Paradiso: canto
XI
O stolta preoccupazione dei mortali, quanto sono
erronei quei ragionamenti che vi fanno volgere alle cose terrene!
Chi se ne andava dietro alla giurisprudenza,
e chi dietro alla medicina, e chi inseguiva i benefici ecclesiastici,
e chi cercava di dominare con la violenza o con la frode e chi
era occupato a rubare, e chi in attività pubbliche;
chi si affaticava immerso nei piaceri della carne,
e chi invece si abbandonava all’ozio, mentre io, libero da tutte
queste vane sollecitudini, lassù in cielo in compagnia di Beatrice
ero accolto con tanta festa.
La contrapposizione fra
l'uomo " carnale ", che si occupa del mondo e segue il suo piacere,
e l'uomo " spirituale ", che contempla le cose eterne, è un luogo
comune della letteratura ascetica; e fra i testi in volgare ce
n'è uno di intonazione volutamente popolaresca che può aiutare
a comprendere la risonanza del tema, ovunque diffuso: il Ritmo
Cassinese. Tuttavia nei versi di Dante la superba accentuazione
ritmica, I'investitura assorta nella corte del cielo, il moto
saliente e tuttavia estatico, dicono un nuovo processo di individuazione.
Con un tratto sdegnoso il Poeta coinvolge in un solo atto di rifiuto
le occupazioni mondane, dalle più degne seguendo sacerdozio ,
( ma sarà da pensare al fatto storico del potere civile che la
Chiesa si trovò sulle braccia alla dissoluzione dell'impero carolingio:
la spirital corte, la curia dei vescovi, esercitò, specie in Italia,
il potere politico) alle meno plausibili , e chi rubare -. Ma
l'accento poetico rivelatore del nesso logico cade su quell'avverbio,
- gloriosamente - che dice il moto lento ed invincibile dell'assunzione
gloriosa di Dante e Beatrice nei cieli dei beati.
Dopo che ognuno (dei dodici spiriti) fu tornato
(danzando) nel punto del cerchio in cui si trovava prima, si fermò
immobile, come (è immobile) una candela sul candeliere.
E dentro quella luce (San Tommaso) che prima
mi aveva parlato, mentre sorrideva facendosi più splendente, io
udii incominciare:
“ Come io risplendo del raggio divino, così,
lo sguardo nella luce eterna di Dio, conosco da dove abbiano origine
le tue incertezze.
Tu dubiti, e desideri che il mio discorso si
chiarisca con una esposizione così evidente e ampia, che si distenda
davanti alla tua capacità di intendere, riguardo al punto in cui
prima dissi “U’ ben s’impingua”, e all’altro in cui dissi “Non
surse il secondo”;
e a proposito di questi dubbi è necessario procedere
con opportune distinzioni.
San Tommaso, nel canto
precedente, ha presentato la rassegna degli spiriti sapienti e
fra le sue prime parole e quelle che ora seguono c'è stato il
doppio intermezzo del mattutino conventuale e del rifiuto della
mondanità: nella verticalità raggiante del suo lume egli adesso,
alla ripresa, sorride (che è tratto lieve ed allegro, per tanto
filosofo); né ha più bisogno di sillogizzare ancora o di dedurre
e indurre, investigando, ma splende della luce di Dio e in Dio,
che sa tutto, apprende. I due dubbi, qui ripresi dal discorso
precedente e ancora una volta sospesi, concernono la decadenza
degli istituti monastici e la sapienza di Salomone, e proprio
la spiegazione sospesa e protratta li innalza e li ingrandisce.
La
provvidenza, che governa il mondo con sapienza così profonda che
davanti ad essa ogni intelligenza creata è vinta prima di riuscire
a penetrarla fino in fondo.
affinché la Chiesa, la sposa di Cristo, che con alte grida si
unì a lei nel suo sangue benedetto (versato sulla croce), procedesse
verso il suo diletto,
I versi 32-33 riecheggiano espressioni evangeliche:
poco prima di morire Gesù "gridando a gran voce, disse: " Padre...
" (Luca XXIII 46; cfr. anche Matteo XXVII, 50; Marco XV, 37).
.
più
sicura in se stessa e anche più fedele a Lui, decretò in suo aiuto
(ordinò in suo favore) due capi, che le fossero di guida da una
parte con la carità e dall’altra con la sapienza.
