La Servolana
"La forosetta che qui si presenta è una contadina del villaggio di Servola che sta a mezz'ora da Trieste. Essa è di razza slava, la sua lingua familiare è la carniolica; ma parla il dialetto veneto speditamente, quasi fosse la sua lingua. Essa l'ha appreso nella città, ove quotidianamente si reca a vendere il pane, che prepara ella medesima, e cuoce in famiglia; ed il segno evidente di ciò è quella veste nera senza maniche che indossa. I suoi vestiti sono pulitissimi, bianchissimi; ella medesima li ha lavati; ma non li avrebbe lavati sì bene, se fossero abiti di qualche cittadina; no -ella sa il segreto di renderli così bianchi, ma lo riserva per i proprii. Quei pizzi sono fini, e costosi; ma non istate credere al loro colore gialliccio, c'è un pò di caffè; ne crediate che quella camicia così fina, così bella, così ricca, sia intiera, non hanno camicie, non vi è quello che si vede; quello che non si vede a nulla serve. Il grembiale è di quelli all'antica, a liste e fiori grandiosi; passerà poco che lo cambierà con altro più alla moda. Quegli orecchini sono un poco modernizzati, ma sono d'oro, lo si vede negli occhi; non ha poi altro d'oro; l'anello che porta nella mano diritta, che è tutto di forma contadinesca, quello è falso, non v'è da dubitare. Le sue calze, le sue scarpe sono pulite, alla rustica ma pulite; se fa fango, piuttosto cammina a piè scalzi, e fa toilette all'ingresso della città, pel resto si difende con l'ombrello. Come la vedete, è sempre quando viene dalla città; sempre di bella cera -ma non vi fidate troppo di quei rossi. Forse è maritata; ma nubile o maritata la sua vita non è invidiabile. S'alza alle due o alle tre, ed anche alla una dopo mezzanotte, per allestire il pane; poi lo insacca, lo colloca su d'un somarello, vi si asside essa pure e va alla città; spesso se lo reca in un paniere sul capo. Se d'inverno viene innanzi giorno, col fanaletto in tasca che depone presso qualche conoscente nell'entrare in città, o lo nasconde. In città, va alla bottega da caffè, fa colazione, poi distribuisce il pane per le case, fa quattro chiacchiere, riporta notizie da una casa all'altra, poi torna alla villa col frumento. Di pranzo non ne sa, mangia quello che trova, freddo s'intende, un pò di pane; il caffè col latte è la sua passione. Poi prepara il pane per l'indomani, poi va a dormire coi piedi al muro su poca paglia in terra se è ragazza; su d'un pagliericcio se è maritata. Va a dormire per poco tempo, perchè deve levarsi presto. Il marito, chi sa dov'è, forse all'osteria, e quando viene in casa avvinacciato, baruffe e pugna per denaro, tanto che a lei ne restano solo le busse e le fatiche. E le fatiche sono molte; tutti i giorni qualunque sia il tempo, freddo o pioggia, all'aperto; case mal riparate; partorisce e subito dopo attende a suoi affari; non conosce medicine, non vuol sapere di medico; a trent'anni è vecchiona. Tante fatiche che tornano inutili, nulla ha risparmiato o guadagnato col cuocer pane; non so se abbia due abiti; ma è usata a andare alla città, e non potrebbe farne a meno."
Questa è la descrizione che della servolana dava Pietro Kandler. Il pittoresco seppur crudo quadro che ne esce fornisce al lettore alcuni tratti caratteristici delle donne servolane di un tempo. Tratta da A. Selb- A. Tischhein, Memorie di un viaggio pittoresco nel Litorale Austriaco, Trieste 1842. L'altro ritratto che si riproduce è di Carlo Yriarte -Trieste e l'Istria, Milano 1875-.
[...] Al primo mattino la città si sveglia piuttosto tardi e l'approvigionamento, che arriva dovunque, dà un certo carattere alle vie di comunicazione, portandovi una popolazione varia e screziata nell'aspetto. I contadini del Carso vengono coi loro carri a ruote piene, tirati da buoi grigi e s'accampano nella via; le donne di Servola, colla bianca petscha in testa, vestite della dalmatica nera, tagliata in quadrato, e donde sfugge la manica bianca d'immacolata candidezza, calzate con le classiche opanche guidano per la via branchi di tacchini grigi, macchiati di nero e colla testa rosa di tono graziosissimo. I mercati sono vaghissimi: le contadine del territorio vi si recano in folla sui loro somarelli a vendere pane di puro frumento cotto apposta per la città, o gli ortaggi da loro coltivati, o i fiori, che annodano con gusto in mazzolini leggiadri, in cui domina il lupino e spicca, nel centro, un fiore d'arancio o di corbezzolo. Per conservar questi fiori, gettano nel fondo del paniere un pezzetto di ghiaccio; ed esse stesse s'ornano il busto con un mazzolino. La petsccha bianca spicca vivamente sulla carnagione olivastra e la pulitezza dell'aspetto è seducentissima. Talvolta, al pari de' Kabili o degli asinai sulle rive del Nilo, passano dietro le spalle, nella cintura, la bacchetta di cui si servono per guidar le loro cavalcature[...].
L'immagine è un disegno di Angelo Purasanta, Litografia Linassi, mm 280x355, edito dal Tedeschi nella seconda metà dell'Ottocento. Museo Etnografico di Servola.
Un altro ritratto della donna di Servola ci viene offerta dal Tempesta: "Le donne di Servola hanno il tipo meridionale, sono in generale di bella taglia, ed avvenenti, dagli occhi e capelli neri, d'aspetto gentile. Era bello vederle un dì colle splendide gonnelle, lunghe fino ai talloni, col prezioso corpetto, che ne cingeva i fianchi, coll'ampio grembiale di seta, il bel fazzoletto di lino, candido come la neve, che stretto al capo discendeva sul dorso in coda di rondine: il petto era adorno di un mazzolino di fragrante fiori, scintillando agli orecchi i preziosi pendenti". Come si vede un'immagine ben diversa da quella fornita dal Kandler.
SERVOLA IN POESIA UN RACCONTO SULLE PANCOGOLE