Paradiso: canto
XXVII
Tutti i beati del paradiso intonarono: « Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo! », così dolcemente che la loro melodia mi inebriava.
Terminato, nel canto precedente, il discorso di Adamo, che ha risposto alle quattro domande formulate da Dante, tutti i beati intonano l'inno liturgico di lode e di ringraziamento alla Trinità. Tale canto corale, che per la prima volta riunisce in una sola le voci di tutto il paradiso, riecheggia, per la sua grandiosità e solennità, quello innalzato da tutte le anime del secondo regno (Purgatorio XX, 136-138).
Quello che io vedevo mi sembrava un sorriso dell'universo, perché l'ebbrezza entrava nel mio animo attraverso l'udito e lo sguardo.
Oh gioia! oh allegrezza indicibile! oh vita perfetta piena d'amore e di pace! oh beatitudine sicuramente posseduta senza desideri insoddisfatti !
Dinanzi ai miei occhi fiammeggiavano le quattro luci (Pietro, Giacomo, Giovanni, Adamo), e quella di San Pietro che si era avvicinata prima degli altri incominciò a farsi più splendente,
e nel suo aspetto si fece rosseggiante, quale diventerebbe l'argenteo pianeta Giove, se esso e il rosso Marte fossero uccelli e si scambiassero le penne.
La precisazione ipotetica del verso 14 è volta non tanto a indicare il mutamento di colore di San Pietro, quanto a rilevare il profondo senso di smarrimento che subentra in Dante di fronte a tale trasformazione, e che, come termine di confronto, può avere solo lo smarrimento che
proverebbe l'uomo di fronte a una metamorfosi cosmica, vedendo il bianco pianeta Giove (Paradiso XVIII, 68 e 96) e il rosso pianeta Marte (Paradiso XIV, 86-87) scambiarsi i colori. Invece la seconda similitudine ipotetica (fossero augelli ... ), da molti critici giudicata superflua, accentua - proponendo un confronto con elementi più vicini all'esperienza quotidiana - il carattere improvviso e sorprendente della mutata sembianza di San Pietro, come sarebbe quello di scorgere un uccello mentre cambia rapidamente e
improvvisamente il colore delle penne.
La provvidenza di Dio, che nel cielo distribuisce l'avvicendarsi delle azioni e il compito proprio a ciascuno, aveva imposto il silenzio al coro dei diversi gruppi di beati,
quando udii dire (da San Pietro): « Non stupirti, se io muto colore, perché, mentre io parlo vedrai diventare, rossi di sdegno tutti costoro.
Bonifacio VIII, colui che in terra occupa indegnamente la mia sede, che è come fosse vacante agli occhi del Figlio di Dio,
di Roma, il luogo della mia sepoltura ha fatto la fogna dove scorre il sangue delle discordie civili e donde sale il puzzo dei vizi; per cui Lucifero , si rallegra laggiù nell'inferno ».
La prima accusa di San Pietro è rivolta contro Bonifacio VIII, che sedeva sulla cattedra di Pietro nel 1300, anno del viaggio di Dante nell'oltretomba. A proposito dei versi 22-24, che hanno provocato molteplici discussioni fra i critici per il valore da attribuire a usurpa e vaca, il Sapegno spiega molto lucidamente: "l'accusa che qui Dante porta contro Bonifacio VIII non sarebbe propriamente di illegittimità canonica, bensì di indegnità morale. Senonché la frase di cui il Poeta si serve nel verso 24 non... sembra che abbia l'ufficio di stabilire una siffatta distinzione formale, sì soltanto di sottolineare l'antitesi fra il giudizio umano, che si fonda sull'apparenza, e quello divino, che risale alla sostanza reale delle cose; e usurpa esprime una condanna totale, in cui si ribadisce la fiera protesta di Dante contro il pontefice, che ha ottenuto il suo ufficio con l'inganno (cfr. Inferno XIX, 56-57) e lo esercita in modo tale da suscitare l'allegria di Satana. La formula dantesca non permette di affermare senz'altro un pieno consenso del Poeta con la tesi dei nemici di Bonìfacio sull'illegittimità del suo pontificato [furono i Colonna e Filippo il Bello ad avanzare le principali accuse riguardo all'elezione simoniaca del papa], ma neppure esplicitamente l'esclude". Tuttavia la questione, "posta in questi termini, risulta estranea e non pertinente al contesto dell'invettiva di San Pietro, la quale si muove su un piano ideale diverso e più alto", perché "anche se in terra esistono di fatto un imperatore e un pontefice, Impero e Papato sono idealmente vacanti agli occhi di Dio".