Due
principi ordinò: San Francesco e San Domenico, fondatori dei due
grandi ordini religiosi del secolo XII, quello dei francescani
e quello dei domenicani. Il primo si propose di diffondere la
fedeltà ai precetti di Cristo (povertà, carità, castità, umiltà),
l'altro di lottare contro gli eretici, affinché la Chiesa fosse
più fida nella sua obbedienza a Cristo e più sicura di fronte
alle eresie. E cosi sintetizzato in questa terzina il compito
riformatore per il quale nacquero i due ordini religiosi: riportare
alla purezza di vita e di pensiero la corrotta società cristiana
del tempo e rigenerare i costumi ecclesiastici.
Uno fu tutto ardente di carità come un Serafino;
l’altro per la sua sapienza fu in terra una luce degna della scienza
propria dei Cherubini.
San Francesco arse di carità
come i Serafini, il cui nome significa " ardenti di carità ",
e San Domenico fu dotato di pienezza di scienza come i Cherubini,
che nella gerarchia angelica rappresentano la sapienza (cfr. San
Tommaso - Summa Theologica I, LXIII, 7).
Parlerò di uno di costoro, perché lodando uno
si celebrano entrambi, qualunque dei due si scelga, perché le
loro opere mirarono allo stesso fine.
Il domenicano San Tommaso
celebra l'elogio di San Francesco, mentre nel canto seguente il
francescano San Bonaventura loderà San Domenico. Dante si ispira
all'uso, molto antico, secondo il quale, nelle feste dei due santi
fondatori, nelle chiese francescane un domenicano pronunciava
il panegirico di San Francesco e nelle chiese domenicane un francescano
esaltava San Domenico. Tuttavia l'intento del Poeta e quello di
proporre un esempio di concordia ai due ordini religiosi che sulla
terra, in quel tempo, apparivano divisi da profondi dissensi e
rivalità sia in campo pratico che in campo dottrinale. Via via
il tono del discorso di San Tommaso si innalza, pur sempre serbando
quell'ardente fissità suggerita dall'immagine iniziale: fermossi,
come a candellier candela. Dante, misurando con un solo sguardo
l'alto e il profondo, dal segreto dei disegni provvidenziali,
tale che nessuna vista può penetrarne tutto il mistero, e da una
confessione d'impotenza prende le mosse per avviarsi agilmente
a dir gioia e lutti, allegrezza e sangue delle nozze di Cristo
e della Sposa. Il Duecento è tutto pervaso ed esaltato dall'opera
complessa degli ordini mendicanti, in ogni campo della vita della
cristianità occidentale: slancio caritativo del francescanesimo,
che rompe i vincoli della chiusa società feudale, riconcilia le
creature nel segno della paternità comune di Dio, ritrova benigna
la natura, da tanto tempo considerata maligna, avversa e diabolica
nella concezione manichea: e sapienza dell'ordine domenicano,
che promuove la nuova organizzazione scientifica, sincretizzando
il sapere antico con la Rivelazione cristiana. Lo sfondo storico
dei due canti agiografici è anche più ampio che lo sfondo paesistico
del ritratto di Francesco e di quello di Domenico, ma sottinteso
e come velato da quell'immagine della Provvidenza profonda.
Tra il fiume Topino e il fiume Chiascio, l’acqua
che scende dal monte scelto dal beato Ubaldo come eremitaggio,
digrada la fertile costa dell’alto massiccio del Subasio, dal
quale Perugia riceve verso Porta Sole i venti freddi d’inverno
e caldi d’estate;
e sul versante opposto del Subasio piange sotto
il pesante giogo Nocera con Gualdo Tadino.
Prima di presentare la
figura di San Francesco il Poeta presenta il luogo in cui egli
nacque, l'ambiente in cui incominciò a svolgere la sua missione.
Fra le valli del Topino e del Chiascio si eleva un massiccio montuoso
(la cui cima più alta è il Subasio su cui sorge Assisi) che a
nord-ovest digrada verso Spoleto e Perugia con un fertile pendio.
Le acque del Chiascio scendono dal Colle di Gubbio, non lontano
dal monte Ingino sul quale il beato Ubaldo Baldassini, vescovo
di Gubbio dal 1129 al 1160, aveva condotto vita eremitica. Perugia,
che sorge davanti al Subasio, riceve dall'alto monte, nella parte
orientale, dove si trova la Porta Sole ( oggi distrutta ), le
correnti fredde o calde a seconda delle stagioni. Dietro al Subasio,
e quindi opposte ad Assisi, si trovano Nocera e Gualdo Tadino
sotto grave giogo, perché non solo il massiccio montuoso non le
protegge dai venti, ma toglie loro anche le poche ore di sole
di cui potrebbero godere. Altri interpreti, basandosi su Benvenuto
da Imola, propongono una diversa spiegazione: le due città piangono
sotto il grave giogo dei Perugini, che le dominarono tra la fine
del XIII e l'inizio del XIV secolo. Secondo altri, l'oppressione
sarebbe quella esercitata dal governo di Roberto d'Angiò.
