IL RAZIONALE
ENTUSIASMO DELL'ILLUMINISMO
di
CLAUDIO VARESE
L'età dell'Illuminismo è caratterizzata da un entusiasmo di scoperta e da un'ansia di allargamento e approfondimento del sapere quali poche epoche possono vantare. Il pensiero si rivolge con commossa ed inesausta passione al mondo esterno per indagarlo e insieme si ripiega su se stesso per conoscere la sua stessa essenza e le sue possibilità. Infatti, all'aumento «quantitativo» del sapere si accompagna contemporaneamente una più sicura e fiduciosa conoscenza dell'attività dello spirito, che del sapere costituisce il centro unificatore, la forza che impedisce ogni dispersione nella molteplicità delle conoscenze. A tale forza l'Illuminismo dà il nome di «ragione».
All'inizio del «Saggio sugli elementi della fisolofia» il d'Alembert pone una descrizione, con la quale tenta di tratteggiare un quadro generale delle condizioni dello spirito umano alla metà del secolo XVIII. E prende le mosse dall'osservazione che in tutti i tre ultimi secoli si può osservare intorno alla loro metà un notevole rivolgimento della vita spirituale. Nel secolo XV incomincia, dice, il movimento letterario-spirituale del < Rinascimento »; nel XVI la Riforma religiosa attinge l'apogeo; nel XVII la vittoria della filosofia cartesiana modifica decisamente tutta la visione del mondo. È possibile constatare un movimento analogo anche nel secolo XVIII? e come se ne possono definire l'indirizzo e la tendenza fondamentale? «Tostoché», cosí continua il d'Alembert, «si considera attentamente il secolo, alla cui metà ci troviamo, tostoché si tengono presenti gli avvenimenti che si svolgono davanti a noi, i costumi nei quali viviamo, le opere che produciamo e fin le conversazioni che teniamo, si nota senza fatica che in tutte le nostre idee è avvenuto un mutamento notevole: un mutamento che per la sua rapidità fa prevedere una rivoluzione ancor maggiore nell'avvenire. Solo col tempo sarà possibile determinare esattamente l'oggetto di questa rivoluzione e indicarne la natura e i limiti... e i posteri saranno in grado di conoscerne meglio di noi i difetti e i pregi. La nostra epoca ama chiamarsi anzitutto l'epoca della filosofia. Difatti, quando si studi senza pregiudizi lo stato presente della nostra conoscenza, non si può negare che la filosofia abbia fatto tra noi progressi notevoli. La scienza della natura acquista di giorno in giorno nuove ricchezze; la geometria allarga il suo territorio ed è già penetrata in quei campi della fisica che le erano più vicini, il vero sistema dell'universo è stato finalmente conosciuto, sviluppato e perfezionato. Dalla Terra a Saturno, dalla storia dei cieli a quella degli insetti, la scienza naturale ha mutato faccia. E con essa tutte le altre scienze hanno assunto una forma nuova. Certo, lo studio della natura, considerato per sé solo, sembra freddo e pacato; e non è veramente adatto ad eccitare le passioni; ma sembra piuttosto che la
soddisfazione che esso ci dà consista in un sentimento tranquillo, costante e uniforme. La scoperta, però, e l'uso di un nuovo metodo di filosofare suscita ciò
nondimeno per l'entusiasmo che accompagna tutte le grandi scoperte, una fioritura universale delle idee. Tutte queste cause hanno contribuito a produrre un vivo fermento degli spiriti. Questo fermento che agisce in tutte le direzioni ha afferrato tutto quanto gli si presentava, con violenza, come un torrente che rompa gli argini. Dai principi della scienza ai fondamenti della religione rivelata, dai problemi della metafisica a quelli del gusto, dalla musica alla morale, dalle controversie teologiche alle questioni dell'economia e del commercio, dalla politica al diritto dei popoli e alla giurisprudenza civile, tutto fu discusso, analizzato, agitato. Una luce nuova che si stese su molti argomenti, nuove oscurità che ne derivarono, furono il frutto di quel generale fermento degli spiriti: cosí come l'effetto dell'alta e della bassa marea consiste nel portare a riva parecchie cose nuove e nello staccarne delle altre».