Allora vidi tutto il cielo dei beati cospargersi di quel color rosso, che tinge una nube alla sera o al mattino quando il sole le sta di fronte,
E come una donna onesta, la quale pur restando sicura di sé, soltanto all'udire i falli altrui, si fa vergognosa,
così divenne Beatrice mutando aspetto; e un tale oscuramento io credo che sia avvenuto in cielo (solo) quando il Figlìo di Dio fu crocifisso.
Mentre l'indignazione provoca sul volto dei beati un rossore che dilaga con forti bagliori ìn tutto il cìelo ("questo fulmineo avvampare del cielo - scrive il Mattalia - è il punto più vivo ed efficace dell'invenzione, presentando il motivo dell'indignazione in una scala cosmica e apocalittica"), il dolore di Beatrice di fronte ai mali della Chiesa, si esprime con un pallore improvviso, che sembra privare la sua figura di ogni luminosità. Anche di fronte a questa trasformazione il Poeta non trova un altro termine di confronto se non nel cosmo: l'oscurarsi della luce di Beatrice ricorda l'improvviso oscurarsi del sole alla morte di Cristo (Matteo XXVII, 45; Marco XV, 33; Luca XXIII, 44-45). Del resto già una volta il Poeta ha accostato la figura della sua donna, angosciata per la degenerazione della Chiesa, al mistero della passione di Cristo (cfr. Purgatorio XXXIII, 4-6).
Poi San Pietro continuò a parlare con voce tanto alterata da quella di prima, che l'aspetto non si era mutato più della voce:
« La Chiesa, sposa di Cristo, non fu fondata e nutrita col sangue mio, e dei miei successori Lino e Cleto, per essere adoperata come strumento di lucro,
I pontefici attuali, che offrono alla sposa di Cristo (cfr. Paradiso x, 140; XI, 32; XII, 43) solo la loro corruzione e la loro simonia, hanno dimenticato che il suo primo, mistico nutrimento fu il sangue di una fulgidissima schiera di martiri. Infatti seguirono l'esempio di Pietro martirizzato, secondo la tradizione, il 29 giugno del 67 o 68, i suoi due primi successori, Lino e Cleto o Anacleto morti nella seconda metà del 1 secolo.
ma, perché fosse guida all'acquisto di questa nostra vita beata, i papi Sisto, Pio, Calisto, e Urbano sparsero il loro sangue dopo molte sofferenze.
Continua, da parte di San Pietro, la rassegna dei pontefici martirizzati nei primi secoli di vita della Chiesa: Sisto I morì verso il 125, Pio I verso il 150, Calisto nel 222, Urbano I nel 230.
Noi non intendemmo che una parte della cristianità sedesse a destra dei nostri successori, e un'altra parte a sinistra;
I pontefici, il cui compito dovrebbe essere quello di perseguire la, pace e la unione fra i popoli, hanno invece arbitrariamente diviso la cristianità in due parti avverse, i Guelfi e i Ghibellini. Quello che essi hanno operato è una .1 sorta di mostruosa e aberrante anticipazione del Giudizio Universale (Mattalia), quando gli eletti appariranno alla destra di Dio e i reprobi alla sinistra (Matteo XXV, 31-33).
né che le chiavi che mi furono affidate (come simbolo d'autorità) diventassero emblema in una bandiera che combattesse contro altri
cristiani;
Le chiavi, consegnate da Cristo a San Pietro e considerate simbolo dell'autorità papale (Inferno XIX, 101; XXVII, 104; Purgatorio IX, 117; Paradiso XXIV, 35), divennero insegna dell'esercito pontificio nel 1229, in occasione della lotta fra Gregorio IX e Federico Il.
né che la mia immagine fosse posta sul sigillo papale impresso sui documenti che concedono privilegi falsi e simoniaci, per cui io spesso arrossisco e divampo d'ira.
Da quassù si vedono in tutte le chiese sotto la veste di pastori di anime, lupi rapaci: o soccorso divino, perché ancora stai inerte?
La metafora del gregge, del pastore e del lupo è di chiara origine biblica (Geremia XXIII, l; Matteo VII, 15) ed è stata ripresa da Dante anche nell'Epistola ai cardinali italiani (XI, 6), dove i prelati sono definiti "usurpatori del compito dei pastori" e il gregge presentato come "abbandonato e incustodito".
