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Fermo e Lucia
Tomo 4
CAPITOLO 8
All'intorno del picciolo tempio v'era un picciolo spazio sgombro di capanne, e
Fermo giungendovi, lo vide occupato da una folla distinta in ragazzi, in donne,
e in uomini, tutti composti e in gran silenzio, fra il quale si udiva
distintamente una voce alta ed oratoria che veniva dal tempio. Questo, elevato
d'alcuni gradi al disopra del suolo, non aveva allora altro sostegno che le
colonne disposte in circolo; nel mezzo v'era un altare che si poteva vedere da
tutti i punti del lazzeretto, per mezzo agli intercolunnj vuoti, che in oggi
sono murati. Ritto, su la predella dell'altare stava un capuccino, alto della
persona, fra la virilità, e la vecchiezza; teneva con la destra una croce posata
al suolo che gli sopravvanzava il capo di tutto il traverso; e con l'altra mano
accompagnava di gesti il discorso che andava facendo. Era questi il Padre Felice
sopraintendente del Lazzeretto. Fermo, giunto sull'orlo di quella adunanza
avrebbe voluto avanzarsi a trascorrerla, e cercare ciò che gli stava a cuore; ma
senza contare un altro capuccino che, con un aspetto tanto severo anzi burbero,
quanto quello dell'oratore era pietoso, stava ritto in mezzo alla brigata per
tener l'ordine; quella quiete generale, quell'attento silenzio, e quella unica
voce bastarono ad avvertire il nostro ansioso che ogni movimento sarebbe stato
in quel luogo scompiglio, e irriverenza. Stette egli dunque alla estremità della
brigata ad aspettare, e udì la perorazione di quel singolare oratore.
«Diamo adunque», diceva egli, «un ultimo sguardo a questo luogo di miserie e di
misericordia, pensando quanti vi sono entrati, quanti ne sono stati tratti fuora
per la fossa, quanti vi rimangono, quanto pochi al paragone siam noi, che ne
usciamo non illesi, ma salvi, ma colla voce da lodarne Iddio. L'anima nostra ha
guadato il torrente; l'anima nostra ha guadate le acque soverchiatrici:
benedetto il Signore! Benedetto nella giustizia, benedetto nella misericordia,
benedetto nella morte, benedetto nella salvezza, benedetto nel discernimento
ch'Egli ha fatto di noi in questo sì vasto, sì smisurato eccidio! Ah possa
essere questo un discernimento di clemenza! possa la nostra condotta da questo
momento esserne un indizio manifesto! Attraversando questo mare di guaj, diamo
uno sguardo di pietà, e di conforto, a quegli che si dibattono tuttavia con la
tempesta, e dei quali, ah quanto pochi, potranno come noi afferrare un porto
terreno. Ci vedano uscirne, rendendo grazie per noi, ed elevando preghiere per
essi! Attraversando la città già sì popolosa, noi scarsa restituzione
dell'immenso tributo ch'essa mandò in questo luogo, mostriamo agli scarsi suoi
abitatori un popolo scemato sì, ma rigenerato. Procediamo con la compunzione nel
volto, e coi cantici su le labbra. Quegli che son ritornati nella pienezza
dell'antico vigore, porgano un braccio soccorrevole ai fiacchi; gli adulti
reggano i teneri, i giovani sostengano con riverenza e con amore i vecchj, ai
quali la salute ritornata non apporta che pochi giorni di stento. E se in questo
soggiorno di prova, in questo stesso crogiuolo di purgazione abbiam peccato; se
abbiamo abusato anche dei flagelli, se abbiamo sciupati i doni e le ricchezze
dello sdegno, come già quelli della benignità; ebbene! non abbiam però potuto
esaurire il tesoro del perdono: ricorriamo ad esso di nuovo.
Per me...»
E qui l'oratore fece pausa, straordinariamente commosso; poi tolse una corda che
gli stava ai piedi, se la avvinghiò al collo come ad un malfattore, cadde
ginocchioni, e proseguì:
«Per me, e per tutti i miei compagni, i quali, sebbene immeritevoli, siamo stati
per una ineffabile degnazione trascelti all'alto privilegio di servir Cristo in
voi; se, come è pur troppo, non abbiamo degnamente corrisposto ad un tanto
favore, se non abbiam degnamente adempiuto un sì grande ministero...
perdonateci! Se la fiacchezza, o la ritrosia della carne ci ha resi men pronti
ai vostri bisogni, alle vostre chiamate, perdonateci! se una ingiusta impazienza
se una noja colpevole ci ha fatto talvolta nei vostri mali mostrarvi un volto
severo, e fastidito, perdonateci! Se la corruttela d'Adamo ci ha fatto
trascorrere in qualche azione che vi sia stata cagione di tristezza, e di
scandalo, perdonateci! Nessuno porti fuor di qui altra amaritudine che delle sue
proprie colpe!»