Qui ci parla uno dei più insigni scienziati dell'epoca e uno dei suoi portavoce spirituali... sicché sentiamo nelle sue parole direttamente il modo e l'indirizzo di tutta la sua vita spirituale. L'epoca, nella quale vive il d'Alembert, si sente presa e spinta innanzi da un movimento possente; ma non può e non vuole soltanto abbandonarsi a questo movimento, vuole invece comprendere donde venga e dove vada, intenderne l'origine e la meta. Questo sapere riguardante la propria attività; questa concentrazione spirituale in se stessa e questa disamina dell'avvenire le sembrano il vero significato del pensiero in genere e il compito essenziale che gli è posto, il pensiero non tende soltanto a mete nuove, fino allora sconosciute: vuol sapere dove sia diretto il viaggio e determinarne la direzione con la propria attività. Esso si pone di fronte al mondo con una nuova gioia e un nuovo coraggio di scoperta; ne attende ogni giorno nuove spiegazioni: eppure la sua brama di sapere e la sua curiosità intellettuale non sono dirette al mondo soltanto. Il pensiero si sente preso e commosso ancor più appassionatamente da un altro problema: dal desiderio di sapere che cosa esso sia e che cosa possa. Da tutti i suoi viaggi di scoperta, intesi ad allargare l'orizzonte della realtà oggettiva, esso ritorna a quel suo punto di partenza. Le parole del Pope: «the proper study of mankind is man» racchiudono un'espressione viva e incisiva di quel sentimento fondamentale dell'epoca. L'epoca ha la sensazione che in essa stia operando una forza nuova; ma più che dalle creazioni che questa forza fa sorgere continuamente, è presa dal modo della sua attività stessa.
Essa non gode esclusivamente dei suoi risultati, ma indaga la forma della sua efficacia e cerca di rendersene conto.
In questo senso va considerato per tutto il secolo XVIII il problema del «progresso» spirituale. Forse nessun altro secolo fu cosí profondamente compenetrato e entusiasta dell'idea del progresso spirituale come il secolo dell'illuminismo. Ma disconosce il significato più profondo e il vero nocciolo di questa idea chi intende il «progresso» esclusivamente in senso quantitativo come un semplice ampliamento del sapere, come un «progressus in indefinitum». Di fianco all'allargamento quantitativo sta invece sempre una determinazione qualitativa; alla continua espansione oltre la periferia del sapere corrisponde un ripiegamento sempre più cosciente e deciso verso il suo centro autentico e peculiare. Si va in cerca della pluralità per accertarsi in essa e con essa di questa unità; ci si abbandona alla larghezza del sapere col sentimento e con la sicura previsione che questa larghezza non indebolisce o dissolve lo spirito, ma lo riconduce a se stesso e lo «concentra» in sé. Riappare continuamente il fatto che le diverse direzioni, nelle quali lo spirito deve muoversi se la totalità della realtà gli si deve schiudere e se esso deve costruirne il quadro generale, divergono solo apparentemente. Per quanto queste direzioni, considerate oggettivamente, sembrino divergenti; questa loro divergenza non è però una semplice dispersione. Anzi, tutte le diverse energie dello spirito restano conchiuse in un comune centro di energia. La molteplicità e diversità delle forme non è se non la scomposizione, il completo spiegamento, la completa evoluzione di una forza formatrice uniforme e unitaria nella sua essenza. Quando il secolo XVIII vuol definire questa forza, quando vuol racchiudere l'essenza in un nome, ricorre alla parola «ragione». La «ragione» gli diventa un punto unitario e centrale: diventa l'espressione di tutto ciò che essa brama, agogna, vuole e
compie. |