Sulla costa occidentale ( del Subasio ), là dove
essa diventa meno ripida, nacque al mondo un sole, come talvolta
questo sole ( in cui ora ci troviamo) nasce dal Gange.
La luce spirituale di San Francesco ha lo stesso
fulgore di quella del sole quando, nell'equinozio di primavera,
esso sorge, rispetto al meridiano di Gerusalemme, nel suo punto
più orientale (di Gange).
Perciò chi parla di quel luogo, non dica Assisi,
perché direbbe troppo poco, ma dica Oriente, se vuol parlare con
proprietà (proprio).
Continua in questa terzina
la rispondenza fra il sole vero e il sole figurato. Poiché nell'antico
nome di Assisi - Ascesi - Dante vede il significato di " ascendere
", osserva che con la nascita di Francesco ad Assisi non solo
ascende, ma addirittura nasce il nuovo sole, per cui essa meriterebbe
il nome di Oriente. La legenda francescana, in cui Dante si inserisce
con strapotente forza, ha tale importanza nella storia delle lettere
e delle arti, specie d'Italia, che non potremo trascurare del
tutto una inquadratura storica. Mentre, essendo ancora vivo Francesco,
si accese il dibattito fra i seguaci più severi del Santo, più
attenti all'opera invincibilmente ardita dello spirito, e quelli
più intenti ad un compromesso che consentisse alla società ed
alla storia di far propria in misura maggiore la sua eredità,
nel campo artistico si formò una tradizione che vide da una parte
i moduli agiografici del pietismo spirituale (con la Legenda trium
sociorum e i Fioretti) e dall'altra le impegnate creazioni di
Cimabue e Giotto. Dante si dispone in questa tradizione artistica,
ma diventa "autore di un ritratto, e quasi capostipite di una
iconografia, che accentua i dati dell'ardore, dell'estasi, del
rapimento" (Apollonio), accogliendo, inoltre, con un tratto più
giulivo l'ispirazione naturalistica. Così il proemio paesistico,
svolto sul tema del sole e largamente antifonato dall'allegoria
dell'oriente, si appoggia a dati concreti variamente contrapposti:
i fiumi e le terre, e il freddo e il caldo a Perugia da Porta
Sole, e l'ombra del massiccio montagnoso su Nocera e su Gualdo
di contro al versante aprico.
Questo sole non era ancora molto lontano dal
momento della sua comparsa, quando cominciò a far si che la terra
sentisse qualche beneficio della sua potenza vivificatrice, perché,
ancora giovane, affrontò una lotta col padre per amore di una
donna tale, la Povertà, alla quale, come alla morte, nessuno fa
grata accoglienza;
e davanti alla curia vescovile della sua città
e alla presenza del padre si unì a lei come sposo; in seguito
l’amò di giorno in giorno sempre più intensamente.
A partire dal verso 55
Dante incomincia a narrare le tappe principali della vita di San
Francesco, prendendo come sue fonti la vita del Santo scritta
da Tommaso da Celano e quella scritta da San Bonaventura. Francesco,
figlio del mercante Pietro Bernardone, abbandonò le cose del mondo
e iniziò la sua vita di ascesi nel 1206, all'età di ventiquattro
anni. Fondamento della sua nuova vita e della sua dottrina fu
l'amore per la povertà. Per essa dovette lottare contro la fiera
opposizione del padre, che giunse a citarlo davanti alla curia
vescovile di Assisi nel 1207. In quell'occasione Francesco non
solo rinunciò a tutti i suoi beni, ma in presenza del vescovo
e del popolo restituì al padre anche gli abiti che indossava.
"Il tema delle mistiche nozze, largamente svolto nella letteratura
francescana del Duecento... costituisce il fulcro intorno a cui
si compone, secondo la tecnica oratoria, tutto il panegirico dantesco."
