengono
sepolti nella Valle dei Re, presso Tebe.
Alla fine della V dinastia (2400 a.C.) il potere dei faraoni comincia a
indebolirsi a causa della corruzione che dilaga in tutti i livelli
dell'amministrazione. Molte città si ribellano al faraone e
si rendono indipendenti e al potere centrale del faraone si
sovrappongono i poteri particolaritici dei governatori locali:
è questo il primo periodo intermedio
(2.200 - 2.050 a.C.).
Nel Medio Regno (2055 -
1786 a.C.) l'Egitto recupera l'unità politica con il faraone
della XI dinastia Mentuhotep II, che inizialmente fissa la residenza
regale a Tebe, ma fonda anche una nuova capitale a Lisht, poco a sud di
Menfi. Le maestose piramidi dei faraoni della
XII dinastia Sesostri II e Amenemhat III testimoniano la ritrovata
ricchezza del paese. Con Sesostri III (1880 a.C.) vengono riprese le
spedizioni militari in Palestina, Siria, Nubia (il cui nome deriva
forse dal termine egizio nub,
che vuol dire oro) e forse fino in Somalia.
L'invasione degli Hyksos, popolo di origine asiatica, comprommette
verso la fine del XVIII secolo la stabilità del paese: gli
invasori si stanziano nella regione del delta verso il 1700 a.C., dando
inizio al secondo periodo intermedio (1786 - 1567 a.C.). Gli Hyksos
introducono nel paese l'uso del cavallo e del carro da guerra.
Con il Nuovo Regno (1567 -
1069 a.C.) ritornano gli splendori dell'Antico Regno. Verso il 1600
a.C. l'Egitto si ritrova diviso in tre stati: uno a nord, guidato dagli
Hyksos, uno al centro popolato dagli Egizi, infine la Nubia,
indipendente, a sud. In questo periodo il principe tebano Kamose
intraprende la riunificazione del regno e la sua opera viene continuata
dal faraone Ahmose, sovrano della XVIII dinastia, che caccia gli Hyksos
e trasferisce la capitale a Tebe. L'Egitto ricomincia a espandersi
nella regione siro-palestinese e per lunghi periodi centri assiri,
babilonesi e hittiti diventano tributari del faraone.
Verso il 1350 sale al potere Amenofi
(o Amenhotep)
IV, il
faraone
rivoluzionario, che, volendo annientare il potere dei sacerdoti di
Tebe,
annulla il pantheon
egizio, sostituendolo con il dio Aton,
divinizzazione del disco solare, e dando così alla religione
la forma del monoteismo. Assume il nome di Akhenaton
(“benvoluto da
Aton”) e trasferisce la capitale da
Tebe nella nuova città di Akhetaton (“orizzonte di
Aten”). Durante il suo regno gli Hittiti conquistano la
Siria, minacciando l'Egitto. Alla sua morte, nel 1336 a.C., Tutankhamon
annulla le riforme di Amenofi IV. Gli Ittiti continuano a costituire
una minaccia e nel 1285 a.C. si arriva alla battaglia di Qadesh,
sul fiume Oronte, tra il faraone Ramses II
e il re
ittita Muwatallis, che si risolve in un nulla di fatto e porta a un
trattato di non aggressione reciproca. Il regno di Ramses II
rappresenta l'ultima fase di splendore della civiltà egizia,
perché verso il 1200 a.C., sotto Ramses III, avviene nel
Mediterraneo l'invasione dei popoli del mare, che arrecando disordine e
instabilità in tutta l'area, decretano anche l'irreversibile
declino dell'Egitto. Approfittarono della condizione di debolezza degli
altri popoli soprattutto gli Assiri, che imposero agli Egizi di
rimanere all'interno dei propri confini. Il potere centrale si inoltra
in uno sgretolamento irrefrenabile: verso il 1075 il capostipite della
ventunesima dinastia, Smendes I, fa della sua città natale,
Tanis , la nuova capitale del regno; intorno al 1.000 a.C. i Libici si
impadroniscono della zona del delta, fissando la capitale a Bubasti, e
verso il 900, l'Egitto, ormai indebolito e diviso in diversi piccoli
potentati, cade sotto il governo di una dinastia di principi nubiani,
fino alla conquista degli Assiri che nel 667 a.C., con Assurbanipal si
impadroniscono del paese, stabilendo il centro del potere in un'altra
città del delta, a Sais. A loro succederà, nel
525 a.C. un'altra dinastia straniera, rappresentata dai Persiani di
Cambise, a loro volta destinati a essere scalzati da Alessandro Magno
nel 332 a.C.
Si è visto,
studiando la formazione delle civiltà, che le prime forme di
scrittura possono essere identificate nei graffiti disegnati,
con cui si comunicavano messaggi o raccontavano eventi: da questo tipo
di comunicazione nasce la pittografia, che, utilizzata in ambito
celebrativo o amministrativo, comunica azioni ed eventi tramite disegni
dai tratti realistici. Con il tempo i pittogrammi si sviluppano in
ideogrammi o logogrammi, ossia segni che identificano, stilizzandolo,
un concetto o un termine preciso. La scrittura documentale delle
origini, che nasce per un complesso di ragioni monumentali, economiche
e amministrative, presenta un uso misto di pittogrammi e ideogrammi. A
un terzo stadio corrisponde l'applicazione del sistema sillabico,
tipico del Vicino Oriente, e del sistema fonetico fonetico, che si
sviluppa sia nella regione siro-palestinese, sia in Egitto.
La scrittura egizia sembra nascere per intenti celebrativi nei
confronti della figura del faraone prima che per esigenze
aaministrative. Le attestazioni della scrittura dell'Antico Egitto
risalgono allo stesso periodo delle testimonianze scritte dei Sumeri e
degli Elamiti, alla fine del IV millennio. Il documento più
importante è costituito dalla cosiddetta stele di Narmer,
altro nome del faraone Menes. La prima forma di scrittura è
la geroglifica, termine greco che vuol dire “scrittura sacra
incisa”, perché si tratta di una scrittura
monumentale, su pietra o avorio. La scrittura geoglifica è
costituita da pittogrammi, piccole immagini che rappresentano tutte le
forme possibili dell'esistenza, ideogrammi e segni fonetici.
Con il tempo alla pietra subentra un materiale scrittorio
più adatto agli usi comuni, il papiro, il cui uso trasfoma
anche il sistema di scrittura, che diviene più snella e fu
chiamata dai greci ieratica, “scrittura sacra”, per
la falsa convinzione che si trattasse di una scrittura adoperata
unicamente in ambito religioso: si tratta in realtà di
un'evoluzione in senso corsivo della geroglifica, che trova
applicazione in tutti gli usi, sia amministrativi, sia privati, come
testimonia la gran quantità di testi su papiro e altri
supporti scrittori, quali legno, terracotta, cuoio, ritrovati sotto la
sabbia della valle del Nilo.
Verso il VII secolo a.C. il faraone Psammetico I introdusse, per
ragioni oscure, una nuova forma di scrittura, che i greci chiamarono
demotico, “scrittura popolare”: deriva dalla
ieratica, ma si sviluppa come scrittura indipendente, utilizzata per
usi amministrativi, letterari e privati. Così a partire dal
VII secolo in Egitto vengono utilizzate contemporaneamente tre forme di
scrittura. L'ultima testimonianza del geroglifico risale al 394 d.C.,
l'ultima del demotico al 470 d.C.
Con la diffusione del cristianesimo in Egitto, nel V secolo fu
introdotto il copto, una forma di scrittura che utilizzava l'alfabeto
greco con l'aggiunta di nuove lettere.
Per quanto riguarda gli strumenti scrittori, in Egitto si utilizzava,
per usi amministrativi e privati soprattutto il papiro, pianta che
cresceva soprattutto nella zona del delta, raggiungeva anche i quattro
metri di altezza e veniva utilizzata anche per la fabbricazione di
corde, reti da pesca, calzature e imbarcazioni. Per costituire il
materiale scrittorio, la pianta veniva tagliata in fasce di quaranta
centimetri di lunghezza, che venivano stese vicine e battute con una
mazza di legno, finché il midollo contenuto nelle foglie
fuoriusciva e le incollava le une alle altre: il rotolo che si veniva
così a formare veniva steso e scritto per il verso
orizzontale.
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Sotto la denominazione
moderna di Vicino Oriente antico ricade lo studio delle
civiltà che nacquero e si svilupparono in Anatolia (gli
Hittiti, Urartu, i Frigi, i Lidi), in Mesopotamia (dai Sumeri ai
Babilonesi), sull'altopiano iranico (gli Elamiti, i Medi, i Persiani),
nella regione siro-palestinese (Ebla, Ugarit, Ebrei, Fenici), nella
penisola arabica (le genti nomadi, la civiltà di Saba), in
uno specchio cronologico che parte dalla metà del IV
millennio a.C., quando la rivoluzione urbana si esplica con molta
evidenza nella Bassa Mesopotamia, al VI secolo a.C., quando il re
persiano Ciro dà inizio alla costituzione dell'impero
persiano, aprendo una diversa prospettiva nei rapporti tra Oriente e
Occidente e, soprattutto, per quel che riguarda la storia del
Mediterraneo, tra Greci e “barbari”.
Anche in questa immensa regione, come in Egitto, l'idrografia influenza
non solo la distribuzione della popolazione, ma anche, e soprattutto,
l'evolversi della cultura: all'egiziano Nilo corrispondono per
importanza in Mesopotamia (nome significativo che in greco significa
“in mezzo ai fiumi”), due fiumi, il Tigri e
l'Eufrate, che, nascendo sui monti armeni e sfociando un tempo separati
nel golfo persico, costituiscono il nucleo attorno al quale ruotano
tutte le civiltà che si sviluppano nella regione babilonese;
nella regione siro-palestinese è l'Oronte a svolgere un
ruolo significativo, mentre in Anatolia si evidenziano soprattutto il
Meandro e l'Ermo. È tipico degli studi relativi a questo
settore definire il complesso del territorio costituito da Egitto e
Vicino Oriente come “mezzaluna fertile”, associando
in un'unica definizione l'elemento geometrico della conformazione del
territorio e il fattore agricolo-economico, dipendente dall'apporto
delle risorse idriche, regolate dall'intervento dell'uomo: come lungo
il corso del Nilo, anche nella Mesopotamia l'uomo è
intervenuto con opere di canalizzazione per sfruttare in maniera
estensiva le acque dei fiumi finalizzandole all'irrigazione dei campi,
ma qui ha dovuto adoperarsi anche con la costruzione di dighe e bacini
di raccolta per ovviare all'inconveniente dell'irregolaritˆ
delle piene dei due fiumi, dipendenti non dalle piogge, come in Egitto,
ma dallo scioglimento, alla sorgente, di nevi e ghiacciai.
IGli studiosi dividono le popolazioni del Vicino Oriente antico in
indoeuropee e semitiche. Il termine semitico deriva da Sem, uno dei
figli di Noè, e si usa per riferirsi a popolazioni quali
Assiri, Babilonesi, Fenici, Ebrei. La Bibbia
chiamava, invece, i popoli indoeuropei Giapeti, perché
discendenti da un altro figlio di Noè, Jafet, mentre da un
terzo figlio, Cam, sarebbero discese le popolazioni africane. Nel
Vicino Oriente gli Hittiti sono di origine indoeuropea. Non
è comunque la stirpe, ma la lingua a costituire la vera e
più importante differenza tra i popoli indoeuropei e quelli
semitici, tanto che correttamente bisognerebbe parlare di popoli
parlanti lingue indoeuropee e popoli parlanti lingue semitiche. Le
lingue indoeuropee, pur nella loro diversità, presentano
elementi comuni nella fonetica, nel lessico e nella grammatica. I
popoli parlanti le lingue indoeuropee si sarebbero mossi a
più riprese dalle terre di origine nell'Asia centrale verso
l'altopiano iranico, l'Anatolia, la Grecia e il resto d'Europa alla
ricerca di regioni fertili. I popoli parlanti lingue semitiche si
stabilirono, invece, nella Mesopotamia, nella regione siro-palestinese
e nella penisola arabica, sostituendosi a popolazioni precedenti, tra
cui i Sumeri, gli Elamiti e gli Hurriti, che non sono semiti.
Si è
già analizzato il fenomeno di carattere sociale ed economico
che condusse alla costituzione della forma di vita urbana,
che nasce nel Neolitico e introduce l'uomo nell'età dei
mtalli, e si è visto che gli antichi villaggi erano piccole
comunità costituite da famiglie che vivevano di un'economia
molto semplice. L'aumento della produzione agricola, l'estensione
dell'allevamento, lo sviluppo dell'artigianato, della lavorazione dei
metalli e del commercio, in sintesi il progredire della struttura
economica richiese e produsse la divisione del lavoro tra i membri
della comunitˆ. Si crearono in tal modo le condizioni per una
prima forma di articolazione sociale di differenziazione delle forme
abitative: nei villaggi alle case semplici dei contadini si aggiunsero
le belle case appartenenti alle famiglie di mercanti e funzionari; i
villaggi stessi si ampliarono con edifici che ospitavano le nuove
attività. L'organizzazione della città ebbe
ora bisogno anche di templi e palazzi per amministrare l'ampliamento
delle esigenze della comunità. Così parte
degli antichi villaggi cambiarono completamente e divennero veri e
propri centri urbani, parte rimasero invece villaggi alle dipendenze
delle nuove città: in particolare la coltivazione della
terra e la produzione alimentare rimasero attività tipiche
dei villaggi, mentre la proprietà della terra apparteneva al
tempio o al palazzo reale o alle potenti famiglie cittadine e nelle
città si concentravano le ricchezze derivanti dalle
industrie e dai commerci.
Nel Vicino Oriente antico la regione dove sorsero le prime
città fu la Bassa Mesopotamia, dove nacque e si
sviluppò la civiltà dei Sumeri, di cui si
parlerà tra poco.
Lo sviluppo dell'organizzazione urbana comportò come
immediata conseguenza l'evoluzione della pratica della scrittura,
necessaria per registrare gli eventi dell'amministrazione, dalle
piccole transizioni commerciali, ai rapporti tra cittadino e potere, ai
grandi trattati fra centri di governo. I documenti scritti del Vicino
Oriente Antico che sono arrivati fino a noi coprono questi vari aspetti
della vita sociale e possono essere distinti in testi religiosi e
mitici, scientifici, giuridici, storici, letterari, privati.
Per quanto riguarda gli strumenti scrittori, viene usata soprattutto
l'argilla (in forma di tavolette o di sigilli cilindrici), ma anche
avorio e pietra (prima piatti, poi di forma cilindrica). Si trovano
inoltre epigrafi su statue e stele.
Il tipo di scrittura utilizzata nel Vicino Oriente � di tipo cuneiforme
e fu adottata da popoli di lingue differenti. Tra le più
antiche
scritture cuneiformi usate per esprimere lingue semitiche troviamo
quella eblaita, utilizzata appunto nella città di Ebla, in
Siria, fin dal 2.300 a.C.: Ebla ha restituito una grande
quantità di tavolette di argilla contenenti testi
amministrativi, politici, privati, medici. Posteriore alla scrittura
eblaita è la scrittura delle città di Mari
(2.000-1.800
a.C.). Intorno al 1.800 si diffonde il babilonese, la scrittura di
Babilonia, la città più importante della
Mesopotamia. Più tardi, verso il 1.700 a.C., nell'Alta
Mesopotamia si diffonde l'assiro, dal nome della capitale dello stato
Assur.
La prima scrittura cuneiforme esprimente una lingua indoeuropea
è quella ittita, documentata in Anatolia fin dal 1.500 a.C..
Solo nel VI secolo a.C., nell'altopiano iranico, si diffuse il persiano
antico.
Con lo sviluppo della lingua, anche il sistema di scrittura si
modifica: dalla pittografia si passa all'uso degli ideogrammi, quindi
si arriva alla creazione di segni sillabici, che andavano a costituire
le parole. Per un lungo periodo il sistema sillabico si affianca ma non
sostituisce il sistema degli ideogrammi, quindi, ad esempio, per
esprimere la parola casa si poteva ricorrere al'ideogramma, ossia al
disegno schematizzato, della casa, oppure utilizzare i segni
rappresentanti le sillabe della parola. Grazie alle popolazioni della
zona siro-palestinese fu avviata una semplificazione della scrittura
che avrebbe finito per condurre all'alfabeto: si iniziò con
l'eliminazione degli ideogrammi e dei segni sillabici e l'introduzione
di segni consonantici. Ad ogni segno corrisponde un fonema: nasce
l'alfabeto fonetico, le cui prime testimonianze provengono dal Sinai
(1.600 - 1.500 a.C.) e vengono perciò dette proto-sinaitiche.
sconosciuta è
l'origine della prima rilevante civiltà che si
sviluppò in Mesopotamia: il popolo dei Sumeri, di origine
non semitica, come ha dimostrato lo studio della lingua, si
stanziò nella parte meridionale della pianura tra Tigri ed
Eufrate probasbilmente già verso il 4.000 a.C., proveniento
dai monti armeni. Chiamarono il nuovo territorio Kenger,
termine che probabilmente voleva dire, nella loro lingua,
“canna” o “signore della canna”
(con esplicito riferimento alla morfologia del terreno paludoso della
Bassa Mesopotamia) e che dal successivo popolo degli Accadi fu tradotto
con Shumer, da cui il termine correntemente usato per identificarli.
Applicandosi allo sviluppo dell'ingegneria idraulica, i Sumeri furono i
primi a irregimentare il corso e la portata dei fiumi ai fini
dell'irrigazione e, verso il 3.500, iniziano a costituire quei centri
urbani che sempre rimarranno nella storia sumera come
città-Stato autonome e distinte, sostanzialmente
refrattarie a tentativi di costruire forme di organizzazione statale
sovraordinate: sono le città di Ur, Uruk,
Umma, Lagash, Kish,
Nippur, queste ultime quasi ai confini
settentrionali della Bassa Mesopotamia..
Tra il 2850 e il 2450 si estende il cosiddetto periodo
protodinastico, durante il quale le diverse città
si contendono la supremazia sul paese, essendo ognuna guidata da un
re-sacerdote che, ricevuta l'investitura dalla divinità,
governa in suo nome e si presenta come tramite tra la popolazione e gli
dei. Solo in un secondo tempo inizieranno a distinguersi il re quale lugal
(“signore” e lo shangu, ossia
il sacerdote, amministratore del tempio.
A partire dal 2.450 a.C. inizia ad affermarsi la dinastia della
città di Lagash, che, con il re
Eannatum, arriva a estendere il proprio potere fino alla
città di Mari: un'impresa del re di Lagash, ossia la
conquista della città di Umma, è rappresentata
nella
cosiddetta stele degli avvoltoi.
La civiltà sumera si sta avviando alla conclusione, fiaccata
dai contrasti tra i diversi centri di potere e dalla rivalitˆ
tra i re e la classe sacerdotale: nel momento dell'agonia, prima del
2.350 a.C., due re si scontrano, proponendo ognuno una via d'uscita
dalla decadenza. Il re di Lagash Urukagina
individua il principale motivo della crisi nella corruzione
dell'amministrazione e nello strapotere dei sacerdoti e in questo senso
muove la propria azione, sostenendo una politica di riforme sociali, a
vantaggio delle classi povere, e amministrative, a sostegno della
propria guida centrale. L'opposizione dei sacerdoti a Urukagina si
concretizza nel sostegno fornito al re di Umma, Lugalzaggisi,
il cui nome vuol dire significativamente “Signore dei
paesi”, che, in accordo proprio con l'apparato
di potere dei
templi, avvia per la prima volta nella storia sumera una politica
imperialista, volta a unificare in un unico corpo statale i vari
particolarismi della Bassa Mesopotamia. Il tentativo unificatore
sarà però stroncato dall'invasione di un popolo
proveniente dai monti Zagros, che separano a nord-est la Mesopotamia
dall'altopiano iranico: gli Accadi
del re Sargon occupano tutto il territorio dei
Sumeri, spingendosi fino a nord nella regione siriana, e introducono
una nuova forma istituzionale, riprendendo e approfondendo
l'esperimento di Lugalzaggisi. Per la prima volta si diffonde in
Oriente quello che diventerà, soprattutto agli occhi dei
Greci, il suo tratto distintivo: l'idea di impero universale, ossia di
quella forma di governo che, scavalcando i limiti particolaristici
delle città-Stato, ingloba popoli diversi per lingua e
stirpe in un'unica struttura politico-amministrativa. Sargon
è il primo nella storia a introdurre la struttura e la forma
di impero sovranazionale, governato dal centro della nuova capitale Akkad:
Sargon stesso si fece chiamare “Signore delle quattro parti
del mondo”, perché il suo potere si estendeva sui
sumeri a sud, sugli Elamiti a est, su Mari a nord, su Ebla, a ovest.