Così detto, stette egli ginocchioni, come aspettando un segno che l'umile e
cordiale suo prego era accetto ed esaudito. Un singhiozzo, un pianto, un gemito
universale si levò da quella turba a rispondere. Dopo qualche momento il frate
s'alzò, prese la croce ad ambe mani, e l'inalberò; scese dalla predella, e quivi
depose i sandali; gridò ad alta voce: «andiamo in pace»; poi intonò il Miserere;
e scalzo, portando dinanzi a sè quell'alta croce pesante, scese gli scaglioni
del tempio dalla parte rivolta alla porta meridionale del lazzeretto che sbocca
dinanzi alla mura della città; e s'incamminò verso quella. Dietro lui s'avviò la
torma dei fanciulletti, di quelli cioè che potevano reggersi, e sapevano
condursi da sè; poi le donne, alcune delle quali tenevan per mano, o nelle
braccia fanciulline, o bambini, e con fioca voce cantavano il salmo intonato dal
guidatore; poi gli uomini pur cantando; poi carri di convalescenti, e delle
bagaglie di quei che partivano: quelle che in tanta confusione s'eran potuto
serbare, e raccogliere. Ultimo veniva quell'altro capuccino che abbiamo
menzionato, con un gran vincastro in mano; e coi cenni di quello, con gli occhi
e con la voce, teneva in sesto il convoglio. Era questi un Padre Michele
Pozzobonelli, il coadiutore più autorevole, e come il primo ministro del Padre
Felice, in quel regno di desolazione.
Fermo, tosto ch'ebbe veduto questo scender dal tempio, e notato da che parte
s'avviava, entrò di nuovo fra le capanne per pigliare i passi innanzi, senza
dare né ricever disturbo e sboccar poi di nuovo su la strada per dove la
processione doveva passare. Dalla porta meridionale al tempio v'era infatti come
una strada, uno spazio che s'era lasciato sgombro di capanne per dar passaggio
ai carri degli infermi che per lo più entravano da quella porta, e da quello
spazio poi si distribuivano a dritta e a sinistra, come si poteva. Fermo riuscì
su quella, al mezzo in circa; e vide venire il vecchio crocifero, lo vide
passare, vide passare i ragazzi, e poi con un gran battito al cuore, esaminò le
donne che pur passavano; e lo potè fare a suo agio, perché elle procedevano a
due a due. Passa, passa; guarda, guarda: qui non v'è, qui né pure; più che la
metà è passata; poche ne rimangono; compajono le ultime della fila femminile;
ecco gli uomini: Lucia non v'era. Quanta speranza svanita! Rimanevano però i
carri ancora: Fermo gli vedeva venire; e i primi erano carichi di donne. Stette
dunque aspettando, lasciò passare la schiera degli uomini; guardò ad uno ad uno
quei carri. Passavano lentamente, si arrestavano talvolta come accade nelle
processioni e nelle marce d'ogni genere; di modo che Fermo potè aver la trista
certezza che nessuna di quelle donne era sfuggita alla sua vista; e che Lucia
non v'era. Le braccia gli caddero, quando si vide finire in mano l'unico, o
almeno il più forte filo delle sue speranze. Anche prima di vedere trascorrere
quella per lui sì trista rassegna, egli sentiva pur troppo, quanto era più
probabile che Lucia fosse nel numero dei tanti portati fuora dal lazzeretto sui
carri, che dei pochi risanati: ma pure, come si suole egli metteva il suo
desiderio sul guscio della speranza, e faceva traboccare le bilance da quella
parte. Ma ora, egli credeva di dovere esser certo che Lucia non era tra i
guariti, né tra i convalescenti: la contingenza più lieta per lui, l'unica sua
speranza (quale speranza!) era ormai ch'ella fosse ivi languente, ma viva.
Passato tutto il convoglio, passato il Padre Michele, Fermo si mise senza troppo
pensare dove andasse, su quella via rimasta sgombra, e le sue gambe lo portarono
dinanzi al tempio.