( Sapegno)
Questa donna (la Povertà), rimasta vedova del
suo primo sposo, Cristo, era stata per oltre mille e cento anni
disprezzata e dimenticata, senza che alcuno la ricercasse, fino
alla nascita di costui;
né valse (a farla amare) l’udire che Cesare,
colui che sgomentò tutto il mondo, la trovò tranquilla e serena,
al suono della sua voce, accanto ad Amiclate;
Lucano, nella Parsaolia
(V, 515,531), narra che Amiclate, pescatore dell'Illiria, forte
della sua povertà, teneva sempre aperta la porta della sua capanna,
mentre in quei luoghi combattevano duramente le truppe pompeiane
e cesariane. Non si sgomento neppure quando lo stesso Cesare entrò
nella sua dimora.
né le valse l’essersi dimostrata
fedele ed eroica al punto da patire con Cristo sulla croce, laddove
(anche) Maria rimase ai piedi di essa.
Ma perché io non continui a
parlare in modo troppo oscuro, nel mio lungo discorso intendi
ormai per questi due amanti Francesco e la Povertà.
La loro concordia e la letizia
dei loro aspetti facevano si che l’amore e l’ammirazione e la
dolce contemplazione che ne derivavano fossero motivo di santi
pensieri (in chi li vedeva);
tanto che il beato Bernardo
si scalzò per primo, e corse dietro a questa grande pace spirituale
e, pur correndo, gli sembrò di andare troppo lento.
Bernardo da Quintavalle,
un ricco e nobile signore di Assisi, fu il primo seguace di Francesco.
Lo seguirono subito dopo Egidio e Silvestro, entrambi assisiati
(cfr. verso 83).
O ricchezza ignorata! o bene fecondo di tanti
frutti! La sposa piace tanto, che seguendo lo sposo si scalza
Egidio, si scalza Silvestro.
Poi quel padre e quel maestro se ne va (a Roma)
con la sua sposa e con quel gruppo di discepoli che già cingevano
(intorno ai fianchi) l’umile cordone.
Dante, poeta d'amore e
poeta cristiano, racconta qui la sua più bella storia d'amore;
e non si obietti che la Povertà è un'allegoria, e che di allegoria
non si fa poesia, perché la figura di madonna Povertà ha quella
vaghezza di contrappunto ( dalla sua immagine solitaria davanti
alla porta che nessun diserra, all'unione amorosa e all'estatico
abbandono con Francesco, dalla presenza continua a fianco dello
sposo alla sua ultima apparizione in punto di morte) che Dante
aveva appreso dalla poesia provenzale.
La guerra che Francesco
sostiene contro il padre è un dato storico, e un dato storico
è il conforto della virtù che largisce alla sua terra: si opera
così un passaggio dal tema del sole a quello delle gesta eroiche,
dall'orto al corse, che è gesto anche di torneo cavalleresco;
ma c'è pure un sentimento
tutto dantesco, di uomo vivo, quando parla insieme del ribrezzo
della povertà e della morte.
Anche il lungo intermezzo
della storia antica e della storia sacra (la Povertà sicura in
mezzo alle guerre e al cospetto imperiale, la Povertà che, morto
Cristo, rimane per millecent'anni e più dispersa e scura) rende
più ricco e ammirabile il quadro nuziale, come un fondo d'oro
e d'azzurro, mentre la storia d'amore si svolge con il dinamismo
proprio dell'affresco, dove le singole scene si susseguono senza
interruzione, le une alle altre.
Cosi si passa dall'estasi
innamorata degli amanti alle conversioni dei seguaci, colti nel
gesto di scalzarsi e di correre a piedi nudi, alla processione
dimessa della gente poverella, legata dall'umile capestro, dietro
gli amanti.
Né viltà d’animo gli fece abbassare gli occhi
per il fatto di essere figlio del mercante Pietro Bernardone,
o per il fatto di avere un aspetto tanto spregevole da suscitare
stupore,
ma con regale dignità manifestò al papa Innocenzo
III il suo proposito di una vita austera, e da lui ebbe il primo
riconoscimento del nuovo ordine.
Recatosi a Roma ( verso
85 ) con undici discepoli alla fine del 1209 o all'inizio del
1210, Francesco ottenne dal pontefice Innocenzo III il primo riconoscimento
della sua regola (giugno 1210), anche se si trattò di un'approvazione
soltanto verbale. Il solenne riconoscimento del nuovo ordine avvenne
sotto il pontefice Onorio III con una bolla papale nel novembre
del 1223 (versi 97-99).
Dopo che i seguaci della povertà si moltiplicarono
dietro le orme di costui, la cui vita mirabile si canterebbe meglio
(che altrove) nella gloria del cielo, la santa volontà di questo
pastore fu coronata con una seconda approvazione dallo Spirito
Santo per mezzo di papa Onorio III.