Anche la civiltà accadica fu scardinata da un'invasione,
questa volta operata dalla popolazione nomade dei Gutei,
che, a partire dal 2.150 a.C., dominarono sulla popolazione
sumerico-accadica, senza lasciare però tracce significative.
Verso il 2.050 a.C., per iniziativa della sumerica Lagash, i gutei
furono cacciati e la civiltà sumerica benefici˜ di
un ultimo, effimero, periodo di relativo splendore.
Si è detto
della figura del re sumerico, che nasce come unica figura di capo
politico-religioso detto En,
“Signore”, per poi sottostare alla distinzione fra lugal
e shangu, con la prevalenza del primo sul secondo,
anche se, come visto, non mancano nella storia sumerica, come in quella
egizia, momenti di aperto contrasto fra potere regale e potere
sacerdotale, che si materializzava architettonicamente nelle ziqqurat,
enorme edificio a più livelli concentrici, che fungeva sia
da luogo sacro, sia da centro amministrativo della classe sacerdotale
ed economico, quale luogo di commercio.
Nelle fasi in cui una città estende il proprio potere sulle
altre, emergono le figure dei governatori locali, gli ensi.
Ai nobili spettavano i compiti di alta amministrazione: erano esenti da
imposte, che invece ricadevano sui lavoratori. È attestata
con sicurezza l'esistenza di schiavi, che diventavano tali come
prigionieri di guerra o come debitori insolventi, che avevano offerto
in garanzia del prestito la propria persona.
La mitologia sumerica ospita divinità antropomorfe, inserite
in una precisa gerarchia, che però differiva da
città a città: a Uruk a capo del pantheon era
Anu, dio rappresentante i fenomeni celesti; la divinità
principale di Nippur era, invece, Enlil, dio del vento e della
tempesta; a Eridu era venerato particolarmente Enki, dio delle acque.
Tra i diversi testi in cuneiforme pervenuti sino a noi è
degna di nota la storia di Gilgamesh,
che conosciamo attraverso la versione assira del VII secolo a.C.,
ritrovata su dodici tavolette di argilla: Gilgamesh, re di Uruk,
addolorato per la morte dell'amico Enkidu, abbandona il potere e inizia
una serie di peregrinazioni alla ricerca della pianta
dell'immortalità, allo scopo di riportare in vita l'amico;
la
trova in fondo al mare, ma la pianta viene distrutta da un serpente. a
gilgamesh non rimane che accogliere l'effimero dono del dio degli
inferi, che gli concede di incontrare per l'ultima volta, l'anima di
Enkidu, il quale parla in tono afflitto della trisste condizione dei
morti.
La saga di Gilgamesh è solamente uno dei numerosi testi
ritrovati, che testimoniano della cultura sumerica, non solo nel campo
del sacro, ma anche in diversi settori scientifici: possiamo, ad
esempio, attribuire ai Sumeri l'introduzione del sistema sessagesimale,
l'utilizzazione delle frazioni, l'estrazione delle radici quadrate e
cubiche, nonchŽ la conoscenza di principi di geometria piana e solida e
di astronomia.
Tra il III e il II
millennio a.C. emerge, nella Media Mesopotamia, la popolazione semita
degli Amorrei, che, fra le altre città, fonda Babel,
destinata a diventare la potente Babilonia.
Nel 1768 a.C. sale al trono di Babilonia il terzo re della dinastia
amorrea, Hammurabi, il cui nome significa “Ammu è
guaritore”, che estende il controllo della città
su tutta la Mesopotamia, creando così il cosiddetto primo
impero babilonese. Dopo la conquista Hammurabi si dedica
all'organizzazione del nuovo organismo allo scopo di creare un
organismo multiforme, ma omogeneo: pone a capo delle province propri
governatori, innalza al vertice del pantheon il dio Marduk, pubblica un
codice di leggi che regola il diritto penale, fissando regole severe,
ma stabili: la certezza del diritto è ricercata attraverso
l'applicazione del principio della rivalsa, valido tra persone della
stessa classe sociale. Se un nobile procurava una ferita a un altro
nobile, la vittima aveva per legge il diritto di procurare
all'agggressore la stessa ferita; se un nobile feriva un uomo di
condizione inferiore, era condannato al pagamento di
un'indennità.
Il codice è pervenuto su alcune frammentarie tavolette di
argilla, ma è anche conservato, nella sua interezza, su na
stele di basalto, oggi al Louvre.
Fu un invasione violenta ad abbattere il primo impero babilonese: nel
1.600 a.C. i nomadi Cassiti, provenienti dal Caucaso, invasero la
Mesopotamia e vi si stanziarono, condannandola a secoli di regresso e
stagnazione. Verso il 1.160 gli Elamiti, di origine iranica presero e
saccheggiarono Babilonia, consentendo che un altro popolo,
già presente in Alta Mesopotamia fin dall'inizio del II
millennio, si innalzasse verso il controllo della regione: gli Assiri.
Il popolo degli Assiri, di
origine semitica, emerge come entità distinguibile
già verso la metà del III millennio a.C., mentre
nella Mesopotamia prevale la cultura sumerica. È con la
caduta dei Sumeri che gli Assiri riescono a ritagliarsi un proprio
spazio e danno inizio a un'evoluzione storico-istituzionale che si
suole suddividere in tre periodi: durante l'Antico Impero (1950 - 1365
a.C.) gli Assiri sono concentrati attorno alle città di Assur,
la cui economia si basava essenzialmente sui commerci, e Ninive,
che traeva le proprie risorse prevalentemente dall'agricoltura. Minimi
sono i tentativi di espansione a sud, verso la Mesopotamia, e a
nord-est, verso la Siria e il Mediterraneo, settori controllati dagli
Hittiti.
Il Medio impero (1365 - 932 a.C.) vede concretizzarsi l'evoluzione
della potenza assira in senso militare: l'esercito, in cui spiccava la
forza della cavalleria, l'uso dei carri da guerra e la potenza degli
arcieri, viene strutturato come devastante macchina da guerra guidata
da generali che si specializzano nella strategia militare. Le conquiste
territoriali effettuate, nella regione siriane e nel settore di
Babilonia, ormai in decadenza, vengono rese maggiormente stabili con la
tecnica dello svuotamento territoriale: le popolazioni vinte vengono in
parte distrutte, in parte deportate in Assiria in condizioni schiavili.
Il terrore fu dunque lo strumento scelto dagli Assiri per tenere
soggiogate le popolazioni cnquistate, ma si rivelò anche
un'arma ostile agli Assiri stessi, perché le genti
conquistate, mai né assimilate né integrate nella
compagine statale del vincitore, si sentirono sempre estranee
all'impero assiro e mai poterono essere utilizzati dagli Assiri come
validi aiuti militari per la difesa del territorio
Durante il Nuovo Impero (932 - 612 a.C.) gli Assiri raggiungono la
massima espansione territoriale. Con Assurnasirpal II
(884 - 859 a.C.) conquistano la Siria, la Fenicia e l'Urartu, nella
regione armena. Con Tiglatpileser III (745 - 727
a.C.) e
Alla morte di Assurbanipal la coesione interna viene rapidamente
dissolta da contrasti e rivalità di potere che lasciano gli
Assiri, come detto incapaci di utilizzare a loro vantaggio il sostegno
dei popoli sottomessi in balia dei Medi, i quali, guidati da Ciassare,
assediano e conquistano Ninive
nel 612 a.C., dividendosi con i rinati Babilonesi i territori di Assur.
Il rinato splendore di Babilonia fu opera soprattutto del re Nebukadnezar, conosciuto come Nabuccodonosor, che governò dal 604 al 562 a.C. e port˜ le truppe babilonesi a occupare la Siria e l'Egitto. Nella regione siro-palestinese i Babilonesi urtarono contro la resistenza del regno di Giuda, guidato da Gerusalemme, che fu conquistata: distrutto il tempio, parte della popolazione venne deportata a Babilonia. Sotto il suo regno la città di Babilonia raggiunse le dimensioni e la ricchezza che avrebbero stupito i visitatori dei secoli successivi. Tuttavia, il nuovo impero non sopravvisse molto alla morte del sovrano, perché nel 539 a.C. cadde sotto i colpi di Ciro, re dei Persiani, i quali, preso il posto dei Medi, andavano costituendo la nuova forza destinata a dominare sull'Oriente.
Popolo di origine
indoeuropea sono gli HIttiti, dal toponimo anatolico Hatti, che intorno
al 1.800 a.C. si stabiliscono lungo il fiume Halys, in Anatolia, quando
il re Anitta tenta di unificare tutto il territorio
sotto il suo potere. Circa due secoli dopo, il tentativo di vincere i
poteri particolaristici dei vari signori fu ripetuto e si
creò uno stato unitario grazie all'iniziativa del re Khattusilis
I, dal quale prese nome la città di Khattusa. Con
il regno ittita convive in Anatolia un altro regno, quello di Mitanni,
abitato dai Khurriti: la coesistenza dura fino alla fondazione
dell'impero ittita ad opera del re Suppiluliumas I
(1380 - 1346), il quale avvia una politica espansionistica che porta
gli Ittiti fino a Qadesh, città della Siria nordoccidentale.
Qui nel 1285 gli Ittiti, guidati da Muwatallis, sconfiggono gli Egizi
di Ramses II e impongono loro un trattato di non espansione nella
regione siro-palestinese.
Uno dei motivi dei successi militari ittiti va ricercato nella
lavorazione del ferro per le armi da guerra e nell'uso del carro
falcato da guerra: queste caratteristiche, tuttavia, non valsero a
preservare l'impero, che fu sempre minato dai tentativi
particolaristici dei governatori locali che si muovevano in un sistema
quasi feudale, dall'invasione devastante dei cosiddetti Popoli del
mare, i quali causarono uno scompiglio generale nel bacino orientale
del Mediterraneo tra XIII e XII secolo a.C., causando, tra l'altro, la
dissoluzione della potenza ittita.
L'esistenza degli Ebrei
è documentata già nei testi sumerici con il nome
di Haribu. Verso il 2.000 si muovono da Ur verso Harran, nell'alto
Eufrate e dopo qualche tempo raggiungono quella regione meridionale
della Siria, che sarà chiamata dai Greci Palestina e dagli
Ebrei stessi terra di Canaan. Nel 1.800 a.C. subirono l'invasione degli
Hyksos e, verosimilmente, si spostarono insieme a loro in Egitto.
Secondo la Bibbia, verso il 1.250 sotto la guida di Mosè si
sollevarono contro gli Egizi e scapparono dall'Egitto attraverso Mar
Rosso e il deserto del Sinai, dove Mosè abituò il
popolo a praticare una religione monoteista. Mosè, dopo aver
preso le tavole della legge, condusse gli Ebrei alla conquista di
Gerico e della Terra di Canaan, verso il 1.200 a.C., contemporaneamente
all'arrivo dei Popoli del Mare che, in questo regione, si identificano
con i Peleset, ossia con i Filistei, con cui gli Ebrei iniziarono una
lunghissima contesa per il controllo del territorio.
Gli Ebrei conservarono per molto tempo la divisione in dodici
tribù: solo in caso di emergenza e grave pericolo
eleggevano un giudice come capo comune e guida dell'esercito. Per
questo motivo il periodo successivo all'arrivo nella terra di Canaan
viene definito età dei giudici (1.200 - 1.030 a.C.).
Per meglio resistere ai nemici e rafforzare l'unità politica
nel 1.020 a.C. elessero un re: il primo re fu Saul,
che rafforzò il controllo del territorio sconfiggendo a
pi&u riprese le popolazioni che si opponevano all'insediamento
e alla penetrazione ebraica, soprattutto Filistei e Moabiti.
Morì combattendo con i Filistei. Il suo successore,
In seguito la popolazione si ribellò al potere del re e
all'ingente tassazione per le opere pubbliche e la frattura
portò nel 932 alla costituzione di due regni: il regno di
Israele a nord, con capitale Samaria, e il regno di Giuda a sud, con
capitale Gerusalemme. La divisione rese deboli i due piccoli regni:
prima il regno di Israele cadde sotto i colpi degli Assiri, nel 722
a.C., Samaria fu distrutta e gran parte della popolazione deportata;
poi il regno di Giuda viene conquistato e Gerusalemme distrutta dai
Babilonesi, che nel 587 a.C. deportano gli Ebrei come prigionieri a
Babilonia. Il re dei Persiani Ciro, dopo aver conquistato Babilonia,
liberò gli Ebrei e consentì loro di tornare in
Palestina nel 538 a.C.. Dopo varie vicissitudini, gli Ebrei finiranno
sotto il controllo dei Romani che reprimeranno violentemente la loro
rivolta verso il 70 d.C. distruggendo Gerusalemme e dando inizio alla
cosiddetta diaspora ebraica.
I Fenici (dal greco phoinikos
= “rosso”) erano così chiamati dai Greci
probabilmente perchè erano produttori di porpora. Biblo,
Tiro, Sidone e altre città fenice si distinsero come empori
tra secondo e primo millennio a.C.: il periodo di maggiore espansione
dei Fenici si colloca infatti tra il 1.200 e il 600 a.C. circa, quando
vengono fondate nel Mediterraneo le colonie di Cadice e Malaga in
Spagna, Marsiglia, Cagliari e Palermo in Italia, Cartagine, mentre la
scomparsa della cultura fenicia può essere individuata nella
conquista della città di Tiro da parte di Alessandro Magno
nel 332 a.C.. Mai nella storia fenicia è possibile parlare
di unità statale che superasse i confini delle singole
città, in quanto furono i singoli centri a prevalere come
organismi autonomi, intessendo una vasta rete di commerci e di scambi
per tutto il Mediterraneo. Frutto di questa trama di comunicazione fu
anche l'introduzione in Grecia della principale invenzione linguistica
fenicia, l'alfabeto.
I Fenici entrarono innanzi tutto in contatto con genti che iniziavano a
utilizzare un sistema
fonetico, in cui ad ogni segno scrittorio veniva associato un
suono, non più una sillaba, e modificarono a loro volta
questo nuovo sistema alfabetico, usato già a Ugarit (odierna
Ras Shamra), adattando e modificando i segni fonetici; quindi lo
trasmisero ai Greci, con cui erano in comunicazione commerciale, tra IX
e VIII. Si ipotizza che il luogo del passaggio possa essere stato
Creta. Nacque così l'alfabeto greco, con l'aggiunta di nuovi
segni tramite i quali i Greci riuscirono a esprimere le vocali, che
nell'alfabeto consonantico fenicio non venivano segnate. Nello stesso
periodo i Greci dell'Italia meridionale a loro volta trasmisero
l'alfabeto agli Etruschi, i quali lo introdussero in Italia e in Europa.
Nell'isola di Creta si
sviluppa, in particolare nel periodo tra 2.000 e 1.400 a.C. una
civiltà dalle origini misteriose, che si esprimeva in una
lingua ancora sconosciuta dato che i sistemi di scrittura non sono
stati decifrati. I suoi centri principali sono costituiti dai palazzi
di Cnosso, Festo e Mallia; viene definita minoica
dal nome del mitico re di Cnosso, sotto il cui comando, secondo gli
storici antichi, l'isola acquisì il controllo sul
Mediterraneo orientale.
La ricerca storica individua tre fasi dell'evoluzione storica cretese,
così denominati:
periodo protopalaziale o dei primi palazzi, dal 2.000 al 1700 a.C. circa, originariamente la costruzione dei palazzi si faceva coincidere con l'inizio dell'età del bronzo, ma l'indagine più recente tende a innalzare la fine del Neolitico nell'isola al 2.500 o anche al 3.000 a.C.. È questa la fase in cui emergono i singoli centri di potere, che sembrano svolgere vita autonoma.
periodo palaziale, dal 1.700 al 1450 a.C., che
coincide con la fase di maggior splendore nell'isola, dominata dal
centro di Cnosso, di cui è re Minosse. A questa fase
corrisponde la descrizione che lo storico ateniese Tucidide (I, IV)
abbozza relativamente alla talassocrazia minoica:
“Minosse [...]
fu il più antico tra quelli che
conosciamo a possedere una flotta, a dominare sulla maggior parte del
mare che ora si chiama greco, a governare sulle isole Cicladi e a
colonizzarne la maggior parte, dopo averne scacciato i Cari e avervi
insediato i figli come capi. Per quanto poté,
cercò naturalmente di eliminare dal mare la pirateria,
perché gli arrivassero i tributi con maggiore
facilità”. La fase palaziale termina
rovinosamente
per le devastazioni del terremoto conseguente all'esplosione del
vulcano di Santorini
periodo neopalaziale, dal 1450 al 1.100 circa: nei
palazzi distrutti si insediano i Micenei provenienti dalla Grecia, che
spostano il centro del potere da Cnosso a Kydonia, corrispondente
all'odierna Chanià, e mantengono il controllo dell'isola
fino all'arrivo dei Dori.
Cnosso si presenta dunque come il centro principale dell'isola, capace
di governare su un territorio unificato per oltre tre secolo e di
controllare i traffici marittimi e commerciali nel Mediterraneo
orientale, entrando in contatto anche con gli Egizi, che conoscono i
Cretesi con il nome di Keftiu. La figura di
Minosse, di cui Tucidide accetta l'esistenza, rifiutata invece da
Erodoto, rappresenta comunque il simbolo del potere cretese sui mari,
un potere che viene interpretato come prevalenza economica,
più che politica: anche il mito del Minotauro e del
labirinto rientrano in questo contesto di supremazia. Il Minotauro,
mostro dal corspo umano e dalla testa di Toro, nato dall'unione tra la
moglie di Minosse, Pasifae, e un toro uscito dal mare, viene rinchiuso
in una struttura a labirinto, costruita per Minosse da Dedalo: al
Minotauro vengono sacrificati ogni anno quindici giovani provenienti da
Atene. Se la figura centrale del toro nel mito trova corrispondenze nei
culti cretesi, nel contesto di riti di iniziazione e della
fertilità, il tributo di sangue pagato annualmente da Atene
simboleggia la sottomissione dei centri dell'Egeo a Creta durante il
regno di Minosse. Secondo il mito è l'eroe Teseo, figlio del
re ateniese Egeo, a penetrare nel labirinto, con l'aiuto della figlia
di Minosse Arianna e a uccidere il mostro.
Il palazzo di Cnosso, scavato dall'archeologo inglese Arthur Evans agli
inizi del Novecento, e quello di Festo, indagato dall'italiano Halbherr
nello stesso periodo, hanno restituito molta parte di sè,
presentandosi come vasti centri polivalenti, che si sviluppavano
attorno a un cortile centrale e si estendevano su terreni pianeggianti,
inglobando le sale del potere e dell-amministrazione, recinti sacri,
magazzini, senza essere dotati di particolari sistemi difensivi,
perché il dominio sui mari garantiva gli abitanti nei
confronti di asalti esterni. Molto di più potremmo sapere
della civiltà cretese, se riuscissimo a decifrarne i due
tipi di scrittura utilizzati dai minoici a partire dal periodo
protopalaziale, la geroglifica, i cui esempi sono stati rinvenuti
soprattutto a Cnosso e Mallia, e la lineare A, attestata a Festo, e a
costituirci un idea su quale lingua, o quali lingue, esprimessero.
Entrambe le scritture, sillabiche, sembrano convivere nel periodo
protopalaziale, mentre la lineare A, che sembra essere una scrittura
indipendente e non derivata dalla geroglifica, come spesso supposto,
prende il sopravvento nella Cnosso del periodo palaziale. Una terza
scrittura è attestata dal cosiddetto disco
di Festo, un
manufatto in argilla ritrovato negli scavi di Halbherr nel 1908 e
riportante un'iscrizione ad andamento circolare costituita da 45 segni,
che non appartengono né alla geroglifica, né alla
lineare A, ma sembrano comunque avere valore sillabico.