Quivi gli vennero alla mente le parole del buon frate Cristoforo: - Se non ve la
scorgi, fa cuore tuttavia... Cercala con rassegnazione. - Si prostrò su gli
scaglioni del tempio, fece a Dio una preghiera, o per dir meglio, un viluppo di
parole scompigliate, di frasi interrotte, di esclamazioni, di domande, di
proteste, di disdette, uno di quei discorsi che non si fanno agli uomini, perché
non hanno abbastanza penetrazione per intenderli, né sofferenza per ascoltarli;
non sono abbastanza grandi per sentirne compassione senza disprezzo. Si levò di
là più rincorato e si avviò. Dal tempio alla porta che divide il lato
settentrionale a cui tendeva Fermo, scorreva, come dalla parte opposta, un viale
sgombro di capanne; e si sarebbe potuto chiamare la via dei morti, perché ivi
facevano capo e giravano i carri, che portavano alla fossa di San Gregorio le
centinaja che perivano ogni giorno nel lazzeretto. Fermo scelse quella via come
la meno impedita, e la più breve; e studiando il passo alla meglio, tra
l'incontro continuo dei carri e l'inciampo frequente di altri tristissimi
ingombri, pervenne a pochi passi dalla porta. Ma quivi un occorrimento di carri
vuoti che entravano, di colmi che uscivano faceva in quel punto un tale
imbarazzo, che Fermo anziché affrontarlo, o aspettare lo sgombro, stimò meglio
di entrare tra le capanne per riuscire di quindi al fabbricato. Le capanne in
quel luogo eran tutte abitate da donne; ed egli procedeva lentamente d'una in
altra, guardando. Or mentre passando, come per un vicolo, tra due di queste,
l'una delle quali aveva l'apertura sul suo passaggio, e l'altra rivolta dalla
parte opposta, egli metteva il capo nella prima, sentì venire dall'altra, per lo
fesso delle assacce ond'era connessa, sentì venire una voce... una voce, giusto
cielo! che egli avrebbe distinta in un coro di cento cantanti, e che con una
modulazione di tenerezza e di confidenza ignota ancora al suo orecchio,
articolava parole che forse in altri tempi erano state pensate per lui, ma che
certamente non gli erano mai state proferite: «Non dubitate: son qui tutta per
voi: non vi abbandonerò mai».
Se Fermo non mise uno strido, non fu perché lo rattenesse il riguardo di fare
scandalo, il timore di farsi troppo scorgere e d'essere preso o cacciato; fu
perché gli mancò la voce. Le ginocchia gli tremarono sotto, la vista gli
s'appannò un momento; ma come accade per lo più quando dopo una gran sorpresa
rimane qualche cosa d'importante da farsi o da sapere, l'animo gli ritornò
tosto, e più concitato di prima. In tre balzi girò la capanna, fu su la porta,
vide una donna inclinata sur un letto, che andava assestando.
«Lucia!» chiamò Fermo con gran forza e sottovoce ad un tempo: «Lucia!»
Trabalzò ella a quella chiamata, a quella voce, credette di sognare, si volse
precipitosamente, vide che non era sogno, e gridò: «Oh Signore benedetto!» Fermo
rimase su la porta tacito e ansante, e Lucia pure dopo quel grido stette immota
in silenzio più tempo che non bisogni a raccontare in compendio le sue vicende
dal punto in cui l'abbiamo lasciata.
Ella era sempre rimasta nella casa di Don Ferrante; e fino ad un certo tempo
sotto la vigilanza severa di Donna Prassede. Ma allo spiegarsi della peste
questa signora, messe da un canto tutte le altre cure, dimenticate tutte le
brighe, non solo le sue proprie, ma anche quelle di cui prima andava tanto
volentieri in cerca, non ebbe più che un pensiero, di guardarsi dal pericolo
comune. Pensò ella che, per fare del bene, la prima condizione è di essere in
vita, e per allora, volle assicurar questa. Quanto al prossimo, non pensò più a
regolarlo, ma soltanto a tenerselo lontano, tanto che non gli comunicasse la
pestilenza. Don Ferrante invece, persuaso che tutte le precauzioni immaginabili
non avrebbero potuto fare che la congiunzione di Saturno con Giove non fosse
avvenuta, né stornare le conseguenze di un avvenimento di quella sorte, non
cangiò nulla al suo tenore solito di vita: e contrasse la pestilenza, che in un
giorno lo spicciò. Donna Prassede s'era ritirata con la signora Ghita, nella
stanza più remota della casa; Prospero che alla morte di Don Ferrante era certo
di dovere andare a spasso, pensava a farsi un po' di fardello, il resto della
famiglia seguiva il suo esempio; e il povero astrologo sarebbe morto
abbandonato, se Lucia non avesse avuta la carità di prestargli qualche servigio.