E dopo che, spinto dalla sete del martirio, ebbe
predicato la dottrina di Cristo e degli apostoli alla presenza
del sultano nel fasto della sua corte, .
Dante
ricorda il viaggio in Oriente compiuto da Francesco con dodici
suoi frati nel 1219. Egli tentò di convertire il sultano d'Egitto
Malek-al-Kamil, il quale, pur non accettando la fede cristiana,
ascoltò la predicazione di Francesco e lo trattò benevolmente.
e avendo trovato il popolo musulmano troppo restio ad ogni tentativo
di conversione, per non restare (in terra infedele) senza frutto,
se ne tornò a far fruttificare il seme sparso in Italia, sulla
cima rocciosa (della Verna) tra le valli del Tevere e dell’Arno
ricevette da
Cristo
l’ultima approvazione con le sacre stimmate, che le sue membra
portarono impresse per due anni.
Nel 1224 Francesco, mentre si trovava sulla
Verna per un periodo di Solitudine e di penitenza, ricevette direttamente
da Cristo l'ultimo riconoscimento, il più grande, della sua missione:
le stimmate, che egli portò per due anni, fino alla morte.
Quando a Dio
che lo aveva destinato ad operare tanto bene, piacque di portarlo
in cielo al premio che egli aveva meritato facendosi umile, ai
suoi frati, come a legittimi eredi, raccomando la donna sua più
cara (la Povertà),
e comandò loro
che l’amassero con vera fede; e dal grembo della Povertà la sua
nobile anima volle partire, per tornare al cielo che era il suo
regno, e per il suo corpo non volle altra bara.
Sentendosi
prossimo alla morte, Francesco si fece portare alla Porziuncola,
nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, chiedendo di morire
nudo sulla nuda terra. Le storie si compongono dentro spaziati
riquadri: Francesco e papa Innocenzo III, Francesco e papa Onorio
III, l'approvaz1one verbale dell'uno, l'approvazione solenne dell'altro,
ma entrambe suggerite dallo Spirito Santo, e, in mezzo, la confessione
d'impotenza dell'agiografo nel riconoscere che la vita del Santo
non può esser narrata che come inno di gloria in cielo. E ancora
il terzo riquadro dei potenti - altrettanto suggestivo nella sua
assorta grandezza umana fra i due moti opposti della sete del
martiro (verso 100) e della solitudine (verso 106) - l'incontro
col sultano d'Egitto. Poi, dal mondo alla solitudine: tornato
dall'Oriente in Italia ( di nuovo uno schizzo panoramico aduna
le linee paesistiche intorno ad un centro di vita fulgente, nel
crudo sasso intra Tevero e Arno) riceve il suggello ultimo. Dopo
il mistero delle stimmate la vita di Francesco non è che un commiato,
in attesa del cenno che gli verrà da Dio, che l'ha creato al bene
e alla gloria; e il verso, che era stato drammaticamente robusto
nell'esprimere la sua fiera penitenza, ridiventa andante e lievemente
ritmato nello scandire i momenti della sua morte serena.
Pensa
ora (se tale fu San Francesco) quale dovette essere colui che
fu suo degno compagno nel mantenere la barca di Pietro (la Chiesa)
sulla giusta rotta nel mare tempestoso; e questo fu (San Domenico)
il fondatore del nostro ordine;
per
la qual cosa puoi comprendere come chi segue lui secondo le prescrizioni
della sua regola, accumula validi meriti per la vita eterna.
Ma
il suo gregge è diventato ghiotto di altri cibi, cosicché non
è possibile che non si disperda in pascoli fuori della giusta
strada; e guanto più i suoi frati fanno come le pecore che se
ne vanno erranti e lontane dal pastore, tanto più tornano all’ovile
privi del latte (della dottrina e della virtù ) .
Vi
son bensì alcuni frati che temono il danno (dell’inosservanza
della regola) e si stringono intorno al pastore, ma sono tanto
pochi, che basta poco panno per fornire loro le cappe.
Ora se le mie parole non sono oscure e se tu mi hai ascoltato
attentamente, se richiami alla memoria quello che è stato detto,
sarà in parte appagato il tuo desiderio di chiarimenti,
perché
vedrai per quale causa la pianta dell’ordine domenicano si corrompe,
e vedrai che cosa significa la correzione che ho fatto all’affermazione
“U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”.
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