Già si preparano a bere il nostro sangue Caorsini e Guasconi: o Chiesa che avesti così buoni inizi, a quale ignobile corruzione per forza di cose tu partecipi!
Caorsini e
Guaschi: dopo Bonifacio VIII l'accusa di San Pietro si abbatte su Clemente V, originario della Guascogna (cfr. Inferno XIX, nota relativa ai versi 82-84; Purgatorio XXXII, 148 sgg.; Paradiso XVII, 82), pontefice nel 1305, e su Giovanni XXII, nato a Cahors (Paradiso XVIII, 130~136), pontefice dal 1316 al 1334.
L'uso del plurale estende la condanna di Dante dai pontefici e da coloro che essi favorirono a tutta una regione, conferendo alla tremenda visione dei versi 58-59 un vigore eccezionale, quasi non si trattasse solo di due papi, ma di un'invasione di sanguisughe e vampiri"
(Mattalia).
Ma la provvidenza divina che per mezzo di Scipione preservò a Roma la gloria del dominio del mondo, verrà presto in aiuto, così come io vedo.
Si profila, sul cupo sfondo di sangue della terzina precedente, la profezia di San Pietro, con la quale Dante, ancora una volta, riafferma la sua fede in una prossima renovatio della Chiesa e - come testimonia l'elogio di Roma (verso 62) - dell'Impero. La Provvidenza, che un tempo intervenne con Publio Cornelio Scipione l'Africano per salvare Roma minacciata da Annibale (Convivio IV, V, 19; Monarchía II, x, 7; Paradiso VI, 53), soccorrerà la Chiesa bisognosa di un'efficace opera di riforma dei costumi ecclesiastici e del ripristino di Roma a sede papale dopo la cattività
avignonese. Appare evidente, in questi versi, il richiamo dell'arrivo del Veltro (Inferno, I, 101), del messo di Dio (Purgatorio XXXIII, 42-43). Pur senza ulteriori determinazioni, San Pietro promette a Dante un rimedio sicuro: è "una promessa... ch'è certezza. Non occorre chiedere documento al Santo dei Santi" (Vallone).
E tu, o figliolo, che a causa del corpo mortale tornerai ancora sulla terra, non tacere e non nascondere (agli uomini) ciò che io non nascondo a te ».
Come l'atmosfera sulla terra fa scendere fiocchi di neve, quando la costellazione del Capricorno è in congiunzione con il sole,
così vidi l'ottavo cielo adornarsi e fioccare verso l'alto per la moltitudine delle fiamme splendenti delle anime che prima si erano fermate con noi,
Il mio sguardo seguiva i loro aspetti, e li seguì finché lo spazio situato in mezzo, per la distanza troppo cresciuta, gli impedì di spingersi oltre.
Per cui Beatrice, che mi vide libero dalla cura di guardare verso l'alto, mi disse: «Abbassa lo sguardo, e guarda quale arco hai percorso (muovendoti con questo cielo)».
Da quando avevo guardato in giù la prima volta vidi che mi ero mosso per tutto l'arco che la prima zona descrive dalla sua metà al termine,
La cosmografia del Medioevo, seguendo la teoria di Alfragano, divideva l'emisfero settentrionale, a cominciare dall'equatore, in sette zone o fasce parallele, a seconda del diverso periodo di tempo in cui ciascuna di esse restava esposta al sole. La prima zona, che aveva nel suo centro Gerusalemme, si estendeva per 180 gradi dal Gange a Cadice. Allorché Dante, entrato nella costellazione dei Gemelli, aveva guardato per la pri ma volta, dall'alto dei cieli, la terra (cfr. canto XXII, versi 133-153), si era trovato sopra il meridiano di Gerusalemme. Poiché nei versi 80-81 afferma di essere giunto dal centro (Gerusalemme) al termine (Cadice) della prima zona, egli ha dunque percorso un arco di 90 gradi ed è passato un periodo di sei ore.
cosicché oltre Cadice vedevo la rotta temeraria tentata da Ulisse, e di qua da Cadice il mar Mediterraneo fin presso il lido dove Europa fu un dolce carico per Giove.
Si apre, sotto gli occhi del Poeta, la visione di tutta la terra abitata; i suoi occhi si possono spingere a occidente, oltre Cadice, cioè oltre lo stretto di Gibilterra, sull'Oceapo che vide il folle volo di Ulisse (Inferno XXVI, 106 sgg.) e, a oriente, fino alla Fenicia, da dove Giove, sotto le sembianze di un toro, rapì Europa, figlia del re Agenore, portandola fino all'opposto continente, che da lei prese nome (Ovidio Metamorfosi Il, 832-875).
