CRITICA LETTERARIA: IL QUATTROCENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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L' "OTTAVA" DEL POLIZIANO

di GIOSUE CARDUCCI



Il Carducci, che al Poliziano ha dedicato alcune delle sue piú note pagine critiche, celebra la novità e la varietà dell'ottava polizianesca, mostrandone i caratteri di freschezza e, al tempo stesso, di sapienza letteraria.

Ma il carattere speciale dello stil della Giostra è in questo, che, posto l'autore tra il finire di una età letteraria primitiva e originale cosí nell'inventare come nello esprimere e 'l cominciare d'una età d'imitazione e di convenienza, tiene del rozzo e del vigoroso dalla prima come dell'aggraziato e del morbido dalla seconda. Gli ultimi vestigi della prima età scompariranno mano a mano più sempre nelle Api del Rucellai, nel Tirsi del Castiglione, nella Coltivazione dell'Alamanni: la seconda poi risplenderà tutta pura nella Ninfa tiberina del Molza e nello stupendissimo Aminta: la Giostra apre la serie. Del resto quel misto di grazia e di forza, di finezza e d'ingenuità, conferisce non poco alla originalità nell'imitazione che niuno può disdire al Poliziano. La quale io credo che sia anche aiutata dal metro che il poeta si elesse. Portar tanta ricchezza di rimembranze e d'imitazioni nell'ottava, non veramente fino allora nobilitata, era un dissimularla: più con i varii ondeggiamenti e movimenti d'armonia che primo il Poliziano fece prendere a' quel metro, giunse a ricoprire i suoni diversi dell'esametro antico e della terzina e della canzone che pure dalle molteplici imitazioni dovevano emergere. E questo del perfezionamento dell'ottava è vanto singolarissimo del Poliziano. Prender l'ottava, diffusa e sciolta quale lasciolla il Boccaccio, che nato gran prosatore e specialmente narratore la segnò troppo della sua impronta; stemperata, quale dal Pucci in poi l'avean ridotta i poeti popolari; rotta, quale dal dialogo delle rappresentanze era dovuta uscire; aspra in fine e ineguale, quale sotto il rude piglio del Medici, tiranno anche delle rime, avea dovuto farsi per divenir lirica; prenderla, dico, in simili condizioni, e con l'unità d'armonia darle il carattere metrico suo proprio che ha poi sempre conservato, mettervi dentro tanta varietà concorde, vibrarla, allargarla, arrotondarla, distenderla, imporle il raccoglimento del terzetto e l'ondeggiamento della stanza, la risolutezza del metro finito e la fluidità del perenne, farla eco a tutti i suoni della natura e della fantasia, dal sussurrare delle piante, dal gemere dell'aure, dal canto dell'usignolo, fino al tripudio bacchico, alla foga della galea, alla tromba di Megera; e ciò un giovine, e da sé solo senza predecessori; mentre a condurre la canzone e il sonetto alla sua perfezione dai tentativi di Federico II e Pier delle Vigne occorse un secolo e due scuole diverse, di Guittone e del Guinicelli, e in fine due uomini come l'Alighieri e il Petrarca: ciò per me è un miracolo più grande che non sarebbe l'avere il Poliziano scritto le Stanze a quattordici anni, e tale che, ove ogni altro argomento mancasse, attesterebbe la gran facoltà poetica, almeno esterna, del mio autore. Al Giordani il verso del Poliziano che qualche volta pareva duro; né io il negherò, recandone pure al secolo la cagione: ma certo non è mai dura l'ottava, la quale pare a me che raccolga le due doti diverse di quella dell'Ariosto e dell'altra del Tasso: grave e sonora, ma non tornita e rimbombante come la seconda; libera e varia, ma non soverchio disciolta come la prima; l'ottava del Poliziano, dov'è proprio bella, supera, a parer mio, quelle de' due grandi epici; è l'archetipo dell'ottava italiana.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it