Paradiso: canto
XVI
O nostra nobiltà di sangue, che sei cosa di si
poco conto, se induci gli uomini a gloriarsi di te quaggiù sulla
terra, dove il nostro amore (verso Dio) ha scarsa forza (poiché
si lascia attrarre dai beni mondani),
Nel Convivio Dante combatte
il pregiudizio di chi ritiene che la vera nobiltà sia solo quella
della stirpe, affermando che "'I divino seme non cade in ischiatta,
cioè in istirpe, ma cade ne le singulari persone, e... la stirpe
non fa le singolari persone nobili, ma le singulari persone fanno
nobile la stirpe" (IV, XX, 5).
per me ormai non sarai più causa di meraviglia,
perché lassù , voglio dire in cielo, dove il nostro desiderio
non può mai essere deviato dalla retta via, io pure mi gloriai
di te.
Certo tu sei come un mantello che presto diventa
corto, così che, se non si aggiunge ogni giorno qualcosa ad esso
(cioè alla virtù degli antenati), il tempo accorcia questo mantello
girandovi intorno con le forbici .
Io ripresi il mio discorso (con Cacciaguida)
usando il “voi” che Roma per prima permise, uso nel quale (ora)
la sua popolazione persevera meno delle altre;
Il Medioevo riteneva erroneamente
che l'uso, in segno di rispetto, del pronome "voi" si fosse diffuso
a Roma per fare, in tal modo, atto di omaggio a Giulio Cesare,
Tuttavia quell'abitudine a Roma scomparve ben presto e ritornò
l'uso del pronome "tu", che permane ancora oggi nella parlata
dialettale del Lazio. Dante si serve poche volte del " voi " che
prima Roma sofferie: con Farinata, Cavalcante, Brunetto Latini,
il pontefice Adriano V, Beatrice.
perciò Beatrice, che stava un poco discosta da
me, sorridendo, parve fare come la dama di Malehaut, quella che
tossì in occasione del primo colloquio d’amore di Giinevra raccontato
nei romanzi francesi.
Nel romanzo bretone Lancelot
da Lac la dama di Malchaut, anch'ella innamorata di Lancillotto,
assistette in disparte al colloquio nel quale la regina Ginevra
e l'eroe si rivelarono il loro reciproco amore e con un colpo
di tosse avvertì gli innamorati della sua presenza e del fatto
che ormai conosceva il loro segreto. Con il suo sorriso Beatrice
fa rilevare a Dante l'umana debolezza da cui ha tratto origine
l'uso del "voi" nei confronti di Cacciaguida.
Io cominciai: “Voi siete il padre mio; voi mi
date un confidente ardire nel parlarvi; voi mi elevate così in
alto, che io mi sento più di quello che sono in realtà.
(Ascoltandovi) il mio animo si riempie di gioia
per così tante vie, che si rallegra con se stesso perché può sostenerla
senza esserne sopraffatto.
Ditemi, dunque, amato capostipite della mia famiglia,
chi furono i vostri antenati, e in quali anni si svolse la vostra
fanciullezza (letteralmente:
quali furono gli anni che si segnarono nei calendari
durante la vostra fanciullezza:
ditemi quanti erano allora gli abitanti di Firenze
( ovil di San Giovanni, in quanto San Giovanni Battista è il patrono
della città), e quali in essa le famiglie degne di salire alle
più alte dignità”.
Come per lo spirare del vento si ravviva un carbone
acceso, così vidi la luce di Cacciaguida risplendere più intensamente
alle mie parole affettuose ;
e come essa si fece più bella ai miei occhi,
così con voce più dolce e soave ( di prima ), ma non nella lingua
che usiamo ora,
Cacciaguida, riprendendo
il discorso, usa il volgare fiorentino arcaico, di contro a quello
dei tempi di Dante, il quale ben conosceva la rapidità con la
quale si modifica la lingua parlata: (De Volgari Eloquentia 1,
IX, 6-8 ) .
mi disse: “ Dal giorno in cui l’arcangelo disse
“Ave” alla Vergine Maria fino al momento del parto con il quale
mia madre, che ora è beata in cielo, si sgravò di me di cui era
incinta,
il rosso pianeta Marte venne 580 volte ad attingere
nuovo calore sotto il piede del Leone, la costellazione che ha
la sua stessa natura.