E di là mi sarebbe stata visibile una plaga più ampia di questa nostra terra; ma il sole procedeva nel suo corso sotto i miei piedi separato da me trenta gradi e più.
Tra la costellazione dei Gemelli, nella quale si trova Dante, e la costellazione dell'Ariete, che è in congiunzione con il sole, si interpone il Toro, per cui i due segni precedenti sono divisi da più di 30 gradi (ogni segno zodiacale si estende per 30 gradi). A causa della posizione dei sole che precede la costellazione dei Gemelli di più di 30 gradi a occidente, le tenebre si stanno ormai diffondendo nella estrema parte orientale, e quindi Dante può scorgere solo una parte dell'aizzola della terra.
Il mio animo innamorato che vagheggiava sempre Beatrice, più che mai ardeva dal desiderio di tornare a guardare verso di lei:
e se mai la natura o l'arte crearono, in corpi umani o in pitture, immagini che fossero allettamenti tali da attrarre gli occhi per conquistare
l'anima,
tutte queste bellezze riunite, sembrerebbero niente a paragone della bellezza divina che io vidi rifulgere quando mi volsi a guardare gli occhi ridenti di Beatrice.
E la virtù che i suoi occhi mi largirono, mi staccò dalla costellazione dei Gemelli, e mi spinse nel nono cielo, il più veloce di tutti.
Il Poeta ascende al nono cielo, il Primo Mobile, abbandonando la costellazione dei Gemelli, Castore e Polluce, i quali, secondo la mitologia classica, nacquero dall'uovo di Leda fecondato da Giove, trasformatosi in cigno (Ovidio - Heroides XVII, 55 sgg.).
Tutte le parti di questo cielo, fulgidissimo e altissimo, sono così uniformi, che io non saprei dire quale di esse Beatrice scegliesse per salirvi con me.
Il Primo Mobile o cielo Cristallino è dotato di una "velocitade... quasi incomprensibile" (Convivio II, 111, 9) perché, essendo il più vicino a Dio dei cieli fisici, più arde dal desiderio di avvicinarsi a Lui, e, essendo "diafano, o vero tutto trasparente" (Convivio II, 111, 7), risulta uniforme in ogni sua parte, perché "mentre tutti gli altri cieli contengono corpi visibili quali sono i pianeti e le stelle fisse, e Dante è andato sempre in questi, nel Primo Mobile corpi visibili non ve ne sono, onde Dante non può dire in qual parte di esso sia andato, perché le parti sono tutte uguali" (Porena).
Oltre alla lezione vivissime del verso 100, i codici offrono altre varianti (vicinissime, vicissime, imissime) ciascuna delle quali sostenuta dai critici con buone ragioni.
Ma ella, che vedeva la mia brama di conoscere, ridendo con tanta letizia, che Dio stesso pareva gioire nel suo volto, incominciò:
« La struttura dell'universo, la quale mantiene immobile al centro la terra e muove tutte le altre cose intorno ad essa, incomincia da questo cielo come dalla sua origine;
La struttura fisica dell'universo, formato da un corpo immobile (la terra) e da corpi mobili ruotanti intorno ad essa (i cieli), trae la sua origine da questo cielo, il quale "ordina col suo movimento la cotidiana revoluzione di tutti li altri, per la quale ogni die tutti quelli ricevono [e mandano] qua giù la vertude di tutte le loro parti" (Convivio Il, XIV, 15).
e questo cielo non ha altro luogo che lo contenga al di fuori della mente divina, nella quale s'accende l'amore che lo fa girare e la virtù che esso trasmette ai cieli sottostanti.
Il Primo Mobile circonda tutti gli altri cieli sottostanti, ma non puo essere situato in alcun luogo fisico: infatti esso è limitato solo dall'Empireo, il cielo che è pura luce (Paradiso XXX, 39), che "non è in luogo ma formato fu solo nella prima Mente [Dio]" (Convivio II, III, 11. L'Ottimo così spiega: "la nona spera non è suddita ad altro cielo, ma solo alla divina mente; e da essa toglie quella virtù che ella ha sopra questi inferiori; e dall'amore d'essa dívìna mente riceve. movimento e luce, e non da altro".
La luce e l'amore dell'Empireo lo contengono in sé come in un cerchio, così come questo racchiude glí altri; e come questo cerchio possa essere contenuto lo comprende solo Dio, il quale lo circoscrive.