Il giorno stesso in cui Don Ferrante morì, Lucia fu presa da un gran sopore,
rimase come insensata, e cadde senza forze: donna Prassede ordinò tosto che ella
fosse portata nella via, ad aspettare un carro o una bussola che la portasse al
lazzeretto. Così fu fatto, e così avvenne. Lucia deposta in quella capannuccia,
stette alcuni giorni fuori di sè, senza prender cibo, né rimedii, lottando il
vigore della natura con la violenza del male; e non riprese l'uso delle sue
facoltà se non quando il male fu superato. Ma quale risvegliamento! in quel
tumulto di morte, in quello scompiglio di guai, senza vedere un volto
conosciuto, senza udire una voce famigliare! Pure, in quel tempo, come in tutte
le grandi calamità la vista o il racconto, e l'aspettazione continua dei mali
rendeva preparati a tutto anche gli animi i meno agguerriti; questa
preparazione, la gran ragione della necessità, la cascaggine stessa che il male
aveva lasciata addosso a Lucia, la fecero avvezzare ben tosto alla sua
situazione; la fiducia in Dio gliela raddolcì. La capannuccia non capiva che due
letti, o covili che fossero: in pochi giorni Lucia cangiò più volte di
compagnia. Finalmente, quando ella cominciava a potersi reggere, vi fu portata
una donna che era moglie, anzi vedova d'un ricco mercante di stoffe, madre, anzi
orba di due figli: la peste le aveva tutto portato via. Questa rimasta sola in
casa, e sentendosi pure colpita dal morbo, aveva chiamato un commissario della
sanità che conosceva per sua buona sorte, e che per una sorte ancor più rara era
un galantuomo; e gli aveva raccomandata sè e la sua casa. Egli la fece chiudere
e sigillare, promise di vegliarla, e fece portare la donna al lazzeretto, con
tutta quella cura particolare che si poteva in quelle circostanze. Lucia
assistette la sua compagna, che superò pure la malattia; e come è facile ad
intendersi, tra quella che prestava sì pietosi servigj, e quella che gli
riceveva, ambedue deserte, buone ambedue, s'era formata una strettissima
amicizia. La vedova, prima di venire al lazzeretto aveva nascosta nella sua casa
una buona somma di danari, e vi aveva lasciate molte mercanzie protette dal
sigillo publico, e ancor più dalla indifferenza dei monatti per le robe che non
fossero di pronto uso o di facile smercio. Trovandosi quindi sola e doviziosa,
ella aveva proposto a Lucia di tenerla con sè, come una sua figlia, e Lucia
ringraziando Dio che le aveva preparato un asilo, e la buona donna che glielo
offeriva, lo aveva accettato, ma solo per qualche tempo, tanto che potesse aver
notizie di sua madre, e pensare a prendere una risoluzione stabile. Ciò ch'ella
aveva promesso alla sua compagna era di non abbandonarla finch'ella non potesse
uscire dal lazzeretto; e per ciò, Lucia, non s'era unita ai convalescenti che
erano partiti quel giorno alla guida del Padre Felice. Ma la buona vedova
avvezza a quella dolce compagnia, e atterrita dal solo pensiero di restarne
priva, nella desolazione, esprimeva di tempo in tempo quel suo terrore, e si
faceva rinnovare da Lucia la promessa in cui trovava la quiete dell'animo suo. E
per dissipare appunto una di queste dubitanze Lucia aveva dette le soavi parole
che colpirono l'orecchio di Fermo, e che abbiamo riferite.
Fermo era dimorato su la porta; e di là il suo secondo sguardo s'era rivolto su
la persona alla quale quelle parole erano state dirette; e fu molto contento
quando vide a che sesso ella apparteneva.
«Ah! siete viva; e v'ho trovata!» diss'egli quando potè ricuperar la parola; ed
entrò nella capanna.
«Voi!» sclamò Lucia.
«Son venuto qui per cercarvi, e v'ho trovata!» rispose Fermo.
«E la peste?»
«L'ho avuta».
«Ah!» fece Lucia con un gran respiro, che significava assai più che un: - me ne
rallegro infinitamente -. «Ma come... qui?»
«Son venuto a cercarvi in Milano, appena ho potuto; m'hanno detto che eravate
qui; ci son venuto».
«Oh Signore!» disse Lucia, stringendo le mani giunte, alzando gli occhi al
cielo, e con una voce che i singhiozzi stavano per interrompere. Poi, come
entrata di repente in un altro pensiero, chiese ansiosamente: «Sapete qualche
cosa di mia madre?»
«L'ho veduta jeri; è sana, vi saluta, e potete credere... era tutta in pensiero
per voi, e sospira di vedervi».
Lucia rispose con un altro respiro di consolazione.