Poiché secondo la teoria
di Alfragano il pianeta Marte compie la sua rivoluzione in 687
giorni, sono trascorsi 1091 anni dal 25 marzo, giorno dell'Annunciazione
(dal quale i Fiorentini computavano gli anni) fino al giorno della
nascita di Cacciaguida. Al suo Leon: questa costellazione, infatti,
è di "complessione calda e secca come Marte" (Pietro di Dante).
I miei avi ed io nascemmo in quel puntodi Firenze
dove per chi corre il vostro palio annuale incomincia l’ultimo
sestiere.
Firenze celebrava ogni
anno la festa del suo patrono, San Giovanni Battista, con un palio
il cui percorso attraversava la città da ponente a levante. Il
sestiere di porta San Piero (uno dei tanti in cui era divisa Firenze)
era l'ultimo che la corsa del palio doveva attraversare; all'inizio
di esso (pria) si trovava l'imbocco di via degli Speziali, dove
sorgevano le case degli Elisei (e questo proverebbe la tesi secondo
la quale Cacciaguida discende dagli Elisei ), mentre gli Alighieri
avevano la loro casa nella zona di San Martino, lontana dal percorso
del palio. È certo, tuttavia, che Dante intende rilevare che la
sua famiglia, come tutte quelle di antica origine, aveva sede
entro la vecchia cerchia murale.
Dei miei antenati ti basti sapere questo: chi
essi fossero e da dove siano venuti qui a Firenze, è più opportuno
tacere che dire.
Tutti coloro che in quel tempo erano atti alle
armi a Firenze nella zona compresa tra la statua di Marte (sul
Ponte Vecchio) e il Battistero, erano la quinta parte di quelli
che ora sono nella città.
Il Villani (Cronaca VIII,
39) fa ascendere la popolazione di Firenze nei 1300 a "più di
trentamila cittadini". Quindi al tempo di Cacciaguida la città
contava poco più di seimila abitanti (occorre ricordare, a questo
proposito, che nel Medioevo spesso la popolazione di una città
era calcolata in base al numero di coloro che erano atti a portare
le armi). Tra Marte e 'I Batista: cioè tra il Ponte Vecchio, sul
quale si trovava un'antica statua mutila di Marte ( cfr. Inferno
XIII, 146-147), che i Fiorentini guardavano con superstizioso
ti, more, e il bel San Giovanni.
Ma la popolazione, che ora è mescolata con famiglie
del contado venute da Campi, da Certaldo e da Figline, appariva
di puro sangue fiorentino fino al più umile artigiano.
Dal contado fiorentino
(Campi è nella valle del Bisenzio, Certaldo in Valdelsa, Figline
in Valdarno) giunse la gente nova che contaminò la purezza della
stirpe romana dalla quale erano discesi gli abitanti della Firenze
antica.
Oh quanto sarebbe meglio che quelle genti di
cui ho parlato fossero solo vostre confinanti, e che voi aveste
il confine della vostra città a Galluzzo e a Trespiano,
A Galluzzo (borgo a due
miglia da Firenze, sulla strada di Siena) e a Trespiano ( località
poco lontana da Firenze, sulla strada di Bologna ) terminava il
confine della città al tempo di Cacciaguida.
anziché averle dentro le mura e sostenere il
tanfo contadinesco di Baldo d’Aguglione, di Fazio da Signa, che
certo ha l’occhio pronto a cogliere ogni occasione di baratteria!
