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Il proclama di Rimini
(terza parte)


<== 2° parte 

4 Maggio: Re Gioacchino dà le disposizioni per la ritirata da Macerata e per la sicurezza della Città nella drammatica situazione.

In questa dolorosa incertezza, e sul riflesso che il solo ingresso delle truppe napoletane nella Città anche senza il progetto di formare ivi una resistenza, sarebbe stato di sommo pericolo alle sostanze, ed alla sicurezza degl’Abitanti (cosa infatti temer non si poteva da una truppa numersa, che si ritirava in disordine, stimolata dalla fame, e che più freno non sentiva di disciplina, e di subordinazione?) il Podestà del Comune si condusse dal Re, e coi riflessi i più veri, e persuadenti, colle preghiere le più vive e passionate la grazia domandò di un suo ordine alle truppe affinchè si astenessero di fare ingresso in Macerata.
Commosso il Re alle di lui accalorate insistenze promise di secondarne i desiderj ed impegnò per tale effetto la sua reale parola.
Fin da quel momento incominciò ad allontanarsi da Macerata il turbine, che la minacciava, e parve cessato per essa il pericolo di vedersi nuovamente esposta agl’orrori d’un saccheggio eguale a quello già altra volta fatalmente sofferto nel Luglio del 1799, la cui rimembranza riempiva ancora ogn’animo di raccapriccio, e di spavento. Il Re dopo aver dati gli ordini convenienti perchè tutti i soldati napoletani esistenti entro il Comune ne sloggiassero senza indugio, e via seco conducessero gl’oggetti tutti appartenenti all’armata, e i feriti stessi meno gravati che si ritrovavano negl’ospedali, e perchè le truppe stazionate al di fuori entrar non dovessero in Paese al momento della loro ritirata, finalmente partì.
Dopo essersi condotto a visitare i battaglioni stazionati per la strada di S. Croce, di colà retrocedette, e per la via sotto le mura di Macerata si diresse verso il locale dei Cappuccini*, da dove non partì finchè tutta quasi la sua truppa che in fuga si ritirava, non ebbe eseguito per quella parte il passaggio.
Era già prossimo il momento, in cui gl’Austriaci doveano veder coronate le loro operazioni.


* ora parte dell'Ospedale Civile.

La ritirata diviene una rotta.