Nel periodo della dominazione micenea alle due precedenti scritture si
sostituisce la scrittura dei vincitori, la cosiddetta lineare B,
sistema di tipo sillabico che esprimeva la lingua micenea, che altro
non è se non la forma del Greco arcaico.
La popolazione che
darà vita alla civiltà micenea arriva nella
penisola greca verso l'inizio del II millennio a.C., ma è
solo verso il 1.500 che i tratti della nuova cultura si rendono
evidenti, attorno ai centri di Micene e Tirinto
in Argolide, Pilo in Messenia, Tebe
in Beozia, Iolco in Tessaglia.
Gli insediamenti micenei si presentano molto diversi dagli ampi e
distesi palazzi minoici e testimoniano di una realtà
politica frammentata e gravida di minacce esterne, che impongono la
predisposizione di un saldo sistema difensivo: i palazzi micenei,
costruiti attorno a una sala centrale ad accesso controllato (il megaron),
sono infatti rocche fortificate, racchiuse in mura che la storia
dell'arte, riprendendo definizioni antiche, chiama
“ciclopiche”, con scarse aperture verso l'esterno:
soprattutto i resti di Micene e Tirinto costituiscono evidenti esempi
di tale modello abitativo e conoscienza che ne abbiamo dipende dagli
scavi effettuati a partire dal 1876 dall'archeologo dilettante Heinrich
Schliemann, assistito dall'archeologo profennionista Doerpfeld: dopo
aver scoperto sul colle di Hissarlik i resti di Troia, sempre
lasciandosi guidare dai poemi omerici, in particolare a Micene
scavò complessi funerari che attribuì,
falsamente, alla famiglia degli Atridi.
Gran parte della conoscenza della struttura politica e sociale della
società micenea la dobbiamo, invece, alla decifrazione della
scrittura definita lineare
B, operata a partire dalle intuizioni di un architetto che si dilettava
in filologia, Michael Ventris, che, dopo alcuni tentativi, nel 1952
capì che dietro i segni sillabici della scrittura si
nascondeva una forma di lingua greca. La lineare B è
attestata su migliaia di tavolette di argilla, ritrovate soprattutto a
Micene, Tirinto, Pilo, Tebe e Cnosso, che venne occupata dai Micenei
dopo la catastrofe dei palazzi minoici del 1450 a.C.: si tratta di
documenti di archivio contenenti vari tipi di registrazioni collegate
alle attività amministrative dei palazzi. Lo studio delle
tavolette restituisce l'immagine di una società
strutturata in senso gerarchico, guidata da un monarca
assoluto, il wanaka, coadiuvato dal capo militare,
il lawagheta, e da tre funzionari maggiori, i tereta:
dal re supremo dipendeva qualunque decisione politica, amministrativa o
militare; il palazzo controllava verticisticamente tutta l'economia
micenea, gestendo la produzione agricola, la principale risorsa della
società, le attività artigianali, le risorse
schiavili. Alcuni aspetti della societ&amicenea sono
testimoniati dall'Iliade e dall'Odissea, attraverso però il
filtro di un autore che compone circa quattro secoli dopo la scomparsa
della civiltà e descrive un mondo composito, costituito da
elementi tratti dalla civiltà di Micene e da elementi
desunti dalla società greca del nono od ottavo secolo, a lui
contemporanea.
La produzione micenea trovava sbocco anche nei commerci che i Micenei
intessero con tutto il Mediterraneo, sia occidentale che orientale,
come attestano i relativi manufatti rinvenuti sulle coste spagnole, in
Sicilia, Sardegna, nel vicino Oriente, a Cipro, a Creta. Nell'Asia
minore occupata dagli Hittiti i Micenei crearono, invece, degli
insediamenti stabili, come sembra si debba ricavare dai testi ittiti,
che li chiamano Ahhijawa, termine che ricorda
quello usato da Omero per identificarli, ossia Achei. Nel contesto
dell'espansione a oriente si deve collocare la decennale guerra portata
da tutti i centri micenei tra loro alleati contro la città
di Troia, forse per eliminare un centro che, posto nei pressi dello
stretto dei Dardanelli, costituiva una minaccia per i commerci, potento
controllare la via di comunicazione tra Mediterraneo e Mar Nero. La
guerra, vinta, sembra non aver prodotto alcun durevole beneficio, dato
che poco tempo dopo, a partire dall'inizio del XII secolo a.C, la
civiltà micenea si dissolse, travolta dallo sconvolgimento
di tutto il Mediterraneo orientale causato dall'arrivo dei cosiddetti
Popoli del Mare e, in particolare, dall'invasione del territorio greco
da parte della popolazione dei Dori. Alcune
tavolette in lineare B rinvenute a Pilo testimoniano la
necessità di predisporre guarnigioni militari permanenti
sulla costa, come se incombesse sulla civiltà un imminente
pericolo di invasione. È tuttavia probabile che tali
sconvolgimenti si iscrivessero in una situazione di crisi interna
già costituitasi come conseguenza di guerre tra centri
micenei o di rivolte intestine ai singoli centri. In ogni caso, la fine
dei palazzi micenei è violenta, come attestano
archeologicamente le tracce di distruzione rinvenute.
La tradizione letteraria individua comunque nell'invasione dei Dori,
popolazione parlante greco e proveniente dal nord e associata
mitologicamente agli Eraclidi, il punto di discontinuità tra
la civiltà di micene in dissolvimento e quanto viene
lentamente a costituirsi in quei secoli successivi che la tradizione
della critica storica definisce “secoli bui” o
“medioevo ellenico”.
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sul VICINO ORIENTE |
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sulle CIVILTÀ CRETESE e MICENEA |
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Le fonti antiche sono concordi nell'individuare un importante elemento di discontinuità all'interno della storia greca nella discesa dei Dori, che lo storico Tucidide colloca ottanta anni dopo la fine della guerra di Troia, datata dallo scienziato ellenistico Eratostene al decennio 1194-1184. I Dori, che indicheranno sempre come madrepatria la Doride, piccola regione della parte meridionale della Grecia continentale, tra Focide e Locride, invadono il Peloponneso suddividendosi in tre correnti: una, con a capo Temeno, si stanzia nella regione dell'Argolide, ponendo fine al dominio di Micene; un'altra, guidata da Cresfonte, occupa la Messenia, nella parte sudoccidentale della penisola; la terza, condotta da Euristene e Procle, si insedia nel territorio di Sparta. Diverse saranno, come si vedrà, le modalità di controllo del territorio da parte dei nuovi venuti, ma comune a tutte sarˆ una netta separazione tra l'elemento dorico e l'elemento indigeno, che, sull'esempio di Omero, potremmo chiamare acheo.
I Dori, che si iscrivono
in un quadro politico-sociale già destabilizzato dall'arrivo
dei cosiddetti popoli del mare e da contrasti interni allo stesso mondo
miceneo, decretano con la loro discesa, la fine dei precedenti rapporti
di potere, innescando un processo di trasformazione che
riguarderà tutta la Grecia e anche quelle regioni, come
l'Attica e l'Arcadia, che non vengono interessate direttamente
dall'invasione e che, per questo, rivendicheranno sempre la propria autoctonia,
ossia il fatto che la propria popolazione ha sempre mantenuto un
carattere indigeno, non essendosi mai mischiata con altri popoli.
La modificazione sociale e politica è, tuttavia, un fatto
generale che investe tutta la Grecia e si sostanzia, soprattutto, nella
mutazione della gerarchia e delle forme del potere: al dominio assoluto
del wanaka miceneo (che il greco successivo chiama anax)
si sostituisce il potere ridotto del re, il basileus,
che viene limitato e controllato nella sua azione dalla classe
aristocratica, i cui esponenti maggiori costituiscono un consiglio
all'interno del quale il re deve confrontarsi quale primus
inter pares. Si è quindi dissolta la preminenza
del wanaka che, nello stato miceneo, era al vertice
della società rigidamente gerarchizzata, mentre inizia un
processo di allargamento della sfera del potere in primo luogo in
favore delle famiglie più ricche, che detengono le sostanze
necessarie per sostenere l'economia e la difesa della
società. Nel contesto di crisi della società
micenea, mentre il wanaka inizia a perdere il
controllo del territorio, emerge la figura del qasireu,
il fabbro di corte, vale a dire colui che disponeva della materia prima
per costruire le armi, prima il bronzo, ora il ferro: è
intorno al qasireu, e non più intorno al
wanaka, che verso la fine del XII secolo, si
stringono i componenti della società micenea, che
individuano nel costruttore dei mezzi di difesa una nuova figura di
capo.
Il qasireu della società micenea diventa
così il basileus di
cui inizia già a parlare Omero: è il re della
società greca arcaica, che condivide il potere con la nuova
aristocrazia.
La costruzione di una
nuova forma politica e sociale passa anche attraverso altre
modificazioni. I centri del potere miceneo vengono abbandonati: il
nuovo consorzio sociale, in cui un numero maggiore di persone condivide
il diritto di governare, ha bisogno di spazi più larghi e
con una
facilità di movimento sul territorio più estesa
di quella
che poteva offrire la rocca di Micene. Le nuove comunità
abbandonano le roccaforti difese dalle mura poligonali e tendono a
espandersi in pianura, alla ricerca di più agevoli vie di
comunicazione.
Simbolo della nuova dislocazione urbana è la nascita dell'agorà,
che da quel momento diventerà l'emblema della
società greca, quale luogo di scambio commerciale e di
partecipazione politica: il potere diffuso in una cerchia
più larga di
persone ha bisogno di esplicarsi al di fuori del megaron dei
palazzi micenei, in un luogo che possa ospitare la sede di un
consiglio, di una boulé,
dove gli aristocratici possano far sentire il peso dei propri pareri e
gravare sulle decisioni del basileus. È
in questo contesto di allargamento della sfera del potere che nasce il
concetto di polis, quale
comunità di cittadini che, in quanto tali, godono del
diritto inalienabile di prendere parte alle decisioni collettive, dato
che il potere non è più appannaggio di una sola
persona, ma ricade sui membri del consorzio sociale: proprio il numero
dei partecipanti alla vita politica e il criterio della loro
individuazione sarà alla base della distinzione tra forme di
potere aristocratico, oligarchico e democratico, che attraverseranno
tutta la storia greca nella loro diversità e reciproca
rivalità, essendo però tutte unificate dall'idea
della polis. Se dunque è il Vicino
Oriente Antico ad aver visto la nascita delle prime città
quali conurbazioni sociali e centri di potere, è in Grecia
che nasce l'idea di città quale organismo politico,
costituito da membri con il diritto di partecipare alla costruzione
della vita della collettività: è questo il
vero senso del termine polis.
Molto tempo ha impiegato per consolidarsi una trasformazione
politico-sociale di così grande portata, che si manifestava
e articolava nelle varie parti del suolo greco in un periodo di
regressione materiale e culturale che la critica storica ha amato
definire, con analogia semplificativa, “medioevo
ellenico” o periodo dei “secoli bui”,
intendendo con ciò i secoli dal dodicesimo all'ottavo.
Effettivamente alcune conquiste della società micenea
scompaiono, in primis la scrittura, che viene dimenticata per quasi
quattro secoli, finché tra nono e ottavo secolo a.C. I
rifiorenti contatti commerciali con l'Oriente consentiranno
l'introduzione in Grecia dell'alfabeto fenicio modificato secondo le
esigenze indigene; regrediscono le forme di conoscenza tecnica e
artistica, la cui involuzione è accompagnata da un generale
indebolimento di tutte le capacità produttive, che spinge
parte della popolazione a incrementare pratiche di brigantaggio e
pirateria. Abbandonata la pietra, si torna a costruire case consistenti
in graticci di paglia e fango, radunate in villaggi privi di
fortificazioni, i cui abitanti sono costretti a girare armati quale
unica forma di difesa.
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In tale contesto di crisi
una soluzione è individuata nell'emigrazione verso mete
più produttive: la struttura statale che gli Ahhiyawa
avevano intessuto nell'Asia Minore ittita funziona da richiamo e a
partire dalla metà dell'undicesimo secolo a.C. larghi flussi
di persone lasciano la Grecia e, guidati da diversi ecisti, vanno a
occupare tutta la costa egea dell'Anatolia, distinguendosi per la prima
volta in tre tribù che prendono il nome di Eoli,
Ioni
e Dori. È la cosiddetta prima
colonizzazione, che vede la stirpe degli Eoli, provenienti dalla
Tessaglia, dalla Beozia e dall'isola di Eubea, occupare la parte nord
della penisola anatolica e insediarsi in particolare nell'isola di
Lesbo; gli Ioni, il gruppo senz'altro più folto, provenienti
a più ondate in parte da Pilo in Messenia, in parte da
Atene, fondano
nella parte centrale dodici città, tra cui si distinguono
Colofone e Mileto; i Dori controllano la parte meridionale intorno ad
Alicarnasso e l'isola di Rodi.
Ioni e Dori sviluppano, inoltre, una originale forma di relazione
interstatale costituendo, per un complesso di ragioni economiche e
difensive, due federazioni di città incentrate su santuari
di rilevanza interstatale: le città ioniche si riuniscono
intorno al santuario di Posidone Eliconio, a capo Micale, in una lega
che viene chiamata Panionion, ossia capace di
stringere insieme tutti gli Ioni; le città doriche fissano
invece la sede delle riunioni al santuario di Apollo Trioprio. Tali
federazioni, che gli antichi chiamavano anfizionie
in quanto costituite da chi abitava intorno al luogo scelto come punto
di incontro,avevano il compito di uniformare le decisioni dei singoli
stati membri relativamente alla politica estera e alla difesa,
garantendo al tempo stesso un regime di accordo e di pace tra i
partecipanti; nel tempo tale struttura si diffonde nel resto della
Grecia a mitigare gli eccessi particolaristici delle singole poleis,
basandosi sull'idea che esitano leggi generali che travalicano i
confini delle città e possono costituire il fondamento di
azioni comuni.
Mentre i coloni danno vita, in Asia Minore, a città che
svolgeranno ruoli significativi nella storia greca futura, nel
Peloponneso inizia a d articolarsi un processo, anche violento, di
confronto tra i Dori e la popolazione achea residente.
In Laconia, nella parte
sudorientale del Peloponneso, la fase iniziale di convivenza tra Dori e
Achei viene d'un tratto cancellata dalla svolta autoritaria dei nuovi
Spartani che, sotto la guida dei re Agide ed Euriponte, decidono di
escludere dalla cittadinanza gli indigeni, riservando solo a se stessi
i diritti politici. Secondo le fonti, la popolazione achea accetta la
nuova condizione, che garantisce comunque il godimento dei diritti
civili e forme di autogoverno, ad eccezione degli abitanti di Helos,
che si ribellano: la reazione dei Dori di Sparta è violenta,
il re
Agide assalta i rivoltosi, li sconfigge e li rende schiavi per sempre.
Nasce così la tripartizione della società
laconica
in tre classi, quella degli Spartiati, che si
identifica con i Dori, gli unici a godere dei pieni diritti di
cittadinanza; quella dei perieci, gli abitanti dei
dintorni, ossia gli Achei che hanno accettato la perdita dei diritti
politici; infine quella degli Iloti (etnico da
Helos?), destinati perennemente alla condizione servile.
In Messenia e in Argolide sembra svolgersi un processo analogo, con la
sola assenza della regressione di una parte della popolazione alla
condizione di servi. In Messenia, ad una prima fase di parificazione
tra Dori e Achei, subentra una fase di predominio dei Dori, che si
chiudono nelle loro roccaforti ed escludono la popolazione indigena
dalla pienezza dei diritti. In Argolide i Dori paiono condividere il
potere con l'aristocrazia achea, mentre gli strati inferiori della
popolazione vengono relegati nel territorio ed esclusi dalla vita
politica. Diversi sono i nomi con cui sono identificati questi achei
costretti ad una condizione di minorità: ad Argo sono
conosciuti come Gymnetes, i
“nudi”; a Sicione come Katonakophoroi,
“portatori di bastoni”, a Megara come
“quelli che si vestono con pelli di capra”. Tali
appellativi sono significativi perché esprimono con
immediatezza l'idea di esclusione: si tratta di gente separata
dall'ambiente cittadino, con il quale non condivide nulla, neanche il
modo di vestire. La riflessione storico-culturale successiva
collocherà questi strati della popolazione a metˆ
strada tra la libertà e la schiavitù.
Gli Spartani concepivano
la loro costituzione
come organismo creato in un unico momento da un solo uomo, il
legislatore Licurgo, che avrebbe affidato la
pubblicazione della struttura politico-amministrativa ad una rhetra,
una comunicazione orale.
I cittadini di pieno diritto, gli Spartiati, dovevano consacrare la
propria esistenza alla difesa dello Stato: a tale scopo era necessario
che su di loro non pendessero obblighi economici o lavorativi.
Fondamentale era la funzione degli iloti, gli schiavi pubblici dello
stato spartano: proprietà della comunità, e non
dei singoli cittadini, gli iloti venivano assegnati dallo stato ad ogni
Spartiata perché lavorassero sul lotto di terra, il kleros,
che ogni cittadino riceveva in usufrutto al momento della nascita:
così lo spartiata, libero da vincoli di sostentamento, a
partire dai sei anni di età poteva iniziare l'educazione
politico-militare che lo avrebbe condotto a diventare un
cittadino-soldato modello, fino ai sessant'anni. Compiuti i trent'anni,
lo Spartiata aveva il diritto di partecipare all'assemblea generale di
tutti i cittadini, l'apella, che
si svolgeva fuori della città, in campagna,
perché i suoi membri non fossero distratti dall'estetica dei
palazzi e si concentrassero sugli obblighi politici: poche e limitate
erano le prerogative dell'apella, che, in ambito
legislativo, poteva solamente approvare o respingere i decreti emanati
dal consiglio degli anziani, la gherusia. Alla gherusia
si aveva accesso solo a partire dai sessant'anni: composta da 28
anziani, scelti dall'apella, e dai due re, la gherusia
aveva il pieno potere legislativo e decideva della pace e della guerra.
Unica tra le cittˆ greche, Sparta conserva la diarchia
regale, di cui si ignorano le origini, ma si comprende
l'utilità, dato che un re poteva limitare il potere
dell'altro: ai due re spettava la guida dell'esercito e la celebrazione
dei sacrifici.
Al centro della costituzione spartana si colloca l'eforato,
un collegio di cinque magistrati con funzioni di controllo e garanzia
della legalità: sotto la vigilanza degli efori ricadeva in
particolare l'operato dei re, dato che gli Spartani, in tutta la loro
storia, mostreranno di temere soprattutto l'insorgere di poteri
assoluti e tirannici, mentre esalteranno pi� di ogni altra cosa l'homonoia,
ossia la concordia e l'uguaglianza. Gli Spartiati si definivano infatti
come homoioi, gli “uguali”,
dato che la costituzione imponeva a tutti di mantenersi nella
condizione economica e politica che doveva rimanere sempre la stessa
per tutti. A tal fine Sparta non coni˜ mai la moneta, dato
che la condizione degli Spartiati non doveva mai incrociare gli
interessi economici: come detto, lo Spartiata era mantenuto dagli iloti
che lavoravano sul kleros a lui assegnato e non
doveva avere altro scopo nella vita che perfezionare l'educazione
politico-militare, l'agogŽ, a cui era sottoposto dai
sei ai sessant'anni, tantomeno poteva avere il diritto di accumulare
ricchezze e potere.
La situazione sociale e
politica della Grecia nell'età arcaica mostra diversi
aspetti di precarietà e instabilità: forte
è il divario economico tra le classi sociali, limitata la
sfera di gestione del potere, amministrato dall'aristocrazia dorica nel
Peloponneso e da una ristretta cerchia di famiglie in città
non toccate dall'invasione come Atene. Larghi strati della popolazione
rimangono esclusi dalla distribuzione delle risorse e non hanno alcuno
strumento per avanzare rivendicazioni: tra VIII e VI secolo molteplici
sono i modi in cui le città greche nel loro complesso
affrontano le questioni più delicate, praticando differenti
soluzioni.