Fermo continuò: «sospira di vedervi, e crede... tiene per sicuro... Ma voi,...
voi, mi parete stupita... ch'io sia venuto a cercarvi. Io... son sempre lo
stesso... non vi ricordate...? che è avvenuto, Lucia?»
«Tante cose!» rispose ella sospirando.
«Ecco!» disse Fermo: «sa il cielo che cosa v'avranno detto di me!»
«Che importa», rispose Lucia, «quel che dica la gente?»
«Dunque...»
«Dunque... io credeva... che dopo tanto tempo... dopo tanti guai... non avreste
più pensato a me».
«L'avete creduto? e me lo dite? quando son qui...»
«L'ho creduto», disse Lucia troncando in fretta le parole appassionate di Fermo,
«l'ho creduto, perché sarebbe stato meglio... è meglio».
Lucia aveva sempre tenuti gli occhi bassi; ma proferendo non senza fatica queste
parole, chinò anche la testa, e la tenne appoggiata sul petto, come per
riposarsi d'un grande sforzo.
«È meglio!» disse Fermo, stordito e contristato di quel mistero, e guardando
fiso nel volto di Lucia per trovarvi la spiegazione di quelle tronche ed oscure
parole. «È meglio! che cosa v'ho fatto io? è colpa mia se... Non sono io quello
a cui avete promesso? Che vi mancava perché foste mia? un momento... e... ma gli
ho perdonato, non siete voi più quella...? Dopo tanto sperare! dopo tanto
pensare a voi! dopo... Parlate chiaro: dite che non mi volete più; dite il
perché; non mi fate...»
«Fermo», disse con voce più riposata e solenne, Lucia che mentre egli parlava,
aveva cercato di raccogliere tutte le sue forze. «Fermo! ascoltatemi
tranquillamente: pensate dove siamo: vedete questa buona creatura che ha bisogno
di quiete: ascoltatemi. Io non sarò mai di nessuno... e non posso più esser
vostra».
«No non l'avete detta voi questa parola»; rispose Fermo, «no che non l'ascolto:
che ho fatto io? perché? chi ve l'ha detto? chi è entrato fra voi e me? chi c'è
entrato? voglio saperlo».
«Zitto zitto, non andate avanti, per amor del Cielo», disse Lucia. «Quando lo
saprete, se siete ancora quello di prima, se temete Dio come una volta, non
direte così».
«Parlate per amor del cielo!»
«Sapete voi in che casi, in che spaventi io mi son trovata, in che pericoli?»
«Lo so, lo so, e... gli ho perdonato».
«Ora sappiate quello che nessuno, né pure mia madre, ha udito finora dalla mia
bocca. In una notte... Vergine santissima! qual notte!... lontana da ogni
soccorso... senza speranza di liberazione... sola... io sola, in mezzo...
all'inferno, ho guardato in su, ho domandato l'ajuto di quel Solo che può fare i
miracoli... ho domandato un miracolo, e ho dovuto fare una promessa... mi son
votata alla Madonna, che se per sua intercessione, io usciva salva da quel
pericolo, non... sarei mai stata sposa d'un uomo».
«Ahi! che avete fatto!» sclamò dolorosamente Fermo: «che avete fatto!»
«Ho ottenuto il miracolo», riprese Lucia: «la Madonna mi ha salvata».
«Bastava pregarla, e vi avrebbe salvata. Che avete fatto! Che avete fatto! Non
dovevate fate un tal voto».
«L'ho fatto: che giova parlarne più? Che giova pentirsi? Pentirsi? No no, Dio
liberi! Egli pure è sempre a tempo a pentirsi d'avermi salvata. Può lasciarmi
cadere ancora in un pericolo, e allora, chi pregherò io? che promessa potrei
fare?»
«Lucia!» disse Fermo, «e se non fosse il voto...? dite; sareste la stessa per
me?»
«Uomo senza cuore!» rispose Lucia, contenendo le lagrime, «quando mi avreste
fatte dire delle parole inutili, delle parole che mi farebbero male, delle
parole che sarebbe forse peccati, sareste voi contento? Partite, scordatevi di
me: non eravamo destinati; ci rivedremo lassù». Dopo queste parole, le lagrime
soverchiarono, e fra i singhiozzi ella continuò: «dite a mia madre ch'io son
guarita, che ho trovata questa buona amica che pensa a me; ditele che spero
ch'ella sarà preservata da questi guai, che Dio provvederà a tutto, e che ci
rivedremo. Partite, per amor del cielo; e non vi ricordate di me, che quando
pregate il Signore».