Lo sdegno del Poeta per
la gente nova si concentra su due personaggi, nei quali il pazzo
del villan è diventato anche sozzura morale. Il primo è Baldo
di Guglielmo d'Aguglione o Aquilone (un castello della val di
Pesa), il quale fu un famoso giurista che partecipo alla vita
politica della sua città. Fu, tra l'altro, promotore della Riforma
del 2 settembre 1311, con la quale venne riconfermato l'esilio
dei Ghibellini e dei Bianchi, fra i quali era anche Dante. Il
secondo personaggio è Fazio dei Morubaldini da Signa, anch'egli
giureconsulto; la sua disonestà in campo politico è testimoniata
dal suo improvviso passaggio dal partito dei Bianchi a quello
dei Neri "per malfare" (Compagni - Cronaca II, 23).
Se la gente di Chiesa, che oggi nel mondo è quella
che più devia dal retto cammino, non fosse stata avversa all’imperatore
(a Cesare) come una matrigna, ma si fosse comportata (nei suoi
confronti)
come una madre piena d’amore verso il figlio,
taluni che sono diventati fiorentini ed esercitano l’arte del
cambio e della mercatura, avrebbero invece continuato a vivere
nel contado di Semifonte, là dove i loro antenati facevano la
ronda di notte (attorno alle mura):
Ritorna il pensiero dominante
nella dottrina politica di Dante: origine di ogni male è la guerra
mossa dalla Chiesa, avida e corrotta, all'Impero, il quale vide
ridotta la propria autorità e la propria forza di fronte alle
città italiane. Queste, come la guelfa Firenze, poterono così
ingrandirsi e assorbire tutto il contado. Secondo il Torraca,
invece, Dante intenderebbe alludere al trattato di San Genesio
(11 novembre 1197), col quale le città e i signori di Toscana
si unirono in lega difensiva e offensiva, presenti due cardinali,
e firmarono di non ricevere alcuno imperatore o nunzio o rappresentante...
se non con 1'assenso o con speciale mandato della Chiesa romana".
Da Semifonte (castello della Valdelsa) giunse a Firenze la famiglia
dei Velluti, un membro della quale, Lippo, appartenente al partito
dei Neri, fu uno dei capi della rivolta dei magnati contro Giano
della Bella e uno dei responsabili del crollo dell'equilibrato
governo dei Bianchi. Cosi il Buti spiega l'espressione andava...
alla cerca: "col panieri e col` somieri vendendo la merce, come
vanno per lo contado i rivenditori'. Alla cerca significa, invece,
per l'Ottimo e Benvenuto, "alla guardia" e in tale senso il termine
fu usato nel volgare fiorentino del tempo.
il castello di Montemurlo sarebbe ancora dei
conti Guidi; i Cerchi sarebbero ancora nella pieve di Acone, e
forse i Buondelmonti ancora in Val di Greve.
Se l'autorità dell'Impero
fosse rimasta intatta, non sarebbe entrata in crisi neppure la
feudalità, disorganizzata ed incapace di resistere agli assalti
dei giovani Comuni. Cosi non solo Firenze conquistò il contado
e permise che diventassero suoi cittadini avventurieri come i
Velluti, ma vide aumentare anche il numero dei suoi nobili. Infatti
i Comuni, usciti vittoriosi dalle lotte contro i feudatari, imponevano
ai nobili del contado, come ricorda il Mattalia, o il trasferimento
definitivo in città o un soggiorno annuale, a titolo di garanzia
e di efficace controllo. L aumento del numero delle famiglie nobili
e la loro diversa provenienza contribuirono ad accrescere le discordie.