Un modo tipico di qualunque società per eliminare il
pericolo
di rivolte sociali connesse alla povertà e generate dalla
condizione di esclusione è liberarsi della fonte di rischio
attraverso l'emigrazione: nasce così, a partire dalla
metà del secolo ottavo, la spinta a quella che gli storici
definiscono come seconda colonizzazione greca, che differisce dalla
prima per le motivazioni, la durata e l'ampio raggio dei territori di
destinazione.
Le città euboiche di Calcide ed Eretria, Corinto, Megara, le
poleis dell'Acaia costituiscono le prime e
principali fonti della colonizzazione che si volge a occidente, verso
le coste dell'Italia meridionale e della Sicilia. I coloni euboici sono
i primi a insediarsi, verso il 750 a.C., nel Tirreno, sull'isola di
Ischia, in località Lacco Ameno, dove fondano la colonia di Pythecussa,
da cui si muoveranno verso la terraferma antistante a creare Cuma
e, in seguito, Neapolis. Coloni della stessa
provenienza, rinforzati dai cicladici di Nasso si stabiliscono nel 735
a.C. nella sicula Nasso, che fonderà le
subcolonie di Catana e Leontini,
e sullo stretto, prima a Zancle (ribattezzata
qualche decennio dopo Messana), poi a Reggio. La
colonia siciliana destinata a diventare la città
più ricca e
potente dell'intera isola � la corinzia Siracusa,
fondata sull'isola di Ortigia nel 734 a.C. I Corinzi si muovono verso
occidente secondo un piano preordinato e finalizzato a creare un canale
commerciale, attraverso il golfo di Corinto, lo Ionio e l'Adriatico,
tra la madrepatria e le sue colonie: prima di fondare Siracusa, i
Corinzi si insediano sulla penisola di Leucade, a
controllo dell'imboccatura del golfo, e sull'isola di Kerkyra
(Corf�), da cui partono altri coloni a occupare la costa epirotica ad Ambracia
e la costa illirica presso
Un gruppo misto di coloni provenienti da Rodi e da Creta si ferma sulle
coste meridionali dell'isola, verso il 600, fondando Gela,
che genererà di lì a poco la subcolonia di Selinunte,
e Agrigento.
Dalla regione costiera del Peloponneso settentrionale partono i coloni
achei che si stabiliscono su tutto l'arco del golfo ionico, fondando le
città di Caulonia, Crotone,
Sibari, Siri e Metaponto,
mentre Taranto � fondazione degli Spartani, che si
liberano così di un pericoloso nucleo di rivolta connesso
alle guerre messeniche. Di Sibari è la subcolonia di Posidonia,
alla foce del Sele, che i Romani ribattezzeranno Paestum. È
in questo settore che nasce la definizione di Megale Hellas,
Magna Grecia, in relazione
all'estensione del territorio occupato, mentre i Greci di queste
città saranno chiamati Italioti e quelli delle colonie
siciliane Sicelioti. In Sicilia, al di fuori del controllo greco
rimangono i settori nordoccidentali e centrali dell'isola, abitati
rispettivamente dai Fenici, che si incentrano a Panormo
e Trapani, e da Siculi e Sicani. In Magna Grecia i
più grandi pericoli proverranno dagli indigeni Lucani e
Sanniti, contro
i quali la città di Taranto in particolare
chiederà
aiuto a più riprese alla madrepatria Sparta e al continente
greco.
La seconda
modalità con cui le città affrontano la questione
politico-sociale inerisce al campo giuridico e legislativo e sfocia,
talvolta attraverso scelte concordate, in alcuni casi per mezzo
dell'imposizione violenta di una parte sull'altra, alla riforma
istituzionale di tutto il complesso statale e alla trasformazione della
legislazione dall'ambito delle tradizioni orali alla codificazione
scritta. È proprio del pensiero e della forma di governo
aristocratica avvalersi di leggi non scritte, custodite dalla memoria
degli ieromnemoni, i “sacri custodi della memoria”,
che rispondono a principi di diritto risalenti agli antenati: l'omerica
themis, il diritto orale della tradizione, ordina le
poleis dell'alto arcaismo. Ma è proprio
nell'ambiente aristocratico allargato, quando la sfera del potere si
amplia con l'ingresso di nuovi ghene, che sorge
l'esigenza di passare dalla themis alla dike,
dal diritto orale alla codificazione scritta, che garantisce con
maggior sicurezza la certezza della norma e sottrae la legge
all'arbitrio di pochi. La polis aristocratica di
Gortina, nell'isola di Creta, fornisce il primo esempio di
codificazione scritta, restituito da una famosa iscrizione.
Vi sono casi in cui la polis affida il compito
della legiferazione scritta, che comporta anche una profonda revisione
costituzionale, a una specifica persona, un sapiente che mette a
disposizione della comunità la propria conoscenza: a Sparta,
secondo la tradizione, svolse questa funzione Licurgo, ma casi
accertati storicamente sono quelli di Caronda a Catana e di Zaleuco a
Locri. Le leggi ateniesi di Dracone e di Solone, di cui si
parlerà in seguito, si iscrivono in questo quadro.
Quando una città affida volontariamente a un singolo
importanti compiti di revisione costituzionale, attribuendogli
temporaneamente poteri straordinari, si crea la figura istituzionale
dell'esimnete, “colui
che distribuisce in parti uguali”: si tratta di
un magistrato
creato al di fuori dell'ordinamento vigente, a cui la polis
assegna il compito di riformare lo Stato, creando o modificando il
complesso dei diritti politici e civili che spettano alla popolazione.
Quando questa assunzione di poteri avviene non sulla base di un accordo
generale, ma attraverso una presa violenta del potere, le fonti parlano
di tirannia: originariamente, tuttavia, il termine tiranno
non riveste quella connotazione dispregiativa, che gli viene assegnata
dalle fonti letterarie aristocratiche avverse. Il tiranno greco non
è colui che esegue un colpo di Stato per desiderio di potere
e governa dispoticamente, è invece l'esponente di una
fazione che, conquistato il governo della città con la
forza, si comporta come esimnete, trasformando e
ridistribuendo il potere. La differenza con l'esimnete consiste nella
modalità con cui il tiranno acquista il potere e lo
mantiene, detenendolo a vita e trasmettendolo, dove gli riesce, ai
discendenti. Altra differenza è che il tiranno, che in
alcuni casi è un aristocratico, si muove esplicitamente
contro l'aristocrazia, scardinandone i privilegi: per questo motivo la
storiografia moderna ha spesso definito la tirannia greca come
l'anticamera della democrazia.
Nel Peloponneso il tiranno agisce in particolare contro l'aristocrazia
dorica, in quanto esclude tutti i cittadini dai diritti politici,
allontanando dal potere innanzi tutto i ghene
aristocratici e assegnando solo a sé stesso la funzione di
governo, ma al tempo stesso estende il campo dei diritti civili,
introducendo nella cittadinanza quello strato dell'antica popolazione
achea che i Dori avevano relegato nelle campagne: è evidente
e altamente significativo il caso di Sicione governata dal tiranno Clistene,
nonno del Clistene riformatore ateniese, che crea, accanto alle tre
tribù doriche di Ilei, Dimani e Panfili, a cui fra l'altro
cambia nome, una quarta tribù, gli Archelaoi,
nella quale iscrive la popolazione del territorio. Lo stesso fenomeno
giuridico avviene a Megara, a quanto si deduce dalle lamentele del
poeta lirico Teagene, che si scaglia contro “quelli che
indossano pelli di capra”, ossia i contadini, i quali
frequentano ormai non sono più esclusi dagli ambienti
cittadini. Il
tiranno scardina il potere aristocratico parificando tutti i cittadini
con l'esclusione dai diritti politici, da una parte, e con l'inclusione
nei diritti civili, dall'altra: egli non governa attraverso il
consiglio e i magistrati tradizionali, non frequenta i luoghi politici
dell'agorà, stravolge profondamente
l'istituzione della polis esercitando il potere da solo al di fuori
degli ambienti canonici; sotto il suo potere nessun cittadino gode di
diritti politici, non può essere eletto a cariche
né può esercitare il diritto di voto, ma tutti
sono inclusi nella cittadinanza e possono far valere la difesa di
sé e dei propri beni contro gli altri. Dal punto di vista
economico, il tiranno viene incontro alle esigenze dei piccoli
agricoltori, favorendone la produzione e garantendone la difesa dai
grandi possessori, e incrementa soprattutto il commercio, intessendo
una fitta rete di importazioni ed esportazioni.
Il sistema economico può essere studiato prendendo in esame
il caso di Corinto: qui, la monarchia dell'alto arcaismo aveva ceduto
il posto, nel 744 a.C., al governo aristocratico dei ghene
dei Bacchiadi, sotto i quali si era sviluppato il fenomeno coloniale
che, come si è visto, aveva creato una rete di centri votati
al commercio lungo l'asse del golfo di Corinto in connessione con
l'Adriatico e l'Occidente. All'interno dei Bacchiadi era sorto colui
che ne avrebbe disintegrato il potere, il futuro tiranno Cipselo:
sfruttando i contrasti all'interno dei
Vi sono alcuni aspetti
della tirannia che vanno sottolineati: non si tratta di un fenomeno
duraturo, ma di transizione. A causa della modalità in cui
il tiranno prende il potere e lo conserva, nella maggior parte dei casi
la forma di governo creata muore con lui e la popolazione, da lui
introdotta nella pienezza dei diritti civili, inizierà un
percorso di avvicinamento alla democrazia. Rari sono i casi in cui il
tiranno riesce a creare una piccola dinastia, come a Corinto e Atene, e
anche qui il trasferimento del potere è molto limitato nel
tempo, fermandosi alla terza generazione a Corinto, dove il nipote di
Cipselo, Psammetico, regna solo cinque anni e viene ucciso, o alla
seconda generazione ad Atene, dove i figli di Pisistrato vengono l'uno
ucciso e l'altro cacciato.
La storiografia moderna ha spesso connesso l'istituzione della
tirannide con la riforma oplitica dell'esercito. Tra ottavo e settimo
secolo si verifica una trasformazione nel modo di combattere,
nell'armatura e, conseguentemente, anche nella tipologia del soldato.
Nasce il soldato oplita, armato di piccolo scudo
rotondo, elmo, spada, corazza leggera, che non combatte più
isolato dagli altri, in singoli duelli con il nemico, come nelle
descrizioni omeriche della guerra di Troia, ma si muove quale elemento
inserito nel contesto della falange. Gli opliti si muovono in schiere
compatte, organizzati fila per fila, proteggendosi il fianco sinistro
con lo scudo, offrendo protezione anche al fianco destro del compagno e
librando la spada con la destra.
Due sono le conseguenze di questa innovazione: da un punto di vista
tattico e strategico, le battaglie si trasformano da un insieme caotico
di scontri singoli a uno scontro delimitato spazialmente tra due fronti
compatti, che tendono ad avanzare in maniera omogenea, facendo
affidamento sulla propria forza d'urto: vi è poco spazio per
cambi improvvisi di strategia, la capacità del generale
consiste nella scelta del terreno migliore per lo scontro; una volta
che le due falangi hanno impattato l'una contro l'altra, si inizia un
movimento di tipo circolare verso destra, creato dallo slancio dei
soldati che si difendono con lo scudo nella sinistra e colpiscono il
nemico con la destra. Tutta la fatica della battaglia ricade sulle
prime file degli schieramenti: nel momento in cui cade un soldato della
prima fila, il soldato dietro di lui deve essere pronto a prenderne il
posto, per evitare l'arretramento delle posizioni.
L'altra conseguenza è di tipo sociale: un tale tipo di
combattimento richiede un alto numero di soldati preparati
atleticamente e disciplinati, capaci di muoversi all'unisono e forti di
uno specifico addestramento. é ormai lontana l'epoca della
massa omerica dei laoi che si slanciavano a
combattere intorno agli eroi a duello. Il soldato che va a combattere
deve aver ricevuto come cittadino un'ampia educaione militare. Molti
storici hanno connesso l'emergere dei tiranni con la creazione degli
opliti, quasi che il tiranno stesso fosse l'ispiratore della riforma.
In realtà la nascita dell'oplitismo è connessa,
cronologicamente e logicamente, con l'ambiente aristocratico: le fonti
letterarie e archeologiche inquadrano la nascita degli opliti in un
tempo precedente alla comparsa dei tiranni e anche in luoghi che non
hanno mai conosciuto la tirannide. In secondo luogo, la creazione della
falange oplitica si produce nel contesto del potere aristocratico
allargato al di fuori dei membri originari: non deve essere
interpretata come l'espressione di una forza antiaristocratica, ma come
il frutto della partecipazione politica di nuovi ghene comunque legati
alla sfera del potere.
Un ultimo aspetto della tirannide riguarda la sua assenza a Sparta, che
nella storia si presenta come la cittˆ antitirannica per
eccellenza. Tale fenomeno trova spiegazione nelle motivazioni sociali
della tirannide, che non si verificano nella Sparta organizzata secondo
il sistema licurgheo: in età arcaica, nell'ambiente
militarizzato degli Spartiati, dove tutti gli homoioi sono parificati
in un'esistenza votata alla guerra, non vi sono i presupposti perchŽ si
crei una spinta sociale alla riforma istituzionale. Sparta è
invece un ottimo banco di prova per l'introduzione della tattica
oplitica, che richiede, per esplicarsi al meglio, un alto grado di
omogeneitˆ dei soldati e nessuno meglio degli Spartiati poteva
vantare, per educazione e addestramento, tale capacità di
agire come corpo unico.
Ad Atene l'evoluzione
politica dall'età micenea all'alto arcaismo si svolge
secondo linee comuni ad altre città. Benché non
toccata dalla discesa dei Dori -e per questo gli Ateniesi
rivendicheranno sempre la propria autoctonia-, anche qui la
comunità vide scardinarsi la struttura del potere miceneo a
favore delle famiglie aristocratiche.
Secondo la tradizione, la città partecipa alla migrazione in
Ionia, mentre la figura dell'anax miceneo si
trasforma nel più debole basileus a
vita, che, nell'ottavo secolo, si trasforma in carica elettiva dotata
di potere per soli dieci anni. A fianco di questo basileus,
che vede restringersi il potere sia cronologicamente che nella
sostanza, compare un magistrato supremo, l'arconte,
che assume prerogative tipiche di un capo civile e giudiziario, e un
generale supremo, il polemarco, a cui viene
assegnata la guida dell'esercito. Quando nella prima metˆ del
VII secolo il re si trasforma in magistratura annuale con competenze
relegate essenzialmente alla sfera religiosa, la sua figura
istituzionale, fissata nella denominazione di basileus,
quella dell'arconte e quella del polemarco vanno a costituire il
collegio degli arconti, integrato con sei magistrati
minori, i tesmoteti, che gestisce l'amministrazione
della comunità e viene rinnovato anno per anno.
Un secolo prima di questa trasformazione, si era verificata una
importantissima modificazione di natura politico-territoriale che le
fonti definiscono sinecismo a
attribuiscono falsamente al re Teseo: tutte le comunità
sparse sul territorio dell'Attica, da Capo Sunio a Maratona si erano
unificate costituendo uno stesso complesso cittadino, che riconosceva i
medesimi magistrati e il medesimo Consiglio. Il sinecismo attico non
comporta, quindi, un trasferimento di popolazione nel centro cittadino,
secondo un fenomeno di urbanizzazione che si verificherà in
altri e successivi casi della storia greca, ma si manifesta quale
unificazione politica del territorio, che, nella nuova forma, presenta
notevoli differenze al suo interno di natura economica e sociale.
All'interno, nella fascia montuosa a nord dell'Attica, la maggiorparte
della popolazione è scarsa di mezzi e vive del frutto dei
propri campi o del proprio lavoro di operaio; al centro, nella
cosiddetta mesogea, il territorio è
occupato dalle grandi proprietà terriere dell'aristocrazia,
mentre sulla costa si distingue la classe media dei commercianti:
questa tripartizione, già evidente nel settimo secolo,
svolgerà un ruolo determinante nella dinamica
politico-sociale del periodo immediatamente successivo.
Nella seconda
metà del VII secolo il potere deighene
aristocratici non è stabile e diffuso è il
malcontento sociale, forte appare il divario tra ricchi e poveri e
sempre più persone, indebitatesi avendo prestato a garanzia
la propria persona, sono ridotte in schiavitù. In questo
contesto, verso il 630 a.C., un gruppo di persone guidate da Cilone
tenta di prendere il potere con la forza, sull'esempio dei tiranni
diffusi in parecchie città greche, e occupa l'acropoli, ma
fallisce nel tentativo: circondati dai cittadini guidati dal ghenos
degli Alcmeonidi, i Ciloniani, vedendosi perduti, sono indotti ad
abbandonare la roccaforte e a trattare la resa. Nonostante la promessa
di risparmiare loro la vita e benché alcuni di loro
riuscissero a rifugiarsi presso gli altari delle divinità,
che ne avrebbero dovuto garantire l'incolumità, gli
Alcmeonidi li uccidono uno per uno, violando anche i luoghi sacri. Per
questo sacrilegio gli Alcmeonidi, che avranno illustri discendenti
quali Clistene e Pericle, saranno nel corso del tempo più
volte condannati all'esilio come sacrileghi.
Eliminato il tentativo tirannico, permangono ad Atene le condizioni di
instabilità e si ritiene necessario un intervento
complessivo di riforma legislativa e istituzionale: l'arconte Dracone
viene investito di poteri straordinari nel 624 a.C. e il suo lavoro
produce l'emanazione di un codice legislativo, civile e penale, rimasto
famoso per la sua severità. Le fonti attribuiscono anche a
Dracone l'istituzione di una boulé, un
consiglio rappresentativo con poteri legislativi, ma gli storici
tendono a negare l'esistenza di un organo simile, ritenendolo una
anticipazione di situazioni posteriori. Potrebbe invece già
essere funzionante il Consiglio dell'Areopago,
costituito dagli arconti usciti di carica, sul quale ricadeva
l'incombenza delle funzioni legislative e giudiziarie.
Tuttavia, neanche l'intervento di Dracone serve a tranquillizzare la
comunità, perché lascia irrisolti i nodi relativi
alla partecipazione politica e alle questioni economiche e sociali.
Nel 594 o nel 591 a.C.
viene nominato arconte con poteri straordinari Solone
perché, quale “arbitro della
costituzione”, come lo definisce Aristotele, riformi alla
radice la struttura politica, istituzionale ed economica della
città.
Tre sono i campi di intervento di Solone, che riguardano le istituzioni
e la distribuzione dei diritti politici, le relazioni economiche e la
politica monetaria.
Dal punto di vista politico Solone individua il principale male della
città nel sistema bloccato della cittadinanza e introduce il
principio della mobilità attraverso l'istituzione delle
classi censitarie: divide la popolazione in quattro classi in base al
reddito prodotto annualmente e distribuisce i diritti politici tra le
classi in relazione al censo. In senso discendente, la prima classe
è costituita dai pentacosiomedimni,
ossia dai cittadini che ricavano dai propri campi almeno cinquecento
medimni di grano o hanno un reddito almeno pari a tale somma; la
seconda classe è quella dei cavalieri,
ossia dei cittadini che possono mantenere un cavallo e hanno un reddito
almeno pari a trecento medimni; la terza classe è costituita
dagli zeugiti, coloro che possiedono un campo
arabile da una coppia di buoi e dichiarano un reddito almeno pari a
duecento medimni; all'ultima classe appartengono i teti,
ossia coloro che hanno un reddito inferiore ai duecento medimni,
compresi i nullatenenti. Solamente ai pentacosiomedimni è
attribuito il diritto elettorale passivo per tutte le magistrature e
solo loro possono farsi eleggere quali arconti; ai cavalieri sono
aperte le magistrature finanziarie; gli zeugiti possono accedere alle
magistrature minori, ad esempio il collegio degli undici, che
sovrintendeva a compiti di polizia urbana e alle carceri; ai teti
è negato l'accesso a qualsiasi magistratura. Tutte le
classi, teti compresi, possono farsi eleggere alla
Per quanto riguarda l'ambito economico, Solone attua quella che
Aristotele chiama lo “scuotimento dei pesi”, ossia
l'eliminazione dei debiti contratti sulla garanzia della persona fisica
del debitore: come si è detto, era uso comune che il
debitore accedesse ai prestiti fornendo come garanzia la propria
persona; in caso di insolvenza il debitore diventava possesso
personale, quindi schiavo, del creditore. Molti erano i casi di
schiavizzazione per debiti diffusi nella cittadinanza ateniese. Solone
interviene drasticamente dichiarando nulli tali debiti e restituendo la
libertà a questo tipo di schiavi.