«Lucia!» disse Fermo con tuono riposato e solenne egli pure; «noi siamo due
poveri figliuoli senza studio: quel brav'uomo, quel gran religioso, quel nostro
padre, il padre Cristoforo...»
«Ebbene?»
«È qui, nel lazzeretto, ad assistere gli appestati».
«È qui!» disse Lucia: «ah! non mi fa maraviglia: oh se potessi vederlo, sentir
la sua voce! È egli sano?»
«È in piedi», disse Fermo, «ma il suo volto... Dio voglia che sieno gli anni, e
le fatiche!»
«Voi l'avete veduto!» disse Lucia.
«L'ho veduto, e gli ho parlato», rispose Fermo: «egli mi ha fatto animo, a
cercarvi, mi ha fatto promettere che tornerei a rendergli conto delle mie
ricerche. Corro da lui: egli ci ha sempre ajutati; e spero che ci ajuterà anche
in questa occasione».
«Che dite voi? che volete ch'egli faccia? preghiamo Dio che ci ajuti... che vi
ajuti a sopportare. Ditegli che io ho sempre pregato per lui; che se può venga a
trovarmi, a consolarmi, e voi... voi...» - Non tornate più qui per amor del
cielo, - voleva ella dire, ma non lo disse. Dopo fatto quel voto, Lucia aveva
sempre creduto di essersi legata irrevocabilmente, e non aveva supposto mai che
alcuna autorità potesse annullare un patto col cielo; aveva rispinto come
colpevole il pensiero stesso, e non aveva mai confidato a persona il suo
doloroso segreto. Ma quando Fermo parlò d'una speranza nel padre Cristoforo,
quella stessa speranza confusa entrò nel cuore di Lucia; le balenò nella mente
un: - chi sa? -, intravide come non impossibile che il Padre Cristoforo potrebbe
trovar qualche mezzo... e in quel dubbio ella stimò inutile di dire
risolutamente a Fermo: «non tornate». Egli partì, senza far altre parole, come
un uomo che pensa di tornar ben tosto, e s'avviò alla capanna del buon frate.
La vedova compagna di Lucia era rimasta con gli occhi sbarrati a guardare quel
personaggio sconosciuto e ad udire quel dialogo nuovo per lei; giacché Lucia, la
quale, come si è potuto vedere in altre parti di questa storia, era molto
discreta, non le aveva mai parlato né della sua promessa di matrimonio, né per
conseguenza delle vicende conseguenti. Ma ora non potè scusarsi di fargliene il
racconto; e a dir vero, la disposizione d'animo di Lucia in quel momento
s'accordava assai bene con le voglie curiose e benevole ad un tempo della
vedova. Quelle memorie compresse e rispinte per tanto tempo, s'erano ora
presentate tutte in tanta folla e con tanto impeto all'animo di Lucia, che il
parlarne diveniva per lei quasi uno sfogo necessario. Dopo aver dunque risposto
alla meglio ai rimproveri che la vedova le fece di un tanto segreto tenuto con
lei, cominciò il racconto che fu spesso interrotto dai suoi singhiozzi, e dalle
esclamazioni e dalle inchieste della ascoltatrice.
Fermo intanto era giunto alla capannuccia del Padre Cristoforo, e avendolo
veduto lì fuori presso, che pregando, chiudeva gli occhi ad un morente, si era
ritirato nella capannuccia senza dar voce né far segno che turbasse quel pio e
doloroso uficio. Quando il poveretto fu spacciato, Fermo si mostrò, e il Padre
Cristoforo andò a lui, che tosto gli raccontò la lietissima scoperta ch'egli
aveva fatta di Lucia viva e sana, e quell'altra scoperta che era venuta, come a
tradimento, a guastargli una tanta consolazione. Benché egli in questa parte del
racconto volesse aver l'aria di chi propone un dubbio superiore ai suoi lumi
aspettando il giudizio d'un sapiente, pure non lasciò scappare nessuna occasione
di qualificare d'imprudenza e di pazzia quel voto che veniva per lui così male a
proposito. Così faceva sentire che per la parte sua il giudizio era bell'e
fatto; e intanto guardava attentamente al volto del Padre Cristoforo per
iscoprire un pensiero, dal quale avrebbe potuto dipendere la sua sorte. Ma non
potendo leggervi nulla, terminò con una aperta domanda: «Che ne dice, padre?» Il
Padre stava pensoso: combattuto fra il desiderio di rivedere Lucia, e la
speranza di consolarla forse, e il timore di rendersi colpevole, abbandonando
per qualche tempo i suoi infermi.