Solo Dio conosce che cosa sia e come operi l'Empireo, il cielo costituito solo da luce ed amor (Paradiso XXX, 40-41), il "soprano edificio del mondo, nel quale tutto lo mondo s'inchiude, e di fuori dal quale nulla è"(Convivio II, III, 11).
Il movimento di questo primo cielo non è misurato dal movimento di un altro; anzi il moto degli altri è misurato dal moto di questo, così come il dieci è misurato dalla sua metà, il cinque, e dal suo quinto, il due.
E ormai ti deve esser chiaro come il tempo abbia le sue radici in questo cielo come in un vaso e abbia le sue fronde nei cieli sottostanti.
Oh cupidigia umana che sommergi a tal punto i mortali sotto di te, che nessuno è capace di alzare gli occhi sopra le tue onde!
Certo negli uomini fiorisce la buona volontà; ma (l'imperversare delle passioni la spegne come) la pioggia continua tramuta le susine buone in susine guaste.
Fede e innocenza si trovano solo nei fanciulli, ma poi l'una e l'altra si dileguano prima ancora che le loro guance siano ricoperte dal primo pelo.
Vi è chi osserva i dìgiuni, quando è ancora bambino balbettante il quale poi, nell'età matura (quando la lingua si è ormai sciolta), divora ogni cibo in qualunque epoca
dell'anno ;
e un altro, ancora bambino balbettante, ama e ascolta docile la mamma, e, una volta adulto, quando il suo linguaggio è ormai perfetto desidera poi vederla morta e sepolta.
Allo stesso modo (in cui il candore dell'infanzia si corrompe con il passare dell'età) la pelle dell'uomo, naturalmente bianca, diventa nera,
appena compare l'Aurora, la bella figlia del Sole che porta il mattino sulla terra e tramontando lascia la sera.
Numerosissime sono le interpretazioni proposte per i versi 136-138, essendo i critici in disaccordo sia sul valore da attrìbuire a così («in questo modo », « allo stesso modo », « a tal punto »), sia sulla costruzione dei tre versi (della bella figlia potrebbe essere genitivo dipendente da pelle oppure da aspetto). Per quanto riguarda il significato dell'espressione bella figlia, il Lana ritiene che Dante alluda alla Chiesa, nata da Cristo, il sole dello spirito, mentre secondo il Buti qui si parlerebbe della luna, oppure dell'Aurora (Parodi) oppure di Circe (Barbi). L'interpretazione da noi accolta è stata presentata dal Sapegno e ripresa con valide osservazioni dal Gallardo: "vi è una ragione stilistica che... sembra di fondamentale importanza in questo caso: il discorso di Beatrice è tutto coerente, privo di allusioni inutilmente simboliche o classicheggianti, intessuto di osservazioni della vita quotidiana (si veda anche il modo proverbiale dei versi 125-126). E la spiegazione più semplice sarà dunque qui la più vera... E' poi logico pensare all'Aurora, per l'allusione all'adolescenza nel primo termine, al verso 129".
Per non stupirti di ciò, pensa che sulla terra non vi è chi governi; per cui la umanità va così rovinosamente fuori strada.
Ritorna, il Poeta, su uno dei
principi basilari della sua dottrina etico-politica: l'umanità che Dio aveva affidato all'imperatore perché ne coordinasse la vita politica e al papa, perché la illuminasse in campo religioso, appare ora priva delle sue due guide. L'Impero è vacante dal 1250, anno della morte di Federico II, (Convivio IV, IX, 10; Purgatorio VI, 76 sgg.) e sul trono di Pietro siede un pontefice indegno (Paradiso XXVII, 22-24).
Ma prima che gennaio esca del tutto dal periodo invernale a causa della frazione centesimale del giorno trascurata dal calendario, questi cieli del paradiso irradieranno tali influssi,
Nel calendario giuliano la durata dell'anno era calcolata in 365 giorni e 6 ore, con 12 minuti (equivalenti alla centesima parte del giorno) in pìù rispetto alla durata reale (a tale errore si rimediò con la riforma del calendario fatta da Gregorio XIII nel 1582). Se questa frazione di tempo si fosse accumulata per 90 secoli, il mese di gennaio sarebbe caduto in primavera.
che la tanto attesa tempesta farà volgere le poppe delle navi dove sono le prue (cioè: rimetterà la nave nella giusta direzione), così che la flotta correrà diritta
e frutti buoni seguiranno alle promesse ».
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