In terzo luogo, per facilitare i commerci e dare stimolo agli scambi,
decise una riforma monetaria con la quale fu abbandonata la dracma
eginetica a favore di quella euboica, più leggera: intento
di Solone,
che in uno dei suoi componimenti dichiara “Atene madre della
Ionia”, � quello di inserire Atene nella trama di commercio
delle città ioniche.
Una volta redatto e messo in pratica il piano di riforme, Solone, che
ha agito da esimnete, rimette il proprio potere e abbandona
temporaneamente Atene, per sottrarsi al tentativo delle parti di
attirarlo a s´: ritiene di aver compiuto una buona opera e lo
deduce dal fatto che le critiche al suo operato provengono da tutti i
lati, quasi che scontentare tutti sia segno di imparzialità.
Il complesso di riforme suscitava il malcontento dell'aristocrazia, che
si vedeva insidiata nei propri privilegi dalle classi inferiori, ma
scontentava i più deboli perché non garantiva
loro la piena
parificazione dei diritti e, soprattutto, non toccava, se non
marginalmente, gli equilibri economici preesistenti: i più
poveri
rimproveravano in particolare a Solone di non aver proceduto alla
ridistribuzione delle terre e non aver attuato una vera e profonda
trasformazione nel sistema della proprietà.
Il disordine sociale
permane e produce un tentativo tirannico di un tale Damasia, che circa
dieci anni dopo Solone cerca di mantenersi all'arcontato per
più anni, fino a trovare la morte per mano degli avversari
politici. La situazione si mantiene critica per i decenni successivi,
mentre si rende sempre più chiara la spaccatura in tre
tronconi della popolazione attica, tra quelli della montagna,
capeggiati da Pisistrato, quelli della costa legati agli Alcmeonidi, e
i ricchi della mesogea stretti intorno al ghenos
dei Butadi.
É Pisistrato ad avere la meglio, nel 561
a.C., e, dopo alterne vicende, a vincere la resistenza degli Alcmeonidi
e dei Butadi coalizzati insieme e a mantenere il potere fino alla morte
nel 528 a.C. Facendo forza sulla fama acquisita come generale, quando
aveva condotto gli Ateniesi a conquistare l'isola di Salamina
sottraendola ai Megaresi, si fa strada nell'ambiente cittadino come
difensore dei più deboli: ottenuta una guardia personale con
la scusa di doversi difendere dai nemici, che avevano attentato alla
sua vita, se ne serve per prendere il potere con la forza. Scavalcando
le istituzioni cittadine, in un discorso pronunciato ai piedi
dell'acropoli invita i cittadini a deporre le armi e a non frequentare
più, da quel giorno, l'assemblea e il consiglio, ma a
dedicarsi ai propri affari, perché da quel momento le
questioni pubbliche sarebbero ricadute sotto il suo personale
controllo. Secondo Tucidide, negli anni di governo tirannico ad Atene
non vennero abolite le istituzioni date alla città da
Solone, ma le si svuotarono di contenuto, dato che Pisistrato fece in
modo di nominare alle magistrature i suoi uomini.
Pisistrato, che secondo Aristotele fu “umano e molto vicino
al popolo”, si dedicò in particolare a risollevare
la condizione dei piccoli agricoltori, a cui fornì sussidi
economici per sostenerne la produzione, senza tuttavia trascurare
né i lavori pubblici, a cui destinava parte dei proventi
della tassazione diretta, né i commerci: sotto il suo
governo Atene, giovandosi anche dela ristrutturazione della flotta,
intraprende spedizioni per assicurarsi l'occupazione di un avamposto
commerciale presso i Dardanelli, per controllare e sfruttare il
traffico commerciale tra Egeo e Mar Nero.
Diversa fortuna ebbero i figli Ippia e Ipparco, incapaci di proseguire
la politica del padre e di mantenere il potere al riparo dal
malcontento generale, secondo la tradizione della tirannide. La rivolta
contro i Pisistratidi è guidata dagli Alcmeonidi, parte dei
quali sono in esilio per il sacrilegio compiuto contro Cilone e hanno
stretto forti relazioni con Delfi, dove hanno finanziato il restauro
del santuario. Ipparco viene ucciso nel 514 a.C. in un attentato
durante la celebrazione delle Panatenaiche da due ateniesi, Armodio e
Aristogitone, che saranno celebrati come liberatori, ma che sembra
agissero per motivi personali e slegati dal contesto politico.
L'uccisione di uno dei figli di Pisistrato mette comunque in moto la
rivolta della città contro il superstite Ippia, che
irrigidisce i metodi di governo, finché è
costretto a rinchiudersi sull'acropoli, nel 510 a.C.. Assediato dagli
stessi ateniesi, assistiti dagli Spartani guidati da Cleomene, da
sempre ostili ai tiranni, Ippia non ha altra scelta che trattare la
resa e inaugura quella che sarà una politica tipica degli
esuli ateniesi, passando nel campo persiano.
Ad Atene, libera dalla tirannide, riesplode la contesa politica finora
trattenuta, che vede fronteggiarsi Isagora, capo dei conservatori, che
l'alcmeonide Clistene per i popolari: il primo
sembra avere la meglio e caccia Clistene dalla città, ma,
nonostante l'aiuto spartano che ora viene accordato, perchŽ si tratta
di evitare l'evoluzione della democrazia, Isagora viene assediato
sull'acropoli dalla popolazione che non gli lascia via di fuga. Venuto
a patti, ottiene il permesso di andarsene incolume e Clistene rientra
da trionfatore in città, dove gli viene assegnato il compito
di trasformare le istituzioni e la struttura costituzionale, nel 508/7
a.C.
L'intento di Clistene
è, secondo Aristotele, quello di “mescolare la
popolazione”, perchè nessuno possa più
vantare privilegi connessi alla nascita e alla nobiltà: per
ottenere questo scopo attua una riforma della cittadinanza in
connessione con la distribuzione territoriale della popolazione nei
luoghi di residenza che sono anche collegi elettorali.
In luogo delle quattro tribù gentilizie, connesse con il ghenos
di appartenenza, vengono create dieci tribù
territoriali, che coprono tutto il territorio dell'Attica e
sono inserite in una struttura costituzionale che concepisce la
tribù come collegio elettorale dal quale vengono prelevati,
tramite sorteggio o elezione, i magistrati e, tramite sorteggio, i
membri della boulé. Ogni
tribù è ripartita al suo interno in tre sezioni,
chiamate trittie e ogni trittia è formata da demi, il
distretto minore in ordine di grandezza: le tre trittie che formano la
tribù sono una della costa, una della mesogea e una della
montagna, scelte in maniera tale da non essere contigue
territorialmente e da rappresentare tutte le tipologie di popolazione,
dato che permane in età clistenica la ripartizione
territoriale già considerata nei periodi precedenti, secondo
la quale gli abitanti della montagna erano in maggioranza poveri,
quelli della costa costituivano la classe media e quelli della mesogea
raccoglievano grandi quantità di ricchezza dalle
proprietà terriere. In questo modo, quando sulla base della
tribù venivano scelti i magistrati e i membri della boulé,
per necessaria conseguenza venivano elette persone di tutte le classi
sociali, proprio perché la popolazione era mescolata alla
base.
Per rendere agevole il sistema elettorale, viene scelto il sistema
decimale anche per le magistrature e il consiglio: dove è
possibile tutte le magistrature vengono strutturate in collegi di dieci
membri, così che da ogni tribù venga eletto o
sorteggiato un membro; la boulè
viene divisa in dieci sezioni e i suoi membri sono elevati a
cinquecento, così che ogni tribù possa
sorteggiare cinquanta buleuti che all'incirca ogni mese dirigano a
turno, con il nome di pritani, i lavori del consiglio.
Tra le magistrature più importanti si segnalano il collegio
degli arconti,
che viene portato a dieci con l'aggiunta di un segretario ai sei
tesmoteti che assistono l'arconte, il polemarco e il basileus,
e il collegio degli strateghi, che assumono la
guida dell'esercito a scapito del polemarco.
Per la scelta dei magistrati si preferisce la tecnica del sorteggio,
perché si ritiene che solo la sorte, che é intesa
come manifestazione della volontà divina, possa garantire
l'imparzialità della scelta: per attenuare i possibili
inconvenienti, il sorteggio non è tuttavia puro, ma viene
effettuato su una lista di candidati scelti dalle tribù. Ad
esempio, nel caso della nomina degli arconti, ogni tribù
presenta una lista di dieci candidati e il sorteggio dei dieci
magistrati viene effettuato su questa lista di cento candidati. Laddove
si richiede specifica competenza, nonché risorse economiche
personali per rimediare a eventuali errori o malversazioni, come nel
caso delle magistrature finanziarie, il sorteggio è
sostituito dall'elezione diretta di candidati selezionati.
Clistene mantiene la discriminazione soloniana relativa all'elettorato
passivo degli arconti, magistratura che rimane riservata ai
pentacosiomedimni, anche se tale limitazione è destinata a
cadere con lo sviluppo del principio democratico, tanto che nel 487
a.C. l'arcontato è aperto ai cavalieri, nel 457 a.C. agli
zeugiti e dalla metà del V secolo anche i teti potranno
concorrervi, anche i assenza di una specifica autorizzazione.
Tutti i cittadini possono candidarsi per l'elezione-sorteggio della boulé
e hanno il diritto di partecipare all'assemblea generale, l'ecclesia,
e al tribunale popolare, l'eliea,
in questo caso entro il limite dei seimila partecipanti per anno, che
vengono ripartiti nelle varie corti giudicanti. Per quanto riguarda la
procedura legislativa, ogni iniziativa deve partire dalla boulé,
che è convocata in permanenza: infatti, quando i cinquecento
hanno terminato i lavori, la tribù che detiene la pritania
rimane comunque al lavoro. L'ecclesia, che si
riunisce quattro volte al mese, non può decidere niente che
non sia stato precedentemente discusso dalla boulé,
ma ha il pieno diritto di accettare, modificare in tutto o in parte e
di respingere il testo presentato dal consiglio.
In tale ripartizione del potere, un ruolo rilevante sembra continuare a
svolgerlo il Consiglio dell'Areopago, che, oltre ad
agire come corte giudicante (anche se non conosciamo in quali rapporti
si ponesse con l'eliea), ha prerogative di incerta
definizione, ma che gli consentono di controllare l'operato dei
magistrati, della boulé e
dell'assemblea. Quando la parte popolare prenderà il
sopravvento e Atene virerà verso la democrazia piena, circa
cinquanta anni dopo Clistene, l'Areopago sarà la figura
istituzionale più colpita dai democratici.
L'intento di Clistene, che si può ritenere raggiunto, era
quello di stroncare i privilegi di classe e di garantire la
partecipazione di tutta la popolazione alla gestione del potere,
garantendo un equilibrio dei poteri: per questo al Consiglio
dell'Areopago, organo non elettivo con membri che siedono a vita quali
ex arconti, è assegnata la funzione di garante dell'assetto
costituzionale, al fine di limitare eventuali eccessi dell'ecclesia.
Al popolo riunito in assemblea Clistene assegna un compito
fondamentale, consistente nell'impedire l'insorgere di future
tirannidi: a questo fine introduce l'istituto dell'ostracismo,
ossia la possibilità conferita all'assemblea popolare, nel
sesto mese di ogni anno, di votare, su proposta di un cittadino,
l'esilio per un cittadino che si sia reso colpevole di attentato alla
democrazia o su cui gravino sospetti di tirannide. Se la proposta viene
votata da almeno seimila cittadini (o forse seimila è il quorum
dei votanti), che scrivono il nome dell'imputato su un coccio (ostrakon,
da cui il nome della procedura), allora l'accusato deve lasciare la
città. L'ostracismo, concepito da Clistene come strumento
popolare contro la tirannide, diventerà presto un arma della
lotta politica all'interno di Atene, sfruttata da quelle che rimangono
le due parti in conflitto, i conservatori e i popolari.
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Se Atene, già a
partire dall'inizio del VI secolo, guarda verso il mare come possibile
linea di espansione, assicurandosi prima il controllo del golfo
Saronico, con la presa di Salamina, poi avviandosi a estendere la
propria influienza sull'Egeo, già con Poisistrato, gli
sforzi di Sparta sono convogliati verso il rafforzamento della propria
posizione all'interno del Peloponneso. Con due guerre lunghe e
sanguinose, tra VIII e VII secolo, gli Spartani si erano impossessati
della Messenia, la regione al di là del Taigeto che
confinava a ovest con la Laconia: se dopo la prima guerra messenica,
svoltasi nella seconda metà del secolo VIII, gli Spartani si
erano assicurati il controllo del territorio, dalla vittoria nella
seconda guerra messenica, svoltasi nella prima metà del VII
secolo, trassero conseguenze molto pi� profonde e decisero per la
schiavizzazione dell'intero popolo messenico, che venne ridotto alla
condizione degli iloti: tutti i Greci percepirono con insofferenza
questa decisione, tanto che quasi otto secoli dopo il periegeta
Pausania sottolineava come i Messeni fossero stati ridotti in
schiavitù pur essendo Dori anch'essi, ossia della stessa
stirpe degli Spartani; gli Ateniesi in particolare guarderanno sempre
con simpatia ai Messeni, anche per convenienza politica, e si
troveranno in alcuni casi anche ad assisterli nei loto tentativi di
rivolta.
Assicuratasi la Messenia, gli Spartani trassero dalla loro parte
l'Elide e, dopo alcuni conflitti armati, anche l'Arcadia, mentre la
città di Argo rmase sempre al di fuori della loro influenza,
tanto che nel V secolo strinse anche un'alleanza con Atene. Nella
seconda metà del VI secolo, per consolidare il controllo del
territorio e rafforzare i legami con le poleis
amiche, gli Spartani premettero per la costituzione di una federazione
fra le città del Peloponneso, che, basandosi su un organo
deliberativo comune, inducesse i membri a rendere comuni le decisioni
di politica estera, sotto il controllo della città
più
forte: a giudicare dalle fonti in nostro possesso, dal 525 a.C.
è operativa quella che i testi definiscono come lega
peloponnesiaca, all'interno della quale, per la forza
militare di cui dispone, Sparta gioca un ruolo preponderante.
Nel Vicino Oriente da
circa cinquanta anni i Persiani sono emersi quale forza con cui i Greci
sono destinati a confrontarsi. L'etnia dei Persiani
nasce nell'Elam, all'interno dei Medi, che sotto la
guida dei re Ciassare, il distruttore di Ninive nel 612 a.C., e di Astiage,
avevano creato un regno di grandi proporzioni che superava i confini
dell'altopiano iranico. Il persiano Ciro sottrae
con la forza il potere ad Astiage, occupando la capitale dei Medi
Ecbatana nel 550 a.C., e perseguendo una politica di integrazione fra
Medi e Persiani, getta le basi per la costituzione di un impero
multinazionale, governato sia da Ecbatana, sia dalla sua
città di origine, Pasargade.
La prima tappa dell'espansione persiana è costituita dal
regno di Lidiaguidato da Creso,
che viene sconfitto e catturato nel 546 a.C.: i Persiani entrano nella
capitale lidia, Sardi, la trasformano in capoluogo di una satrapia, la
ripartizione amministrativa dell'impero, e da qui assumono, nel 545
a.C., anche il controllo delle città greche dell'Asia
minore, tra cui si distinguevano i centri di Mileto e Colofone, che da
tempo erano divenute tributarie del regno lidio. Nel 539 a.C. Ciro pone
fine al secondo impero babilonese conquistando Babilonia
e restituendo la libertà agli Ebrei
qui deportati da Nebukadnezar:
con tale atto, che comporta anche la facoltà di ricostruire
il tempio di Gerusalemme, Ciro inaugura quella che sarˆ la
politica caratteristica dei Persiani nei confronti dei popoli
sottomessi, fatta di rispetto per la cultura delle genti facenti parte
dell'impero universale.
Nell'idea dei re persiani, solo tramite la salvaguardia delle leggi,
delle usanze, delle lingue dei popoli conquistati si sarebbe potuta
costituire una compagine sovranazionale, i cui membri si sentissero non
sudditi, ma cittadini guidati dal Gran Re, o Re dei Re, che
è la rappresentazione vivente del dio della luce, Ahura
Mazda, secondo i principi della teologia di Zarathustra,
per i Greci Zoroastro, sapiente persiano del VI secolo a.C.: a lui si
deve l'elaborazione di un pensiero religioso incentrato sulla
separazione e contrapposizione fra il principio del bene e il principio
del male, sostanzializzato in Ahriman, che di Ahura Mazda � eterno
rivale: il Re dei Persiani non pu6ograve; che essere il garante
dell'ordine e l'impero è lo strumento per mantenere l'ordine
e la coesistenza pacifica delle popolazioni.
Il successore di Ciro,
Nel frattempo, nel cuore dell'impero, vengono edificate due nuove
città, Susa e Persepoli, grazie all'apporto di maestranze e
operai provenienti da tutti i popoli dello Stato multinazionale, che
insieme collaborano per l'edificazione dei nuovi centri di potere, come
tiene a sottolineare Dario nelle iscrizioni pervenute.
Nelle città
greche dell'Asia minore si diffondono intanto segni di insofferenza per
il controllo imposto dai Persiani sulle istituzioni cittadine e sul
favore da loro concessi a governi di tipo tirannico. È
proprio da un tiranno, il governatore di Mileto Aristagora
che prende inizio la rivolta delle città ioniche dell'Asia
minore contro il satrapo di Sardi, da cui dipendeva il territorio greco.
Aristagora, rendendosi conto della debolezza economica e militare delle
poleis, incapaci di allestire una flotta e un
esercito in grado di fronteggiare validamente le forze persiane, decise
di coinvolgere nella lotta la Grecia e intraprese una iniziativa
diplomatica che lo portò a presentarsi davanti alle
assemblee di Sparta e di Atene, dove, utilizzando la carta geografica
redatta poco tempo prima dallo scienziato e filosofo Anassimandro di
Mileto, illustrò ai Greci i rapporti di forza in campo e le
possibilità di vittoria e di successivo sfruttamento delle
risorse in un Egeo liberato dai Persiani.
Nonostante gli sforzi profusi, scarsi furono i risultati ottenuti: gli
Spartani rifiutarono di farsi coinvolgere in slanci politici che non
appartenevano loro, solamente Atene ed Eretria accettarono di prestare
aiuto, limitandolo però alla fornitura, rispettivamente, di
venti e cinque navi. Dal punto di vista della strategia istituzionale,
dalle fonti conosciute sembra ricavarsi la decisione da parte delle poleis
ioniche di rafforzare i propri legami, seguendo il consiglio fornito da
Talete, di trasformare il legame federativo che univa i diversi centri
in uno stato federale dotato di una boulé
centrale e guidato dalla magistratura comune dei probuli. L'attacco
militare, iniziato nel 499 a.C., produsse iniziali successi
concretizzatisi nell'assedio di Sardi, sede della satrapia, nella
vittoria terrestre di Pedaso, in Caria, e nella defezione di Cipro, una
delle basi navali utilizzate dai Persiani, che passò ai
ribelli. Tuttavia, le scarse forze dei Greci, private anche della guida
di Aristagora, morto in battaglia nel 496 a.C., non riuscirono a
opporsi validamente ai rinforzi inviati dal cuore dell'impero, che
ripresero rapidamente le posizioni perdute e ottennero la vittoria
decisiva nella battaglia navale di Lade, piccola
isola di fronte a Mileto, nel 494 a.C. Mileto, quale artefice e guida
della rivolta, venne distrutta e data alle fiamme, tutte le poleis
furono costrette a rinnovare il giuramento di sottomissione al Gran Re,
che appront˜ immediatamente una spedizione militare contro i
Greci della madrepatria, concepita come iniziativa punitiva in
particolare contro Atene ed Eretria, che avevano prestato aiuto agli
Ioni in rivolta.
