CRITICA LETTERARIA: IL SETTECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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IL VICO "SCOPRITORE" DELL'ESTETICA

di BENEDETTO  CROCE



In questa nota pagina, il Croce riconosce al Vico il merito di aver colto gli aspetti essenziali della creazione poetica e di aver quindi posto i fondamenti dell'Estetica. Il Vico mentre supera concezioni improprie e inadeguate dell'arte trasmesse dalla tarda antichità sino ai suoi tempi, intuisce il carattere alogico e fantastico della poesia che egli definisce come « prima operazione della mente umana » che precede il momento della riflessione filosofica.

L'Estetica è da considerare veramente una scoperta del Vico: sia pure con le riserve onde s'intendono sempre circondate tutte le determinazioni di scoperte e di scopritori, e quantunque egli non la trattasse in un libro speciale, né le desse il nome fortunato col quale doveva battezzarla, qualche decennio più tardi, il Baumgarten. Del resto, giova notare che nella terminologia della Scienza nuova s'incontra un nome simile ad alcuno degli equivalenti che il Baumgarten passava in rassegna per l'Estetica: quello di Logica poetica. Ma, in fondo, il nome importa poco, e assai importa la cosa; e la cosa è che il Vico espone una idea della poesia, che era a quei tempi, e doveva rimanere per un pezzo ancora, un'ardita e rivoluzionaria novità. Persisteva allora la vecchia idea praticistica o pedagogica, che dalla tarda antichità, attraverso il Medioevo, si era trapiantata e radicata nel Rinascimento, della poesia come ingegnoso rivestimento popolare di sublimi concetti filosofici e teologici; e, accanto a questa, sebbene in grado minore, l'altra che la considerava come prodotto o strumento di svago e di voluttà. Queste concezioni avevano alterato perfino il senso originale del trattato aristotelico della Poetica, nel quale venivano introdotte e poi lette come se effettivamente Aristotele le avesse pensate e scritte. Né il cartesianismo le rettificò, ma piuttosto (com'era da aspettare, data la sua generale tendenza) attenuò e annullò l'oggetto medesimo di quelle definizioni, come cosa di nessuno o di trascurabile valore. In un tempo in cui si cercava di-ridurre a forma matematica la metafisica e l'etica, in cui si dispregiava l'intuizione del concreto, si escogitavano una letteratura e una poesia atte a diffondere la scienza nel volgo o nel bel mondo, s'iniziavano tentativi per foggiare lingue artificiali logiche più perfette di quelle storiche e viventi, e perfino si teneva possibile di stabilire regole per comporre arie musicali senza essere musicisti e poemi senza essere poeti; - in codesto ambiente distratto, gelido, nemico, beffardo, solo un miracolo sembra potesse risvegliare una diversa e opposta coscienza, una coscienza calda e veemente di quel che sia veramente la poesia e della sua originale funzione; e questo miracolo fu compiuto dallo spirito tormentato, agitato e scrutatore di Giambattista Vico.
Il quale criticò tutt'insieme le dottrine della poesia, come esortatrice e mediatrice di verità intellettuali, come cosa di mero diletto, e come esercitazione ingegnosa di cui si possa senza danno far di meno. La poesia non è sapienza riposta, non presuppone la logica intellettuale, non contiene filosofemi: i filosofi, che ritrovano queste cose- nella poesia, ve le hanno ficcato dentro essi stessi, senza avvedersene. La poesia non è nata per capriccio di piacere, ma per necessità di natura. La poesia tanto poco è superflua ed eliminabile che, senza di essa, non sorge il pensiero: è la prima operazione della mente umana. L'uomo, prima di essere in grado di formare universali, forma fantasmi; prima di riflettere con mente pura, avverte con animo perturbato e commosso; prima di articolare, canta; prima di parlare in prosa, parla in versi; prima di adoperare termini tecnici, metaforeggia, e il suo parlare per metafore è tanto proprio quanto quello che si dice « proprio ». La poesia, non che essere una maniera di divulgare la metafisica, è distinta e opposta alla metafisica: l'una purga la mente dai sensi, l'altra ve la immerge e rovescia dentro; l'una è tanto più perfetta quanto più s'innalza agli universali, l'altra quanto più si appropria ai particolari; l'una infievolisce la fantasia, l'altra la richiede robusta; quella ci ammonisce di non fare dello spirito corpo, questa si diletta di dare corpo allo spirito; le sentenze poetiche sono composte di sensi e passioni, quelle filosofiche di riflessioni, che, usate nella poesia, la rendono falsa e fredda: non mai, in tutta la distesa dei tempi, uno stesso uomo fu insieme grande metafisico e grande poeta. Poeti e filosofi possono dirsi gli uni il senso, gli altri l'intelletto dell'umanità; e in tale significato è da ritenere vero il detto delle scuole che < niente è nell'intelletto che prima non sia nel senso ». Senza il senso, non si dà intelletto; senza poesia, non si dà filosofia né civiltà alcuna.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it