L’armata napoletana era in disordine, e si andava sbandando da tutte le parti. La sua confusione, e il suo pericolo li accrebbe maggiormente allorchè vi fu certezza che la brigata Caraffa avea trascurato di difendere la strada della Carrareccia, ed era partita da Montolmo per altra strada verso il Tronto all’avvicinarsi di un battaglione del reggimento Hiller, e di altro battaglione di truppe Estensi che colà si erano dirette, ed allorchè si vide che dei corpi di cavalleria e fanteria austriaca con varj pezzi d’artiglieria s’incaminavano con rapidità per quella strada ad oggetto d’impedire il passaggio, e la ritirata per la parte di Pîediripa verso la marina.
Il parco d’artiglieria avea di qualche ora anticipata la sua marcia.
Intanto vitture, frugoni, ospedali militari, e bagagli d’ogni sorta si vedevano partire colla massima confusione, e celerità, e col dubbio pur’anche di non aver tempo per evitare l’incontro e la sorpresa degli Austriaci che inseguivano senza triegua. L’altura di S. Croce, e tutta la strada che circondando Macerata dalla parte di mezzogiorno si estende fino ai Cappuccini era ripiena di truppe napoletane, che mancavano di ordini per le operazioni da doversi eseguire.
Il fuoco che si era incominciato fra gli avamposti per la strada di Tolentino ognor più si accresceva, e i Napoletani, che si venivano ritirando, erano incalzati con maggior vigore.
I cacciatori Austriaci dai campi, e dalle siepi molestavano incessantemente, ed era continuo lo sparo dei fucili.
Un corpo di cavalleria ungarese che proveniva dalla strada verso Tolentino, ed altro che sboccò improvisamente da quella di Monte Milone fecero risolvere i Napoletani ad abbandonare la posizione di S. Croce, e a ritirarsi combattendo alle tre Porte. Distaccamenti di cavalleria austriaca scendevano ad ora ad ora verso questa parte, facevano delle scariche di fucili, e quindi retrocedevano.
Nel retrocedere erano inseguiti dai Napoletani.
Succedevano nuove scariche, nuove scaramucce, e quindi vicendevoli ritirate. Staccatosi finalmente un più forte corpo di Dragoni, e di Ungaresi dall’altura di S. Croce, dirigendosi impetuosamente verso Macerata, la fanteria napoletana incominciò a porsi in piena fuga per la strada delle tre Porte, e per quella sotto le mura della città verso i Domenicani*.
Di lì a poco lasciò il suo posto anche la cavalleria, e colla precipitosa sua fuga, coll’urto dei cavalli, e col disordine con cui fuggiva, caricava ed offendeva notabilmente la propria fanteria affollata per la strada medesima, e multiplicava in essa il danno, e la confusione.
Qualche Soldato di fanteria che nel tumulto ebbe la disgrazia di cadere in terra, restò schiacciato sotto i piedi dei cavalli in rotta.
Qualce Lanciere cadde ucciso a colpi di sciabla ed un Ufficiale fu ferito gravemente. Cinquanta uomini circa di cavalleria austriaca vedevano precipitosamente fuggire innanzi di loro più migliaja di Napoletani spaventati, avviliti, disorganizzati.
Nel tempo stesso altro corpo degli Austriaci medesimi circa le 10 , e mezza del mattino fece con la massima tranquillità il suo ingresso in Macerata fra le festose acclamazioni degli Abitanti, che allora si videro con certezza al coperto da ogni pericolo, e conobbero già fissato il loro destino.
Il Podestà del Comune, ed altri distinti soggetti appositamente destinati si trovarono alla Porta per ricevere i vincitori.
Il Re trovavasi in vicinanza della Chiesa delle Vergini allorchè le truppe inseguite dalla parte di Macerata fuggivano in piena rotta, ed allorchè potè conoscere da se medesimo che la strada della Carrareccia non era stata difesa, che la ritirata non aveva più protezione, e che parte dell’armata imperiale era già colà penetrata.
La circostanza era critica estremamente; più non era tempo d’indugio, ed ognuno dovea provedere alla propria salvezza nel miglior modo possibile.
Il Re deponendo all’istante il suo particolar vestiario da cui poteva esser distinto, ed altro indossatone da semplice colonnello, in compagnia del Generale Livron e di 18 in 20 ufficiali di diversi gradi a cavallo, divergendo dalla strada principale, si diresse per vie poco note verso Morrovalle per quindi condursi a Civitanova, ove sperava di riunirsi col Tenente Generale Carrascosa, che col resto della sua divisione era passato per la strada della marina proveniente da Ancona.
Le truppe di Macerata in fuga, sulla cognizione anch’esse del non più libero passaggio per la strada di Piediripa, in balìa di loro medesime, senza capo, senza comando, senza direzione, incalzate dalla cavalleria, tormentate dal fuoco dei cacciatori nemici, avvilite dal timore, e dalla fame indebolite si sparsero quà e là per le campagne in cerca soltanto di scampo, e senza volontà di esporsi a nuovi pericoli, e di cimentarsi a nuovi impegni.
Dopo che gli Austriaci ebbero inseguito per tre miglia circa di distanza da Macerata i fuggitivi Napoletani, e dopo aver raggiunti, e sorpresi in varj luoghi diversi frugoni, molti bagagli di varia specie, sette carrozze appartenenti in parte ai Generali d’Ambrosio, Medici, e D’Aquino, ed in parte allo stesso Re, e qualche pezzo d’artiglieria con più casse di munizioni, se ne tornarono in Macerata, ove dopo poco intervallo giunse il Generale in Capo Barone Bianchi preceduto dalla vittoria, e accompagnato dalle più vive acclamazioni d’un Popolo riconoscente, che dal suo genio, dai suoi militari talenti, dalle operazioni da lui dirette, e mirabilmente secondate da tutti i Generali, ed Ufficiali che aveano militato sotto i suoi ordini, la propria salvezza ripeteva, e la propria tranquillità. L’armata napoletana quantunque disorganizzata affatto, e in mille bande dispersa, avrebbe nonostante avuto comodo, e maniera di riunirsi per la strada che traversava il dipartimento del Tronto verso la marina, e di riavvicinarsi alle bandiere del suo Re. La maggior parte però delle truppe instrutta dal passato, e poco persuasa d’un felice avvenire, credette miglior partito l’allontanarsi dallo strepito guerriero, e di tornarsene per quella via, che la circostanza poteva ad esse far credere meno pericolosa, nei loro focolari.
Quei corpi però ai quali sembrò viltà la diserzione, e che non vollero profittare dell’occorsa catastrofe per esimersi dal militare servizio, procurarono di riconcentrasi presso il loro condottiere, onde continuare nel miglior modo che gli avvenuti casi avessero potuto permettere, la loro ritirata nel Regno.


* ora edificio del Convitto Nazionale.

