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U ca' da ói. Fra i personaggi più conosciuti a Filottrano c'era Pomi (o Sor Pomi come lo chiamavamo noi ragazzi) tornato in vecchiaia al paese dopo essere stato per moltissimi anni a lavorare fuori. Io non l'avevo mai conosciuto né sentito nominare. Semplicemente un bel giorno l'ho visto per la prima volta davanti "au Caffè deu Stortu" e l'ho sentito sbraitare in mezzo a quattro o cinque persone. Agitando il suo bastone diceva che "pe 'cchiappà 'e pantegane, a Filottrà non c'era nisciun cagnólu brau comme u sua". Era piuttosto irascibile e noi ragazzi ci tenavamo alla larga per timore di buscarci una randellata, ma i suoi amici si divertivano spesso alle sue spalle tirando in ballo proprio il suo cane. A quel tempo tanti avevano un cagnetto addestrato a catturare i topi di fogna che di notte giravano in gran numero per le strade, nella discarica comunale e anche nelle casette scure e umide del paese ed erano in molti a vantare le qualità "venatorie" del propri cagnolini. Nessuno però ne era così orgoglioso come Pomi: giungeva perfino a mostrare in piazza i topi legati ad uno spago come facevano i cacciatori con gli uccelli e ogni volta che sentiva qualcuno parlare di cani si avvicinava e cominciava a parlare delle imprese del suo animale; a volte si accalorava tanto da inscenare vere proprie liti. Un giorno Canappa (Ildo Palombini) decise di fargli uno scherzo. Si mise d'accordo con alcuni amici e di fronte al bar, in modo che Pomi potesse sentirli, cominciarono a parlare dei loro cani magnificandone le prodezze. Pomi drizzò le orecchie e, come si aspettavano, si unì al gruppo. Quando cominciò a parlare del suo cagnolino Canappa gli disse: -Ma finiscera! U cà mia de qua, u cà mia de là..., non vale mango 'na recchia de quillu mia. U tua 'cchiappa solo 'e pantegane; u mia è bónu pure a troà l'ói ntra 'e fratte. Io l'ói nó 'i compro mai. Me 'i tròa u cà. Quillu sci che è brau no llu cà spelacchiato che c'hi te!- Pomi si fece rosso come un peperone e rispose: -Che m'hi pijato pe rimbambitu? Un cà che tròa l'ói! Non ce credo mango si u vedo. Ce scommetto quello che te pare!- -Va vè, rispose Canappa, domatìna tròete chi verso 'e nove e te ce porto. Chi perde paga da vé a tutti.- L'indomani mattina Canappa e i suoi compari uscirono presto, si diressero in campagna e in una siepe al margine della strada, in punti facilmente riconoscibili, nascosero alcune uova avendo cura di mettere accanto ad ogni uno un pezzetto di carne, fornita da Finfirì, u macellà, che potesse solleticare l'olfatto del cane; poi andarono all'appuntamento. Pomi arrivò e tutti insieme si avviarono con il cane legato ad una funicella. Gli amici di Canappa chiacchieravano fra loro della scommessa e, a bella posta, alcuni si schieravano a favore di Pomi, altri contro. Giunti alla siepe dove c'era il primo uovo, Canappa, senza farsi accorgere, trattenne il cane che, fiutando la carne si avvicinò cominciando ad annusare, ma fu fermato prima che la raggiungesse . -Eccone unu, disse Canappa, tenàteme u cà.- Fece finta di scrutare nel folto, allontanò alcuni rami, infilò un braccio e lo ritirò con un uovo in mano. -Hi visto?- disse -E unu!- Dopo qualche metro ne trovò un altro, poi un altro ancora fino a che non ne ebbe raccolte sei. Pomi era esterrefatto e incredulo, ma non poté negare l'evidenza e pagò la scommessa. Nei giorni seguenti passò molto tempo ad insegnare al suo cane a trovare le uova ma, con grande rammarico, non ci riuscì mai.
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