Il castello di Montemurlo, situato fra Pistoia e Prato, era un
feudo imperiale dei conti Guidi ( chiamati a Firenze i Conti per
antonomasia, essendo una delle più potenti famiglie feudali della
Toscana), i quali, non essendo in grado di difenderlo contro i
Pistoiesi, lo cedettero a Firenze nel 1219. Originari di Acone,
in val di Sieve, i Cerchi si trasferirono a Firenze nel secolo
XII, diventando in breve una delle famiglie più ricche (per i
loro floridi commerci), e più potenti (perché furono a capo dei
Guelfi bianchi ) . La famiglia dei Buondelmonti (un membro della
quale fu la causa diretta della divisione interna di Firenze;
cEr. versi 140-144) occupò il castello di Montebuoni, in Val di
Greve, fino al 1135, anno in cui esso venne distrutto dai Fiorentini
e la famiglia dovette trasferirsi nella città gigliata ( cfr.
Villani Cronaca IV, 36).
La mescolanza di stirpi diverse fu sempre causa
di rovina per lo stato, come (è causa di malattia) per il vostro
corpo il cibo che si sovrappone (nello stomaco ad un altro non
ancora digerito); e un toro cieco cade più presto di un agnello
cieco; e spesso una spada sola ferisce più e meglio che non cinque
spade.
Dalla Politica di Aristotile
Dante ha derivato il principio che la rovina di una città è causata
dal disordine e dagli squilibri provocati dal sovrapporsi di elementi
forestieri su quelli indigeni. Inoltre una città grande e dissennata
(il cieco toro) si regge con maggiore difficoltà che non una città
piccola e dissennata ( il cieco agnello ), perché attira su di
se più facilmente gli attacchi dei nemici; inoltre uno stato può
agire con più decisione ed efficacia quando i suoi cittadini sono
poco numerosi ( più e meglio una che le cinque spade).
Se tu consideri come sono andate in rovina Luni
e Urbisaglia, e come si stanno spegnendo sulle loro orme Chiusi
e Sinigaglia, non ti sembrerà cosa strana né difficile a capirsi
che si spengono (anche) le famiglie, dal momento che la vita delle
città è soggetta alla rovina.
La decadenza di Luni,
antica città etrusca presso la foce del fiume Magra (Inferno XX,
47), fu provocata dai Saraceni, mentre furono i Visigoti a distruggere
Urbisaglia (Urbs Salvia), presso Tolentino. Al tempo di Dante
erano ormai prossime alla scomparsa due città un tempo fiorenti:
l'etrusca Chiusi, in Val di Chiana, e la romana Sena Gallica,
Sinigaglia, la cui decadenza era dovuta alla malaria e alle devastazioni
alle quali era stata sottoposta prima dai barbari e poi dai signori
di Romagna.
Le cose terrene, così come ( avviene per) voi
uomini, sono tutte soggette alla morte, ma essa sembra non manifestarsi
in alcune cose che durano a lungo ( come le città o le schiatte);
d’altra parte la vita umana è cosi breve (che non permette di
vedere la loro fine ) .
E come il girare del cielo della Luna (generando
i flussi e i riflussi della marea) copre e lascia scoperte alternativamente
le spiagge del mare, così la Fortuna ora innalza, ora abbassa
le sorti di Firenze: per questo motivo non deve stupire ciò che
io dirò dei Fiorentini di antica nobiltà, la fama dei quali è
coperta dall’oblio del tempo.
Io vidi gli Ughi, e vidi i Catellini, i Filippi,
i Greci, gli Ormanni e gli Alberichi, già in decadenza e in via
di estinzione, sebbene ancora illustri cittadini;
Cacciaguida enumera le
famiglie che dopo un periodo di grande splendore erano già entrate
nella fase decadente al suo tempo ed erano scomparse completamente
al tempo di Dante (cfr. anche Villani, Cronaca IV, 11-13).
e vidi famiglie la cui potenza era pari all’antichità,
con gli appartenenti alla famiglia dei della Sannella, dei dell’Arce,
e i Soldanieri e gli Ardinghi e i Bostichi.
Queste famiglie mantenevano
intatte, al tempo di Cacciaguida, la loro grandezza e la loro
fama. Nel secolo XIV esse, come riferisce l'Ottimo, erano già
decadute o scomparse o mandate in esilio, come quella dei Soldanieri.