Nel 492 a.C. Dario affida
il comando della spedizione a Mardonio, che muove la flotta verso
l'Egeo del nord, dove riafferma il controllo persiano sulla Tracia e
ottiene la conferma della sottomissione alla Persia del regno di
Macedonia. Tuttavia questa prima iniziativa viene bloccata dal
naufragio di parte della flotta nei pressi della penisola del Monte
Athos.
Nel 490 a.C. fu approntata una seconda spedizione il cui comando fu
affidato a Dati e Artaferne, che si dedicarono in primo luogo a
riaffermare il dominio persiano sulle Cicladi, conquistando Nasso e
sbarcando a Delo, dove offrirono sacrifici propiziatori ad Apollo.
Quindi si diressero contro Eretria, uno dei due obbiettivi della
spedizione, che, priva di aiuto da parte di Atene, preoccupata ad
allestire un esercito a propria difesa, è costretta a cedere
dopo un assedio di sette giorni e subisce la stessa sorte di Mileto.
Ad Atene l'esercito fu affidato a Milziade, che
conosceva da vicino i Persiani per aver governato sul dominio ateniese
al promontorio del Sigeo, sui Dardanelli, creato da Pisistrato. I
Persiani sbarcarono sulla costa nord-orientale dell'Attica, presso Maratona,
dove per circa quindici giorni si fronteggiarono con l'esercito
ateniese coadiuvato da mille soldati inviati da Platea. Fu Milziade a
ordinare l'attacco frontale contro le schiere persiane, avviando
contemporaneamente anche una manovra di aggiramento. Dati, colto di
sorpresa e temendo di essere accerchiato, ordinò la ritirata
sulle navi. La battaglia terrestre era vinta, ma la flotta persiana
rimaneva sostanzialmente intatta e si mosse immediatamente a doppiare
Capo Sunio, nell'intento di sbarcare al Pireo e di marciare contro
Atene, sguarnita di soldati. Compresa l'idea di Dati, Milziade non
concesse riposo alle truppe e le guidò a marcia forzata
verso Atene, cos“ che, quando i Persiani arrivarono in vista
del Pireo, trovarono ad aspettarla lo stesso esercito che li avevano
sconfitti a Maratona e rinunciarono allo sbarco, tornando in patria.
Gli Ateniesi cercarono di sfruttare il momento favorevole, tentando di
riottenere il controllo sulle Cicladi, e affidarono allo stesso
Milziade il compito di riconquistare Paro. L'assedio si
rivelò infruttuoso e l'impresa si risolse in un nulla di
fatto, la cui responsabilità fu fatta ricadere su Milziade,
accusato di essersi lasciato corrompere dai Persiani. Condannato a una
multa di cinquanta talenti, morirà in disgrazia, lasciando
al figlio Cimone, futuro protagonista della vita politica ateniese, il
perso del debito nei confronti dello Stato.
Morto Dario, nel 485 a.C.,
il figlio Serse inizia a elaborare i piani di una
nuova spedizione che, questa volta, si ponga come obbiettivo non la
semplice punizione del nemico, ma l'espansione del dominio persiano sul
suolo greco. Ad Atene questi preparativi non passano inosservati. Il
confronto politico all'interno della città è fra Aristide,
guida dei conservatori, e Temistocle, capo dei
popolari: è di Temistocle la proposta di utilizzare i
proventi delle miniere d'argento del Laurio non, come nella tradizione,
per effettuare donazioni alla popolazione, ma per incrementare la
flotta e trasferire le attrezzature portuali dal Falero al Pireo,
ampliandone le fortificazioni. L'assemblea popolare vota a favore della
proposta di Temistocle e decide l'ostracizzazione di Aristide, che
è costretto a lasciare la città nel 482 a.C.
I numeri dell'esercito persiano impressionarono grandemente i Greci e
tracce di questo sbalordimento permangono nella cifra iperbolica che
Erodoto raccoglie nelle sue Storie, quando parla di
circa sei milioni di uomini. È probabile che il numero vero
si aggirasse intorno alle trecentomila unità , compreso il
personale di servizio, che costituivano comunque un esercito dalle
proporzioni straordinarie rispetto alle forze che i Greci
collettivamente erano in grado di schierare.
Mentre i Persiani si avvicinano da nord per terra e per mare, con
l'esercito che attraversa la Tracia e la Macedonia e punta verso la
Tessaglia e la flotta che procede parallelamente lungo la costa, le
città greche decidono di mettere in comune le proprie sorti
stringendo un'alleanza difensiva la cui assemblea si riunisce a
Corinto. Qui scoppia il contrasto fra le diverse strategie di difesa:
gli Spartani, forti della propria fanteria oplitica, premevano per
affrontare i Persiani sulla terraferma, dove avrebbero svolto un ruolo
preponderante che avrebbe garantito loro prestigio e potere; al
contrario gli Ateniesi, che contavano sull'esperienza navale,
spingevano per concentrare gli sforzi sulla flotta. Si decise in un
primo tempo di intervenire sia per terra che per mare: mentre la flotta
greca si muoveva verso il nord dell'Eubea, i contrasti tra i Greci si
riproposero sul luogo terrestre dove affrontare il nemico.
I Tessali esortavano gli alleati a intervenire a nord della
propria
regione, per impedirne la devastazione, mentre gli Spartani in
particolare desideravano un luogo di impatto più a sud:
Temistocle,
inviato a nord a capo di un esercito, giudicò le posizioni
tessale troppo esposte e, quindi, scarsamente difendibili e pericolose,
e individuò il sito migliore per tentare di bloccare i
Persiani al passo delle
Nel frattempo, mentre gli Spartani si accingevano a fortificare le
postazioni dell'Istmo, nell'intento di bloccare in queste strettezze
l'esercito persiano, ad Atene si discuteva sul modo migliore per
fronteggiare il pericolo: prevalse il consiglio di Temistocle, che
interpretò a suo favore l'oracolo emanato dala sacerdotessa
di Delfi, la quale aveva intimato ai Greci di difendersi con un muro di
legno. Temistocle convinse gli Ateniesi che il muro non doveva essere
identificato nelle fortificazioni, ma bisognava intenderlo come
metafora per le navi: gli Ateniesi avrebbero dovuto abbandonare la
città, ormai indifendibile, rifugiandosi nelle isole del
golfo Saronico, mentre la flotta avrebbe chiamato allo scontro le navi
persiane nello specchio d'acqua tra Salamina e il Pireo, dove le agili
triremi greche sarebbero state favorite rispetto alle imbarcazioni
persiane, di grande stazza e perciò lente nei movimenti. Il
piano di Temistocle fu accolto anche dagli alleati: i Persiani
trovarono Atene sguarnita di abitanti e difese, a parte un piccolo
numero di irriducibili che non avevano voluto abbandonare l'acropoli,
occuparono la città e diedero alle fiamme i templi, mentre
Serse, seduto sul trono collocato sul Monte Egaleo di fronte a Salamina,
si accingeva ad assistere alla battaglia navale, della cui vittoria era
sicuro: lo scontro però si svolse come Temistocle aveva
previsto e i Greci ottennero nel 480 a.C. una piena vittoria. Serse
decise allora di far rientrare la flotta in patria e di affidare le
sorti della guerra all'esercito di terra che, sotto la guida di
Mardonio, trascorse l'inverno in Tessaglia. Nel 479 a.C., i Persiani
scesero dalla Tessaglia in Beozia, dove si scontrarono con i Greci
comandati dallo spartano Pausania a Platea: anche in
questo caso, dopo iniziali difficoltà dovute al fatto che i
Persiani attaccarono mentre Pausania stava muovendo le truppe, i Greci
ottennero una piena vittoria.
La guerra si spostò nell'Egeo orientale, perché i
Greci decisero di sfruttare il momento favorevole per liberare l'Asia
Minore dal controllo persiano. Qui nel 478 a.C. la flotta greca ottenne
un'importante vittoria a Capo Micale, presso
Mileto, che allontan˜ momentaneamente la flotta persiana
dall'Egeo; nello stesso anno gli Ateniesi assediavano e occupavano la
cittˆ di Sesto, che controllava i Dardanelli, assicurando
piena sicurezza a tutte le poleis dell'Asia minore.
La guerra era pienamente vinta e nell'immaginario greco viene
immediatamente sentita come l'espressione della superiorità
della libertà greca contro la schiavit� persiana: se per i
Persiani, i greci appaiono come coloro che al centro delle proprie
città hanno una piazza, l'agorà,
dove tessono reciprocamente inganni, per i Greci proprio l'agorà
è il simbolo della propria libertà, intesa come
facoltà di piena partecipazione politica in una
comunità non sottoposta a strutture di comando
sovraordinate, mentre nei Persiani si perpetua l'idea orientale
dell'impero, quale organizzazione sovranazionale che nega la
libertà alle singole comunità e, per questo,
rende
schiavi gli uomini.
La gloria della vittoria ricade in particolare su Atene quale principale artefice della battaglia di Salamina e la città si muove subito per sfruttare e incrementare questa condizione di superiorità. Dopo l'allontanamento della flotta persiana dall'Egeo, vi è l'esigenza di garantire la sicurezza delle comunicazioni marittime, perché l'Egeo rimanga un mare greco: a questo scopo su iniziativa ateniese viene creta nel 478/77 a.C. una federazione di poleis, conosciuta dagli storici con il nome di lega delio-attica, in quanto la sede dell'organismo era collocata nell'isola di Delo, che ospitava la cassa federale e rappresentava la centralità delle Cicladi, ma Atene svolgeva il ruolo del membro preminente. Tutti i membri della lega, che nasce con uno scopo eminentemente difensivo, sono tenuti a versare un tributo annuale per il mantenimento della flotta, ad eccezione di Chio, Lesbo e Samo che fornivano direttamente navi per la difesa comune. Ben presto, nel corso del V secolo, Atene trasformò questa federazione in un proprio strumento di potere e il rapporto paritario tra i membri si modificò in un rapporto squilibrato tra città dominante e sudditi: secondo l'accusa che sarà rivolta agli Ateniesi dagli Spartani e da alcuni membri della lega, quella che era nata come symmachia si trasforma in breve tempo in arché.
Mentre Atene perseguiva
una politica di dominio sull'Egeo e sull'Asia minore, Sparta sceglie,
coerentemente con la propria conformazione istituzionale, una politica
di conservazione e rafforzamento del proprio potere all'interno del
Peloponneso, dove viene mantenuta e consolidata la lega peloponnesiaca
e reprimendo tentativi divergenti che avrebbero spinto la
città a confliggere apertamente con Atene: in quest'ottica
con l'accusa di tradimento viene eliminato Pausania, che proponeva, e
cercava di praticare di propria iniziativa, una politica di espansione
simile e concorrenziale a quella ateniese. Gli Spartani si accorgono
che una delle scelte possibili che hanno di fronte li porterebbe a
inasprire immediatamente la rivalità con Atene e scelgono di
rimanere nelle retrovie.
Anche ad Atene si manifesta un contrasto interno simile: Temistocle,
sostenitore di una politica favorevole ad un accordo con i Persiani che
consenta di far convergere tutti gli sforzi verso uno scontro con
Sparta per il predominio sulla Grecia, viene accusato di tradimento e
intesa con i Persiani e subisce l'ostracismo. Emerge, quale guida del
partito conservatore, il figlio di Milziade, Cimone,
che sostiene invece la necessità di un accordo con Sparta,
nella visione di una Grecia che si regga su due colonne e si opponga
alla Persia. Proprio contro i Persiani che cercavano di rientrare
nell'Egeo Cimone ottenne una importante vittoria alla foce dell'Eurimedonte,
nel 468 a.C..
Coerente con la propria politica di sostegno a Sparta, che considera
necessaria una condizione di equilibrio in Grecia, nel 464 a.C.
Cimone decise l'invio di aiuti militari agli Spartiati che dovevano
fronteggiare la rivolta degli iloti: gli schiavi spartani avevano
infatti sfruttato l'evento di un catastrofico terremoto, che aveva
fatto crollare anche parti del monte Itome, sollevandosi in massa
contro i padroni che, mentre ancora le proprie case crollavano, si
erano radunati in armi al centro della città intuendo quello
che sarebbe accaduto; dopo i primi momenti di sbandamento gli Spartiati
avevano ripreso il sopravvento ed erano riusciti a bloccare gli insorti
sull'Itome, senza però venire a capo dell'assedio.
L'esercito ateniese venne però rimandato indietro dagli
Spartiati che temevano una possibile solidarietà tra gli
schiavi e i soldati di Atene e questo rifiuto venne percepito dagli
Ateniesi come un'umiliazione, la cui responsabilità ricadde
su Cimone, che venne ostracizzato su proposta di Pericle.
Rimasti senza guida, gli
aristocratici dovettero subire l'iniziativa dei popolari che miravano a
colpire le prerogative del Collegio dell'Areopago, al quale la
costituzione di Clistene aveva riservato un importante ruolo di
controllo sulle istituzioni cittadine. Su proposta di Efialte,
nel 461 a.C., al Collegio dell'Areopago vennero sottratte alcune
funzioni, non ulteriormente specificate da Aristotele, che vennero
redistribuite tra la boulé, l'assemblea
generale e il tribunale popolare: d'ora in avanti l'Areopago, persa la prostasia,
ossia la funzione di controllo sulle altre assemblee, sarebbe stato
investito solamente da competenze giudiziarie relative a processi per
omicidio, ma gli aristocratici avrebbero sempre continuato a sentirlo
come sede del proprio potere.
Efialte venne assassinato poco dopo la riforma a lui attribuita,
lasciando spazio a una figura che avrebbe dominato la scena politica
ateniese per i successivi trent'anni: l'alcmeonide Pericle,
nipote di Clistene. Gli anni tra il 461 e il 448 costituiscono un
periodo di transizione, in cui la rivalità interna tra
conservatori e popolari � ancora contenuta.
Due sono i momenti decisivi in questo periodo. Il primo è
l'anno 456,
in cui Atene, impegnata su più fronti in Grecia e nell'Egeo,
estende la propria influenza sulla Beozia, ma viene sconfitta in
Egitto, dove aveva tentato di rafforzare la presenza greca a scapito
dei Persiani: il rovescio comportò una importante
trasformazione all'interno della lega delio-attica, in quanto Atene,
con la motivazione che l'Egeo non era più sicuro,
trasportò
la cassa federale da Delo sull'acropoli, rafforzando la posizione di
predominio all'interno della federazione. Nel 444/3 Pericle, che era
già stato eletto stratego più volte negli anni
precedenti, inaugura una serie di quindici anni di strategia continua,
che lo porterà a governare con continuitˆ su Atene
fino ai primi anni della guerra del Peloponneso, che
scoppierà nel 431 a.C.: secondo lo storico Tucidide quelle
che fino ad allora erano state venature nel marmo, si trasformarono in
profonde spaccature all'interno dell'organismo politico-sociale
ateniese fra popolari e conservatori, che persero per ostracismo nello
stesso 444/3 a.C. la loro guida, Tucidide di Melesia.
La situazione all'interno della Grecia e nel Mediterraneo è
di relativa stabilità: a una tregua quinquennale con Sparta,
firmata nel 451 a.C., seguì un trattato di pace di
durata trentennale, siglato nel 446 a.C., mentre nel 449 a.C. Pericle
aveva affidato a Callia una delicata missione
diplomatica presso il Gran Re, che aveva portato a un accordo tra le
parti, mai tradotto in un documento ufficiale, secondo il quale gli
Ateniesi rinunciavano a espandersi nel Mediterraneo e a replicare
imprese come quelle egiziane del 456 e i Persiani si impegnavano a non
interferire nei rapporti delle
Questa trama di rapporti interstatali consentì a Pericle di
dedicarsi al rafforzamento della parte democratica oltre che
all'abbellimento e al rafforzamento delle strutture difensive della
città. Era già stata la politica di Efialte
quella di retribuire le magistrature e le funzioni di buleuta e di
eliasta: il principio della mistoforia era di
natura strettamente democratica perché consentiva a
chiunque, anche ai poveri, di partecipare attivamente alla vita
politica abbandonando temporaneamente il proprio lavoro: per limitare i
beneficiari delle retribuzioni, nel 451 a.C. venne emanata una legge
sulla cittadinanza, in base alla quale erano cittadini ateniese
solamente i figli sia di padre sia di madre cittadini. Si
cominciò ad attingere al tesoro della lega delio-attica per
proseguire i lavori di costruzione delle fortificazioni del Pireo e
delle mura destinate a congiungere il Pireo e il Falero con la
città, che sarebbe così stata trasformata in
un'immensa fortezza in comunicazione sicura con il proprio porto, che
ne garantiva il rifornimento di risorse. Gli stessi fondi vennero
utilizzati per l'abbellimento dell'acropoli, che vide l'edificazione
dell'ingresso monumentale, i propilei, e il tempio di Atena
Si consolida in questi anni la fama di Atene quale faro culturale,
esempio di democrazia e laboratorio di tutte le possibilità
dell'intera Grecia, qualità che vengono riassunte da
Tucidide nella formula di “scuola dell'Ellade”.
Sono gli anni in cui vengono costruiti gli edifici dell'acropoli, i
sofisti introducono e sviluppano l'istruzione superiore a vantaggio dei
cittadini in grado di pagarli e chiunque abbia la cittadinanza ha
l'effettiva possibilità di rivestire per un giorno la carica
di presidente dei pritani della boulé e
può comunque partecipare quattro volte al mese all'assemblea
generale e farsi sorteggiare per le corti giudiziarie costituite
all'interno dell'eliea. Soprattutto, sosterrà Pericle nel
discorso pronunciato in commemorazione dei caduti del primo anno della
guerra del Peloponneso, ad Atene ognuno � libero di vivere come vuole,
sottratto al sospetto e all'invidia altrui, e ha la facoltà
di indirizzare la propria vita secondo le proprie capacità,
dato che la città mette a disposizione di tutti i mezzi per
elevare la propria condizione, perché quello che causa
vergogna non �
la povertà, ma il non far nulla per vincerla. Da questo
insieme di possibilità rimangono escluse le donne, le quali,
sia pur dotate di cittadinanza, sono relegate in una condizione di
minorità, dato che nei rapporti pubblici sono tenute a
essere rappresentate da un tutore e non possono prendere parte attiva
alla vita politica; rimangono esclusi, ovviamente, gli schiavi,
presenti a migliaia in città e alcuni utilizzati anche in
impieghi di servizio pubblico, come gli sciti impiegati come guardie
pubbliche, e i cittadini di altre poleis residenti
ad Atene, i meteci, ai quali non erano attribuiti i diritti politici,
ma non avevano neanche il diritto di possesso.
Parallelamente allo
sviluppo dell'immagine di Atene quale luogo di tutte le
possibilità, si diffondono in Grecia anche le accuse nei
confronti di Atene quale sfruttatrice delle risorse altrui e potenza
imperialista che opprime la libertà delle poleis.
La lega delio-attica si era ormai trasformata in una struttura di
potere al cui vertice si collocava Atene, che pretendeva di dirigere la
politica interna degli Stati membri e faceva convogliare i tributi
nella cassa federale che lei stessa controllava.
Nel 440 a.C. la stessa Atene aveva fornito a tutta la Grecia un
evidente esempio di questa politica, quando era intervenuta
militarmente per imporre a Samo, uno dei principali membri della lega,
a cui contribuiva con la fornitura di navi, l'instaurazione di un
governo democratico. Fu Sparta a utilizzare queste accuse, insinuando
il sospetto che Atene perseguisse una politica espansionista a scapito
dell'autonomia e dell'eleutheria
delle poleis, laddove con autonomia
si intende la facoltà di ogni polis di
scegliersi la propria forma di governo e di amministrarsi senza alcun
condizionamento esterno e con eleutheria il diritto
di stabilire in piena libertà relazioni interstatali con
altre poleis e altri Stati. Da parte sua Atene fa poco per difendersi
dalle accuse, anzi rivendica a se stessa il diritto di utilizzare le
risorse che affluiscono in città secondo i propri piani,
perché se le poleis
sono libere, devono
la loro libertà proprio ad Atene, che le ha difese
vittoriosamente contro i Persiani, e quando la lega peloponnesiaca
comincia a muoversi nel tentativo di intimare ad Atene di cambiare
politica, Pericle accelera tutte le mosse che possano condurre allo
scontro, traendo le necessarie conseguenze della politica che aveva
intrapreso ormai da decenni: i tempi erano maturi perché si
abbandonasse definitivamente qualsiasi illusione relativa a una Grecia
a due colonne, secondo la vecchia immagine di Cimone, e Atene spazzasse
via ogni resistenza e limitazione del proprio potere.