Dopo essere così rimasto alquanto, pronunziò ad alta voce la conclusione del
dibattimento che era stato tra i suoi pensieri. «Ho un dovere con quella
creatura», diss'egli. «Dio l'aveva in altri tempi indirizzata a me, ed ora non
me l'ha fatta venir così presso perché io ricusi di esserle utile. Andiamo».
Lasciò per la seconda volta i suoi ammalati alla cura del Padre Vittore, e si
mosse con Fermo.
Questi andava innanzi tacito facendo la guida per quel triste labirinto, e
dirigendosi al viale per cui era passato la prima volta, e il Frate pur tacito
gli teneva dietro.
Gli oggetti che ad ogni mutar di passo si succedevano alla vista, tenevano
occupato l'animo di quella compunzione che non trova parole; e in quel momento
su quel mesto spettacolo pareva che scendesse e pesasse una mestizia più cupa e
più grave dell'ordinario.
Una nuvola comparsa all'occidente aveva a poco a poco coperto tutto il cielo: e
alla oscurità crescente, avresti detto che il giorno era finito, se il sole
lontano ancor forse due ore dal tramonto non avesse mostrato come dietro ad un
velo spesso ed immobile, il suo disco grande e biancastro, donde partivano, non
vivi raggi e diretti, ma un barlume scialbo e circonfuso che mandava una caldura
morta e gravosa. L'aria non dava un soffio: non si vedeva muovere una tenda
delle trabacche, né piegar la cima d'un pioppo nelle campagne d'intorno. Solo si
vedeva la rondine, sdrucciolando rapidamente dall'alto, rasentare con l'ali
tese, per un picciol tratto la superficie ingombra e confusa di quel terreno; e
tosto risalire, volteggiare per l'aria in cerchii veloci, e piombar di nuovo.
Un'afa faticosa prostrava gli animi con una oppressione straordinaria: la lotta
del morire era più affannosa; i gemiti dei languenti erano soppressi
dall'ambascia; il movimento delle opere era stanco, rallentato, come sospeso:
quella dubbia luce dava al colore della morte e della infermità un non so che di
più livido; un non so che di più squallido all'abbattimento ond'erano atteggiate
le figure dei sani: e su quel luogo di desolazione non era forse ancor passata
un'ora amara al par di questa.
Eppure quegli che sopravvissero rammentarono quell'ora con gioja per tutta la
vita; era la preparazione d'una burasca, che scoppiò la notte, e menò poi per
due giorni una pioggia continua, dopo la quale il contagio cessò quasi ad un
tratto.
Sotto il fascio di quella comune gravezza, procedevano il giovane e il vecchio,
con la fronte bassa il primo e con l'animo diviso fra lo studio della via, fra
l'orrore delle cose che vedeva, e l'ansietà del suo destino futuro; e l'altro
levando di tratto in tratto al cielo la faccia smunta come per cercare un più
libero respiro, e per secondare con quell'atto una speranza interna.
«È qui», disse Fermo con voce tremante accennando la capanna; e v'entrarono che
Lucia col volto lagrimoso stava proseguendo il suo racconto.
Al riveder Fermo ella trasalì, e al vedere il Padre Cristoforo balzò dal saccone
di paglia ov'era seduta, e gli si gettò incontro su la porta.
«Oh Padre!... Signore Iddio! come sta ella?» soggiunse poi tosto vedendogli i
segni della morte in volto.
«Come Dio vuole, mia buona figlia», rispose il Frate: «e presto spero starò bene
affatto».
«Come?...» disse Lucia.
«Come Dio vorrà», riprese egli tosto. «Parliamo ora di voi, per cui son venuto».
«Oh Padre! quanto tempo! quante cose!» disse Lucia.
«Quante cose!» ripetè il Frate: «e certo se fossimo là ai vostri monti, seduti
in su la porta della casetta di quella buona Agnese, mi lascerei andar
volentieri a farne lunghi discorsi. Ma qui il tempo è misurato». E tosto
trattala in disparte in un angolo della capanna, continuò:
«Fermo mi ha detto che avete fatto voto di non maritarvi».
«È vero», rispose Lucia, arrossando.
«Avete voi pensato allora», proseguì il vecchio, «che voi avevate un impegno
solenne di matrimonio, e che offerivate alla Vergine una libertà della quale
avevate già disposto? E che riprendevate una parola già data, senza sapere se
quegli che l'aveva ricevuta avrebbe consentito a restituirvela?»
«Ho fatto male?» chiese Lucia, con sorpresa, e con un rimorso che non era tutto
doloroso.
«Avete voi confidato a nessuno questo vostro nuovo impegno?» interrogò di nuovo
il Frate: «avete chiesto consiglio?»