Presso porta San Piero, che ora è piena di felloneria
portata da gente appena arrivata, felloneria così grave che presto
causerà la rovina della città che l’accoglie,
La fellonia che provocherà
la rovina di Firenze è quella dei Cerchi ( gente nova, perché
appena giunta dal contado), che nel 1280 acquistarono dai conti
Guidi il quartiere situato presso porta San Piero. Tuttavia non
è chiaro il significato da attribuire a fellonia: il Torraca propone
quello di "malvagità", il Del Lungo, con riferimento alla incerta
condotta dei Cerchi al momento dell'entrata in Firenze di Carlo
di Valois, quello di " tradimento all'unità di parte e della città".
Il termine potrebbe alludere anche alle discordie fomentate dai
Cerchi, che capeggiavano in Firenze il partito dei Bianchi.
abitavano i Ravignani,
dai quali sono discesi il conte Guido e tutti coloro che hanno
poi preso il nome dal nobile Bellincione.
Capo
della famiglia dei Ravignani fu Bellincione Berti, la cui figlia,
la buona Gualdrada (Inferno XVI, 37), sposò Guido Guerra, capostipite
dei conti Guidi. Un'altra figlia sposò Ubertino Donati e i loro
discendenti furono chiamati Bellincioni; inoltre questo nome famoso
fu rinnovato più volte nella famiglia degli Adimari, discesa da
un'altra figlia di Bellincione.
Gli appartenenti alla famiglia della Pressa avevano già esperienza
di governo, e i Galigai erano già stati insigniti della dignità
di cavalieri.
Abbiamo notizia di queste famiglie Abbiamo
notizie di queste famiglie ghibelline dal Villani ( Cronaca IV,
10; V, 39; Vl, 65 e 70; cfr. anche Compagni - Cronaca 1, 12):
la prima abitava nel quartiere vicino al Duomo, la seconda, i
cui membri potevano fregiarsi del titolo di cavaliere e portare
la spada dall'impugnatura dorata (simbolo dell'ordine cavalleresco),
in quello vicino alla chiesa di Orsanmichele.
Erano
già grandi la famiglia dei Pigli, quella dei Sacchetti. dei Giuochi.
dei Fifanti e dei Barucci e dei Galli e dei Chiaramontesi, coloro
che arrossiscono di vergogna per la frode dello staio di sale.
I
Pigli, il cui stemma era una striscia verticale di vaio (pelle
conciata adoperata per ornamento) in campo rosso, erano ghibellini,
come tutte le famiglie qui enumerate, ad eccezione di quella dei
Sacchetti. Questi ultimi furono acerrimi nemici degli Alighieri,
con i quali si riconciliarono solo nel 1342 per intervento del
Duca d'Atene. E quei ch'arrossan per lo staio: la frode perpetrata
ai danni del comune fiorentino da Donato dei Chiaromontesi, che
vendeva il sale con una misura di staio irregolare, è già stata
ricordata da Dante nel Purgatorio (canto XII, verso 105).
La schiatta da cui discese la famiglia dei Calfucci era già grande,
e già erano stati chiamati alle più alte cariche pubbliche i Sizii
e gli Arrigucci.
Il
ceppo dei Calfucci fu la grande consorteria dei Donati (Villani,
Cronaca IV, 11 ) . Sempre il Villani ( Cronaca IV, 10; V, 39)
ci informa che i Sizii e gli Arrigucci furono famiglie di parte
guelfa. Alle curale: nell'antica Roma le sedie curuli erano riservate
agli alti magistrati.
Oh
quanto potenti io vidi gli Uberti, che (ora) sono caduti in rovina
per la loro superbia! e l’insegna dei Lamberti dava lustro a Firenze
in tutte le sue grandi imprese.