Quella che Tucidide chiama guerra dei Peloponnesiaci scoppia
per la volontà degli Spartani e dei loro alleati di fermare
la crescita della potenza di Atene, ma i pretesti per l'inizio delle
ostilità furono forniti dalla stessa Atene che
creò due motivi di conflitto con Corinto e uno con Megara,
città che erano entrambe membri dela lega peloponnesiaca.
In primo luogo, Atene intervenne nel conflitto che opponeva nel 433
a.C. Corinto alla sua colonia Kerkyra e che era sorto in seguito alle
vicende di Epidamno, che era colonia di Kerkyra sulla costa illirica: a
Epidamno i democratici avevano effettuato un colpo di stato e avevano
espulso dalla città gli aristocratici che si erano rivolti a
Kerkyra, mentre i democratici avevano chiesto aiuto a Corinto. Kerkyra,
che si preparava allo scontro con la madrepatria Corinto, chiese a sua
volta assistenza ad Atene che accordo l'invio di dieci triremi che
parteciparono alla battaglia navale presso le isole Sibota. In tal modo
Atene entrò in conflitto con una delle principali
città della lega peloponnesiaca, con cui in breve tempo
sviluppò anche un secondo motivo di attrito, quando
intimò a Potidea, che era colonia calcidica di Corinto, ma
membro della lega delio-attica, di non accogliere più gli
epidamiurghi, i magistrati che annualmente Corinto inviava nella sua
colonia per controllarne l'amministrazione, e di abbattere le mura che
congiungevano la città al mare. Al rifiuto di Potidea, Atene
inviò un contingente per porre l'assedio alla
città.
Il terzo pretesto utilizzato dai Peloponnesiaci per aprire le
ostilità riguardò i cittadini di Megara,
città sull'istmo di Corinto che beneficiava di due porti,
l'uno sul golfo Saronico, l'altro sul golfo di Corinto, ai quali Atene
vietò per decreto di accedere ai porti delle
città della lega delio-attica, compreso ovviamente il Pireo.
La lega peloponnesiaca,
riunita a Corinto, intimò agli Ateniesi di ritornare sulle
proprie decisioni, ma Pericle convinse l'assemblea ateniese a non
retrocedere, perché sul lungo periodo Atene avrebbe
sicuramente vinto la guerra. Il piano di Pericle si basava
sull'attendismo e faceva forza sulla struttura a fortezza della
città di Atene: ben conoscendo la superiorità
spartana sulla terraferma e quella ateniese sui mari, nell'idea di
Pericle gli Ateniesi avrebbero rinunciato ad affrontare i nemici sul
campo e si sarebbero tutti rinchiusi all'interno delle mura della
città, che avrebbe accolto gli abitanti dell'Attica qui
trasferitisi e avrebbe beneficiato dei rifornimenti apportati dalla
flotta e introdotti tramite il Pireo. Mentre agli Spartani e agli
alleati non sarebbe rimasto altro da fare se non devastare inutilmente
l'Attica, gli Ateniesi e gli alleati, imbarcati sulle navi, avrebbero
condotto azioni di saccheggio lungo le coste del Peloponneso. Alla
lunga le risorse dei Peloponnesiaci si sarebbero esaurite e gli
Ateniesi avrebbero consolidato la propria supremazia senza aver
consumato eccessivi mezzi. Così avvenne nel primo anno di
guerra, il 431 a.C., che inaugura la prima fase, decennale, della
guerra che viene definita archidamica dal nome del re spartano
Archidamo che guida l'esercito a devastare l'Attica, mentre gli
Ateniesi si trattengono in città e vengono successivamente
guidati dallo stesso Pericle in un periplo di devastazione del
Peloponneso.
Ma un fatto imprevisto interviene a sconvolgere i piani predisposti: da
una nave approdata al Pireo si diffonde, tra 430 e 429 a.C., il virus
di un epidemia solitamente definita di peste, ma in realtà
di incerta identificazione, che fa rapidamente strage tra i cittadini
che vivevano ammassati e in condizioni igieniche precarie. Muore anche
Pericle e alla sua scomparsa gli aristocratici, che non erano mai stati
favorevoli alla guerra, rialzano la testa guidati da Nicia,
che si oppone al nuovo capo popolare Cleone,
il quale esorta invece l'assemblea generale a proseguire le
ostilità, abbandonando la tattica attendista di Pericle, e
sostiene una politica di repressione verso i membri recalcitranti della
lega delio-attica. Quando nel 427 a.C. l'isola di Lesbo, una delle
principali forze della federazione, a cui forniva parte della flotta,
decide di uscire dalla lega, Atene vota l'invio di un esercito che pone
l'assedio alla principale città dell'isola, Mitilene: quando
la città viene presa, l'assemblea ateniese vota per
l'uccisione dei cittadini maschi e la riduzione in schiavitù
di donne e bambini; il giorno seguente, tornando sulla propria
decisione, l'ecclesia decide per l'eliminazione dei
soli Mitilenesi ritenuti responsabili della rivolta e per la confisca
della flotta.
L'anno successivo una flotta greca comandata da Demostene blocca un
contingente spartiata sull'isola di Sfacteria, di
fronte a Pilo in Messenia. Ad Atene l'assemblea, sollecitata da Cleone,
vota l'invio di un esercito per affrontare e debellare i nemici e il
comando viene affidato allo stesso Cleone su iniziativa degli
aristocratici guidati da Nicia, che intendono così sfidare
l'avversario politico, che preme per continuare la guerra al di
là di qualsiasi ipotesi di tregua, a far seguire i fatti
alle parole. Cleone raccoglie la sfida e guida gli Ateniesi a una netta
vittoria sugli Spartiati che perdono un consistente numero di
cittadini, tra caduti e prigionieri.
Le sorti di Sparta in grave difficoltà vengono raccolte dal
generale Brasida che decide di portare l'attacco al
nemico molto al di fuori del Peloponneso, per allontanare la minaccia e
colpire gli Ateniesi in uno dei punti significativi della propria rete
di risorse: Brasida conduce infatti un esercito in Calcidica, mirando
alla conquista di Anfipoli, colonia ateniese che
controllava la produzione delle miniere d'oro e il rifornimento di
legname nel territorio. L'anno 424 è decisivo per le sorti
della prima fase della guerra: Atene vede sgretolarsi la posizione di
vantaggio in cui si era collocata dopo la vittoria di Sfacteria,
perché Brasida conquista Anfipoli e il vicino porto di Eione
e in Beozia l'esercito guidato da Ippocrate, fallito il
ricongiungimento con le truppe condotte da Demostene, viene sconfitto
presso il santuario beotico di Apollo Delio, vicino
Tanagra. Negli anni successivi il luogo delle ostilit6agrave; si
mantiene in Calcidica, dove nel 422 trovano la morte sia Brasida, sia
Cleone.
Le due città, trovatesi senza i principali condottieri,
fiaccate da dieci anni di guerra, decidono di cessare le
ostilità e stipulano un trattato di pace conosciuto come
pace di Nicia, dal nome di uno dei firmatari da parte ateniese:
l'accordo, del 421 a.C., che chiude la fase della guerra archidamica,
conferma lo status quo e sembra apparentemente
favorevole ad Atene, che si vede riconosciuta la supremazia sull'Egeo
che deteneva all'inizio della guerra e contro la quale si era mossa
Sparta, rivendicando i principi di autonomia ed eleutheria
delle poleis. La politica di Pericle, che mirava ad
ottenere per Atene il riconoscimento dello status di potenza, sembra
così coronata da successo, ma la città,
abbandonata la tattica di attesa e spinta da Cleone a impegnare
annualmente eserciti di terra oltre che la flotta, mostra segni di
affaticamento e di disomogeneità interna, perché
si ampliano i contrasti tra conservatori e popolari, tenuti a freno da
Pericle.
Emerge in questi anni la
figura di
Alcibiade, che rischia una condanna per empietà, non riceve
tuttavia alcuna accusa ufficiale prima della partenza: i suoi avversari
ritengono che sia troppo pericoloso agire quando la flotta sta per
salpare e Alcibiade gode ancora del favore popolare e preferiscono
differire l'azione giuridica, che scatta quando le navi sono ormai
arrivate in Sicilia. Qui, poco dopo lo sbarco, Alcibiade viene
raggiunto dalla nave di Stato, la Salaminia, che ha
l'ordine di ricondurlo in patria per il processo che si sta allestendo:
Alcibiade, salito a bordo, riesce a fuggire durante uno scalo tecnico e
trova rifugio a Sparta, dove mette a disposizione del nemico le proprie
conoscenze e la propria abilità.
Nel frattempo gli Ateniesi, guidati dagli altri strateghi Nicia, Lamaco
e Demostene, stringono l'assedio a Siracusa, la cui
difesa è diretta da Ermocrate, ma non riescono a trarre
dalla propria parte nessuna delle altre
È il 413 a.C. e
Atene si ritrova quasi senza flotta ad affrontare l'attacco di Sparta,
con cui è stato ormai violato il trattato di pace del 421.
Gli Spartani riprendono la tattica della fase archidamica, inviando le
truppe a devastare l'Attica, ma questa volta impiantano una base nel
territorio ateniese, impadronendosi del forte di Decelea,
a nord della città. Ha inizio la terza fase della guerra del
Peloponneso, definita deceleica, in cui Sparta, per ovviare alla
scarsezza di risorse marinare, decide di coinvolgere nuovamente i
Persiani nell'ambito mediterraneo, chiedendo l'alleanza del Gran Re:
gli accordi diplomatici della pace di Callia vengono accantonati e il
generale spartano Lisandro può muoversi
nell'Egeo con le navi fenicie fornite dai Persiani.
Ad Atene i conservatori cominciano a far circolare l'idea che i
Persiani potrebbero accordare il loro appoggio agli Ateniesi,
anziché agli Spartani, se Atene abbandonasse il regime
democratico e assumesse una forma istituzionale più gradita
al Gran Re. Un gruppo di conservatori di cui fanno parte Teramene,
Peisandro, Frinico, guidati da Antifonte, un uomo
secondo Tucidide di grandi capacità, che mai si era esposto
pubblicamente nelle assemblee, ma diffondeva il proprio pensiero
nell'ombra dei simposi aristocratici, attua nel 411 un colpo di stato
oligarchico organizzato nei minimi particolari: a preparare il terreno
ci pensa Peisandro che, con un gruppo fidati, parte da Samo, si muove
per le Cicladi abbattendo dovunque i governi democratici e instaurando
al loro posto regimi oligarchici, arriva ad Atene, dove inizia a
spargere il terrore, eliminando fisicamente chiunque manifesti idee a
favore della democrazia. I cittadini, temendo che qualunque vicino
possa essere un congiurato, vengono riuniti in un'assemblea generale
straordinaria a Colono, dove votano il decreto di Pitodoro, che prevede
la nomina di venti probuli, che si aggiungono a
dieci già nominati, a costituire un collegio legislativo con
pieni poteri, con il compito di riformare il corpus legislativo. Con un
emendamento al decreto, Clitofonte esorta i probuli a ricercare,
nell'opera di riforma, le leggi di Clistene, perché la
costituzione di Clistene era sentita come poco democratica e
più vicina a quella di Solone: in questa visione, la svolta
democratica del V secolo era individuata nell'opera di Efialte, che
aveva abbattuto il potere dell'Areopago.
I probuli prendono immediatamente due decisioni decisive che colpiscono
al cuore la democrazia: aboliscono la graphè
paranomon e la mistoforia. La procedura
dellagraph´ paranomon, ossia l'accusa di
illegalità, consentiva a qualunque cittadino di presentare
una denuncia contro chi, a suo giudizio, avesse avanzato o fatto
approvare proposte contrarie alla democrazia. Abolendo tale
possibilità, i congiurati si assicuravano ildiritto di
modificare la costituzione della città senza che qualcuno
potesse opporre ostacoli giudiziari. L'abolizione della retribuzione
delle magistrature, dei buleuti e degli eliasti consegnava direttamente
il governo nelle mani dei ricchi.
Operati questi cambiamenti preliminari, i probuli fecero approvare il
resto del piano degli oligarchici, che prevedeva di limitare i diritti
politici a cinquemila cittadini, che dovevano essere scelti da una
apposita commissione di cento katalogheis. A un
altro collegio di cento membri, gli anagrapheis,
viene assegnato il compito di predisporre il nuovo assetto
istituzionale della città. Secondo Aristotele, gli anagrapheis
preparano due costituzioni, l'una per il futuro, l'altra destinata a
trovare applicazione provvisoria e immediata.
La costituzione per il futuro prevedeva la suddivisione dei cinquemila
cittadini che avrebbero costituito il corpo civico in quattro gruppi
che, secondo una procedura di sorteggio, avrebbero esercitato a turno
la funzione di buleuti, con il compito di eleggere le principali
magistrature. Per il presente si istituiva una boulé
di quattrocento membri, che prendeva immediatamente il posto
della boul6eacute; dei cinquecento in carica.
Il governo degli oligarchi, guidato da Antifonte, durò pochi
mesi, durante i quali l'amministrazione della città fu in
mano dei quattrocento, mentre i cinquemila vennero scelti sulla carta e
non esercitarono mai alcuna funzione. Furono i gravi rovesci militari
subiti da Atene in questi mesi e il fatto che ugualmente non si
riusc6igrave; a procurarsi l'alleanza del Gran Re, a indurre la
popolazione a sollevarsi contro i quattrocento: l'oligarca Frinico
venne ucciso in un attentato in piazza; uno dei congiurati, Teramene,
cominciò a staccarsi dal gruppo, accusandolo di
incapacità, e a lavorare per la nuova transizione alla
democrazia; quando l'esercito ateniese perse il controllo dell'Eubea,
la cittadinanza tolse il potere agli oligarchi, che trovarono scampo
nella fuga, tranne Antifonte che rimase volontariamente in
città, dove fu processato e condannato a morte.
Per alcuni mesi il govern˜ passò ai cinquemila e
fu questo, secondo Tucidide, il periodo durante il quale Atene godette
della miglior forma di governo, poi la democrazia venne pienamente
restaurata e si prepar6ograve; a raccogliere tra i suoi membri
Alcibiade, il quale era già effettivamente tornato sul
campo, assistendo l'esercito ateniese in alcuni importanti vittorie
nella zona dei Dardanelli. Tuttavia Alcibiade, nominato stratego nel
409/8 a.C., non riuscì a consolidare la posizione ateniese
nell'Egeo e a impedire la continua defezione dei membri della lega
delio-attica, che approfittarono della debolezza ateniese per lasciare
la federazione. Privato della magistratura, morì avvelenato,
forse per mano persiana.
Poco dopo, nel 405 a.C. gli Ateniesi riuscirono a conseguire una
importante vittoria sulla flotta spartana presso le isole Arginuse,
ma furono incapaci di ricavarne vantaggio, perché
sottoposero a processo e condannarono a morte gli strateghi artefici
della vittoria, accusati di non aver soccorso i naufraghi. Privata di
guide valide, l'anno seguente la flotta ateniese venne bloccata e
affondata da Lisandro presso Egospotami, in una
battaglia che chiuse definitivamente la guerra del Peloponneso: rimasta
senza flotta e per questo incapace di resistere a un assedio, senza
potersi garantire rifornimenti, Atene si arrese e apr6igrave; le porte
alle navi di Lisandro, che entravano al Pireo, mentre un esercito
spartano di terra, guidato da Pausania, si avvicinava alle mura. Beoti
e Corinzi reclamarono allora l'annientamento della città, ma
gli Spartani, che badavano a mantenere gli equilibri all'interno della
Grecia, si limitarono a imporre ad Atene l'abbattimento delle mura e
l'instaurazione di un governo oligarchico, controllato da una
guarnigione spartana che, comandata da un armosta, si
insediò sul colle di Munichia, al Pireo.
Per la seconda volta in
dieci anni la democrazia venne abbattuta e il potere passò,
nello stesso 404 a.C. ad un collegio ristretto di trenta magistrati,
conosciuti dagli storici con il nome di trenta tiranni,
guidati da Crizia, tra cui compariva anche
Teramene, il quale però presto entrò in conflitto
con Crizia e i suoi metodi repressivi, accusandolo fra l'altro di non
ottemperare agli accordi presi, che comportavano la cooptazione nel
governo dei tremila cittadini che avrebbero dovuto costituire il corpo
civico. Teramene venne isolato e ucciso dai trenta, che, tuttavia, non
seppero tenere a freno la rivolta della cittadinanza, guidata dai
democratici Trasibulo e Trasillo
che, impossessatisi della fortezza di File, a nord della
città, si congiunsero con i rivoltosi del Pireo, dove
costituirono un governo in opposizione ai trenta. Dopo alcuni tentativi
di conciliazione diplomatica, la contesa sfociò in scontri
armati durante i quali perse la vita lo stesso Crizia. La guarnigione
spartana venne allontanata dalla città e il governo
democratico venne ripristinato: ai conflitti interni alla cittadinanza
si cercò di rimediare con l'emanazione di una legge di
amnistia, che escludeva però i membri dei trenta.
Uno dei primi atti del governo democratico restaurato fu nel 399 a.C.
la condanna a morte di Socrate, accusato di
empietà e di corruzione dei giovani: il filosofo pagava in
realtà il suo atteggiamento di continua critica dei
presupposti stessi del governo democratico, che affidava sé
stesso a qualunque cittadino partecipasse alla vita politica, e non a
professionisti della vita pubblica, nonché il fatto di avere
avuto contatti con Crizia, artefice della tirannia dei trenta.
APPROFONDIMENTI | arte greca dall'alto arcaismo al V secolo (.pdf file) | sintesi di storia dell'arte e dell'architettura greca |
IMMAGINI | Atene | documentazione fotografica sui luoghi politici e culturali |
CARTOGRAFIA | agorà di Atene (.pdf file) | documentazione cartografica commentata |
ESERCIZI | test multiplo dall'alto arcaismo alla guerra del Peloponneso | quiz a risposta multipla, associazioni, integrazioni, vero/falso |
L'egemonia spartana
La vittoria nella guerra del
Peloponneso e il
temporaneo annichilimento della potenza ateniese proiettano Sparta a
primeggiare in Grecia, addossandole al tempo stesso la
responsabilità
di difendere gli interessi delle poleis nel Mediterraneo e in
particolare in quell'Asia Minore da quasi ottant'anni protettorato
ateniese, in cui erano tornati prepotentemente a farsi sentire i
Persiani, coinvolti nuovamente nelle vicende greche proprio dagli
Spartani nell'ultima fase della guerra peloponnesiaca. Non poteva
più
essere Atene a garantire la sicurezza di Mileto, Efeso, Colofone e
degli altri centri micrasiatici, ormai priva della flotta e
controllata da vicino dai nemici che ne avrebbero al momento impedito
un rilevante ritorno sulla scena egea; neanche Sparta, tuttavia,
aveva la forza numerica e la preparazione politica per sostenere un
impegno a lungo termine con il Gran Re, perché troppo
ridotti
sono i ranghi dei cittadini di pieno diritto, che probabilmente in
questi anni si aggirano intorno alle tremila unità, e
soprattutto non vi è nella mentalità politica
spartiata
la predisposizione per sostenere progetti di larga portata, anche se
questi sono la necessaria conseguenza della scelta di combattere
Atene in difesa dell'eleutheria
e dell'autonomia
delle poleis.
Ora
che eleutheria
e autonomia
delle poleis
micrasiatiche tornano a
essere minacciate dai Persiani, Sparta, nonostante le
difficoltà
e le opposizioni interne, non può esimersi dal trarre le
conseguenze delle proprie scelte e, almeno inizialmente nei primi
anni del IV secolo, si impegna in tre campagne militari a difesa
della costa micrasiatica greca, la prima guidata da Tibrone nel
400/399, la seconda da Dercillida nel 398 e la terza da Agesilao nel
396.