Epilogo.

Il Generale in Capo Barone Bianchi si trattenne in Macerata tutto il giorno 4 Maggio, e nel successivo giorno 5, dopo aver date delle disposizioni relative alla politica amministrazione del già occupato Dipartimento, ne partì diretto per la via di Fuligno.
Era giunto nel giorno stesso in Macerata il Maresciallo Conte di Neiperg coll’armata sotto i suoi ordini forte di dieci mila uomini proveniente da Cingoli, e Filottrano. Il restante dell’armata napoletana doveva essere inseguita senza tregua.
A questo effetto numerosi corpi di truppe tanto di fanteria, che di cavalleria sotto il comando del Generale Conte di Mohr si diressero verso Fermo, per penetrar quindi nel Regno di Napoli per la parte del Tronto.
Altro corpo sotto la direzione del General Eckhart fu inviato per la strada di Sarnano, Mandola, ed Arquata, ed altro finalmente sotto gli ordini del Generale in Capo Baron Bianchi fu rivolto verso Fuligno, e quindi verso Rieti per marciare sopra l’Aquila, e per invadere il Regno anche da quella parte.
Il Re dopo essersi riunito al Porto di Civitanova coi resti della divisione Carrascosa e con le poche bande di dispersi Soldati, che andavansi a lui riavvicinando, non ebbe altra mira, che quella di affrettar senpre più la sua ritirata.
La gente, che lo seguiva non era che uno scheletro d’armata.
Questa nel passaggio per Porto di Fermo, Grottammare, e S. Benedetto col foraggiare da se medesima per mancanza di pronti viveri, e necessitata dalla fame, cagionò a quei Paesi gravissimi danni.
Traversando quindi il dipartimento del Tronto senza che avessero luogo rimarchevoli avvenimenti, rientrò nel Regno, dirigendosi sopra Pescara. In tal modo l’esercito napoletano disorganizzato, sbandato, e pressochè annientato abbandonò le Marche lasciando più che altrove in Macerata, e nel suo territorio, la triste ricordanza di mille pericoli per sua causa o direttamente, o indirettamente sofferti, di desolate messi, di vigne recise e bruciate, di bestiame rapito, di magazzini vuotati di tutti i generi che contenevano, di case d’agricoltori spogliate, e di casini di campagna devastati, e rovinati del tutto dalla violenza, e dal saccheggio.
La battaglia di Macerata quantunque nè per ragione di strepitosi avvenimenti, nè per molto sangue versato annoverar non si possa fra le battaglie più celebri nella storia, nonostante è degna anch’essa d’un posto nella serie de’ fatti, che interessano la società, giacchè fu per essa che l’armata napoletana, forte per numero di soldati, tenuta colla più magnifica splendidezza, riccamente fornita di tutti gli oggetti necessarj per qualunque militare intrapresa, andò in rotta e quasi del tutto dispersa.
Fu per essa che vacillò, e quindi cadde dalla fronte di Gioacchino Napoleone la reale corona.
Fu per essa che l’armata imperiale austriaca marciando poscia senza ostacoli potè giungere con maggior prontezza, e facilità al compimento de’ suoi disegni, e risparmiare all’umanità nuove stragi, e nuovo sangue.
Fu per essa finalmente che il Regno delle due Sicilie, uno de’ più floridi Stati d’Europa vide tornare in quel trono il suo Regnante primiero, e stabilmente vide pur anche fissato il suo nuovo destino.
Una frazione dell’armata di Napoli di 2500 uomini dopo essersi sostenuta per lo spazio di un mese nella Città e Fortezza di Ancona, finalmente in conseguenza di un stretto blocco con somma intelligenza ed attività diretto dal Generale Mag. Cav. Geppert, e per i ricevuti ufficiali rapporti sugli avvenimenti accaduti nel Regno di Napoli, sulla cessazione del Governo di Gioacchino, sull’occupazione già fatta della Capitale delle armate imperiali, e sul ritorno al trono di S. M. Ferdinando IV, mediante una capitolazione conclusa fra lo stesso Generale Mag. Cav. Geppert, e il Generale Napoletano Montemajor, ne fece nelle convenute forme la cessione.
Quindi nel giorno 3 Giugno evacuò la Fortezza e Città, da dove sortì cogl’onori di guerra.
La partenza di questo resto di truppa per il Regno di Napoli finì di allontanare qualunque pericolo di sinistri avvenimenti dalle Marche, quali tranquillamente riposano all’ombra delle vittoriose Aquile Imperiali Austriache foriere di giorni sereni, e di permanente felicità.

FINE