«Non ho ardito», rispose Lucia.
«Ed ora», proseguì egli, «che vi dice il vostro cuore di quel voto?»
«Che vuol ella che me ne dica?» rispose Lucia arrossando più che mai e chiudendo
quasi del tutto gli occhi ch'erano già chini a terra.
«Se non lo aveste fatto, lo fareste?»
«Se... non fossi in quel pericolo... in un grande pericolo... e poi, se non è
permesso... non lo farei».
«Se non lo aveste fatto, sareste tuttavia risoluta di sposare quell'uomo a cui
avevate promesso?»
«Io credeva... che fosse male il pensarvi... ma poi ch'Ella me ne domanda... ah
Padre sì!»
Fermo intanto adocchiava ansiosamente verso quell'angolo, e la vedova anch'essa
stava in una tacita aspettazione. Il Frate si fece presso a loro, accennando a
Lucia, che lo seguì con gli occhi bassi. Allora egli con voce spiegata le
rivolse questa nuova interrogazione:
«Credete voi che la santa madre Chiesa ha ricevuta da Dio l'autorità di
sciogliere e di legare?»
«Lo credo», rispose Lucia.
«Credete voi dunque che ella possa in suo nome ricevere, confermare, o rimettere
i voti che gli son fatti, interpretando la sua volontà in questo come nel
perdono dei peccati, e usando una potestà che tiene da Lui?»
«Lo credo», rispose ancora Lucia.
«Domandate voi alla Chiesa di essere sciolta dal voto di verginità che avete
fatto, o inteso di fare alla Madre santissima di Dio?»
«Lo domando», rispose Lucia con una prontezza, alla quale Fermo non ebbe nulla a
desiderare, e che potrà parere forse troppa a chi non essendo stato presente a
quell'atto, non rifletta che la solennità della richiesta, l'aria autorevole di
chi l'aveva fatta, non lasciavan luogo a titubamenti leziosi, e che ivi la
verecondia doveva essere tutta nella sincerità.
«Ed io», disse allora il buon Frate, con tuono ancor più solenne, «prego
umilmente la Vergine regina di tutti i santi, che abbia sempre per aggradito il
sentimento del vostro divoto e travagliato sacrificio, e lo offra al suo e
nostro Signore; e con l'autorità che la Chiesa mi ha affidata, vi sciolgo dal
voto, annullando ciò che vi potè essere d'inconsiderato, e liberandovi da ogni
obbligazione, se ne avete contratta».
Non parleremo dell'effetto, che queste parole produssero nell'animo dei due
giovani: la buona vedova era tutta commossa. Il Frate continuò rivolto a Lucia:
«Siate moglie pudica, moglie affettuosa moglie contenta di quella contentezza
che conduce all'eterna. Questo Iddio ha voluto e vuole da voi». Quindi levò le
mani verso i due giovani come per parlare ad ambedue. Essi caddero ginocchioni
ai suoi piedi, ed egli tutto assorto, e quasi senza avvedersi di quell'atto,
stese le mani su le loro teste, e stette un momento pensoso. Erano nel fondo
della capanna, come chiusi tra quello e il letto della vedova che teneva gli
occhi fissi su di loro: i giovani inginocchiati con la fronte bassa, e il Frate
ritto dinanzi a loro con le spalle rivolte alla porta.
«Figliuoli», disse egli, «che ho amati, e che amerò sempre, ricordatevi che se
la Chiesa vi assolve da un sagrificio, non lo fa per procurarvi le consolazioni
di questa vita che deve esser tutta un sacrificio; ma per mettervi su la via
della santificazione. Amatevi, come compagni di viaggio, col pensiero di avere a
lasciarvi, con la speranza di ritrovarvi ancora e per sempre. Rendete grazie al
cielo che vi ha condotti a questo stato non con le allegrezze turbolente e
passeggiere, ma coi travagli, e fra le miserie per disporvi ad una gioja
raccolta temperata, e continua. E nei vostri discorsi qualche volta, e sempre
nelle vostre preghiere, ricordatevi...»
Queste parole che rinchiudevano come un presentimento, e un tristo addio,
rinnovarono nell'animo di Lucia l'impressione dolorosa che le aveva prodotta
l'aspetto di chi le proferiva. Levò ella gli occhi quasi involontariamente,
tutta commossa, a riguardarlo di nuovo; ma insieme con l'oggetto che cercava il
suo sguardo un altro inaspettato le se ne offerse su la porta della capanna,
alla vista del quale ella mandò uno strido repentino. Tutti gli occhi si
rivolsero a quella parte donde le era venuta quella subita commozione.