Cacciaguida ricorda ora gli Uberti (cfr. Inferno X, 31 sgg.),
considerati "padri della cittade" (Ottimo) fino al momento in
cui nacquero le prime divisioni civili, e i Lamberti (il cui stemma
era costituito da palle d'oro in campo azzurro), altra famiglia
ghibellina, anch'essa, come quella degli Uberti, messa al bando
dopo la sconfitta di Montaperti ( 1260).
Allo stesso modo (dei Lamberti) onoravano Firenze
gli antenati dei Visdomini e dei Tosinghi, i quali, quando la
vostra sede vescovile è vacante, ne approfittano per arricchirsi
allorché si riuniscono insieme per amministrarla.
Per antico privilegio i
membri delle due famiglie ora ricordate da Dante erano autori
e protettori ( Ottimo ) della diocesi di Firenze, che essi amministravano
durante tutto il periodo in cui la sede vescovile rimaneva vacante,
procurando di trarre lauti guadagni da questo loro incarico.
La prepotente schiatta (degli Adimari) che infierisce
(s’indraca: si fa feroce come drago) su chi fugge, e diventa umile
come un agnello davanti a chi le mostra i denti o le offre la
borsa, già iniziava l’ascesa, ma modesta era la sua origine tanto
che a Ubertino Donati non piacque che il suocero ( Bellincione
Berti ) lo facesse poi diventare loro parente.
I Caponsacchi erano già scesi da Fiesole ed abitavano
nei pressi del Mercato Vecchio, ed eran già diventati cittadini
ragguardevoli i Giudi e gli Infangati.
Per
comprendere appieno la violenza dello sdegno che si abbatte sugli
Adimari (cfr. anche Inferno VIII, 31,63), occorre ricordare che
un membro di questa famiglia, Boccaccino dei Cavicciuli Adimari,
chiese ed ottenne dal comune fiorentino che i beni di Dante, già
condannato all'esilio, fossero tutti confiscati. Dante considerava
gli Adimari di umili origini, mentre essi erano una delle più
antiche e nobili famiglie fiorentine, cosicché ritiene sia sta
un'onta per Ubertino Donati, che aveva sposato una figlia di Bellincior
Berti, l'essersi imparentato, per il matrimonio di una sorella
della mogli' con l'oltracotata schiatta.
Dirò una
cosa incredibile eppure vera nella cerchia antica si entrava per
una porta che prendeva nome dalla famiglia dei della Pera.
Il Villani (Cronaca IV,
I I e 13) ricorda che tutte e tre queste famiglie appartenevano
al partito ghibellino.
Tutte le
famiglie che portano (nel loro stemma ) la bella insegna di Ugo
il Grande, la cui fama e le cui opere sono commemorate nel giorno
festivo di San Tommaso,
Nel
passato la potenza e la fama di questa famiglia, ormai scomparsa
al tempo di Dante, erano tali che la porta delle antiche mura,
presso cui essa aveva la sua casa, si chiamava porta Peruzza.
ricevettero
da lui la dignità cavalleresca e il privilegio (di portare il
suo stemma), sebbene oggi uno che adorna quell’insegna col fregio
(di una fascia d’oro) si sia schierato dalla parte del popolo.
Fiorivano
già le famiglie dei Gualterotti e degli Importuni; e il quartiere
di Borgo Santi Apostoli sarebbe ancor oggi più tranquillo, se
esse non avessero avuto i nuovi vicini.
Molte
famiglie fiorentine (Giandonati, Pulci, Nerli, della Bella, Gargalandi,
Ciuffagni, Alepri) hanno nel loro stemma le sette doghe vermiglie
in campo bianco, che ornavano l'insegna di Ugo il Grande di Brandeburgo,
marchese di Toscana, vicario dell'imperatore Ottone 111. Stabilitosi
in Toscana, Ugo vi fondò, per voto, sette badie, tra le quali
quella di Firenze, dove fu sepolto alla sua morte ( 1001 ) e dove
ogni anno, nel giorno anniversario della sua scomparsa, 21 dicembre,
festa di San Tommaso apostolo, si celebravano solenni esequie.
