CRITICA LETTERARIA: IL QUATTROCENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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La scoperta dei codici

Concezioni e ideali dell'Umanesimo

L'Umanesimo e la filologia

Origine e diffusione della filologia umanistica

Il volgare italiano dopo la crisi dell'Umanesimo

La pacata prosa dell'Alberti

Intenzioni e caratteri dell'arte di Masuccio

La varia poesia del Pulci

Il gusto della vita attiva ed energica nell'Orlando Furioso

Lorenzo "dilettante" di genio

L' "ottava" del Poliziano

La lingua poetica del Poliziano

La polemica antiletteraria di Leonardo

La predicazione del Savonarola

Malinconia e idillio nell'Arcadia

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LA SCOPERTA DEI CODICI

di G. BILLANOVICH



I dotti italiani, guidati direttamente o indirettamente, dal sagace esempio del Petrarca, si diedero con illuminata passione alla scoperta, all'illustrazione e alla riproduzione dei manoscritti degli antichi autori, fornendo così alla filologia quattrocentesca gli ingenti materiali su cui essa poté operare la sua rivoluzione culturale.

I primi esempi di codici regolati dalle preoccupazioni nuove dell'umanesimo apparvero nei centri classicistici italiani verso la fine del Duecento e i primi anni del Trecento. Ma subito dopo come Avignone, la sede della cancelleria pontificia e la sede del Petrarca, diventò il centro più importante per il rinnovamento delle tradizioni dei testi letterari, cosi fu anche il centro dove furono rinnovati e perfezionati i modelli di codice letterario. Il codice letterario regolare e pesante con margini ampi e talora con illustrazioni ricche; alimentato sovente con tradizioni di testi insolite o del tutto nuove, incominciò a essere allestito da chierici e giuristi italiani nella precoce Avignone durante il secondo venticinquennio del Trecento, e diventò in Italia il modello comune soltanto nella seconda metà di quel secolo. E il Petrarca formò e perfezionò, tra i suoi venti e trent'anni, un caratteristico sistema di annotazione, che subito dopo egli insegnò a usare ai lettori più svegli.

Il rinnovamento delle tradizioni dei testi classici eseguito dagli italiani nel Trecento fu tanto rapido e tanto profondo perché durante la sua fase più delicata esso fu diretto da uno stratega che fu artista altissimo e filologo lucido, solido diplomatico e maestro, senza cattedra, in una accademia europea di amici affezionatissimi: dal Petrarca. Ma né il Petrarca, che pure fu accusato, spesso di loquacità vanitosa, né i suoi amici sentirono quasi mai il bisogno di descrivere le loro battute e le loro scoperte dentro le vecchie biblioteche di monasteri e di cattedrali. Essi furono i mietitori di campi cosí vergini e cosí ricchi, che quasi sempre sembrò a loro inutile accompagnare i ritrovamenti di nuovi testi con esclamazioni di meraviglia o di vanità. Per questo loro discreto silenzio il grande movimento delle loro felici conquiste rimase per i posteri un fiume sotterraneo e ignoto. E se ora vorremo conoscere le vicende di questa avventura primaria della cultura europea, dovremo strapparne le storie segrete alle varianti e alle note dei manoscritti di autori classici studiati in quest'epoca.

Metà della stessa personalità del Petrarca è ancora velata da una penombra dì eclissi. Gli elogi rivolti al Petrarca poeta e maestro di poesia furono spesso bene esposti e bene ragionati. Invece gli omaggi tributati al Petrarca filologo, benché fossero numerosi e cordiali, restarono indeterminati e insufficienti. Così non è stata ancora compresa e giudicata la prova massima del Petrarca filologo. Si può indicarla con una regola, che in alcuni settori ha la precisione delle leggi che governano le scienze naturali. Nell'albero di molte tradizioni di testi classici avviene nel Trecento un ingrossamento improvviso e enorme, spesso alimentato dal confluire di rami lontani. Al centro di quei movimenti si nasconde generalmente l'esemplare o gli esemplari di quel testo posseduti dal Petrarca.

Quanto più si discese lungo i decenni del Trecento, tanto più i letterati italiani si staccarono dal vecchio mestiere di dettatori di versi in volgare e invece si impegnarono a accettare la professione di bene educati filologi: e iniziarono la rivoluzione retorica che poi mutò gli indirizzi e le aspirazioni nelle scuole, nelle cancellerie e anche nei conventi di tutta l'Europa. Solo il Petrarca ebbe la robustezza solidissima di continuare a esercitare fino alla morte il vecchio mestiere e il nuovo: negli ultimi mesi della sua vecchiaia egli attese contemporaneamente a comporre i Trionfi e a annotare la versione che allora rivelava l'Iliade e l'Odissea ai lettori dell'Europa occidentale.

Le ricchezze accumulate dai suoi commercianti durante il Trecento assicurarono all'Italia - voglio dire all'Italia settentrionale e centrale - un secolo di egemonia economica. Cosí due sole, operosissime generazioni di letterati italiani riunirono allora, specialmente dentro .il triangolo che va da Firenze a Milano, a Padova e Venezia, una tale .riserva attiva di testi letterari da garantire ai successori una piena e lunga egemonia grammaticale e retorica. Infatti le generazioni successive, eredi di quella spettacolosa mietitura, mentre completavano gli scavi nelle esili vecchie librerie delle cattedrali dell'Italia settentrionale (scoperta in un codice della cattedrale di Vercelli delle Ad Familiares di Cicerone: 1392; scoperta in un codice della cattedrale di Lodi della raccolta completa delle opere retoriche di Cicerone: 1421) e iniziavano le cacce metodiche nelle biblioteche della nazione germanica, diedero all'Italia delle scuole di retorica enormemente più alte di quelle delle altre nazioni.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it