Poco tempo prima altri greci erano stati coinvolti nelle vicende
al potere persiano, quando, alla morte di Dario II, avvenuta nel 404,
era esplosa la rivalità per la successione tra i figli
Artaserse II, a cui era destinato il trono, e Ciro: quest'ultimo,
legato da amicizia a Lisandro e a Sparta, cerca di spodestare il
fratello con le armi e a tale scopo organizza una propria armata al
cui reclutamento concorrono anche migliaia di greci mercenari, tra
cui lo storico ateniese Senofonte, che descriverà
l'avventura
in Persia nell'Anabasi:
Ciro viene sconfitto da Artaserse a Cunassa,
nel 401, e trova la morte in battaglia; i Greci, rimasti senza guida,
si affidano, tra gli altri, proprio a Senofonte che con una lunga
marcia li riconduce fuori del territorio persiano, verso la salvezza.
Mentre i mercenari riconquistano la via
di casa, il
satrapo della Ionia Farnabazo, per ostacolare la campagna
micrasiatica di Agesilao, attraverso intermediari suscita in Grecia
una coalizione di forze beotiche, argive e corinzie contro Sparta.
Scoppia nel 396 la cosiddetta guerra
di Corinto, nella cui prima fase
trova la morte il generale spartano Lisandro, l'artefice della
sconfitta finale di Atene nella guerra del Peloponneso. Poco dopo,
nel 395, l'ammiraglio ateniese Conone, al comando di navi persiane,
sconfigge una flotta spartana nelle acque di Cnido.
Sparta è
sulla difensiva e si vede costretta a richiamare dall'Asia Agesilao,
il quale ottiene una importante vittoria sui Beoti a Coronea, nel
394: Farnabazo ha così ottenuto lo scopo che si era
prefissato, essendosi riuscito a liberare di Agesilao e della
presenza di un esercito spartano in Asia Minore, ma soprattutto i
Persiani comprendono di avere nuovamente un grande potere di
controllo sulle vicende greche, come risulta chiaro dalla pace che
chiude nel 386 la guerra di Corinto, chiamata pace del Re,
perché
sancita sotto la garanzia e il controllo della corte persiana, o di
Antalcida,
dal nome del diplomatico spartano che si è
attivamente impegnato per il coinvolgimento della potenza persiana
nella politica delle poleis.
Gli effetti delle guerre persiane, dopo
quasi cento anni, sembrano svaniti, perché Sparta,
comprendendo di non essere in grado di sostenere la stessa politica
antipersiana condotta da Atene e volendo al tempo stesso mantenere la
propria egemonia in Grecia, senza assumersi gli obblighi che da
questa deriverebbero, decide di trasformare la Grecia delle poleis in
un protettorato persiano: secondo le clausole dell'accordo di pace in
Grecia devono essere dissolti tutti i legami di tipo federativo, sia
che si configurino come federazioni di stati, sia che assumano la
forma di stati federali, con l'esclusione della lea del Peloponneso;
le poleis
greche dell'Asia Minore tornano sotto il controllo persiano
e, in particolare, sotto il governo del satrapo della Ionia; al Gran
Re spetta di sovrintendere al rispetto dei termini del trattato. Dopo
aver combattuto ventisette anni contro Atene in nome dei principi di
eleutheria
e autonomia,
Sparta, resasi conto di non essere in grado
di assumersi tutte le responsabiltà e gli obblighi di cui si
era fatta carico la città rivale, decide di sacrificare
quegli
stessi principi al fine di mantenere l'acquisita condizione di
egemonia, che tuttavia appare limitata e precaria.
La pace di
Antalcida ripropone, inoltre, in termini resi in parte diversi
dall'emergere del regno di Macedonia, la prospettiva di operare una
scelta tra due opzioni che si erano già presentate ai Greci
circa cento anni prima, alla conclusione delle guerre persiane:
è
preferibile continuare a combattere per la supremazia all'interno del
mondo greco oppure far convergere le forze e coalizzarsi contro il
nemico esterno? Non molto tempo dopo questi fatti ad Atene le due
possibilità si confronteranno nelle tesi opposte sostenute
dalle due più grandi intelligenze dell'epoca, Isocrate, che
sosterrà l'opportunità di una concordia generale
tra i
Greci al fine di organizzare un fronte comune antipersiano, e
Demostene, che sosterrà invece con tutte le forze la
necessità
di combattere all'interno del mondo greco, per ostacolare la nascente
supremazia del regno del nord.
L'egemonia tebana
La garanzia prestata dal Gran Re alla
pace di
Antalcida avrebbe richiesto, da parte persiana, l'intervento in armi
su suolo greco, ove necessario, per far eventualmente rispettare i
termini dell'accordo: i Persiani, però, una volta conseguito
l'obbiettivo di riportare sotto il proprio controllo l'Asia Minore e
le acque antistanti, si astennero dall'impegnarsi ulteriormente e
resero in questo modo vuota di contenuti la protezione
precedentemente offerta a Sparta, che si ritrovò da sola a
fronteggiare l'opposizione dei nemici: innanzi tutto non
riuscì
a impedire che Atene nel 378 ricostituisse la lega nell'Egeo, anche
se in termini inizialmente diversi dall'arché strutturatasi
nel corso del V secolo, dato che i legami tra i membri erano questa
volta di tipo strettamente economico e commerciale e si estendevano
su un piano di parità; in particolare dura si
configurò
subito l'opposizione dei Beoti, guidati dai Tebani, alle clausole
della pace di Antalcida che vietavano la persistenza di strutture
federali e avrebbero quindi dovuto comportare lo scioglimento dello
stato federale beotico,
sulla cui esistenza per questo periodo siamo
informati dal resoconto che ne fornisce un'opera storica anonima, le
cosiddette Elleniche
di Ossirinco, così chiamate dal nome
del
luogo egiziano che ha restituito il manoscritto.
Già nel 386
i
tebani avevano insistito per firmare la pace non come Tebani, ma come
Beoti, volendo con ciò ottenere il riconoscimento dello
stato
federale, ma avevano dovuto cedere di fronte all'intransigenza
spartana, che impose lo scioglimento della federazione secondo i
dettami della pace. Dopo essersi liberati della guarnigione spartana
che presidiava la rocca della città, nel 379 i Tebani
ricostituiscono la struttura federale e nuovamente pretendono di
firmare come Beoti l'accordo di pace del 371, che avrebbe dovuto
chiudere anni di
scontri continui tra Spartani e Beoti. Gli Spartani non cedono e
organizzano l'invasione della Beozia con un esercito che si scontra
con i nemici nello stesso 371
nella piana di Leuttra,
poco distante
da Tebe: qui i Tebani guidati dai generali Epaminonda e Pelopida
sbaragliano i nemici, infliggendo loro perdite ingentissime da cui lo
stato spartano non si risolleverà più, grazie
all'applicazione della tattica della falange oplitica, che comportava
il rafforzamento dell'ala sinistra dello schieramento, a cui era
affidato il compito di slanciare la propria forza d'urto contro le
file nemiche.
La nuova tattica, il cui successo molto doveva
all'effetto sorpresa, scardinava la staticità della falange
oplitica tradizionale, che prevedeva di mantenere compatti ed
equlibrati i ranghi in uno scontro frontale con il nemico lungo tutta
la larghezza dello schieramento, in un movimento tendenzialmente
rotatorio in senso antiorario: nell'innovazione elaborata da
Epaminonda, invece, l'ala sinistra, grandemente rafforzata, si
addossava il compito di sbaragliare d'assalto le file nemiche, mentre
agli altri reparti spettava la responsabilità di evitare
manovre di accerchiamento.
Gli spartiati perdono circa la
metà
dei cittadini di pieno diritto schierati sul campo di battaglia e non
ebbero più la forza di opporsi agli eventi: sollecitati dai
Tebani, che perseguono lo scopo di isolare gli Spartani nella
Laconia, i Messeni, dori ridotti alla condizione di iloti nella prima
metà del VII secolo che però mai avevano
dimenticato
usi e tradizioni e mai avevano smarrito la coscienza politica, si
ribellano, riconquistando la libertà, e rendono tangibile
l'acquisizione della piena cittadinanza con la fondazione della nuova
città di Messene. A nord, a completare l'accerchiamento di
Sparta, i Tebani sollecitano la costituzione in Arcadia di uno
stato federale incentrata nella nuova città di
Megalopoli.
Epaminonda rivela così non solo di essere in possesso di
valenti doti militari, ma anche di possedere capacità
politiche non comuni, tuttavia da solo non può essere in
grado di
sostenere il peso delle azioni di uno stato intero, tanto
più
che nel 364 perde il collega Pelopida, caduto in Tessaglia. Quando
nel 362 i
Tebani si scontrano nuovamente con gli Spartani,
slanciatisi in un ultimo tentativo di rompere l'accerchiamento in cui
erano costretti, presso la città arcadica di Mantinea,
l'applicazione della tattica della falange obliqua garantisce
ai
Tebani un'altra chiara vittoria, ma Epaminonda cade sul campo di
battaglia e la sua scomparsa condanna Tebe a un rapido
dissolvimento del suo ruolo sulla scena politica greca.
Significativa
è l'epigrafe che lo storico Senofonte appone a commento
della
battaglia di Mantinea e a conclusione della sua opera storica, le
Elleniche, che riprendevano le Storie di Tucidide, fermatesi al 411,
e si concludevano proprio nel 362, quando “in tutta la Grecia
l'incertezza e la confusione erano più gravi di
prima”.
La confusa situazione della Sicilia e della Magna Grecia
Mentre
il continente
greco si dibatte tra i postumi della guerra del Peloponneso, la
Sicilia, che nel 413 ha respinto a Siracusa il tentativo egemonico
ateniese grazie all'opera congiunta del siracusano Ermocrate e dello
spartano Gilippo, vede il tardo emergere del fenomeno della
tirannide, che viene instaurata nella sua città
più
importante, Siracusa, dal genero di Ermocrate, Dionisio: egli
riesce
a farsi nominare nel 406 strateghos autokrator,
stratego,
quindi magistrato dotato del potere militare, legislativo ed
esecutivo, a cui vengono conferite funzioni e prerogative
straordinarie, tra cui una guardia del corpo personale.
Una funzione
non trascurabile fu svolta, nel convincere i Siracusani a spogliarsi
dei propri diritti di cittadini per conferirli ad un'unica persona,
dal pericolo cartaginese, dato che i punici, dopo la sconfitta
inferta loro da Ierone nel 480, nel corso del V secolo erano
nuovamente riusciti a consolidare il controllo su tutta la Sicilia
occidentale, arrivando anche a saccheggiare Agrigento. Dionisio
impiegò quasi tutti i suoi anni di potere a confrontarsi con
i
Cartaginesi in un alternarsi di vittorie, sconfitte e accordi di pace
che alla fine non fecero che riconfermare lo status quo. Nel corso
della dittatura Dionisio riuscì però a espandere
il
potere di Siracusa non solo sulle altre città greche in
Sicilia, attraverso il completo ricambio della cittadinanza a
Leontini, Nasso e Catana, che divennero appendici siracusane, e la
ricostruzione di Messana, distrutta dai Cartaginesi nel 397, ma anche
sulle città della Magna Grecia: qui nel 386 Dionisio
annientò
Reggio che si era opposta al tiranno e ne schiavizzò i
cittadini e riunì le altre città, che si erano
dimostrate accondiscendenti, in una federazione incentrata su Locri,
che facilitasse l'intesa militare contro il pericolo delle
popolazioni italiche di Bruttii, Sanniti e Lucani.
Alla morte di
Dionisio, nel 375, Siracusa entrò in un turbine di violenza
e
cambi di potere che videro confrontarsi innanzi tutto il figlio di
Dionisio, Dionisio II,
e il cognato di Dionisio, Dione,
i quali, dopo
un periodo di concordia con Dionisio II nelle vesti di strateghos
autokrator e Dione in quelle di consigliere, vennero alle
armi.
Dione conquistò il potere nel 354, ma venne eliminato in un
attentato; Dionisio II, rientrato in città nel 347, non
riuscì
a recuperarne il pieno controllo, perché la popolazione,
ormai
stanca della tirannide familiare, invocò contro di lui
l'aiuto
della città madre, Corinto, la quale inviò una
spedizione al comando di Timoleonte.
Dionisio II, perse le speranze
di conservare il potere, si arrese spontaneamente a Timoleonte e
trascorse i suoi ultimi anni a Corinto; il corinzio restaurò
la costituzione timocratica a Siracusa, rimanendo in città
fino alla morte a controllare l'esito del proprio operato, per otto
anni come stratega e poi dal 337 come semplice cittadino. Al di fuori
di Siracusa, i Cartaginesi erano destinati a rimanere un pericolo
incombente per un altro secolo ancora, quando la Sicilia
comincerà
a entrare sotto l'interesse romano.
L'esigua possibilità di azione di Atene
Dopo
esser stata
sconfitta nella guerra del Peloponneso e aver evitato l'annientamento
richiesto da Tebani e Corinzi per volontà della stessa
Sparta,
che non voleva così creare uno squilibrio troppo forte nel
panorama delle relazioni interstatali greche, nei primi anni del IV
secolo Atene affidò le proprie sorti a Conone, il quale,
dopo
aver prestato servizio come ammiraglio nella flotta persiana e aver
ottenuto sulle navi spartane la brillante vittoria di Cnido, nel 395,
riuscì a rimediare sufficienti risorse economiche per dare
il
via a una parziale ricostruzione delle mura cittadine e del Pireo,
che erano state abbattute nel 404.
Nel 378, a un secolo esatto di
distanza dalla costituzione della lega delio-attica, Atene riesce a
fondare una seconda federazione basata questa volta sul principio
della pari dignità dei suoi membri, con finalità
più
economiche che militari. Anche su questa seconda lega, tuttavia,
Atene non tarda a cercare di imprimere il proprio marchio egemonico,
suscitando la ribellione dei confederati che sfocerà nella
cosiddetta guerra sociale, tra 357 e 355, in cui perderà la
vita uno dei generali più valenti del periodo, Cabria,
mentre
vengono destituiti Timoteo, figlio di Conone, e Ificrate, che pure
avevano dimostrato il loro valore, ma non erano riusciti a
ristabilire il prestigio della città.
Alla fine della guerra,
nel 354 la lega, o quel che ne rimane, appare ormai sfaldata e
inconsistente e quindi priva di avvenire e incapace di fornire un
eventuale aiuto contro un pericolo che si sta costituendo a nord,
dove la minaccia della Macedonia si fa temibile e consistente.
I Macedoni di Filippo II
I
Macedoni, che
probabilmente in greco erano intesi come "quelli della
montagna", abitavano in origine il territorio compreso tra
i
fiumi Axios e Haliakmon, erano governati dalla stirpe regale degli
Argeadi, che connetteva le proprie origini a Eralce e alla
città
di Argo, e riconoscevano come centro egemone il sito di Ege, i cui
resti vengono attualmente scavati nella città di Verghina.
Per
lungo tempo vissero ai margini della grecità e vennero
sentiti
dai Greci come semibarbari, tanto che all'inizio del V secolo, il re
Alessandro I ebbe difficoltà a farsi accogliere a Olimpia,
nelle cui gare potevano concorrere solamente atleti di stirpe greca
riconosciuta.
Nel corso della guerra del Peloponneso il re Perdicca
II si era barcamenato non schierandosi apertamente con nessuno dei
contenenti, anche se la situazione lo portava a essere ostile ad
Atene, che su territorio macedone aveva fondato la colonia costiera
di Anfipoli. Il successore di Perdicca, Archelao, si diede molto da
fare, trA 413 e 399 per la modernizzazione del regno in chiave
amministrativa, militare e culturale: spostò la capitale da
Ege a Pella, perché il centro politico del paese fosse
inserito più facilmente nelle vie di comunicazione con la
penisola greca e aprì la corte alla cultura del tempo,
invitando presso di sé, tra gli altri, i poeti tragici
Euripide e Agatone.
Con Filippo II,
salito al potere nel 359, la
Macedonia entra stabilmente all'interno del panorama greco,
sfruttando inizialmente la confusione politica della Tessaglia e le
vicende dell'anfizionia delfica,
la federazione di stati incentrata
intorno al santuario di Apollo a Delfi, nella Focide. I Tessali,
che pochi anni prima aveva visto il tentativo di predominio del
tiranno di Fere, Alessandro, respinto nel 363, conferiscono a Filippo
la carica di tago,
magistrato supremo, e lo rendono proprio rappresentante nel consiglio
degli Anfizioni: forte di questi titoli, Filippo interviene nella
guerra sacra che è scoppiata nel 356 a causa del tentativo
focese di annettersi terreni spettanti all'anfizionia. Filippo non
ottiene però la facile vittoria che si era aspettato ed
è
costretto ad attendere dieci anni prima di sconfiggere i Focesi,
aiutati da Spartani e Ateniesi, togliere loro i due voti che
detenevano all'interno dell'anfizionia e insediarsi nel consiglio
anfizionico, di cui detiene ormai la maggioranza.
Pochi anni prima,
nel 349, era riuscito a debellare la resistenza della federazione
delle città della penisola calcidica, capeggiate da Olinto,
che invano aveva chiesto aiuto ad Atene: esortata da Demostene, la
città aveva solo tardivamente inviato aiuti che si erano
rivelati insufficienti e Olinto era stata completamente distrutta.
Con la dissoluzione della federazione, a Filippo si aprivano anche i
possedimenti della Tracia e, forte della Tessaglia, poteva impiegare
gli anni di stasi concessi dalla pace
di Filocrate, stipulata con gli
Ateniesi nel 346, per organizzare la discesa a sud del valico delle
Termopili.
Da anni ad Atene Demostene sosteneva la necessità
di opporsi a Filippo, ritenendo che se Atene avesse deciso di non
intervenire nello scacchiere settentrionale, l'eventuale vuoto
sarebbe stato immediatamente colmato dai Macedoni, che avrebbero
inteso la stasi ateniese come segno di debolezza. Sul fronte opposto,
Isocrate,
fondatore della più importante scuola di retorica
della città, riteneva che i Greci dovessero abbandonare per
sempre le rivalità interne al fine di costituire un fronte
comune contro il nemico persiano, la cui minaccia si era reintrodotta
nell'Egeo. In queste due prospettive che si autoescludono, Filippo
è
dall'una parte il nemico da eliminare, dall'altra la forza sotto la
cui protezione coalizzarsi.
Quando nel 338
Filippo decide di passare
all'azione e valica le Termopili, Demostene convince i Tebani a
resistere e a stringere un'alleanza con Atene, ma i due eserciti
collegati vengono sconfitti sul campo di battaglia di Cheronea, Tebe
è esposta al saccheggio e i Macedoni hanno
libertà
d'azione in Grecia. Filippo sfrutta il momento favorevole in chiave
politica, in vista dell'organizzazione della guerra contro l'impero
persiano che ha in mente da tempo per far uscire la Macedonia dai
limiti di un regno periferico: costituisce presso Corinto la
federazione di tutte le poleis
greche, perché il nuovo
organismo fornisca dall'una parte la camera di compensazione delle
ostilità reciproche e dall'altra, attraverso lo sviluppo di
strutture decisionali comuni, riesca a organizzare una forza militare
generale che si unisca ai Macedoni nell'impresa antipersiana. La
cosiddetta lega di
Corinto è lo strumento politico escogitato
da Filippo per tenere sotto controllo i Greci e sfruttarne al tempo
stesso le risorse, ma il suo progetto sembra destinato a
interrompersi perché il re viene assassinato da un certo
Pausania a Ege, durante la celebrazione delle nozze della figlia con
Alessandro il Molosso, fratello della moglie, nel 336.
Il figlio di Filippo intraprende la spedizione antipersiana
CARTOGRAFIA | impero di Alessandro | carta dell'impero con
indicazione delle battaglie e delle spedizioni. Copia da Wikipedia riprodotta sotto i termini della GNU Free Documentation License |
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ESERCIZI | TEST MULTIPLO DALL'EGEMONIA SPARTANA ALL'ETÀ ELLENISTICA | quiz a risposta multipla, associazioni, integrazioni, vero/falso |