Il discendente di una di queste famiglie, la cui nobiltà risale
a Ugo il Grande, è Giano della Bella, il quale con i suoi famosi
"Ordinamenti di giustizia" (1293) si è ora schierato in difesa
del popolo contro le prepotenze dei nobili e dei ricchi.
La casa
(degli Amidei) da cui nacque il pianto di Firenze, a causa del
loro legittimo sdegno che (però) vi ha portati alla rovina, e
ha posto fine alla vostra vita serena e pacifica,
A
Borgo Santi Apostoli si stabilirono, accanto ai Gualterotti e
agli Importuni, i Buondelmonti, provenienti d'Oltrarno, i quali
diedero l'avvio alle discordie civili (versi 136-147).
era tenuta
in onore, essa e la sua consorteria (i Gherardini e gli Uccellini):
o Buondelmonte, quanto facesti male a venir meno alla promessa
di nozze con una donna di quella famiglia per istigazione altrui!
Molti,
che ora sono tristi (per i lutti causati dalla divisione della
città), sarebbero invece lieti, se Dio ti avesse fatto annegare
nel fiume Ema la prima volta che venisti a Firenze.
Buondelmonte dei Buondelmonti,
promesso sposo a una fanciulla della casa degli Amidei, venne
meno alla parola data lasciandosi persuadere da Gualdrada Donati
(per li altrui conforti) a sposare una delle sue figlie. Questo
fatto provocò lo sdegno degli Amidei, che vollero vendicare l'offesa
subita uccidendo Buondelmonte. Gli storici fiorentini (Villani,
Cronaca V, 38; Compagni - Cronaca I, 2), che ricordano il tragico
episodio avvenuto nel 1215, fanno risalire a queste discordie
la divisione di Firenze in Guelfi (la parte dei Buondelmonti)
e Ghibellini ( la parte degli Amidei ) .
Ma era necessario
che Firenze, giunta alla fine del suo periodo di pace interna,
immolasse una vittima alla statua mutila di Marte che è in capo
al Ponte Vecchio.
L'Ema
è un fiume della val di Greve che si doveva attraversare venendo
da Montebuono, castello avito dei Buondelmonti, a Firenze. La
famiglia si era trasferita nella città fin dal 1135, ma probabilmente
alcuni suoi membri erano rimasti nel contado, passando a Firenze
solo in un secondo momento. Il Buti racconta che quando Buondelmonte
vi si recò per la prima volta corse il rischio di annegare nell'Ema.
Con
queste famiglie e con altre insieme a loro, vidi Firenze in una
pace cosiì profonda, che non c’era nulla da cui ricevesse motivo
di sofferenza:
I
consorti degli Amidei, infatti, uccisero Buondelmonte nel giorno
di Pasqua del 1215 ai piedi della statua mutila di Marte (cfr.
Inferno XIII, 146-147).
con
queste famiglie io vidi il suo popolo così glorioso e concorde,
che l’insegna del giglio non era mai stata capovolta in cima all’asta,
né il giglio bianco era mai stato sostituito con quello rosso
per le lotte di partito ”.
Il
comune fiorentino, tra tutti i comuni toscani, fu, al tempo di
Cacciaguida, il più glorioso (la sua insegna, infatti, non venne
mai trascinata capovolta per dileggio dal nemico vincitore, secondo
l'uso del tempo ) e il più giusto (nessun cittadino ebbe necessità
per distinguere il suo partito da quello avverso, di cambiare
in rosso il giglio bianco di Firenze, come invece avvenne nel
1251, dopo la guerra contro Pistoia). Infatti, cacciati i Ghibellini,
"il popolo e li Guelfi, che dimorarono alla signoria di Firenze...
dove anticamente si portava il campo rosso e 'l giglio bianco,
si feciono per contrario il campo bianco e '1 giglio rosso" (Villani
- Cronaca IV, 43), mentre i Ghibellini mantennero l'antica insegna.
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